Again and again and again

Come sapete agosto su Indiscreto è sinonimo di racconti: abbiamo deciso di affidare ogni anno a una persona diversa la curatela del nostro breve mese letterario. Quest’anno a curare la selezione per noi è lo scrittore Vanni Santoni. Il racconto che segue è di Giulia Sara Miori, che ringraziamo.


IN COPERTINA, Edward Hopper, Summer in the city (1950)

di Giulia Sara Miori

(l’agosto letterario 2023 è curato da Vanni Santoni)

Nell’istante in cui all’occhio umano accade di registrare la presenza di una creatura oblunga, oscura e ondivaga, il sistema di allerta che da innumerevoli generazioni riposa in qualche area sperduta del cervello si risveglia di colpo: allerta rettile, serpente, fight or flight mode, attacco o fuga. Si tratta di una reazione automatica, legata alla sopravvivenza della specie. Non c’è modo di evitarla, non c’è calcolo che tenga. Neanche l’uomo più audace del pianeta riuscirebbe a opporsi all’istinto, a contrastarlo. È tutto già scritto, tutto pronto in caso di catastrofe. Ma l’allerta rettile è solo la prima fase. Poi subentrano la razionalità, la logica, la freddezza. È a quel punto che si comincia a catalogare, a soppesare. Il tutto avviene nel giro di pochi secondi. È davvero un serpente quello che crediamo di aver visto, oppure si tratta di un innocuo pezzo di corda? Ma ammettiamo pure che sia un serpente: è pericoloso? E in che modo uccide? Per stritolamento o per avvelenamento? È una specie autoctona o forestiera?

Non so a quali conclusioni tu sia arrivato, Occhi di rana: se io sia una specie autoctona o forestiera; se ti ucciderò per stritolamento o per avvelenamento. A ben vedere stai già soffocando. Se i miei calcoli sono esatti, l’aria che respiri dovrebbe essere già satura di anidride carbonica. Tra poche ore la tua pelle assumerà quel colorito bluastro conosciuto col nome di cianosi.

«Ti ospito io a Torino. Non hai ancora visto la casa.»
C’è un motivo per cui non l’ho ancora vista, penso, ma non dico niente. Non sono cose che si dicono ad alta voce. Sono cose che fanno tremare solo a pensarle.
«Guarda che se vuoi puoi dormire sul divano.»
Non ricordo una sola volta in cui io abbia dormito sul divano. Sessualmente promiscua. Bugiarda, manipolatrice, borderline. Una persona normale si terrebbe alla larga da me. Ma tu non sei una persona normale. «Mi dispiace che l’anno scorso non siamo riusciti a vederci.»
«Dispiace anche a me.»
«Non ricordo neanche cos’è successo.»
«Non ti ricordi?»
«Boh, a un certo punto mi hai scritto quei messaggi…»
«Quali messaggi?»
«Quelli che hai cancellato.»
«Li hai letti?»
«No.»
«Io ero tranquilla, a dire il vero. Io sono tranquilla.»
«Per me era tutto tranquillo anche l’anno scorso.»
«Era tutto tranquillo?»
«Sì.»
«E adesso è tutto tranquillo?»
«È tranquillissimo anche adesso, sì.»
«E tu sei tranquillo?»
«Sono tranquillo. E tu?»
«Anch’io, sì. Va tutto benissimo e sono tranquilla.»
Ti sento respirare. So a cosa stai pensando. Perché non me lo chiedi, Occhi di rana? Perché non mi chiedi di Martijn?
«Comunque se vieni ti do le chiavi e puoi fare quello che vuoi. Non dobbiamo neanche vederci.»
Istintivamente abbasso la voce. «Pensavo che avessi voglia di vedermi.»
«Sì, ma…»
«Non hai voglia di vedermi?»
«Sì. Ma non dobbiamo vederci per forza.»
«Non dobbiamo fare nulla, per forza.»
Silenzio.
«Ci sei ancora?»
«Sì.»
«Hai capito quello che ho detto?»
«Ho capito, sì.»
«E non hai niente da dire?»
«Non ho niente da dire.
Ce l’hai ancora con me?»
Sette anni, Occhi di rana. Sono passati sette anni.
«Sei ancora arrabbiata?»
Ora sei tu che abbassi la voce. Lo conosco quel tono. Mai più, mi ero detta, mai più con Occhi di rana. Costi quel che costi.
«Non sono arrabbiata, no. Voglio solo sapere perché.»
«Cosa?»
«Hai avuto una possibilità, mi pare.»
Silenzio.
«Una possibilità l’hai già avuta.»
Ti ostini a tacere.
«Voglio sapere il perché. Dimmelo.»
«Non lo so. Ma ti ho pensata.»
«Mi hai pensata?»
«Sì, sempre.»
«Per sette anni?»
«Per sette anni.»
«E a cos’hai pensato, per sette anni?»
«Ho pensato che sei stata, che sei ancora.»
«E vuoi vedermi?»
«Voglio scoparti.»

Rettile contro anfibio. Non siamo poi così dissimili. Nessun istinto alla socialità. Assoluta incapacità di provare emozioni. Assenza di abilità cognitive per interpretare e apprezzare interazioni amichevoli. Ogni tentativo di contatto fisico tende a essere interpretato come un atto ostile o di prevaricazione. La domanda non è se, ma quando.

M’infilo sotto le coperte. Martijn si gira per abbracciarmi. Pensavo dormisse, invece sento la sua erezione premere contro la gamba. Quasi sapesse che ci sentiamo, quasi lo sentisse: mi abbassa le mutande e mi accarezza il culo. Mi giro, lo bacio. La sua barba di due giorni mi ricorda per contrasto le tue labbra morbide; morbide, Occhi di rana; morbida la pelle appena rasata; morbida la nuca; morbidi i capelli tagliati con la macchinetta; morbida la voce, morbide le mani. Mi abbassa le mutandine, mi schiude le labbra delicatamente. Fa scivolare le dita dentro, poi mi massaggia il clitoride con calma. Sa che è una questione di ritmo, abbiamo litigato furiosamente per questo; era egoista, troppo veloce nei movimenti. Abbiamo litigato furiosamente su tutto: sui film da guardare, sui quadri da appendere alle pareti, sul mio vizio di interrompere le persone mentre parlano, sulle sue abitudini alcoliche, sul fatto che gli controllassi il telefono. Mai per te, Occhi di rana. Tu non esisti.

Martijn mi prende da dietro. Cerca di trattenersi; fosse per lui mi scoperebbe come nei porno. I wanna fuck you hard, mi dice. Chiudo gli occhi. Da quando hai detto che hai voglia di scoparmi, mi masturbo tutti i giorni, tre o quattro volte. Mi basta pensarti e mi bagno subito, ma poi ho bisogno di guardare video di gangbang e sborrate. La mia immaginazione è corrotta. Io sono corrotta. Lo schifo che sono diventata. Sporca bugiarda costruita full of shit. Sei stato tu, Occhi di rana?

Martijn mi viene sul culo.
«Did you come?» mi domanda.
«I’m good.»
Non riesco a mentire, su questo. Non ne capirei il senso. Vorrebbe chiedermi il perché, perché non sono venuta, ma sa che mi irriterei. A volte vengo, a volte no. Non c’è un perché. È una questione meccanica e di concentrazione. Non è così importante. Mi allunga la carta igienica, mi pulisco. Quando ho finito mi stringe, restiamo così per un po’. Ho voglia di fumare, mi alzo. Scendo al piano di sotto, mi rollo una sigaretta, esco in balcone. Sento uno scricchiolio sotto la suola: senza volerlo ho schiacciato una lumaca. Non è la prima volta e non sarà l’ultima. Con la torcia del telefono controllo se è morta. Non si capisce. Nel dubbio, la calpesto ancora.

Controllo le chat archiviate del telefono. Trovo un tuo messaggio di mezz’ora fa: “sei sveglia?” Visualizzo e non rispondo. Faccio qualche tiro, spengo la sigaretta. Rientro, prendo uno xanax. Tutto quello che desidero è dormire. Spegnere tutto. Galleggiare. D’estate, a queste latitudini, il buio non è mai abbastanza buio. Penso all’estate di sette anni fa, a quel pomeriggio.

Casa tua, la vecchia casa dei Murazzi. A letto, nudi. Caldo colloso. Pelle come zucchero filato. Dalla finestra, spicchi di cielo di un azzurro saturo. Un nitore senza ombre. Zanzare anche di giorno. Mettiti sopra, mi dici, voglio vederti. Mani sulle tette. Cosce sudate. Il tuo cazzo scivola fuori. Non ridere, mi dici. Non ridere. A me eccita l’idea che possano sentirci. Sono tante le cose che mi eccitano. Te le elenco tutte, una per una. Mi dici che vorresti pagarmi. Fallo, ti dico, fallo adesso, se hai il coraggio. Mi guardi per capire se sono seria. Pagami. Ti alzi, ammiro il tuo cazzo eretto. È il secondo cazzo più bello che abbia mai visto. Dài, pagami. Ti passi una mano sulla testa. Vai alla scrivania, prendi il portafoglio, tiri fuori cinquanta euro. Un po’ poco, non ti pare? Di nuovo, mi guardi. Esiti. Stai zitta e girati. Mi scopi da dietro, mi tiri i capelli. Mi tocco, vengo tre volte. Sei una troia, mi dici. Una troia da quattro soldi. Ti dico che vorrei scoparmi un altro davanti a te, guardarti mentre ti masturbi. Mi metti una mano sulla bocca, te la mordo. Ti metti sopra e mi vieni dentro. Mi baci, ti stringo la mano. Vieni? Usciamo sul balcone nudi, fumiamo in silenzio. La sera andiamo a bere a San Salvario. Con i cinquanta euro della prestazione pago da bere. La sera torniamo sbronzi, io non mi reggo in piedi, sbatto la testa sullo spigolo della dispensa, bestemmio, tu ridi e mi baci i capelli. Scema, mi dici. Scema, vieni qui. Mi eccito di nuovo. Ti lecco le labbra, ti tolgo la maglietta, lascio che mi spogli. Ricominciamo a scopare. Tutto il contrario di quel che è ragionevole, Occhi di rana. Scopare e non pensare alla catastrofe. Non pensare alla catastrofe e scopare.

catastrofe: esito imprevisto e doloroso o luttuoso di un’impresa, di una serie di fatti.

Leggo e rileggo il tuo messaggio. Non rispondere, mi dico. Aspetta almeno fino a domani. Niente decisioni impulsive. Dormici su. Il tuo nome sul display. L’immagine di una rana. Lo xanax fa effetto, mi masturbo davanti a un porno gay. Mentre vengo, penso a te che mi stai sopra.
Martijn dorme profondamente. Chiudo gli occhi, cerco di rilassarmi. Ti sento scorrermi dentro. Cosa ti ho fatto, cosa mi hai fatto?

Ancora quel weekend a Torino. Apro una lattina di birra mentre tu ti fai una striscia. La finestra del balcone spalancata, la stanza in penombra. Ci mettiamo sul divano: tu seduto, io sdraiata, le mie gambe sulle tue. «Lo sapevi che mio zio si è sparato?»
«Cosa?»
«Sì.»
«Ma quando?»
«Quand’ero piccolo. La cosa assurda è che il giorno prima mi ha fatto giocare con la pistola.»
«In che senso?»
«Ce l’aveva in mano, me l’ha data. Tieni, puoi giocarci, mi ha detto.»
«Ma era carica?»
«Non ne ho idea. Avrò avuto quattro o cinque anni.»
«E poi?»
«E poi niente.»
Ti fai un’altra striscia. Torni a sederti.
«Ma era il fratello di tuo padre?»
«Di mia madre.»
«E quanti anni aveva?»
«Trentadue.»
«La tua età.»
Mi accarezzi le gambe. «Comunque mia madre dice che sono uguale a lui.»
«Fisicamente?»
«Fisicamente, come carattere…»
«E secondo te è vero?»
Per un attimo smetti di accarezzarmi le gambe.
«Non smettere» ti dico. «È vero che vi somigliate?»
«Mah, non saprei. Credo di sì…»
«Te lo ricordi bene?»
Guardi un punto al di là della finestra. «Sì. Era una di quelle persone da cui istintivamente ti tieni alla larga.»
«Cioè?»
«Non lo so. Era scostante, parlava poco. Odiava i bambini. A parte quella volta, non mi ha quasi mai rivolto la parola. Non era piacevole stargli intorno.»
«E perché?»
«Non saprei come spiegarti, era più una sensazione. Comunque non lo vedevamo spesso. Un paio di volte è venuto a Natale. Mi ricordo che non ha mangiato niente.»
«Non era come te, allora.»
Sorridi.

Mi sveglio all’una del pomeriggio. Sei accanto a me, dormi. Ti sfioro la punta del naso: non reagisci. Mi metto a fissarti finché non apri gli occhi. «Perché mi stai fissando?»
«Volevo svegliarti.»
«E perché volevi svegliarmi?»
«Mi mancavi.»
Ti metto una mano sul cazzo, è duro. Fai una battuta sul fatto che ti sto molestando, io mi offendo, ritiro la mano. Me la prendi e me la rimetti dov’era. Ti tiro giù i boxer. Lo prendo in mano, comincio a masturbarti.
«Prendimelo in bocca.»
«Solo se mi preghi…»
«Ti prego…»
«Sii più specifico…»
«Ti prego, prendimelo in bocca.» Hai la voce rauca di chi ha fatto serata. Mi abbasso, ti tirò giù i boxer ancora un po’, ti lecco le palle mentre ti faccio una sega. Mi piace quando mi preghi. Mi piace l’esercizio del potere, mi piacciono gli istanti che precedono il tuo orgasmo. Non sei più Occhi di rana, ma soltanto un uomo.
«Perché non ti fermi un po’ di più?» mi chiedi mentre mi passi le mutandine.
Sulle lenzuola c’è una macchia di sangue.
«Solo un giorno o due…»
«Lo sai che non posso. Lui torna stasera.»
«Non puoi inventarti una scusa?»
«Vado a fare la doccia.»
A pranzo ordiniamo dei ravioli cinesi d’asporto.
«Pensavo fossi vegetariana…»
«Sono vegetariana.»
«Sei vegetariana e mangi la carne…»
«Avevo anche smesso di fumare, se è per questo.»
«Si direbbe che non ti faccio bene.»
«Si direbbe che non mi fai bene.»

Preparo la valigia in silenzio. Tu metti il disco di una band indie italiana, io infilo la biancheria sporca in un sacchetto di plastica. Piego le magliette. Volutamente non ti guardo. Non voglio incrociare i tuoi occhi di rana. Stranamente, mi fanno paura.
Mi accompagni alla stazione. Fumiamo una sigaretta. La fumiamo fino al filtro.
«Quando torni?»
«Non lo so.»
Cerco di assumere un’espressione distaccata. Mi baci. Prima che tu scompaia, inghiottito dall’imperativo categorico dell’impermanenza, penso che in fondo sei solo un uomo. Cancello le chat e le chiamate. Infine, cancello anche il tuo numero.

In questi giorni, sembra che Martijn all’improvviso si sia ricordato che possiedo un corpo. Prima che tu ricomparissi, scopavamo una volta al mese. Adesso, tutti i giorni. Di te sa solo l’essenziale. Non sa che non abbiamo mai davvero smesso di sentirci. Non sa che tu sei il leftover della mia vecchia vita. Non sa che se tu smettessi di esistere non rimarrebbe niente.

E allora ti chiamo, Occhi di rana. Sia quel che sia. Verrò a Torino. Again and again and again. Che sarà mai, Occhi di rana. Tutto pur di tornare indietro. Cos’hai fatto, Occhi di rana? Nessuno ti ha costretto ad avvicinarti. Se il tuo sistema di valutazione non funziona non è colpa mia. Non è colpa mia se mi hai permesso di strisciarti dentro. Non sei stato in grado di catalogarmi. Specie pericolosa, arretrare lentamente, evitare movimenti bruschi. E invece tu cos’hai fatto? Cos’hai fatto, Occhi di rana? Niente. Non hai fatto niente.

Stasera ho vomitato tre volte. Martijn mi prepara un tè, mi accarezza i capelli mentre piango raggomitolata sul divano.

 

 

 

 

1 comment on “Again and again and again

  1. Giorgio

    Si potrebbe leggere un racconto dove non si “scopi”, ma si faccia all’amore?

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