Quello che segue è l’ultimo racconto del nostro agosto letterario, che quest’anno è stato curato dallo scrittore Vanni Santoni.
IN COPERTINA un’opera di Alfred Kubi
di Ferruccio Mazzanti
(l’agosto letterario 2023 è curato da Vanni Santoni)
A fine luglio la gatta si è trasformata in una cometa. Si chiamava Hale Bopp e strano a dirsi rispondeva quando pronunciavo il suo nome: miagolava con fare sardonico come se mi stesse chiedendo che vuoi ancora da me, ecco cosa diceva il suo miao. Povera Hale Bopp, l’aveva presa Marlene otto anni fa quando era ancora una cucciola, zampettava di qua e di là in modo goffo sul parquet del nostro appartamento, talvolta addirittura rotolando, se provava a saltare mancava sempre il bersaglio, come se dovesse affinare i suoi sistemi di calcolo percettivo, per lo più dormiva, mangiava e faceva le fusa. Non ha mai provato interesse a cacciare altri animali, nessun istinto predatorio, nessuna volontà di potenza, più un fagotto di pigrizia e palle di pelo rigurgitate che un vero e proprio felino. Inoltre aveva un grave problema del sistema nervoso: non riusciva a controllare i muscoli della fine del suo tratto gastrointestinale, il che vuol dire che lo sfintere di Hale Bopp era per lo più fuori controllo, un cerchietto che si apriva e si chiudeva senza una logica alcuna, talvolta causandole una stipsi che le rendeva la vita probabilmente infernale per i forti dolori addominali, tanto era costipata. In quei casi l’unica cosa che potevo fare era coccolarla a lungo, consigliarle di rilassarsi, di spingere, di non preoccuparsi, che tutto sarebbe uscito prima o poi. Miao, mi rispondeva Hale Bopp col suo tipico tono altezzoso. Ma altre volte, invece, Hale Bopp rilasciava le sue cose senza neanche accorgersene, sparpagliandole incurante per tutta la casa e poi guardandomi con fare interrogativo se per caso mi azzardavo a protestare quando la mattina le calpestavo appena alzatomi dal letto. Miao, miagolava Hale Bopp. Quante volte ho dovuto pulirla dopo un frequente pisolino pomeridiano. Dunque non mi sono stupito più di tanto quando Marlene, la mia ragazza, mi ha lasciato senza portarsi dietro la nostra tanto amata gatta.
Oh Marlene, ragazza che ho amato per otto lunghi anni, fanatica religiosa dello zodiaco che mi ha obbligato a imparare a memoria la sua carta del cielo: Sole in Leone, terza casa; Mercurio in Ariete, quarta casa; Marte in Capricorno, settima casa; Luna in sagittario, sesta casa; Venere in acquario, prima casa; Giove in Toro, dodicesima casa; Saturno in scorpione, decima casa; Urano in pesci, nona casa; Nettuno in Bilancia, undicesima casa; Plutone in scorpione, decima casa; ascendente capricorno, discendete cancro; Medium coeli vergine, Imum coeli pesci; Chirone in gemelli; Nodo lunare nord in acquario; Nodo lunare sud in leone; Lilith in ariete; il cuore in capricorno, i reni in toro, il fegato in scorpione, l’utero in sagittario, il cervello in gemelli e chi sa che altro in acquario, Marlene che decide di chiamare la gatta Hale Bopp e poi otto anni dopo se ne scappa di casa senza portarsela via con sé, lasciandola qui a cacare da tutte le parti come una maledizione voodoo lanciata contro di me, che nonostante tutto non riesco a smettere di massaggiarle il pancino, quando la mia povera gatta è costipata.
E quindi è proprio vero, a inizio luglio Marlene è andata via. È successo così, all’improvviso, perché, sostiene lei, non riuscivamo più a capirci, a parlare, a comunicare. Secondo lei fino a poche settimane prima, ma che dico, pochi giorni prima avevamo irreversibili capacità telepatiche, come se i nostri due cervelli fossero una specie di libro aperto l’uno per l’altra in modo esclusivo, ovvero a nessun’altra creatura di questo pianeta (forse solo ad Hale Bopp) era concessa una anche minima intromissione nel legame non solo fisico, ma anche mentale che si era instaurato tra di noi la prima volta che ci eravamo guardati o, per esser più precisi, fissati nelle pupille per circa due ore ininterrotte senza muoverci mentre tutti gli altri intorno a noi gettavano per terra i mozziconi delle sigarette appena fumate e parlavano di cambiamenti climatici, inquinamento atmosferico, microplastiche e altre amenità. Quindi per Marlene quello che pensavo io era immediatamente trasmesso nella sua testa e viceversa, il che mi poneva in una costante situazione di allerta, perché se mi fossi ritrovato a immaginare come sarebbe potuta essere la mia vita con un’altra donna, quella fantasia sarebbe stata anche la sua, con tutte le conseguenze del caso. Quindi mi trattenevo sempre, credendo in modo cieco alla sua teoria sulla nostra interconnessione mentale: forse dovevo vergognarmi della persona che ero e nasconderla ai suoi occhi interiori, mascherarmi, diventare l’idea che lei aveva di me.
Poi un giorno all’improvviso mi ha detto che quel collegamento metafisico non esisteva più. Eravamo sul divano a guardare un film come sempre, abbracciati e innamorati, con io che non pensavo a nulla per paura di deluderla e lei che mi faceva domande senza avere risposte sul significato delle scene che stavamo guardando. Siamo arrivati ovviamente alla conclusione che sosteneva lei, sembrava soddisfatta e la cosa mi rendeva tranquillo, così siamo andati a letto e la mattina successiva, appena ci siamo alzati, mentre facevamo la nostra classica colazione a base di frutta e yogurt, Marlene inizia a dirmi che ormai tra di noi non c’era più telepatia, perché per quanto si sforzasse non riusciva a leggere nulla nella mia mente, come se fossi una sorta di scatola vuota che acconsentiva e basta quando doveva acconsentire, quasi più un’intelligenza artificiale capace di riassemblare idee e parole per illudere gli altri della propria esistenza interiore. Neanche riuscivo a capire a cosa si riferisse, a dirla tutta, mentre pulivo la merda del gatto lasciata ovunque sul pavimento, pensavo addirittura che stesse scherzando. Le chiesi se non sentisse cosa mi passasse per la testa proprio in quel momento lì, in cui, per inciso, pensavo solo ti amo ti amo ti amo ti amo, ma lei rispose che ormai quando io pronunciavo una parola, quella parola aveva un significato altro rispetto a quello che lei dava alla stessa parola. Le chiesi cosa intendesse per telepatia. Appunto, disse lei, io intendo interconnessione, mentre tu un superpotere da fumetti. Quindi, concluse, se i nostri vocabolari ormai erano così poco comunicanti, anzi così radicalmente differenti, allora come potevamo stare ancora insieme?
Ma come, protestai, fino a ieri sera ci capivamo talmente bene, non c’era fraintendimento possibile tra di noi, la parola gatto significava per entrambi Hale Bopp, non era così anche ora? Ma lei già non mi ascoltava più. Forse è questo il vero significato della parola fine, non ascoltarsi più.
-->Nei giorni successivi ho riflettuto a lungo sul coraggio che lei deve aver avuto nel prendere questa decisione, probabilmente io non sarei mai stato così impavido, avrei preferito portare avanti una relazione esaurita, piuttosto che ritrovarmi da solo, tuttavia questa consapevolezza non mi faceva stare meglio, ecco perché mio fratello ha deciso di passare ogni giorno a trovarmi, portando sempre un pacco da sei di birre ghiacciate.
Mio fratello, che di nome fa Leone, ha un grosso problema: è tanto un cuore d’oro quanto una brutta testa di cazzo, potrei riportare un numero talmente considerevole di esempi della sua idiozia che alla fine mi ritroverei a scrivere un vero e proprio romanzo. Così, tanto per dirne una: una volta, quando ancora stavamo dai nostri genitori, avevano montato le giostre in un parco non troppo distante da dove abitavamo. C’era anche uno di quegli scivoli alti tipo dieci metri, che nell’inclinazione verso il basso emulano delle onde, così che quando stai scendendo giù fai dei piccoli saltelli che avrebbero la funzione di convincerti a pagare quell’euro necessario per salire fino in cima. E insomma lui quell’euro non voleva proprio spenderlo, così decise di aspettare fino alla chiusura, nel mentre ubriacarsi fin quasi allo svenimento, poi arrampicarsi fino alla vetta e gettarsi a testa in giù e pancia in su senza aver neanche controllato se i proprietari non avessero per caso messo delle catene per scoraggiare qualsiasi imbecille a fare quello che Leone, aveva deciso di fare. Quando arrivò l’ambulanza ai dottori disse solo: mi fa male ovunque. E poi iniziò a vomitare sulla barella. Non sapevano più come fare a portarlo via. Toccò a me chiamare nostra madre, chiederle se poteva raggiungerci all’ospedale, anche se non doveva preoccuparsi, però, insomma, che venisse anche se erano le quattro del mattino, perché Leone un po’ male se lo era fatto sul serio. È sempre stato così lui, se non sbaglio l’unico osso che non si è mai miracolosamente rotto è quello del collo.
Comunque sia mio fratello, da quando mi sono lasciato con Marlene, appena esce dall’officina, viene a casa mia con delle birre ghiacciate per stare un po’ con me, per chiacchierare del più e del meno, per non lasciarmi solo. Di solito accende la televisione e si mette a guardare le repliche delle partite di calcio. Io non sono un appassionato di sport, ma lo lascio fare, perché lui si diverte proprio a ripetermi i nomi dei giocatori, chi ha vinto cosa, quanti goal ha fatto un tipo, quanto costa il cartellino di un tizio, quanto guadagna caio, quali sono le squadre più blasonate, chi riceverà il prossimo pallone d’oro. Scommette pure, purtroppo qualche volta vince delle piccole somme, che lo convincono ancor di più a investire i suoi soldi in quel tipo di azzardo, cosa che non rende molto felice sua moglie, che di nome fa Ambra e la sua principale caratteristica è quella di sopportare mio fratello, povera donna.
Comunque sia il punto è che quel coglione di mio fratello tutte le sere viene a casa mia con delle birre, tranne quella sera di fine luglio. Arriva a casa mia con una bottiglia piena di un liquido giallognolo e mi dice: assaggiala, è buona. Lo guardo con non poco scetticismo, anche perché non vuole dirmi cosa sia. Io non assaggio nulla, gli faccio capire, se non so cosa sia. Lui scoppia a ridere e mi ripete che non c’è niente di cui devo preoccuparmi, non devo fare il solito rompi palle, devo solo sorseggiare un poco e dirgli cosa ne penso del suo nuovo liquore, prodotto da lui medesimo.
Assaggialo prima tu, gli faccio io, e lui sorridendo con quella sua faccia da demente, stappa la bottiglia e tira giù un lungo sorso, poi me la passa con una gioia che non gli avevo mai visto in quei suoi occhi bovini e mi ripete: dai, non fare il caga cazzi, assaggiala.
Va bene, penso, cosa mai mi potrà succedere? Il liquore è dolce e aspro, forse anche un po’ amaro, ma scende giù che è una bellezza. Quando smetto di bere mio fratello è distesso sul tappetto e sta guardando Hale Bopp, che è nella sua fase di apertura totale dello sfintere e sta rilasciando roba marrone mentre cammina verso la finestra.
Dovresti chiedere alla tua gatta cosa vuole fare da grande, bisbiglia lui.
Io, invece, mi sento strano. Strano tipo che le mani iniziano a sudare e guardando la gatta riesco a vederle dentro, i suoi sistemi nervosi carichi di elettricità che circola in modo difettoso e anche i flussi sanguigni regolati dalle pulsazioni del suo cuore e guardando con più attenzione il suo cuore, vedo, porca troia, vedo che c’è tipo un bagliore di luce astrale.
Che cazzo c’era, coglione, dentro a quella bottiglia?
Lui mi guarda ridendo come un pazzo, poi cambia discorso e mi chiede se lo vedo pure io.
Cosa?
La gatta, guarda la gatta.
Hale Bopp si è messa sotto alla finestra e si è chiusa a palla come fosse un pangolino. Vedo le sue ossa che stanno cambiando disposizione dentro al suo corpo e quella luce che proveniva dal suo cuore che si espande fuoriuscendo all’esterno. Adesso si è trasformata in qualcosa che emette pure calore, un calore che aumenta considerevolmente davanti ai miei occhi, fino a che Hale Bopp non prende fuoco. Cazzo, la mia gatta ha preso fuoco. Il dolore deve essere lancinante, perché inizia a muoversi durante l’autocombustione, ruota su se stessa cercando di mordersi la coda, accelera talmente tanto nella rotazione che diviene una specie di sfera infuocata che si solleva dal pavimento e inizia a levitare verso l’apertura della finestra. Quando la raggiunge, emette una sorta di boato in forma di miao e vola letteralmente via, fuori da casa mia, schizzando su nel cielo. Mio fratello, quel coglione, scoppia a ridere e tra un ah ah e l’altro mi dice: porca troia, ma il tuo gatto era una cometa. Sono esterrefatto. Mi affaccio alla finestra e guardo Hale Bopp che lascia una coda di luce e fuoco dietro di sé in mezzo alle nuvole in direzione della luna, che quella sera era nel segno del cancro. E mentre la guardo sparire verso gli astri, penso: ciao gatta, ti volevo così bene, spero che tu possa essere una brava Hale Bopp là tra le stelle. Ti supplico, passa a trovarmi ogni tanto, che senza di te sto proprio male.
Hale Boh!