Noi tutti immaginiamo l’amore, sin dal Simposio di Platone, come un destino che ci è oscuro, ma che il tempo ci svelerà. L’amore è ancora oggi percepito come un disegno divino, una fede in cui credere senza possibilità di sfuggirne. Si tratta di un’idea sbagliata, ma che, volendo, ha una sua utilità.
In copertina e lungo il testo un’opera di Auguste Rodin
Nessuno si innamorerebbe se non avesse mai sentito parlare dell’amore.
François De la Rochefoucauld
La frase in epigrafe “nessuno si innamorerebbe se non avesse mai sentito parlare dell’amore” suggerisce che non si tratta di una forza che sgorga spontanea dai nostri cuori, ma un’esperienza mediata dalle parole e dalle narrazioni che lo descrivono, suscitando in noi il desiderio di amare. Bisogna quindi prestare attenzione al discorso amoroso per capire cosa sia questa condizione, che a quanto pare non farebbe parte del nostro orizzonte se non ne avessimo sentito parlare ma che tutti inseguiamo per poterci dire felici.
La prima voce a cui tendo l’orecchio è quella del classico dizionario, ma non è di grande aiuto:
“Affetto intenso, assiduo, fortemente radicato per qualcuno”, questa è una definizione piuttosto vaga.
“Sentimento, affetto che comporta anche attrazione sessuale” , e questa decisamente imprecisa.
-->Con la parola amore si può intendere un’ampia varietà di sentimenti ed atteggiamenti differenti. Anche Wikipedia ci introduce al tema in modo vago e infatti, poche righe più avanti, chi si è preso la responsabilità di compilare questa voce di enciclopedia alza le mani e ammette che “una tale ampiezza di usi e significati, in combinazione con la complessità dei sentimenti che coinvolgono i soggetti che amano, possono rendere particolarmente difficoltoso definire in modo univoco e certo l’amore, rispetto ad altri stati emotivi.”
Dovremo dar ragione a Emily Dickinson “That Love is all there is, Is all we know of Love” (Che sia l’amore tutto ciò che esiste; É ciò che noi sappiamo dell’amore)? Poeticamente è suggestivo, ma non sembra una grande indicazione per la vita di tutti i giorni.
Accettare passivamente questo intrinseco mistero dell’amore ci rende estremamente vulnerabili.
Come aveva osservato la femminista Bell Hook nel saggio All About Love, le definizioni sono punti di partenza fondamentali per l’immaginazione. Una buona definizione segna il nostro avvio e ci indica dove vogliamo arrivare.
Senza una definizione adeguata – aggiunge – corriamo un serio rischio di confondere situazioni abusive per amore. Non sarà un caso allora se la stampa non si è ancora tolta il vizio di definire i femminicidi “morti per amore”- come nel recente caso di Elisa Pomarelli, uccisa da “un gigante buono”, come è stato definito, a causa di “un amore non corrisposto-” e se esiste un programma televisivo il cui titolo associa amore e crimine, rinforzando l’idea che a innamorarsi ci si possano rimettere le penne.
Anche in scenari non connotati dalla violenza, tuttavia, non sapere cosa sia l’amore sembra comunque un’ignoranza rischiosa: ci sembra normale fondare le scelte di vita più significative sulla base del fatto di essere innamorati, o pensare di esserlo. Si cambiano case e città, ci si sposa, si mettono al mondo altri esseri umani… in nome di qualcosa che non sappiamo qualificare.
Cosa dice di noi e della nostra cultura il fatto che le decisioni più importanti di molte persone si basano sulla presunta presenza o assenza di qualcosa di poco chiaro come l’amore?
Carrie Jenkins in What Love Is: And What It Could Be osserva che da un lato, abbiamo accettato l’idea dell’amore come una forza sociale tremendamente significativa; qualcosa che plasma e rimodella le intere traiettorie delle vite e serve da punto focale per tutti i tipi di valori. D’altra parte, abbiamo simultaneamente normalizzato l’idea che l’amore è un mistero, qualcosa di difficile o impossibile da comprendere e battezza questo fenomeno con l’espressione “romantic mystique”.
La mistica romantica ci dice che l’amore romantico è “misterioso e intuitivo, vicino alla creazione e all’origine della vita”, e al tempo stesso speciale e meraviglioso (in parte proprio per questa ragione). La mistica romantica ci incoraggia ad accettare la “natura” dell’amore, passivamente, invece di provare a resisterle o alterarla. È un’ideologia priva di potere che celebra l’ignoranza e l’acquiescenza .
In assenza di una buona definizione a guidarci vale la pena chiedersi con quali armamenti ci prepariamo all’incontro con Eros. Con una manciata di luoghi comuni, sembra essere la risposta.
Eccone alcuni dei più comuni:
– hai un’anima gemella e con un pizzico di fortuna e tante buone intenzioni la incontrerai e l’amerai per il resto dei tuoi giorni
– il vostro amore sarà in grado di spezzare barriere e ostacoli e basterà a far funzionare tutto, anche in una capanna
– se pensi di poter resistere all’amore e alle sue leggi ricrediti o farai una brutta fine
Vale dunque la pena esaminare questi luoghi comuni sull’amore, cercando di rintracciare la loro origine e le casse di risonanza attraverso cui giungono alle nostre orecchie, per interrogarci sulla loro utilità per noi stessi e la nostra felicità. Iniziamo dal primo:
Incontrerai l’anima gemella
“Nelly, io sono Heathcliff – lui è sempre, sempre nella mia mente, non come un piacere, così come io non sono sempre un piacere per me, ma come il mio stesso essere; dunque, non parlare ancora di una nostra separazione: è impossibile.”
Così Catherine di Cime Tempestose descrive il legame che la unisce a Heathcliff, uno stato di fusione, un’identificazione delle anime su cui non si può intervenire in nessun modo, perché come sono venute al mondo sono destinate a uscire di scena, unite.
L’immagine di due anime gemelle da sempre destinate l’una all’altra è entrata nel nostro campo visivo, dominandolo per duemila anni, grazie al Simposio di Platone.
Il Simposio è il racconto del banchetto che riunì a casa di Agatone, Socrate e il suo discepolo Aristodemo, il medico Erissimaco, il commediografo Aristofane, Pausania e Fedro, e durante il quale ognuno tenne un discorso volto a elogiare Eros. Quando fu il turno di Aristofane, questi sostenne che anticamente ogni individuo era una sfera con dorso e fianchi disposti in cerchio, quattro mani, quattro gambe, due volti su una sola testa e due organi genitali. Quest’ultimi potevano essere maschili, femminili o maschili e femminili. Queste strane creature erano in grado di camminare dritte o volteggiare in cerchio come gli acrobati, e, così formati, erano terribili per il vigore e la possanza. Siccome queste qualità possono dare alla testa a chi le possiede, i nostri antenati cominciarono a nutrire propositi arroganti e decisero di pianificare un colpo all’Olimpo, sprezzanti del fatto che a irritare gli dei si finisce sempre male. Zeus, infatti, dopo aver soppesato gli svantaggi del proposito iniziale di incenerirli, giunse a una soluzione più pratica: “taglierò ciascuno di loro in due, ed essi da un lato saranno più deboli, e dall’altro lato saranno al tempo stesso più utili a noi, per l’accrescersi del loro numero”. Sorvegliare e punire ai tempi degli dei. A taglio avvenuto, ogni metà correva a cercare disperatamente l’altra metà “e intrecciandosi l’una con l’altra, per il desiderio di fondersi assieme, perivano di fame e, anche per il resto, di inazione, perché non volevano far nulla l’una separata dall’altra.” Per rimediare all’inconveniente Zeus decise di spostare i genitali dal fianco sul davanti con lo scopo che, nell’abbraccio, si riproducesse la stirpe o “sorgesse almeno la sazietà di quella congiunzione:” ed ecco l’avvento dell’orgasmo, come momento di sospensione e temporaneo oblio della condizione mutilata. “Da un tempo così remoto”, concluse il discorso Aristofane, “è connaturato negli uomini l’amore l’uno per gli altri: esso ricongiunge la natura antica, e si sforza di fare, di due, uno, e di guarire la natura umana.”
Aristofane, diversamente dagli altri invitati, inserisce il discorso su Eros in quello “sulla primitiva natura umana, e le modificazioni da essa subite”, facendo emergere il ruolo che l’amore gioca dal punto di vista ontologico. L’amore non è un fatto mondano, non risponde alle leggi del costume e non si cura delle trasformazioni sociali, ma fa parte, è costituente, della natura umana.
La natura di ognuno di noi, apprendiamo dal dialogo, è mutilata, incompleta, e da questa incompiutezza dipende quell’ incontenibile tensione che ci porta sempre alla ricerca dell’altro, col quale ricomporre l’intero da cui deriviamo. L’amore è la forza che ci spinge verso ciò che ci appartiene e a cui apparteniamo sin dall’origine dei tempi e da cui siamo stati separati per punire la nostra insubordinazione agli dei.
Da questa concezione dell’amore derivano alcuni corollari.
Il primo, lampante, è che per ciascuno di noi c’è una sola e specifica metà, in attesa di essere trovata, sulla cui identità non abbiamo voce in capitolo, perché dipende dalla nostra natura originaria ed è quest’ultima a predestinarci.
Altra cosa su cui non possiamo mettere bocca è che dobbiamo ricongiungerci alla nostra metà; il secondo corollario, dunque, è che Eros è destino. L’amore è una forza a cui non possiamo dire no, perché come osserva Umberto Curi nella sua lettura del Simposio, “non si tratta di un semplice sentimento fra gli altri, né ancor meno di una passione che sia circoscritta alla sola sfera delle pulsioni istintuali o dei sensi. Ciò di cui siamo in presenza, è l’esigenza di un risanamento che investe nel suo insieme la nostra phýsis, alla cui forza non è perciò possibile cercare di opporsi.”
Eros è destino, è inscritto nella nostra natura originaria, dalla quale derivano anche le nostre inclinazioni sessuali, che se l’anima gemella è una soltanto, non sono destinate a cambiare nel tempo:
“Tra gli uomini, orbene, tutti quelli che sono una parte tagliata del genere congiunto, che allora si chiamava appunto androgino, si rivolgono con desiderio alle donne […] quanto poi alle donne formate dalla sezione di una donna, esse non prestano per nulla attenzione agli uomini, ma si rivolgono piuttosto verso le donne, e da questo genere nascono le tribadi. Tutti quelli, infine, formati dalla sezione di un maschio, inseguono i maschi…”
Questa tensione verso la riunificazione, questo istintivo ritorno a casa dettato dalla nostra natura non può essere in alcun modo ostacolato e a giudicare dagli esempi di chi ha osato frapporsi alla sua legge, le conseguenze possono essere amare. La povera Catherine ha pagato a caro prezzo la decisione di sposare Edgar Linton invece che Heathcliff, per conformità alle convenzioni sociali del suo ambiente. Rifiutare la legge di Eros che ci riconduce alla metà che ci è destinata, in quest’ottica, rappresenta una sfida all’ordine metafisico del mondo (come se non fosse stato abbastanza sfidare Zeus la prima volta). Ripristinare l’intero che eravamo è il nostro destino e imperativo – ci dice Aristofane – non dipende dalla nostra discrezionalità, la strada è già tracciata.
Il terzo corollario è che Eros è guarigione e redenzione. La separazione con cui siamo stati puniti per la nostra spavalderia, infatti, la nostra individualità, rappresenta una condizione patologica, contro-natura, alla quale compensa amore spingendoci a ricomporre l’originaria pienezza. La natura umana non è pertanto la nostra condizione di partenza, ma la meta a cui ci riconduce la forza guaritrice dell’amore.
Ancora una volta appare evidente che resistere all’impulso dell’amore non è una scelta saggia.
“Difatti, infelice non è colui che intraprenda la ricerca della propria “metà”, ma colui che, per ignoranza o per ignavia, si acquieti nella propria parzialità, o peggio ancora che ritenga perfetto, ciò che è invece intrinsecamente incompleto” (Umberto Curi, Miti d’Amore).
Nonostante la popolarità dell’immagine delle due metà alla ricerca l’una dell’altra, non tutti sembrano grati al commediografo greco per l’eredità ricevuta:
“… era stato questo libro a intossicare l’umanità occidentale, e poi l’umanità nel suo complesso, a ispirarle il disgusto per la sua condizione di animale razionale, a introdurre in essa un sogno di cui cercava di disfarsi da più di duemila anni, senza mai riuscirvi del tutto […] persino negli ultimi racconti di vita umani se ne ritrova l’inguaribile nostalgia” (Michel Houellebecq, La possibilità di un’isola, p. 392)
Houellebecq però è ingiusto nei confronti del Simposio, non è l’Eros di Aristofane a ispirare nell’uomo “il disgusto per la sua condizione di animale razionale,” allontanandolo dalla conoscenza e dalla ricerca della verità. Nel dialogo platonico è proprio l’amore a produrre una tensione volta al superamento dei limiti della condizione in-umana di disunità. L’amore è il mezzo per uscire dall’alterità di un sé inautentico e, ricongiungendosi all’altro, realizzare la verità della propria esistenza.
Eppure non possiamo non riconoscere, con lo scrittore francese, il dominio nostalgico che la storia delle sfere esercita su di noi, soprattutto se consideriamo la centralità che l’amore romantico ha assunto nella biografia di uomini e donne a partire dalla modernità.
Per subire l’effetto di questo archetipo non serve risalire al dialogo platonico, perché lo troviamo espresso nei romanzi, nei film, e nelle narrazioni di cui ci nutriamo sin da piccoli.
Le fiabe del folklore occidentale, con la principessa che può essere risvegliata dal bacio di quell’unico e sconosciuto principe, ruotano intorno all’idea che ci sia una persona giusta e che il suo amore sia salvifico, nel vero senso della parola. Il “vissero per sempre felici e contenti”, poi, conferma che la giustezza dell’amante proietta la storia d’amore nell’eternità.
Ma non c’è bisogno di andare a pescare troppo lontano nella nostra formazione sentimentale per ascoltare l’eco del mito dell’anima gemella. Persino una serie tv contemporanea come Black Mirror, che vorrebbe essere rivelatrice del nostro futuro, non riesce a esimersi dal riproporre il mito dell’altra metà che attende ciascuno di noi, e, nella puntata Hang the Dj, descrive uno scenario in cui tutto è calcolato e programmato, tanto che anche la vita sentimentale è affidata con successo a un software in grado di calcolare l’incastro perfetto.
Il mito dell’anima gemella, nei suoi vari adattamenti, ci insegna che ci attende un grande amore, che può essere vissuto un’unica volta e che il destino trama perché si produca l’incontro con l’altra metà. Saranno semmai le strutture e le convenzioni sociali, o altri ostacoli interni, a remare contro il progetto d’amore, che però è là a attenderci.
Questa rappresentazione dell’amore è probabilmente una menzogna, ma è una menzogna in cui amiamo specchiarci, perché sottrae le nostre relazioni al caso e conferisce loro l’ineluttabilità del destino, cancellando ogni altra possibilità. Se poi dovesse finire, semplicemente non era la persona giusta, non è richiesta nessuna introspezione, nessuna crescita da parte nostra; “qualcuno amerà le tue imperfezioni” come recitava uno slogan del sito di appuntamenti Meetic, basta aspettare.
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