Come si osserva un’opera d’arte secondo Bertolt Brecht

Per il celebre drammaturgo, «un’opera d’arte non insegna soltanto a guardare nella maniera giusta, cioè a fondo, compiutamente e con piacere il particolare oggetto che raffigura ma anche altri oggetti. Insegna in assoluto l’arte di osservare».


IN COPERTINA: WEDAD ALNASSER, Untitled, 2014

Questo testo è tratto da “Scritti sulla letteratura e sull’arte” di Bertolt Brecht. Ringraziamo Meltemi per la gentile concessione.


di Bertolt Brecht

Che in sostanza un’opera d’arte debba agire su tutti gli uomini, indipendentemente dalla loro età, dalla loro condizione sociale, dalla loro educazione, è un’opinione molto antica e assolutamente fondamentale. L’arte, si dice, si rivolge all’uomo, e qualunque uomo, vecchio o giovane, lavoratore del braccio o della mente, istruito oppure ignorante, è pur sempre un uomo. E tutti gli uomini dunque sono in grado di comprendere e gustare un’opera d’arte perché tutti gli uomini hanno in sé un certo senso artistico.

È da tale opinione che trae spesso origine una spiccata avversione per i cosiddetti commenti alle opere d’arte; ci si rivolta contro un’arte che ha bisogno di ogni sorta di spiegazioni e non è in grado di agire “di per se stessa”. “Come – si dice –, l’arte dovrebbe forse cominciare ad agire su di noi solo dopo che i dotti ci hanno tenuto sopra delle belle conferenze? Il Mosè di Michelangelo dovrebbe commuoverci solo dopo che un professore ce l’ha spiegato?”.

È così che si dice, ma nello stesso tempo si sa benissimo che ci sono persone che l’arte sanno utilizzarla meglio e sono in grado di ritrarre dall’arte un godimento maggiore che non altre. Sono quelle che formano la famigerata “piccola cerchia degli intenditori”.

Ci sono molti artisti – e non sono i peggiori – che sono ben decisi a non fare in nessun caso dell’arte solo per questa piccola cerchia di “iniziati” e si propongono di creare per tutto il popolo. Ciò ha un bel suono democratico ma secondo me non è del tutto democratico. Democratico è trasformare la “piccola cerchia degli intenditori” in una grande cerchia di intenditori.

L’arte infatti richiede conoscenze.

L’osservazione dell’arte porta infatti a un reale godimento solo nel caso che esista un’arte dell’osservazione.

Se è vero che in ogni uomo si nasconde un artista e che l’uomo fra tutti gli animali è quello più dotato di senso artistico, altrettanto certo è anche che tale disposizione può bensì venir sviluppata, ma può anche atrofizzarsi. L’arte si fonda su una capacità, la capacità di lavorare. Chi ammira l’arte ammira un lavoro, un lavoro molto abile e ben riuscito. Ed è necessario sapere qualcosa di questo lavoro per poterlo ammirare e per poter gustare il suo risultato, cioè l’opera d’arte.

Nel caso della scultura tale sapere, che non è poi solo sapere ma anche sensibilità, è particolarmente necessario. Bisogna possedere una certa sensibilità per la pietra o per il legno o per il bronzo, bisogna possedere qualche nozione sull’impiego di questi materiali. Bisogna essere in grado di ripercorrere il cammino del coltello nel ceppo di legno, il processo per cui dalla massa informe viene fuori lentamente una figura, da una sfera una testa, da una superficie convessa un volto.

Ai nostri giorni è forse addirittura indispensabile qualche nozione sussidiaria che nelle epoche precedenti non lo era stata. Sotto un certo aspetto l’introduzione di nuovi metodi di produzione, basati sulle macchine, ha portato alla decadenza dell’abilità artigianale. Le proprietà dei materiali sono cadute nell’oblio e persino il processo di lavorazione non è più quello di una volta. Ogni oggetto è ormai frutto della collaborazione di molti e colui che lavora individualmente non sbriga tutto da solo come un tempo, egli domina di volta in volta solo una fase dello sviluppo dell’oggetto. In tal modo sono anche andate perdute la sensibilità per il lavoro individuale e le nozioni a esso necessarie. Nella società capitalistica, di fronte al lavoro, l’individuo è sul piede di guerra. Il lavoro costituisce una minaccia per l’individuo. Il processo lavorativo e il prodotto del lavoro sono tali da cancellare ogni tratto individuale. La scarpa non ci dice più nulla del carattere di colui che l’ha fabbricata. La scultura continua a essere una forma di lavoro artigianale. Tuttavia, oggi si osserva una scultura come se fosse, al pari di qualunque altro oggetto, frutto di un lavoro fatto a macchina. Ci si limita a osservare (ed eventualmente a gustare) il risultato del lavoro, non il lavoro in sé. E ciò, per l’arte della scultura, è una cosa della massima importanza.

Se si vuole arrivare a gustare l’arte, non è mai sufficiente proporsi soltanto di consumare comodamente e a buon mercato il risultato di una produzione artistica; occorre partecipare a questa produzione, essere noi stessi, entro certi limiti, capaci di produrre, fare un certo spreco di fantasia, assommare o contrapporre la propria esperienza a quella dell’artista e così via. Anche colui che si limita a mangiare compie un lavoro: taglia in pezzetti la carne, porta i bocconi alla bocca, mastica. Il godimento artistico non si può avere a un prezzo minore.

Bisogna perciò partecipare allo sforzo dell’artista, in forma abbreviata ma completa. Egli dura fatica col suo materiale, con il legno poco malleabile, l’argilla spesso troppo cedevole, e dura fatica con l’oggetto, nel nostro caso, per esempio, una testa umana.

Come nasce la sua riproduzione di una testa?

È istruttivo – e anche piacevole – veder fissate, almeno in immagini, le varie fasi che attraversa un’opera d’arte, frutto del lavoro di mani agili e piene di vita, e poter intuire almeno una parte delle fatiche e dei trionfi attraverso cui è passato lo scultore durante il suo lavoro.

Dapprima è il momento dei tratti fondamentali, ancora grossolani, quasi un po’ selvaggi, sbozzati arditamente, il momento in cui lo scultore si abbandona all’esagerazione, eroicizza, arriva, se si vuole, alla caricatura. C’è in essi ancora qualcosa di animalesco, di informe, di brutale. Vengono poi gli elementi espressivi più particolareggiati, più fini. Un dettaglio, per esempio la fronte, comincia ad avere il sopravvento su tutti gli altri. Si arriva poi alle correzioni. L’artista fa scoperte, incontra delle difficoltà, smarrisce la visione d’insieme, ne costruisce una nuova, scarta un punto di vista, ne formula uno nuovo.

Stando a guardare l’artista, si comincia a capire la sua capacità di osservazione. Egli è un artista dell’osservazione. Osserva il suo oggetto vivente, una testa che vive e ha vissuto, ha molta pratica nell’arte di osservare, è un maestro nell’arte di guardare le cose. Si intuisce che è possibile imparare da questa sua capacità di osservare. Egli ci può insegnare l’arte di osservare le cose.

Si tratta di un’arte importantissima per chiunque.

L’opera d’arte non insegna soltanto a guardare nella maniera giusta, cioè a fondo, compiutamente e con piacere il particolare oggetto che raffigura ma anche altri oggetti. Insegna in assoluto l’arte di osservare.

Se è vero che l’arte di osservare è necessaria già per apprendere qualcosa dell’arte in quanto arte, per sapere che cosa è l’arte, per essere in grado di giudicare bello ciò che è bello, di godere deliziandosene le proporzioni dell’opera d’arte, di ammirare lo spirito dell’artista, ancor più necessaria essa è per capire gli oggetti che l’artista rappresenta nella sua opera d’arte. Infatti, l’opera dell’artista non si limita a parlarci in bella forma di un oggetto reale (una testa, un paesaggio, un evento umano, ecc.) e non si limita a parlarci in bella forma della bellezza di un oggetto, essa prima di tutto ci parla dell’oggetto stesso, ce lo spiega. L’opera d’arte spiega la realtà che essa raffigura, fa conoscere e trasmette le esperienze che l’artista ha fatto nella vita, insegna a guardare nella maniera giusta le cose di questo mondo.

Gli artisti di epoche diverse vedono naturalmente le cose in maniera molto diversa. Il loro modo di vedere le cose dipende non soltanto dalla loro indole individuale, ma anche dalla conoscenza che essi e la loro epoca hanno delle cose. È un’esigenza propria della nostra epoca osservare le cose nel loro sviluppo, considerandole come cose mutevoli, esposte all’influenza di altre cose e di processi di ogni genere, modificabili. Tale modo di osservare le cose lo troviamo sia nella nostra scienza che nella nostra arte.

Le riproduzioni artistiche delle cose esprimono più o meno coscientemente le nostre nuove esperienze delle cose, la nostra crescente consapevolezza della complessità, mutevolezza e contraddittorietà delle cose che ci circondano e di noi stessi.

Bisogna sapere che per molto tempo gli scultori hanno creduto che il loro compito consistesse nel raffigurare il lato “essenziale”, “eterno”, “definitivo”, in una parola “l’anima” dei loro modelli. La loro idea era questa: ogni uomo ha un carattere ben definito con cui viene al mondo e che è possibile osservare già nel bambino. Questo carattere può svilupparsi, cioè esso diventa col passare del tempo, per così dire, sempre più definito; quanto più l’uomo invecchia tanto più esso viene fuori, si potrebbe quasi dire che un uomo quanto più a lungo vive tanto più diventa chiaro. Naturalmente può anche darsi che diventi meno chiaro, che il suo carattere raggiunga il massimo della chiarezza e della forza in un determinato momento della sua vita, sia in gioventù sia nell’età matura, per poi confondersi, sfumarsi, evaporare un’altra volta. Comunque, questo qualcosa che si sviluppa, si rinforza o svapora è sempre qualcosa di ben definito, cioè è appunto l’anima assolutamente particolare, eterna, unica di quel particolare individuo. Compito dell’artista è, ora, trarre fuori questo tratto fondamentale, questo decisivo contrassegno dell’individuo, subordinare a quest’unico tratto tutti gli altri e cancellare le contraddizioni esistenti fra i diversi tratti di uno stesso individuo in modo che ne risulti una limpida armonia, un’armonia che nella realtà la testa non è in grado di offrire ma che l’opera d’arte, la sua riproduzione artistica ci offre.

Sembra ora che alcuni artisti abbiano abbandonato questo modo di concepire il compito dell’artista e che al suo posto prenda piede una nuova concezione. Naturalmente, questi scultori sanno benissimo anche loro che ogni individuo possiede qualcosa di simile a un carattere ben definito per cui si distingue dagli altri individui. Essi non vedono però questo carattere come qualcosa di armonico, bensì come qualcosa di contraddittorio, e pensano che il loro compito non consista nel cancellare le contraddizioni presenti in un volto, ma nel rappresentarle. Per loro un volto umano è pressappoco come un campo di battaglia sul quale forze avverse combattono una perpetua lotta, una lotta le cui sorti non si decideranno mai. Essi non raffigurano “l’idea” della testa, una sorta di “archetipo che il creatore può aver avuto in mente”, raffigurano invece una testa che la vita ha modellato e che vivendo continua a trasformarsi continuamente di modo che il nuovo lotta con il vecchio, per esempio l’orgoglio con l’umiltà, il sapere con l’ignoranza, il coraggio con la viltà, l’allegria con la tristezza, e via dicendo. Un ritratto del genere riproduce appunto la vita del volto, quella vita che è fatta di lotte, che è un processo pieno di contraddizioni. Il ritratto non rappresenta cioè un conto finale, un saldo, ciò che resta dopo tutti i guadagni e le perdite; esso coglie invece il volto umano come qualcosa di vivo, che continua a vivere ed è in pieno sviluppo. Il che non vuol dire che anche così non ne risulti un’armonia! Le forze che si combattono a vicenda in definitiva si bilanciano; allo stesso modo che un paesaggio può essere impegnato nella lotta (ecco là un albero che nella realtà lotta contro il prato, contro il vento, contro l’acqua, ecc., oppure una barca che nella realtà sta a galla sull’acqua solo grazie a una continua lotta di molte forze contrastanti) e suscitare tuttavia un’impressione di armonia, di quiete, così è anche nel caso del volto. È un’armonia, ma è una forma nuova di armonia.

Senza dubbio questo nuovo modo di osservare le cose da parte degli scultori rappresenta un passo avanti nell’arte dell’osservazione e per un certo tempo il pubblico incontrerà qualche difficoltà osservando le loro opere d’arte – fino a che anche il pubblico non avrà compiuto questo passo avanti.

Agosto 1939

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