Nei prossimi giorni avremo tutti un po’ più di tempo libero, ecco quindi una lista di consigli di lettura da parte della nostra redazione. Insieme all’augurio di buone feste.
In COPERTINA un’opera dal Kometenbuch, il “libro delle comete”.
In questa lista noi della redazione de L’Indiscreto vi consigliamo qualche lettura per i prossimi giorni, quelli delle vacanze e della fine dell’anno. Questi titoli sono pensati per chi legge la nostra rivista, i temi e gli argomenti spesso li abbiamo già trattati nei nostri articoli e approfondimenti, ma con questi titoli, diciamo così, la possibilità è quella di indagare più a fondo.
La lista che segue è organizzata con in evidenza la firma de L’indiscreto che consiglia i titoli, e con qualche riga che spiega il perché del consiglio. In questo modo potete andare sul sicuro: leggendo i consigli saprete valutare se il libro vi interessa o meno e se è il caso di acquistarlo per voi o magari per un regalo a un affetto o un parente.
Andrea Cassini
Vivere mille vite. Storia familiare dei videogame, Lorenzo Fantoni
Proprio su queste pagine qualche mese fa, sulla scorta del saggio Virtual Existentialism di Stefano Gualeni e Daniel Vella, parlavamo di come le esperienze compiute nei mondi virtuali – e nello specifico nei videogiochi – possano essere significative, nel senso che danno significato e identità alla nostra esistenza, ampliando peraltro il nostro vissuto “fisico” permettendoci appunto di “vivere mille vite” e riportare indietro qualcosa da ciascuna di essa. Il libro di Fantoni è la dimostrazione che l’assunto è corretto: il piglio enciclopedico, mai freddo, ci fa capire quanto i videogiochi siano parte integrante della cultura contemporanea, e da ben prima della “rivoluzione nerd”; il delicato taglio da memoir racconta invece di un immaginario condiviso, che unisce le vecchie generazioni e si evolve verso quelle presenti e future.
I pesci non esistono, Lulu Miller
Miller è una famosa divulgatrice scientifica americana, conduttrice del podcast Invisibilia, e il suo libro compie una fusione audace ma perfetta, tanto che è difficile – e probabilmente futile – definirne i termini. Romanzo vero e proprio? Theory fiction? Diario di ricerca? Trattato divulgativo? I pesci non esistono è tutte queste cose, o nessuna, come il significato che attribuiva alla vita umana il padre della protagonista, che intraprende un viaggio fra le opere del naturalista Starr Jordan, scienziato di talento ma anche proto-nazista, e realizza quanto orrore sia nascosto dietro le ragioni della natura e quanti dubbi, spesso più sani delle verità, dischiuda la scienza.
-->
La sfera umanimale, D. Bertrand, G. Marrone
C’è una prospettiva teorica (che discende da Latour, Descola, Viveiros de Castro e altri, e che abbiamo un urgente bisogno di adottare) che rifiuta l’idea di natura come alterità oggettiva rispetto alla cultura umana e sociale, e invita l’uomo a “inforestarsi” e farsi diplomatico tra i due mondi, a cavallo tra esigenze che non vanno confuse con vani –ismi: il lupo e l’orso vogliono mangiare e sopravvivere, l’uomo vuole protezione per sé e per il suo cibo – ma noi possiamo rientrare nei ranghi della competizione biologica, e smettere di considerarci i proprietari del giardino. In questa raccolta di saggi, che si muovono tra etologia, filosofia e semiotica, si esplorano riflessioni e studi sul campo, sulle tracce degli animali per comunicare con loro, imparare da loro e mediare pacificamente, da concittadini di un unico mondo e un’unica sfera.
Francesco D’Isa
Avere il coraggio di consigliare altri libri dopo aver pubblicato le Classifiche di Qualità del 2020 è un’offesa alla finitezza della vita umana, ma in un periodo come questo si deve avere il coraggio sia di onorare che di rivoluzionare le tradizioni – e onorerò quella dei consigli natalizi. La mia prima proposta sono i Quaderni di Simone Weil (pubblicato da Adelphi): per chi come me ama spiare i cervelli all’opera si tratta di un testo meraviglioso, un moto ondivago di stimoli, idee e ossessioni nel loro nascere e morire. Sono 4/5 di appunti e 1/5 di diario, da interpretare e piluccare – i quaderni sono illeggibili di fila – alla ricerca di frasi che da sole valgono due o tre libri. Il secondo consiglio sono Tutti i racconti di Clarice Lispector (Feltrinelli), un’autrice eccezionale, che ha scrutato nell’amore alla ricerca dell’infinito fino a sfondare il limite dell’uomo e giungere a un misticismo personale e familiare, il tutto con una scrittura coinvolgente ed elegante. Per lei, in breve, ho preso una cotta. Il terzo consiglio sono i testi tratti dallo Shōbōgenzō di Eihei Dōgen (Ubaldini), uno dei più importanti maestri dello Zen giapponese ma non tra i più celebri in occidente, probabilmente per la sua scrittura molto orientale. L’apparato di note a cura di Aldo Tollini lo rende non dico comprensibile – capire lo Zen significa non capirlo – ma senza dubbio godibile. Avrei una quarta proposta, che non posso inserire, ma per fortuna ci ha pensato per me Ilaria Giannini poco più avanti: sono i diari di Etty Hillesum.
Dario De Marco
Non posso darvi dei consigli, se non quelli che do a me stesso. Ecco allora tre libri che sto attraversando.
Ho letto (e ne ho scritto): Amparo Dávila, L’ospite e altri racconti (Safarà, traduzione di Giulia Zavagna). La più bella scoperta dell’anno, se non del secolo. Racconti brevi e inquietanti, tra il sovrannaturale e il quotidiano, lo spavento e la meraviglia: ineffabile e indimenticabile.
Sto leggendo: Marco Ciriello, I leggeri di Nairobi (Rubbettino). In una realtà parallela alla nostra, l’Africa è al centro del mondo, Muhammad Ali è un giovanissimo maratoneta nel mirino delle multinazionali e della Cina, Abebe Bikila è un tennista americano che dopo l’11 settembre è andato in missione in Afghanistan. Sport, politica, economia: il tutto sottoposto all’inventiva sfrenata di Ciriello, che cavalca la fantascienza senza briglie, e ridendo forte.
Leggerò: Jean-Henri Fabre, Ricordi di un entomologo (Adelphi, traduzione di Laura Frausin Guarino). Mi preoccupa la mole, quasi 700 pagine, ed è solo il volume 1. Mi conforta il fatto che sia una collazione di scritti vari, dal taglio narrativo, e leggibili anche in modo saltellante e diagonale. Mi incuriosisce la figura di Fabre, accademico autodidatta, che ispirò Darwin ma non ne ricambiò la stima (non credette mai all’evoluzione). Mi intriga il mondo degli insetti, così bistrattato rispetto alla megafauna carismatica, ma così pervasivo, vera colonna su cui si regge la Terra.
Federico Di Vita
Già che sono stato invitato alla rituale celebrazione dei consigli libreschi di fine anno dall’inattuale L’Indiscreto, ho deciso di rifletterci un po’ per infine deliberare che la cosa migliore è suggerirvi di leggere il libro la cui lettura durante quest’anno mi ha donato il più puro e inaspettato piacere. Circoscritto in questo modo il campo d’indagine in finale mi ritrovo due titoli: il saggio più bello che ho letto negli ultimi dodici mesi, ovvero L’ordine nascosto. La vita segreta dei funghi, di Merlin Sheldrake, e (l’inclassificabile) Le civette impossibili, di Brian Phillips. È una finale un po’ sbilanciata, avendo inserito tra le variabili il piacere della lettura – infatti non può che stravincerla Phillips, e pazienza se ne ho già scritto (tanto avevo già scritto pure di Sheldrake). Quello di Phillips è un libro che vi sorprenderà, fatto di reportage visionari spesso da luoghi e situazioni impossibili, resoconti che via via nel libro prendono sempre più la forma di veri e propri racconti, cuciti insieme dalla sensibilità e dallo sguardo dell’autore, in grado di illuminare situazioni tra loro diversissime: l’Iditaroad – una gara di cani da slitta lunga milleseicento chilometri, che si svolge in Alaska, a temperature di 30° sotto zero, e che può essere raccontata solo precedendo su piccolissimi aerei a due posti le tappe infernali degli uomini in slitta volando tra paesaggi maestosi –; un torneo di Sumo in Giappone; la famiglia reale inglese osservata con gli occhi dell’addetto alle bandiere di Buckingam Palace, o un safari tra le tigri del Bengala. L’edizione statunitense del libro, intitolata Impossible Owls, è corredata da un sottotitolo illuminante: Essays from the ends of the world. Ma allora, vi sto suggerendo un libro di reportage, di saggi o di racconti? Nessuna delle tre cose, o meglio tutte insieme ma anche di più, questi scritti sono una delle più alte forme di theory fiction che mi sia mai capitata tra le mani, dove il piacere di scoprire ciò che è narrato si fonde e si modella con la bellezza della prosa di Phillips – leggetelo e non ve ne pentirete. (Se ve ne pentite vi biasimo, ma in caso mandate il conto del volume al directeur Francesco D’Isa).
Alessia Dulbecco
Ripartire dal desiderio, Elisa Cuter
La prima pubblicazione di Elisa Cuter è un saggio intenso e a tratti controverso, contenitore poliedrico di riflessioni su temi quali il femminismo, la parità di genere, l’identità e le questioni politiche. In un discorso in grado di intrecciare alla propria autobiografia la disamina del celebre movimento #metoo e l’analisi di alcuni film e programmi televisivi, Cuter porta chi legge a interrogarsi sulle interconnessioni tra femminismo e discorso politico.
La tesi è forte: ci suggerisce di guardare con attenzione al concetto di inclusione – leitmotiv che caratterizza molte delle attuali battaglie socioculturali – perché non basta consentire l’accesso per interrompere la catena di discriminazione. La possibilità che gli esclusi si emancipino, afferma l’autrice, dipende dal sistema a cui accedono. Da questa prospettiva, certe conquiste, pur rimanendo sacrosante, perdono buona parte della loro forza: includere nel sistema capitalista soggetti che prima risultavano esclusi significa estendere il raggio d’azione di tale sistema, più che estendere la loro libertà. Per questo ci suggerisce di superare il femminismo essenzialista e di ripartire, attraverso sessualità e desiderio, da un discorso in grado di porsi oltre il binarismo di genere: non c’è lotta femminista, insomma, senza lotta di classe.
Fat shame, Amy Erdman Farell
Una delle discriminazioni più potenti – e dure a morire – è quella che si riversa nei confronti dei corpi grassi. Per parlare di obesità si adotta un lessico militare: il grasso si combatte a suon di dieta, esercizi fisici e privazioni, esattamente come se fossimo in guerra. Eppure, c’è stato un periodo in cui essere grassi voleva dire essere in salute: ciò è accaduto all’inizio del XIX secolo quando la malnutrizione e alcune malattie mortali cominciavano a essere debellate grazie al miglioramento delle condizioni economiche e sociali.
Quando, allora, abbiamo cominciato a deridere le persone grasse e a considerare il peso un indicatore di intelligenza e rispettabilità? Il saggio di Amy Ederman Farrel, giunto in Italia grazie alla traduzione di Edizioni Tlon, ci accompagna in un un viaggio alla scoperta delle reali motivazioni della grassofobia ricercando la radice della discriminazione in motivazioni etniche e di genere.
Scopami, Virginie Despentes
Il primo romanzo di Virginie Despentes, pubblicato in Francia negli anni ’90, dovrebbe portare sulla copertina un bel trigger alert perché indubbiamente si tratta di una lettura controversa. Manu e Nadine sono due donne che vivono ai margini della periferia parigina: una fa la prostituta, l’altra l’attrice di film porno. Escono dall’invisibilità insieme, al grido di “bisogna abusare!” iniziando a viaggiare verso la Bretagna. Attraverso le protagoniste Despentes dà voce alla sua vita, allo stupro subito, cercando una riabilitazione sociale che consenta alle protagoniste di non essere “vittime” ma donne desideranti e arrabbiate.
Carla Fronteddu
Alice Rivaz, La pace degli alveari
Anni Quaranta del secolo scorso. Jeanne comincia a tenere un diario a cui affida alcune riflessioni intime – Credo di non amare più mio marito (inizia così) E pensare che tutta la mia famiglia immagina sia l’uomo della mia vita, dato che ho penato così tanto e così a lungo per lui […] Ma è da questo che si misura forse l’amore? Io non credo. Quel che misura, ciò di cui è testimonianza non è piuttosto una certa obbedienza a un destino? Una pagina dietro l’altra, la presa di parola attraverso la scrittura si rafforza, la protagonista sviluppa una nuova consapevolezza di sé e dei condizionamenti dell’identità di genere e arriva a mettere in discussione il sistema di valori maschili (di cui le donne sono vittime e complici), percepito come falsamente universale e distruttivo. Cosa farsene di queste nuove consapevolezze? La società delle api è molto più antica ed evoluta di quella degli uomini […] Chi lo sa se una delle condizioni di questo stato di perfezione non era la messa fuori gioco, metodicamente voluta ed operata, dei maschi piantagrane. Sacrificarli, comunque, affinché l’alveare viva. Dovremmo forse impedire agli uomini di nascere? Sacrificarli una volta che hanno compiuto il loro dovere di maschi? Ma noi non siamo api, riconosce Jeanne. La soluzione, allora, dovrà imboccare un’altra strada, probabilmente quella della sottrazione: non dovremmo più ascoltarli […] Non saremmo più quelle che lavorano di spugna sulla lavagna nera dei loro errori, non saremmo più quel coro laudativo di serve […] E gli uomini dovrebbero stare in guardia. Dovrebbero pensare più spesso alle api, alla pace degli alveari. Al prezzo che si paga per la pace degli alveari… Rivaz è sicuramente – come l’ha definita Annie Ernaux – una “sorella di femminismo”, ancora non abbastanza conosciuta.
Simone de Beauvoir, Per una morale dell’ambiguità
Pubblicato due anni dopo Il Secondo Sesso, questo breve saggio mette il dito nella tensione tra libertà e impotenza, tra l’essere un soggetto sovrano e al tempo stesso solo uno tra tanti, che caratterizza la condizione umana. Questa contraddizione interna, quest’ambiguità – in contrasto sia con la logica escludente dell’o/o che con quella della sintesi – è, per De Beauvoir, la chiave per esplorare i molti modi in cui siamo irriducibilmente sia/che. Siamo sempre entrambe le parti della diade, nessuna delle due cancella l’altra, nessuna è fondamentale e l’altra derivata. Questa condizione intrinseca non riguarda solo noi stessi, ma definisce anche il nostro rapporto con l’altro. Qualunque incontro nasce dal fatto che anche l’altro abita la nostra stessa tensione e probabilmente lotta per nasconderla, evitarla, fuggirla. Il conflitto interno che scaturisce da questa ambiguità, infatti, risulta molto spesso insopportabile. La fuga, tuttavia, non è possibile. Anche se possiamo mitigare con successo la nostra angoscia in alcuni casi di autoinganno, non riusciamo mai a liberarci della nostra ambiguità di fondo. Poiché non riusciamo a fuggirla, cerchiamo dunque di guardare in faccia la verità. La morale esistenzialista di De Beauvoir non indica un contenuto per l’agire, un imperativo a cui adeguare le nostre azioni; comunque agiamo dovremmo farlo riconoscendo la nostra ambiguità, diventandone responsabili, e questo è tutto.
Ilaria Gaspari
Stelio Mattioni, Il richiamo di Alma: apparso per Adelphi nel 1980, questo straordinario romanzo onirico-iniziatico è appena stato ripubblicato, per Cliquot, casa editrice che fa un lavoro meraviglioso ripescando dalle acque dell’oblio testi fuori diritti, mai ristampati, introvabili, con prefazione della figlia di Stelio, Chiara Mattioni, e postfazione del critico Gianfranco Franchi. Mattioni, scoperto da Bobi Bazlen, di cui era anche grande amico, racconta una frenetica quête amorosa e filosofica insieme sullo sfondo di una Trieste perdutamente surreale e misteriosa. Un romanzo che sembra star fuori dalle onde del tempo, un vero incanto.
Truman Capote, Preghiere esaudite: deliziosamente perfido, tremendamente profondo, velenoso e adorabile, Truman Capote in questa sua bizzarra autobiografia che è un po’ vendetta, un po’ pettegolezzo, un po’ dichiarazione d’amore (con la sfacciataggine e la disperazione con cui solo i traditori sanno amare) per il jet set che lo accoglie, lo sfrutta, lo respinge. Un libro meraviglioso, anche proprio per la sua cattiveria perdutamente umana. Il titolo è una citazione da Teresa D’Avila, da una frase che è una vera rivelazione: non c’è niente che sia più tremendo di una preghiera esaudita.
Elena Marinelli, Steffi Graf. Passione e perfezione: consiglio questo libro soprattutto a chi, come la sottoscritta, ha suo malgrado sposato il detto di W. Churchill su quanto sia importante lo sport, nel senso di non farne mai. Nel raccontare la sua campionessa, il rigore e il talento di una ragazzina tedesca che cresce imparando a dominare l’emozione, Marinelli non lesina dettagli sulla performance sportiva, distillando precise cronache delle partite; e lo fa con una tale minuziosa passione, con uno stile così terso e curato, che finalmente anche gli antisportivi potranno capire quanto può essere romanzesca, avvincente, spassosa, una partita di tennis – e senza nemmeno doversi alzare dal divano.
Ilaria Giannini
Al termine di questo anno straniante, che ha capovolto tutte le certezze, voglio portare con me tre letture incredibili, che in modo diverso affrontano il tema del Male e sono state luci, ancore e porti nella tempesta del 2020. Ve le consiglio se avete bisogno di nuove chiavi di lettura o semplicemente di un pizzico di speranza.
La peste di Albert Camus è il classico che racconta anche il nostro presente: a Orano, nell’Algeria francese, in un imprecisato momento degli anni ‘40 scoppia una terribile epidemia di peste, che taglia fuori la città dal resto del mondo. Mentre i morti aumentano e la civiltà si disgrega, un gruppo di uomini lotta contro l’inevitabile avanzare del morbo mettendo in campo le risorse della medicina, della religione e della solidarietà tra esseri umani, che nonostante tutto rimane l’unica forza che abbiamo per contrastare l’entropia dell’esistenza, l’atrocità della malattia e l’insensatezza della sofferenza che colpisce anche gli innocenti.
La fratellanza è anche al centro del Diario di Etty Hillesum, colta ebrea olandese che in queste memorie annota l’ascesa del nazismo nel suo paese. Mentre la corda della deportazione si stringe sempre più intorno a Etty e alle persone che ama, in lei si fa strada la fede in Dio, che non è una divinità ma la capacità stessa dell’uomo di cercare e compiere il bene anche in mezzo all’orrore. Il Dio di Etty è la sua stessa anima, che si rifiuta di ricambiare i nazisti con la moneta dell’odio, cercando fino all’ultimo di scorgere in ciascuno di loro un singolo essere umano, che non vuole fuggire perché salvarsi la vita non vale nulla se i tuoi fratelli e le tue sorelle vengono sterminati.
È una fraternità che si estende anche (e finalmente) al non umano quella che muove Janina, l’anziana e strampalata protagonista di Guida il tuo carro sulle ossa dei morti di Olga Tokarczuk, un romanzo filosofico e animista travestito da thriller, perfetto per interrogarci sul nostro rapporto con la natura e magari ripensare l’antropocentrismo che ha già inflitto infiniti danni al pianeta.
Claudio Kulesko
Andrzej Sapkowski – Il guardiano degli innocenti. The Witcher, Vol. 1
Non leggevo – o, meglio, non finivo di leggere – romanzi da diversi anni. Da un paio di mesi ho ricominciato a leggere fiction più corposa, imponendomi un totale di venti, trenta pagine al giorno (un metodo che non mi priva affatto del piacere della lettura, ma che è reso assolutamente necessario dalla mia scarsissima costanza). Nelle ultime due settimane sono stato costretto ad abbandonare la lettura per un incidente all’occhio destro. Un inconveniente che mi ha persuaso a scaricare un’app per audiolibri. Credetemi, si è trattato di una risoluzione “radicale”: ogni volta che metto mano a un audiolibro, infatti, sono solito addormentarmi, dolcemente cullato dalle gradevoli voci dei sapienti lettori di audiolibri. Ecco, la saga dello strigo Geralt di Rivia – scaricata in preda alla curiosità e ai ricordi di giornate passate a giocare al pc – ha sortito un duplice, inatteso effetto: mi è capitato di addormentarmi una sola volta (alle due e mezza di notte, stremato da più di tre ore di asscolto!), e le ore di ascolto (confrontate alle mie misere venti pagine quotidiane) sono schizzate alle stelle. Sono riuscito a macinare dieci ore di libro in meno di tre giorni. Questo primo volume della saga è a tutti gli effetti un capolavoro. Sebbene l’ambientazione, lo stile narrativo e i personaggi non siano ancora giunti a maturazione, l’atmosfera fatata, quasi “primordiale” che avvolge i racconti contenuti in questa antologia – tenuta assieme dal solo personaggio di Geralt – rende il libro un’opera unica nel suo genere. Impossibile non pensare alle antiche saghe degli eroi, alle leggende popolari e alle fiabe classiche. Ciascuno di questi elementi, inoltre, è saldamente legato, per di più in modo molto efficace ed elegante, all’architettura del fantasy post-tolkeniano, generando una miscela davvero originale.
Jeff VanderMeer – A peculiar peril, Farrar, Straus & Giroux
La lettura che, in questi ultimi mesi, ha segnato il mio ritorno al fantasy. L’autore della Triologia dell’Area X, dopotutto, non ha mai fatto mistero della sua passione per il fantasy – dedicando al tema non solo un meraviglioso manuale di scrittura immaginativa, ma anche diverse opere critiche e raccolte di racconti, curate assieme ad Ann VanderMeer. A peculiar peril, primo, corposo (più di 650 pagine) volume di un’opera in due parti, può essere efficacemente descitto nel seguente modo: Harry Potter con meno teen drama e più narrazione, più world building, più battute e (soprattutto) più marmotte. Adoro le marmotte. Benché si tratti di un puro fantasy per ragazz*, il target del libro può essere esteso a ogni essere senziente dotato della facoltà di leggere in inglese (unica lingua disponibile al momento). Ambientato in un’Europa alternativa, Aurora, sprofondata in una versione altrettanto alternativa della prima guerra mondiale, il libro vede il giovane Jonathan Lambshead e i suoi amici alle prese con Aleister Crowley (uno dei tanti Crowley che popolano il multiverso, con la sola differenza che questo Crowley è realmente dotato di poteri magici). Ben presto, Crowley si rivela un buffo burattino tra le mani di Wretch, un oscura e informe creatura lovecraftiana – a sua volta sovrastato da un potere ancora più oscuro e informe. Un libro davvero molto bello e molto gradevole, pieno zeppo di riferimenti, citazioni e allusioni alla storia e alla letteratura europea (totalmente stravolte da VanderMeer, con effetti a dir poco esaltanti). Non riesco ancora a capacitarmi di come la testa di Napoleone possa esser finita tra i personaggi principali del romanzo…
Gregorio Magini
Natsume Sōseki, Guanciale d’erba
«Salivo per un sentiero di montagna e riflettevo.
Se si usa la ragione il carattere s’inasprisce, se si immergono i remi nel sentimento si è travolti. Se s’impone il proprio volere ci si sente a disagio. È comunque difficile vivere nel mondo degli uomini.»
Con questo incipit limpido e profondo si apre Guanciale d’erba, classico modernista giapponese. Negli anni della guerra russo-giapponese (1904-1905), un pittore s’incammina per montagne remote alla ricerca dell’ispirazione perfetta. Si ritrova in un onsen privo di ospiti a causa della guerra, dove intreccia una diafana storia di corrispondenze spirituali con una donna divorziata, e assiste a una serie di apparizioni di figure-fantasma. Nel frattempo, invece di dipingere, o meglio – in ottemperanza al precetto taoista della wei wu wei (azione senza azione) –, dipingendo senza dipingere, compone haiku e filosofeggia sulla natura dell’arte e l’effimera vacuità del reale. Un romanzo breve e sfuggente come le poesie che lo interpungono, in cui la tradizione Zen si confronta polemicamente con gli ideali europei e romantici del poeta interprete dell’Assoluto.
Timothy Brook, Il leopardo di Kublai Khan. Una storia mondiale della Cina
L’impegno divulgativo di Timothy Brook, sinologo canadese, è volto alla diffusione nel pubblico occidentale di un approccio informato alla “questione cinese”, ovvero al rinnovato ruolo di superpotenza globale della Cina, che chiude a inizio millennio la parentesi coloniale per tornare a quella situazione di preminenza di cui, per molti secoli, aveva goduto. Attraverso una serie di primi piani storici, che vanno dal XIII secolo a oggi, emergono le differenti accezioni con cui nel corso del tempo i cinesi hanno concepito il loro rapporto con il resto del mondo. La rilegatura concettuale è quella del “Grande Stato”, ovvero la visione universalista della sovranità imperiale introdotta dai conquistatori mongoli. Al di là degli intenti teorici, Brook è un grande narratore, e riesce a far parlare con vividezza i documenti storici, dalle mappe “piratate” dei cartografi Ming ai dipinti che ritraggono l’obeso, alcolizzato e malinconico Kubilai Khan a caccia nella sua mitologica tenuta di Xanadu.
Carlo Invernizzi, Impercettibili nientità
Opera omnia di un poeta sconosciutissimo, morto nel 2018, che consta di meno di trecento poesie composte nell’arco di settant’anni, uscita a febbraio in piena serrata pandemica, vendendo perciò, a voler essere ottimisti, non più di una trentina di copie. Poesie il cui tema invariabile, a partire dagli anni ottanta, è il mistico stupore di fronte al continuo annientamento di tutto ciò che esiste, dalle particelle elementari ai corvi invernali che becchettano il suolo gelato; dalle sinapsi durante la fase REM alle «lucentizie» che attraversano lo sguardo nei riflessi del sole.
Marco Mattei
Se c’è un libro che fra qualche anno vorreste aver letto prima, perché nel frattempo sarà diventato un enorme fenomeno culturale, quello è Il problema dei tre corpi di Liu Cixin. Primo libro di una trilogia fantascientifica, si estende per millenni, dalla Cina della rivoluzione culturale fino alla fine del Cosmo. Accennare alla trama è impossibile; basta dire questo: nel libro troverete riflessioni sulla natura della scienza, dell’arte e della filosofia. Sicuramente, uno dei romanzi più lisergici e meravigliosi degli ultimi dieci anni: mondi che vengono creati e distrutti all’interno di altri mondi, creature meravigliose e spaventose che pullulano nel cosmo, menti radicalmente altre e materie oscure. Una raccomandazione: non leggete la quarta di copertina.
Dalle vastità del cosmo alle profondità dello spazio interiore, il secondo libro che dovreste leggere è Il dono oscuro di John M. Hull. Edito da Adelphi, e con una prefazione di Oliver Sacks che scrive «se Wittgenstein fosse diventato cieco, avrebbe scritto un libro come questo», il testo è un diario tenuto da John Hull, teologo e filosofo, e racconta la sua discesa nella cecità all’età di quarant’anni. Hull, perdendo la vista, acquisisce un attentissimo occhio interiore in grado di scandagliare le profondità della coscienza, fornendone un racconto strabiliante. ‹‹Mondo di visioni non vedute è questa regione inconsistente della mente!›› scriveva il neuroscienziato Julian Jaynes a proposito della psiche. Con Il dono oscuro, finalmente tutti possiamo vedere.
Per concludere, un viaggio che riunisce gli abissi della psiche all’immensità del cosmo: Gli Immortali di Alberto Giuliani. A distanza di due anni, Giuliani riceve due profezie identiche riguardanti la sua morte prematura. Col tempo, piccoli dettagli di queste profezie iniziano ad avverarsi. Giuliani deciderà allora di partire in un viaggio intorno al globo alla ricerca di quegli uomini che cercano di costruire un futuro senza morte: transumanisti, prepper, sciamani – ne verrà fuori un racconto soteriologico. Molto più emozionante di Essere una macchina o de La valle oscura, provate a leggerne le prime pagine e rimarrete stregati.
Francesca Matteoni
Nei momenti di crisi serve esplorare la biblioteca in cerca dei classici personali. Scorro i libri fino a Il Crepuscolo Celtico di William Butler Yeats, pubblicato in versione definitiva nel 1903. È una strana collezione di saggi e storie in cui le visioni provengono da quella zona di luce fioca, crepuscolare, dove i mondi si incontrano. Ogni fata intravista è un sentimento sfuggente, una nostalgia, un indefinito altrove che ci chiama. Donne e uomini dell’ovest irlandese fluiscono nel libro insieme a tempi e luoghi dove incontrare un membro bizzarro del popolo fatato o un angelo travestito è un evento ordinario della vita.
Un libro che ho riletto più volte quest’anno è Un delta nella pelle, antologia dell’opera della poetessa Creek Joy Harjo tradotta da Laura Coltelli. Nelle poesie la storia personale di sconfitta e resistenza si mescola alle vicende presenti dei nativi americani, sfatando il buon mito che li vuole relegati in un immaginario fine Ottocento, tutto praterie e preghiere alla terra. Queste preghiere ci sono ancora, certo: emergono dalle lotte quotidiane di donne e uomini che diventano ognuno di noi, indipendentemente dall’etnia, in una società di violenza e ottundimento dove i nostri cavalli si lanciano alternativamente con desiderio e odio, per sopravvivere.
Ogni libro amato è una collezione di ricordi che riaffiorano quando lo apriamo. Mi accade riprendendo Il Viaggio meraviglioso di Nils Holgersson di Selma Lagerlöf. Volo nella mia infanzia sognata. Commissionato come libro di geografia per ragazzi, questo è un romanzo di formazione al rispetto non solo per le terre che abitiamo, ma per gli animali, gli spiriti, gli sconosciuti che le popolano oltre noi. Trasformato in folletto per la sua arroganza, Nils viaggia per tutta la Svezia con uno stormo di oche selvatiche, sperimentando cosa vuol dire essere piccolo e doversi difendere e imparando l’attenzione alla diverse lingue di tutti. Mi pare ce ne sia bisogno.
Gabriele Merlini
Con il consueto tempismo (il libro risale al 2016) mi imbatto in autunno tra le pagine del Nix di Nathan Hill, armato di scarse aspettative tolto il desiderio di verificare in prima persona come siano fatti davvero quegli strani oggetti capaci di riscuotere decorosi successi sugli scaffali e nei magazine internazionali. Interessante scoprire quanto alcuni elementi visti con sospetto nel passato – giusto peso della trama nell’economia del testo, scrittura lineare, mancanza totale di esibizionismo e accurata capacità di ricostruzione storica – possano risultare intriganti se non addirittura istruttivi.
Vicenda iperamericana di abbandoni, ricongiungimenti, formazione (adolescenti in sella alle biciclette, baci rubati e roba del genere) con stralci letterari inattesi: o l’età porta a struggersi per niente o il Nix è obiettivamente un’opera prima degna di attenzione.
Passando poi all’inevitabile versante musicale, impossibile non citare l’ultimo Simon Reynolds edito ancora da minimumfax (novembre 2020): Futuromania. Sogni elettronici da Moroder ai Migos. Excursus tra scritti tematici pescati dall’infinito catalogo reynoldsiano (The Guardian, Wire, Pitchfork, discorsi pubblici che si chiamano come canzoni dei Beatles) nel quale vengono dissezionati i capisaldi del mondo sonoro digitale – synthpop, Kraftwerk, Eno, Donna Summer – e le rispettive filiazioni: trap-edelia o conceptronica. «La musica elettronica ci affascina così tanto perché promette il futuro» chiarisce il lancio: verissimo. Alcune volte tiene fede alle promesse, altre ti frega. Lavoro stimolante ma soprattutto, nello sfortunato caso si creda di possedere una buona cultura settoriale, capace di rimetterti subito a cuccia.
Infine il limbo tra reportagistica, nonfiction, memoir e narrativa (lì dove oggi sta la più funzionale letteratura, qualcuno suppone). Steve Jobs non abita più qui di Michele Masneri coinvolge e invita all’emulazione migrando all’istante in California nonostante le indiscutibili contraddizioni del luogo. In tempi di reclusioni forzate, mica poco.
Sofia Torre
Ripartire dal desiderio, Elisa Cuter, minimum fax
Mentre riflettevo sulle dinamiche che non mi permettevano di scindere la mia situazione economica e la mia crisi sentimentale, mi sono imbattuta nell’ultimo libro di Elisa Cuter, Ripartire dal desiderio (minimum fax, euro 16), in grado di problematizzare il rapporto fra desiderio, sessuofobia femminile e lotta di classe. Innanzitutto la copertina: una falce e un dildo si stanziano su uno sfondo blu acceso, che nella foto del post di Facebook di presentazione dell’autrice richiamano i colori allegri del suo salotto. Il primo impatto visivo di Ripartire dal desiderio è molto simile a quella di un’opera di Andy Warhol del 1975, Hammer and Sickle with Bread, Hammer and Sickle with Vibrator, l’immagine di copertina di Facebook di Elisa da quando la seguo sui social. A seconda delle fasi storiche, il concetto di desiderio femminile ha subito mutamenti, rimanendo però legato a un’ambivalenza che presuppone un legame fra donne e la sessualità che non le vede mai protagoniste e che si ostina a operare una scissione fra rivendicazioni identitarie e lotta di classe, separando con ottusità i grandi ismi da discorsi da bar e piccole gioie pop. Mentre, ammettiamolo, la rivoluzione non è un pranzo di gala, ma non sarebbe male se lo fosse.
Ohio, Stephen Markley, Einaudi
Gli Stati Uniti sono un luogo gelido e cupo, dove picchi di sofferenza ed eccitazione sono intrecciati a grandi depressioni economiche, sterminate piane di terra incolta e un’ostinata tentazione di creare taboo da riprendere e postare sui social. I ricordi che scandiscono la narrazione di Markley sono irresistibili groppi in gola ai protagonisti infelici, che evocano l’adolescenza finita per masturbarsi e per piangere. Il dolore del tempo che passa è qualcosa di sordo, noioso più che epico, l’eterno rimpianto di chi si sente destinato alle eroiche fatiche della vita adulta, ma poi ambisce più che altro a tatuaggi strani, piercing sulla parte alta dell’orecchio, sulla bocca, sui capezzoli. Se quando si è giovani l’obiettivo è quello di viaggiare come un petalo portato dal vento, farsi largo tra folle e orge psichedeliche, la vita adulta somiglia piuttosto alla fuga imbarazzata dalle case degli amanti occasionali, quando ci si dilegua senza nemmeno lasciare un numero di telefono
Roberto Paura
Barbara W. Tuchman, Uno specchio lontano
Figlia di un banchiere e nipote dell’ambasciatore Henry Morghentau senior, Barbara Tuchman non si accontenta di dividersi tra figli e cavalli, ma viaggia tra gli archivi europei per restituirci un’immagine vivida e moderna del Trecento, il secolo della Peste nera e della prima fase della Guerra dei Cento Anni, dello Scisma d’occidente e dei flagellanti. Seguendo le vicende del casato di Coucy, coinvolto nelle dispute tra Francia e Inghilterra, Barbara Tuchman ha ricostruito in quasi 800 godibilissime pagine l’immenso affresco dell’Europa trecentesca. Pubblicato nel 1978, Uno specchio lontano è uscito in Italia quest’anno con la traduzione di Giovanna Paroni, rendendo ancora più efficace l’operazione pensata dall’autrice di confrontare il Trecento con l’epoca che stiamo vivendo.
Brunetto Salvarani, Dopo. Le religioni e l’aldilà
Diversi storici, come Michel Vovelle, Jacques LeGoff e Jean Delumeau, hanno nel corso del tempo analizzato l’evoluzione del pensiero teologico e della religione popolare nei confronti dell’aldilà, considerandola una spia delle trasformazioni sociali e culturali nell’aldiquà. In Dopo Brunetto Salvarani ci offre una rigorosa, dotta ma piacevole rassegna del dibattito escatologico, concludendo che oggi l’idea di una vita dopo la morte sembra aver quasi del tutto abbandonato la mentalità occidentale, anche quella teologica, sempre più impegnata a risolvere i problemi del presente a scapito della dimensione della speranza futura.
Erik Davis, High Weirdness
Con Techgnosis (1998) Erik Davis si imponeva come profeta del nuovo millenarismo tecnologico, ricostruendo quello gnosticismo informatico oggi incarnato dall’ideologia della Silicon Valley con la sua ossessione per l’ipotesi della simulazione e il transumanesimo. Il suo nuovo Heigh Weirdness è intraducibile fin dal titolo ma molto chiaro nell’impostazione: attraverso la vita e le opere dei fratelli Dennis e Terence McKenna, di Robert Anton Wilson e di Philip K. Dick, Davis ricostruisce il mix di droghe, esoterismo e misticismo che informò la controcultura degli anni Settanta da cui è derivata la moderna sottocultura complottista e pseudoscientifica. Un unico, lunghissimo trip allucinogeno nelle menti più visionarie e paranoiche della postmodernità.
Edoardo Rialti
Olga Tokarczuk, Guida il tuo carro sulle ossa dei morti
Sylvia Plath immaginò un uomo vestito di nero che avanzava su una scogliera, “vortice fisso sulla punta/estrema, inchiodando pietre, aria,/ogni cosa, insieme”. È anche una delle migliori definizioni che conosco per il protagonista d’ogni grande romanzo, una presenza capace di investire tutto con la forza particolare della sua personalità. Si guarda assieme a lui o lei, ci si alza o corica con l’umore condizionato da quanto gli o le accade. In fondo, lo stato di realtà d’una persona può essere misurato proprio dalla qualità e quantità d’attenzione che suscita in noi. Così è con questa professoressa d’inglese in pensione, appassionata di William Blake, che si sveglia ogni mattina nella neve delle campagne polacche divorata dai reumatismi e che si placa ascoltando le previsioni del tempo o studiando le carte celesti degli oroscopi, in lotta con la violenza tribale della caccia, del consumismo e del cristianesimo patriarcale. La polizia indaga su una serie di morti misteriose, ma lei non ha dubbi: sono state la Bimbe, le Cerve, che hanno deciso di vendicarsi. Un noir con la cadenza della fiaba, scritto in modo prodigioso, su follia e saggezza, e la possibilità di leggere simbolicamente il mondo.
“Non capivo nulla delle bellissime e drammatiche immagini che Blake creava magicamente con le parole. Ma lui pensava sul serio così? Che cosa descriveva? Dove si trovava tutto questo? Dove accadde e quando? È una fiaba o un mito? Lo chiedevo a Dyzio.
‘Questo accade sempre e dovunque’ diceva Dyzio con un lampo negli occhi.”
Bartolo Cattafi, Tutte le poesie
Impreziosito e valorizzato dalla curatela di Diego Bertelli e dal bel saggio introduttivo di Raoul Bruni, questo volume raccoglie tutti i componimenti di una voce importante del ‘900 italiano, fuori da ogni corporazione, uno sguardo severo, che ha raccontato l’incerta arte di essere al mondo e “l’impossibile colpo di dadi” della poesia senza spinte ideologiche o altre stampelle. Consigliare in poche battute un libro di versi è difficile, forse si può semplicemente ribadire che ancora una volta ci si trova nello scarto doloroso tra la purezza taciuta delle aspirazioni e l’imprecisione dei gesti: “La vita porta disordine,/ dolore. Colpimmo all’impazzata/finché durò la carica al congegno. Rovistando – inventario/di cocci, osservazione/di perduti pianeti, rimembrare/parole lontane in mezzo ai libri –,/ci ferimmo col filo/ tagliente dell’errore.” Si legge del “falso che t’affascina nell’idiota stagione della purezza di cuore”, si incontra la macina dei meccanismi di produzione, efficienza e consumo- “Ai nostri deboli lumi/appare la ferocia del congegno,/la calda tigre/che cavalchiamo a pelo”- si tasta l’informe ma reale consistenza dei nostri affetti- “una secca d’una nobile materia, lingotto o lamina vibrante/ di bel metallo./Era sempre la solita sostanza informe effusa untuosa,/debole e disperata,/duramente votata alla speranza”- e si sente la bocca piegarsi per quell’impercettibile sorriso, l’amaro sollievo per quando finalmente qualcuno ha dato voce al sempre vero.
WuMing1, Un viaggio che non promettiamo breve
“«Ogni movimento rivoluzionario della storia umana ha commesso lo stesso errore di base. Tutti hanno visto nel potere un apparato statico, una struttura. E non lo è. È un sistema dinamico, fluido, con due possibili tendenze. Il potere si accumula, oppure si diffonde nel sistema. Nella maggioranza delle società tende ad accumularsi, e alla gran parte dei movimenti rivoluzionari interessa solo ricostituire quell’accumulo in un fulcro diverso. Una vera rivoluzione deve invertire il flusso. E nessuno lo fa, perché tutti hanno la fottuta paura di perdere il momento di supremazia nel processo storico. Se abbatti una dinamica agglutinante di potere e la sostituisci con un’altra, non hai cambiato niente.” Ricordo molto bene quando riascoltai questo dialogo tra Takeshi Kovacs e la rediviva rivoluzionaria Quellcrist Falconer nella versione audiobook dello sci-fi Il ritorno delle furie. Camminavo sulla spiaggia, al mattino presto, e quelle parole per me saranno sempre connesse allo sciabordio delle onde, al sole che preme sulla nuca. Il reportage epico di WM1 dedicato alle lotte NoTav in Val di Susa, dove “ ogni singolo era un filo, il movimento era la corrente” costituisce una vasta cassa di risonanza della stessa intuizione e una lettura particolarmente importante in questi mesi dove le calamità e le emergenze che si è deciso di ignorare ed aggirare per anni vengono ancora una volta stese su letti di Procuste altrettanto semplicistici- in fondo ennesime varianti della retorica dalla shock-economy– aumentando disparità e fomentando la ricerca di facili capri espiatori, premendo sull’isolamento e il consumismo e sfilacciando le poche fibre comunitarie che pompano sangue nella vita collettiva e personale: “il progetto di una grande opera, prima ancora della sua messa in pratica, asserviva la politica locale e blindava l’informazione, restringeva l’orizzonte dei discorsi, aumentava il controllo sociale; e quando il progetto era messo in pratica, anche quando l’opera restava incompiuta, riconfigurava gli spazi, cambiava traiettorie e spostamenti, peggiorava la qualità della vita, sfilacciava il tessuto della convivenza.”
Vanni Santoni
È evidente che l’Indiscreto provoca, quando chiede dei consigli di lettura di Natale subito dopo aver pubblicato delle Classifiche di Qualità 2020 che hanno imposto un’immediata spedizione in libreria. Ma c’è sempre qualcosa in più che vale la pena segnalare (in effetti questo libro fa capolino nella parte bassa delle CdQ, segnalato da qualche avvedutissimo giurato). Nel corso dell’anno, le letture in prosa che mi hanno confortato maggiormente sono state quelle bernhardiane, di cui sto completando l’opera attraverso la pentalogia autobiografica: tra questi cinque libri, in particolare, La cantina e Un bambino mi hanno sbigottito per la loro perfezione. Il mio consiglio, al di là di essi, è allora specificamente destinato a chi ha già letto quei libri (giacché irrimediabilmente “spoileroso”: lo stesso Bernhard bloccò l’uscita del testo che sto per citare, avendo la sensazione che avrebbe rovinato la lettura dei romanzi autobiografici): si tratta di Una conversazione notturna di Peter Hamm e Thomas Bernhard, tradotto da Elsbeth Gut Bozzetti e curato da Micaela Latini e Mauro Maraschi per la casa editrice pesarese Portatori d’acqua. Lo straordinario documento è la sbobinatura di una chiacchierata – da ubriachi! – tra Bernhard e Hamm, in cui il nostro si sbottona più di quanto la sua personalità normalmente permetterebbe. Imperdibile per ogni amante di Bernhard, ma attenti agli spoiler!
Ottimi e raffinati consigli …
Maria