Il cambiamento climatico ci brucia (o affoga), mentre la voglia di lavorare diminuisce – ma può aumentare quella di leggere, magari in un raro angolino fresco. Ecco una lista di letture consigliate dalla nostra redazione per la vostra estate. Ognuno di noi, autori e autrici di questa rivista, vi consiglia cose da leggere in questi mesi.
IN COPERTINA: Eduard Manet, Le journal illustre (1879)
di Redazione
Francesco Ammannati
Inesorabilmente stretti nella morsa dell’estate antropocenica, in queste settimane al solleone potremmo scoprirci a corto di fiato, incapaci di compiere correttamente quella apparentemente banale e scontata attività che ci accompagna venticinquemila volte al giorno: inspirare ed espirare. L’assunto su cui si basa il libro del giornalista scientifico James Nestor, L’arte di respirare. La nuova scienza per rieducare un gesto naturale (2021, Aboca), è quello per cui “gli esseri umani, come specie, hanno perso la capacità di respirare correttamente, compromettendo così la propria salute”. Questo saggio, di piacevolissima lettura e fortemente stimolante – anche perché mette in dubbio (cattive) pratiche apparentemente scontate che mai ci saremmo immaginati di dover ripensare – racconta l’esperienza dell’autore che, alla ricerca del respiro perduto, viene a contatto con “polmonauti” del presente e del passato pronti a istruirlo sulle potenzialità curative di un atto spontaneo e colpevolmente inconsapevole. Tra consigli pratici (alla fine del libro è presente anche un utile prontuario) e aneddoti illuminanti, Nestor accompagna il lettore in un viaggio che dai laboratori medici californiani arriva fino al Brasile, compiendo un ampio detour tra le catacombe di Parigi, la Svezia, i parchi della Sierra Nevada e l’Oklahoma. Al ritorno, poche semplici istruzioni restano impresse: attenersi ai 5,5 respiri al minuto, prolungare più possibile l’esalazione e mai, MAI, respirare con la bocca. Un libro da leggere tutto d’un fiato (ah-ah).
Un’altra lettura corroborante? Fujire è vergogna di Gianni Romano (2023, Catartica Edizioni), esordio letterario dello scrittore originario di Gela, ma fiorentino di adozione, che dedica gli otto racconti dell’agile volume proprio alla sua terra d’origine. Anche se il titolo della raccolta prende a prestito (parte di) un proverbio siciliano che si conclude significativamente con “…ma ti salva la vita” (non lo riporto in originale per evitare figuracce), la narrazione non si limita al tentativo di superare il senso di colpa di coloro che lasciano il proprio luogo di nascita per cercare altrove miglior fortuna. Ambientando ogni racconto in una diversa area della città, “spiegata” ai non indigeni con brevi appendici ai testi, l’autore racconta invece una Gela sfaccettata in microstorie quotidiane che oscillano tra i ricordi personali, l’evocazione di una tradizione antica ormai schiacciata dall’industrializzazione, e il fallimento di quest’ultima, simbolo di uno sviluppo distorto. Bonus track a questo proposito, lo studio di Eyvind Hytten e Marco Marchioni, Industrializzazione senza sviluppo. Gela: una storia meridionale (1970, FrancoAngeli), commissionato dall’ENI per dimostrare gli effetti benefici del petrolchimico sul territorio, per poi essere ritirato dalle librerie e mai ristampato perché troppo critico nei confronti dell’Ente di stato. Bonus track vere e proprie sono invece offerte dal libro di Romano stesso: a ogni racconto è infatti abbinato un brano musicale composto da artisti dell’etichetta fiorentina UR Suoni, che ha collaborato a questo progetto multimediale dando vita alla compilation Vergogna (https://ur-suoni.bandcamp.com/album/vergogna).
A proposito, infine, di sviluppo e capitalismo, ma in un’ottica di più lungo periodo, segnalo Capitalismo meridiano. Alle radici dello spirito mercantile tra religione e profitto di Luigino Bruni (2022, Il Mulino). Il contesto del saggio è il Medioevo, visto una volta di più come la transizione tra mondo antico e modernità, e culla di quell’economia di mercato che la Riforma protestante avrebbe poi spaccato in due: da un lato, un capitalismo nordico, e protestante, erede di Lutero e Calvino, e dall’altro un capitalismo meridiano, figlio dei mercatores toscani e dei frati mendicanti di San Francesco. Affiancare questi ultimi ai grandi operatori economici è esercizio solo apparentemente contraddittorio: entrambi ebbero origine e prosperarono nello stesso periodo, rappresentando una novità nell’ambiente cittadino in ebollizione del basso Medioevo. Entrambi inoltre costituivano una minoranza nei loro contesti di riferimento, la Chiesa e il sistema economico coevo. Ma il successo dei mercanti-banchieri italiani era alimentato da uno spirito nuovo, un desiderio ardente di moltiplicare la ricchezza reinvestendo i profitti attraverso un’organizzazione razionale e un’audacia senza precedenti, tutti elementi che richiedevano “un giudizio morale di accettazione o condanna” in una società profondamente cristiana. Da qui la riflessione dei teologi, in particolare di ispirazione francescana, intorno alla natura del mercato, ai concetti di prezzo, di profitto, di rendita, ai meccanismi finanziari da cui emergevano le nozioni di interesse e di sconto. Alla fine, i grandi mercanti furono accettati, e la mercatura fu riconosciuta come attività buona e giusta. E non si trattò di una “scappatoia” orchestrata dalla Chiesa per giustificare l’azione dei nuovi protagonisti della vita economica dell’epoca, ma un passaggio indispensabile per liberare le loro coscienze dall’angoscia e dal tormento del peccato, forse l’unica grande differenza col capitalismo impersonale contemporaneo.
Stefania Berutti
“Melusina” Laura Pugno, Elisa Seitzinger, Edizioni Hacca, 2022
Il nome di Jean D’Arras spunta sporadicamente nelle cronache romanzesche della Francia degli ultimi decenni del XIV secolo, ma rimane indissolubilmente legato a “La cronaca di Melusina. La nobile storia dei Lusignan”, datato intorno al 1392-94. La storia fiabesca di una donna portentosa che incontra il nobile Raimondino in un bosco e ne diventa sposa sagace e bellissima, ma che si rivela di natura ibrida e magica e si allontana una volta scoperto il suo segreto, per ritornare di notte ad accudire i bimbi più piccoli, è alla base della formazione del concetto di fata nel Medioevo e così ha ispirato nei secoli molte variazioni sul tema. Quella di Laura Pugno è la versione forse più intima e struggente, che propone una genealogia di melusine, donne speciali e relegate (o auto relegate) ai margini del mondo, che hanno un loro santuario e coltivano un rapporto speciale con l’acqua. Le immagini di Elisa Seitzinger completano la suggestione, regalando figure da tarocco e quindi cristallizzando le scene del racconto in carte da consultare, quando incalza la necessità di libertà.
“Julia Margaret Cameron” Woolf, Cameron, and Fry, con una introduzione di Tristram Powell. Getty Publications 2016
Julia Margaret Cameron è stata la fotografa dei più importanti esponenti della società vittoriana delle Arts and Crafts e della seconda generazione di Preraffaelliti, nonché di scienziati e uomini di lettere dell’Inghilterra di fine Ottocento. La sua passione per la fotografia nasce quasi per caso, ma il suo maestro e mentore fu Sir John Frederick William Herschel, illustre astronomo che si dedicò alla fotografia dai suoi albori, e le sue composizioni fotografiche furono molto influenzate dalla sensibilità preraffaellita che la circondava. Questo libriccino di piccolo formato è solo uno dei tanti pamphlet pubblicati negli ultimi decenni in concomitanza con le mostre che a Julia Cameron sono state dedicate, in un clima di riscoperta delle virtù di questa casalinga entusiasta. La pubblicazione (in inglese) del Getty Museum riunisce uno scritto di Virginia Woolf, figlia di una nipote di Julia, che pare volerci fornire una prova vivente della necessità di avere una camera (oscura) tutta per sé per poter esprimere in pieno le proprie passioni e i propri talenti; vi è poi un breve scritto della stessa Julia Cameron, che sembra stupita del grande successo, ma allo stesso tempo ci tiene a sottolineare la perizia delle proprie creazioni; infine Tristram Powell, esponente del gruppo Bloomsbury, che analizza la figura di Julia Cameron a posteriori. Aggiungono valore a queste riflessioni le schede delle fotografie più famose, con commenti originali dei personaggi ritratti e piccole notizie che contribuiscono a infittire la rete di legami e parentele tra questa comunità di artisti, poeti, letterati, donne ammalianti, madri di famiglia, bambini dispettosi, barbuti scienziati. Tutti riuniti dinanzi all’occhio obiettivo di una pioniera della fotografia.
-->Friedrich Durrenmatt, Il minotauro, Adelphi 2021
Un classico tra gli scritti di Durrenmatt, un breve racconto che ha come protagonista il celebre essere ibrido della mitologia greca. E come già ne “La morte della Pizia”, di quasi dieci anni precedente, anche nel caso del “Minotauro” l’autore decide di cambiare il punto di vista della storia mitica: non più accanto a Teseo, ma accanto al “mostro”, il quale è una creatura non più feroce e sanguinaria, ma leggera e ingenua. La metafora del labirinto come luogo dell’inconscio, che verrà rielaborata più volte sia a livello letterario che cinematografico, qui si rivela nella scelta dello specchio, in cui il Minotauro non conosce altra realtà, fino all’incontro fatale con l’ateniese. La danza, tanto più importante in un contesto greco, è la scoperta di sé e dell’altro: “danzava la gioia di non essere più solo, danzava la speranza di incontrare gli altri minotauri, le fanciulle e gli esseri uguali a quello con cui ora danzava. Dimenticò il sole danzando, danzando dimenticò la maledizione”.
Franco Cardini, Le vie del sapere, il Mulino 2023
Inserito nel filone fortunato delle guide letterarie per viaggiatori curiosi, questo Baedeker cardiniano ci porta su strade tardoantiche e medievali. Quindici itinerari colmi di storia e di stupore, dove l’illustre storico pretende di muoversi lungo da un luogo all’altro, quando in realtà approfitta di ogni pietra sconnessa, di ogni inciampo, per fermarsi a ragionare di editti e di eremiti, di Vangeli e di concilii, di filosofie condivise e di manoscritti annotati. Nei percorsi di Franco Cardini capita di perdersi, inseguendo personaggi dai nomi suggestivi: “Adelardo di Bath, uno dei primi traduttori occidentali dall’arabo. Nato verso il 1070, aveva a lungo soggiornato in Normandia dove aveva insegnato in un centro di cultura importante come Laon. Da lì era passato a Salerno, quindi in Sicilia dove al vescovo di Siracusa aveva dedicato il suo De eodem et diverso. Nel periodo grossomodo compreso fra il 1106 e il 1111 viaggiò in Siria e in Palestina e fu ad Antiochia e a Gerusalemme …”
Lucia Brandoli
I rondoni. Fernando Aramburu. Guanda
Aramburu con I rondoni ha dato vita a un classico contemporaneo. Non storcete il naso se come me odiate la retorica da quarta di copertina di “saga familiare”, non è una saga familiare, non nel senso stretto del termine almeno, eppure a suo modo lo è, e anzi è un’ode alle infinite e commoventi forme che può assumere questa parola, così come il bene e la cura. Questa è una storia di affetto, nel senso migliore del termine, ovvero di come l’affetto ci affezioni, e quindi ci faccia patire; ma anche di come questa affezione possa salvarci, in alcuni casi, ma senza che la salvezza sia mai investita di chissà quale valore morale, anzi, sarebbe meglio dire che per alcune persone sia meglio restare legate alla vita, per altre no. Aramburu ci mostra che ciò che crediamo di volere e di pensare, anche quando ci crediamo liberi e consapevoli, non è poi così autentico e preciso. Insieme al narratore, un insoddisfatto professore di filosofia, a cui non rimane altro che una vecchia cagnolina, una bambola gonfiabile, un amico disadattato e un amore ripudiato in gioventù per i motivi sbagliati, da cui non fa altro che scappare, ci intrattiene a lungo in una piazza, al tavolino di un bar, finché non ci mostra le due direzioni che possiamo scegliere di percorrere quando ce ne andiamo. Tutto si gioca sul filo del presente e della coesistenza dei tempi che si raccolgono nella nostra memoria. Mescola ironia finissima e sentimentalismo, cinismo e riferimenti filosofici, femminismo e misoginia. Aramburu è maestro di escursioni linguistiche ed emotive in quote altissime e profondità abissali partendo sempre dall’orizzonte considerato normale e quotidiano, forse è proprio da questo movimento che viene il titolo: i rondoni.
Gli esercizi di Patañjali. Contro la vorticosità delle affezioni della vita abitudinaria. Federico Squarcini. Edizioni ETS.
Se anche voi avete fatto almeno un Teacher Training di yoga in cui qualche poverett* si sforzava di spiegarvi cosa fossero i famosi Yogasutra di Patañjali – ovvero uno dei testi più antichi ed esaustivi sullo “yoga” di cui siamo in possesso, e sicuramente il più noto – quasi sicuramente vi ha detto qualcosa tra il molto e l’abbastanza sbagliato, sicuramente molto tendente al New Age. Non prendetevela, il fatto è che intorno a questo testo, e in generale allo yoga in sé – che altro poi non vuol dire che “metodo” inserito nella giusta cornice semantica – c’è ancora molta nebbia da diradare e tanto, tantissimo, da discernere. Federico Squarcini, storico e filosofo delle religioni dell’India all’Università Cà Foscari di Venezia e titolare nel 2022 della cattedra Numata all’Università di Berkeley, ha fatto sua questa battaglia coi mulini a vento della confusione e del pressapochismo ed è riuscito a raccogliere in 150 pagine anni e anni di ricerche incrociate e a tutti gli effetti multidisciplinari, che attingono di campo in campo, e attentamente collegano punti di riferimento maggiori e minori di questo paesaggio, lontano, ma molto più affine di quanto pensiamo. Squarcini sprofondando nel termine yoga, delinea una mappa dettagliatissima del telos che ha dato forma a questa pratica, fondamentale per orientarsi tra fini e mezzi ed evitare di usare una pentola al posto di un cappello, o un triangolo al posto di una ruota.
Ad nòta, Raffaello Baldini, Einaudi
Non so cosa dire su Baldini, ho il dubbio che le poesie debbano essere accompagnate da esplicative note di lettura, ma questo d’altronde è un consiglio. Penso che vada letto, anche se già di per sé per alcuni la poesia è un lasciare gli ormeggi, e questa poesia è in dialetto romagnolo, un dialetto abbastanza semplice e comune, per il nord, ma comunque un dialetto, una lingua minore. Il libro è uscito nel 1995 e ha ricevuto il Premio Bagutta, ma viene da molto più lontano, lo dicono i sentimenti che evoca. Le leggo ogni volta che mi manca quella fantasia che chiamiamo casa. Con semplicità e concretezza, ma grande sapienza ritmica e sonora, Baldini parla a un interlocutore muto, domanda, chiede, cerca, allunga le mani nella notte. Il “tu” verso cui sentiamo tutta la tensione della relazione, è un fantasma, un’apparenza, un’immagine della mente. Si cerca una risposta, una parola, e paradossalmente queste immagini di romagna sono talmente universali che ricordano il Manfred di Lord Byron.
Bartolomeo Cafarella
Queste terre selvagge oltre lo steccato (Exòrma) di Bayo Akomolafe
Il sottotitolo di questo libro, Lettere a mia figlia per far casa sul pianeta, la dice lunga, innanzitutto sulla forma: sette lettere e mezzo, che Bayo Akomolafe scrive indirizzandole alla figlia, Alethea. Non si trattano però di lettere scritte per una bambina. In questo caso è come se Akomolafe stesse scrivendo queste lettere in spiritu, dall’oltretomba, nel futuro (in una concezione spaziotemporale olistica e quantistica, in cui il tempo fisico non è più il tempo lineare per come normalmente tendiamo a identificarlo in occidente: passato, presente, futuro), lettera quindi per la figlia già grande, già in grado di comprendere i ragionamenti e gli immensi insegnamenti che Bayo Akomolafe racchiude nel suo vociferare. In queste lettere c’è di tutto: dalla sapienza yoruba, la cultura nigeriana che ha dato i natali all’autore; fino all’incedere rumoroso ed esotico dell’ambientazione indiana nella quale è immerso ad oggi, con la figlia piccola. C’è il racconto in prima persona, l’analisi filosofica e politica dei nostri tempi, il resoconto di un percorso spirituale e soprattutto di una ricerca, una ricerca che porterà Bayo ad attraversare le terre selvagge: la ricerca di una casa, una casa su questo pianeta, una casa per sua figlia, che è figlia di ognuno di noi, e al tempo stesso sarà e saremo: ognuno e ognuna di noi.
Il giardino in movimento (Quodlibet) di Gilles Clément
Gilles Clément è forse il pensatore più eclettico e contraddittorio tra tutti quegli autori che si sono occupati della questione ambientale. Già definirlo è un’impresa ardua. Paesaggista, filosofo, botanico, scrittore. Lui si definisce più semplicemente: giardiniere. Tuttavia, bisognerebbe leggere tutti i suoi libri per comprendere l’importanza e la profondità della quale riveste e riempie questa parola – così come la parola giardino – illuminandola di nuova luce, ri-abilitandola completamente a una nuova funzione, estremamente più ampia e complessa, “planetaria”, dovremmo dire usando le sue parole. In questo libro, arrivato alla sua seconda edizione italiana – e almeno alla sesta francese – i molti temi e concetti che Clément riesce ad attraversare, creano nel lettore uno “sfasamento”: fotografie, disegni, schemi, descrizioni tecniche, elenchi di piante, racconti in prima persona, piccoli manifesti programmatici. Un libro-giardino esotico e misterioso, che genera dentro di noi «la sensazione di capire perfettamente e allo stesso tempo di non aver capito tutto».
Being There. Oltre il giardino (VIAINDUSTRIAE publishing) di Claudia Losi
Partendo da una concezione di giardino diametralmente opposta, l’artista Claudia Losi, crea un’opera che ci ricorda il suo precedente lavoro, The Whale Theory, per il tipo di composizione, ma che sposta e forse travalica quel grimorio cetaceo che era il suo precedente libro. In Being There. Oltre il giardino, Losi parte da una domanda semplicissima: «Qual è la tua idea di luogo naturale?». Pone questa domanda a persone di ogni tipo, di età diverse, estrazioni sociali, culturali e politiche molto distanti; coinvolge autori e autrici come Giorgio Vallortigara, Mauro Sargiani, Ugo Morelli, Riccardo Komesar, Cesare Raimondi, Gioia Laura Iannilli e Alice Benessia; intesse un lunghissimo arazzo nel quale raccoglie le testimonianze di chi ha voluto risponderle, un’opera che sembra provenire dalla preistoria, dalle caverne di Chauvet – che d’altronde Losi ha avuto l’onore di visitare. E tutto questo materiale vivo e sanguinolento viene riunito in un taccuino raffinatissimo, una specie di taccuino-compost, dove i colori rievocano la terra, le foglie, il sangue, gli escrementi, e tutto ciò che potremmo, forse, trovare, se avessimo il coraggio di guardare oltre, insieme a questa artista coraggiosa e indisponente, dallo sguardo audace e delicato insieme; la cui forza risiede nel farsi umilmente canale delle forze ribollenti della Terra.
Dario De Marco
I tre libri che vi consiglio di leggere quest’estate – chiamarla estate, chiamarlo leggere – sono i tre libri che mi consiglio di leggere questa estate. Nel senso che manco io li ho ancora aperti: ma sento di andare abbastanza a botta sicura. Per i motivi che dico.
Partirò dalla cosa più importante nella vita: mangiare. Storia della pizza. Da Napoli a Hollywood di Luca Cesari per il Saggiatore segue il fortunato (giustamente) Storia della pasta in dieci piatti. Cesari appartiene alla schiatta dei debunker professionisti, ovvero quelli che si divertono a smascherare le falsificazioni e le retrodatazioni – per lo più a fini di marketing, per lo più a mezzo di una supposta tradizione – che inquinano il racconto del cibo, o meglio la narrazione del food. Ma i suoi strumenti, e i suoi risultati, vanno molto oltre quest’esercizio che alla lunga sta diventando un po’ sterile. Due cose comunque mi rassicurano. La prima è la presenza di Napoli nel sottotitolo: almeno non si dirà che la pizza non ha nulla a che fare con la mia città. La seconda è la presenza del mio nome nei ringraziamenti: in effetti sono stato consultato nella fase delle ricerche, non si sa bene a che titolo, presumo quello di crapulone.
Proseguirò passando alla fine del processo che inizia con il mangiare, saltando all’estremo opposto del tubo digerente. Una gran, di Remo Bassetti per Morellini, dev’essere tutt’altro che una gran cagata. A mezzo fra la trattazione scatologica e il romanzo, fra narrazione e riflessione (all’uopo, qual posto migliore della tazza), il librino promette di essere fuori dagli schemi ed eclettico come il suo autore. Bassetti è infatti agitatore (e agitato) culturale, nonché scrittore di libri disparati che vanno da una Storia e storie delle sport in Italia al giallo autofinzionale Stanno uccidendo i notai, terminando con i raffinatissimi saggi su argomenti scottanti, o sotterranei, della contemporaneità (Contro il target, Storia e pratica del silenzio, Offendersi). E alla fin fine, pure se sto libro fosse una mezza cacata, almeno è breve.
Terminerò, una volta libero dalle pastoie della materia, con il nutrimento dello spirito, per il quale non vi è digestione né espulsione, ma un ciclo continuo. Un fumetto! Bicycle Day, di Brian Blomerth per Wom edizioni, è una graphic novel sul viaggio in bicicletta più famoso, e decisivo, della storia. Sì, quello che fece il 19 aprile 1943 il chimico svizzero Albert Hofmann scoprendo l’LSD. Devo confessare che ho un po’ bluffato, dacché le fantasmagoriche tavole del libro le ho già in parte scorse, ma credo proprio che ci ritornerò più volte nel corso del tempo: scovando ogni volta forme e colori diversi, proprio come ogni trip è diverso dal precedente. Si fa tanto parlare di Rinascimento psichedelico, e c’è già chi correttamente preconizza un Illuminismo psichedelico: non ci farà male intanto goderci un po’ di Barocco psichedelico.
Francesco D’Isa
Dato che quest’estate ci sono quarantamila gradi grazie a noi umani, i miei suggerimenti saranno volti a bastonare il nostro inutile e dannoso antropocentrismo. Per quel che riguarda l’intelligenza anzitutto, con Modi di essere di James Bridle, un testo che spazia dalle intelligenze artificiali a quelle animali e ci riposiziona nello spettro cognitivo, rivalutando anche la dimensione collettiva della nostra intelligenza. D’altra parte tutti geni tutti bravi ma praticamente nulla di quel che facciamo sarebbe possibile senza il lavoro di altri umani, viventi o morti che siano. Altra batosta all’antropocentrismo con Se Nietzsche fosse un narvalo di Justin Gregg, un libro tra filosofia ed etologia che con leggerezza ci suggerisce che la nostra preziosa forma di intelligenza dal punto di vista evolutivo è più che altro una fregatura. È bello conoscere la causa-effetto, ci costruiamo i computer, ma tra i tanti lugubri effetti collaterali ci tocca anche sapere che moriremo e passare gran parte del nostro tempo a raccattarcela. Cosa che mi porta a Il sentimento tragico della vita, tipica lettura da spiaggia di Miguel de Unamuno, un prezioso saggio filosofico che parla proprio di questo, ovvero di una filosofia al servizio del nostro desiderio di immortalità. Non morire è quel che vuole la nostra passione ma non la nostra ragione. Unamuno centra il paradosso al cuore dell’umano e sebbene il suo approdo al “credo quia absurdum” (credere nel divino perché è assurdo) non sia una cura convincente per tutti, la sintomatologia è ben individuata.
Irene Doda
Sotto gli alberi di Udala, Chinelo Okparanta, Edizioni EO
Sotto gli alberi di Udala è un romanzo del 2015, della scrittrice nigeriano – statunitense Chinelo Okparanta. Narrato in prima persona dalla voce della protagonista, Ijeoma (prima bambina, poi adolescente e infine donna), è una storia che racconta di amore, violenza, vergogna e passione. Nella Nigeria di fine anni Sessanta, in piena guerra civile, Ijeoma subisce la perdita del padre e la fuga forzata dal suo villaggio natale. La madre Adaora, altro personaggio centrale nella vicenda, la manda a lavorare come inserviente a casa di due amici di famiglia, che si offrono, in cambio di pagarle gli studi presso una scuola secondaria. Durante questo periodo Ijeoma conosce Amina, con la quale intesse una relazione amorosa. Anche se anni dopo decide di sposare un uomo e nonostante i tentativi della madre di “raddrizzarla” (leggi: farla diventare eterosessuale), Ijeoma non riuscirà mai del tutto a reprimere la sua attrazione per le donne.
La vicenda di Ijeoma si dipana attraverso la Nigeria dei decenni successivi alla guerra civile. Giovane donna lesbica, cresciuta in una famiglia rigidamente religiosa, affronta la violenza esterna di un mondo che non riconosce nulla al di fuori della norma, si scontra con l’amore, intenso quanto violento, di Adaora che la vuole a tutti i costi sposa e madre a sua volta. Sotto gli alberi di Udala è una storia che ne contiene tante: quella degli strascichi di una guerra intestina, quella di due donne, madre e figlia, che si amano profondamente senza comprendersi, quella di un desiderio lacerato, represso e nascosto, quella di un trauma religioso che accompagna la protagonista durante tutte le fasi della sua crescita.
Consiglio vivamente, per chi mastica un buon inglese, l’ascolto dell’audio-libro in lingua originale.
Alessia Dulbecco
Interrompendo per qualche momento la consueta routine a cui siamo abituati/e, dilatando gli spazi e i tempi, l’estate ci concede di perderci in letture impreviste, quelle a cui durante l’anno non diamo troppe possibilità ma che in un’altra cornice, come quella offerta dalle vacanze, possono aprirci nuove prospettive di riflessione.
In questo senso, il primo libro che mi sento di consigliarvi è Femina, di Jamila Ramirez, edito da Il Saggiatore. L’autrice è una storica dell’arte che si è messa sulle tracce delle donne che hanno popolato il Medioevo. Interpellando la storiografia, gli studi sociali fino alla genetica, Ramirez mostra quanto la presenza femminile sia stata significativa in ogni contesto in cui si è espressa, dalla religione alle arti militari, e sarebbe giunta fino a noi se gli uomini non avessero contribuito a cancellarla. “Femina”, infatti era l’indicazione che compariva accanto agli scritti lasciati dalle donne che, implicitamente, suggeriva agli amanuensi di non dedicare troppo tempo ai loro lavori riutilizzandone le pagine o omettendone la trascrizione.
Un altro tema su cui non si riflette mai abbastanza è la morte e il precipitato che il lutto lascia nelle storie di chi sopravvive. In seguito alla morte della fidanzata, avvenuta nel 2005, il fumettista Anders Nilsen inizia a tenere un diario in cui continuare il dialogo con lei. Nelle pagine di The end, edito da Add editore, Nielsen usa parole e immagini per descrivere il dolore, la rabbia e il tentativo di far pace con essi per provare a superare qualcosa che, di fatto, non si supera, al più si elabora.
Da ultimo, un consiglio per genitori e colleghi educatori e educatrici: la questione dell’educazione affettiva e sessuale è ancora il grande assente nelle scuole di ogni ordine e grado. Per avvicinare i più piccoli/e a temi importanti quali il consenso, il rispetto del proprio e altrui corpo, Settenove ha da poco pubblicato un albo bellissimo: si intitola Una damigella NON in pericolo. Vale davvero la pena leggerlo per insegnare a bambini e bambine che solo noi possiamo scrivere la nostra storia.
Adriano Ercolani
Siccome è tempo di vacanze, vi consiglio tre libri su tre cose che mi piacciono tantissimo e basta.
A Manchester con gli Smiths. Un walkabout musicale Giuseppina Borghese
Al mio paradossale, antinomico, irresistibile amore per The Smiths tributai quasi dieci anni fa una lenzuolata delirante (http://contezarganenko.blogspot.com/2014/06/morrisey-ovvero-il-fascino.html).
Per chi ama attraversare i percorsi letterari e artistici delle città più famose al mondo con libri-guida a tema (memorabile a riguardo Berlino Zoo Station di Massimo Palma…RISTAMPATELO!), Giulio Perrone Editore ha da tempo dedicato la collana Passaggi di Dogana. Il libro di Giuseppina Borghese A Manchester con gli Smiths. Un walkabout musicale risponde più che degnamente a un’esigenza vitale per tutti i fan del quartetto mancuniano più colto e languidamente fascinoso di sempre: una guida per visitare Manchester sull’onda dei versi mantrici di Moz e dei riff ipnotici di Johnny Marr.
Se penso agli Smiths, al netto dei luoghi comuni sulla depressione, penso alla bellezza fiera e sfrontata della gioventù: ciò che lo stile e la figura dell’autrice mi sembrano incarnare.
Avanti tutta, Giuseppina, “Boot the grime of this world in the crotch, dear”.
E poi un libro che ha in copertina la mia strofa preferita di Shoplifters of the World non posso non consigliarlo.
Drazen Petrovic. Il primo uomo sulla luna Lorenzo Iervolino
L’NBA si è inchinata ai piedi di Nicola Jokic, il Joker che ha portato poche settimane fa i Denver Nuggets al primo titolo della loro storia, rimanendo spiazzata dalla spontanea e surreale sprezzatura del cestista serbo: i social traboccano di reel con ilari estratti dalle sue interviste, di cui il più divertente è quello in cui a un giornalista che chiedeva se avesse subito psicologicamente i fischi dei tifosi avversari, Jokic risponde ridendo: “I played in Serbia, brother”. Per capire cosa intendeva, leggetevi il bellissimo libro di Lorenzo Iervolino (per 66and2nd) dedicato a Drazen Petrovic. Il primo uomo sulla luna, cestista di origine croata, pilastro della meravigliosa nazionale di basket dell’allora Jugoslavia, primo europeo contrattualizzato da un team NBA, ribattezzato Mozart per il suo genio imprevedibile al canestro. La vita di Petrovic non è solo ammantata dalla gloria del campionato mondiale vinto con l’allora Jugoslavia e l’eroico argento olimpico con la neonata Croazia, arresasi solo davanti alle divinità invincibili del Dream Team; purtroppo è anche segnata da una morte insensata, in un incidente stradale in Germania a soli 28 anni. Una morte prematura che non solo stroncò uno dei più grandi talenti della storia del basket europeo, ma anche le possibilità di riunificare un’amicizia fraterna, interrotta dalla guerra, con l’altro campione (ex) jugoslavo della sua generazione, il serbo Vlade Divac.
Da far leggere a forza a chi ancora non capisce il valore umano, culturale e simbolico dello sport.
Chi è il sognatore? Guida alla visione di Twin Peaks 3, Nicola Settis
Da tempo circola, in una ristretta cerchia di artisti e giornalisti romani che si incontrano periodicamente a cena, un video in cui il sottoscritto stordisce fino al mutismo due notissimi fumettisti con la spiegazione filosofica del concetto di tulpa, con il commento iperdettagliato delle ultime puntate della seconda stagione di Twin Peaks, con l’analisi di ogni singola battuta di Annie…solo per poi fornire gli strumenti esegetici minimi per potermi poi seguire nella mia teoria definitiva sulla terza stagione della serie di David Lynch.
Non sono l’unico a essere arrivato a questo livello di ossessione: pensate che un pazzo, Twinperfect (https://www.youtube.com/c/TwinPerfect), ci ha fatto un video di 4 ore e mezzo.
Pensate che chi scrive lo ha visto due volte.
Ecco, se volete evitare, nel caso di un nostro incontro, una lobotomia tramite logorrea, venite preparati e leggetevi prima Chi è il sognatore? Guida alla visione di Twin Peaks 3 di Nicola Settis (edizioni
Leggetelo bene, tutto.
Poi ne parliamo.
Ilaria Gaspari
Pierre Adrian, I giorni del mare, traduzione di Maria Sole Iommi, Atlantide 2023
Un agosto in Bretagna, una casa che è da sempre la casa dell’estate; delle estati dell’infanzia, quelle che per prime hanno dato forma al tempo della vita del protagonista, che fa ritorno alla casa sul mare per un’estate apparentemente identica a tutte quelle che ha conosciuto. Anche se ora dalla terra dell’infanzia è esiliato; è un uomo, giovane, ma pur sempre un uomo. La spiaggia battuta dal vento salmastro del nord, la villa spoglia e accogliente, con quell’aria spartana da casa delle vacanze, e persino gli occhi e i sorrisi degli zii e delle zie, a prima vista, sono sempre gli stessi; ma su tutto pende un presagio, lieve inizialmente, via via sempre più forte. Un romanzo che mi ha commossa per la dolcezza con cui sa evocare l’atmosfera sottilissima delle estati passate e la lucidità elegiaca con cui racconta quella che forse è la verità più inaccettabile, più deliziosamente ossessiva che la letteratura possa esplorare: l’impermanenza di tutte le cose, come un’iniziazione crudele e inevitabile. Un piccolo incantesimo che piega alla vocazione romanzesca il mistero del tempo (infatti è perfetto per chi ama Proust, e per chi ancora non sa che potrebbe amarlo).
Cathleen Schine, La lettera d’amore, traduzione di Domenico Scarpa, Adelphi 1996
Se, come me, avete una passioncella per i romanzi d’amore che però risente dell’attrito con uno humour allenato a irritarsi sempre troppo presto per gli eccessi di pathos tipici ahimè del genere, e insomma vi rovinate ogni volta la festa con il vostro stesso senso del ridicolo, sono qui per dirvi: non disperate. Cathleen Schine è la cura di cui avete, di cui abbiamo bisogno. Una fuoriclasse in grado di costruire una storia d’amore con lo schema del giallo classico; di raccontare la passione per pura arguzia, di costruire una protagonista irresistibile e di ergerle intorno un microcosmo riposante come il fondale di un’avventura de La signora in giallo ma allo stesso tempo spumeggiante di intuizioni esatte e precise, da solida romanziera psicologica. La storia di Helen, libraia di stagionato fascino e incallito narcisismo, irretita, nel corso di un’estate burrascosa e dolce sulla costa del New England, dal potere seduttivo di una lettera d’amore anonima fino a perdersi e forse ritrovare qualcosa di sé, ma molto più al largo di quanto avrebbe immaginato di andare, è l’ossatura di un romanzo d’intrattenimento assolutamente perfetto; che senza darsi arie, senza pomposità, senza rifilarcela impacchettata e etichettata come un regalo cui un donatore tirchio si sia rifiutato di levare il cartellino del prezzo, insinua nella nostra testa, mentre leggiamo senza sospettare di nulla, una visione dell’amore libertina e liberatoria. E leggere questo libro è davvero come farsi un regalo.
Kingsley Amis, Perché resti con Bang?, traduzione di Bruno Oddera, Einaudi 1968
Questo è un libro che ho comprato (a un mercatino: ho l’impressione che sia più facile trovarlo nel circuito dell’usato, perché se non ho visto male è fuori catalogo, ma cercandolo si trova eccome) non per il titolo, che non mi diceva niente (chissà perché non è stato tradotto alla lettera l’originale, One fat Englishman); non per il nome dell’autore, che per mia ignoranza, il giorno in cui mi sono imbattuta nel romanzo, non sapevo essere il padre di Martin; ma per la sinossi nell’aletta, che ho iniziato a leggere distrattamente, davanti alla bancarella affollata di tascabili, e mi ha conquistata nel giro di tre righe – ho poi scoperto che l’aveva scritta Manganelli. È la storia di un uomo riprovevole sotto ogni punto di vista; un iracondo, un eccessivo, un lussurioso, un ghiottone senza vergogna, un inglese (grasso) negli Stati Uniti per uno scopo ignobile: sedurre la moglie di un professore molto a modino, il Bang del titolo. Un libro così divertente, così crudele nello smascherare le ipocrisie, così selvaggiamente libero, non me lo dimentico più.
Gabriele Merlini
Poi, d’un tratto, sono arrivati i metacritici poststrutturalisti (cit.) a capovolgere gli assunti dell’estetica letteraria e ti ritrovi con il desiderio incontenibile – sotto l’ombrellone come in montagna tra sceniche vallate – di tornare sui testi universitari della tua prima età adulta; un divertimento perverso figlio a naso di situazioni strepitose quali lo sfascio emotivo della contemporaneità, l’ansia, la cupezza e il terrore verso il domani ma al pari l’ingestibile necessità di nidi confortevoli o materne protezioni al fine di restare mediamente vivo. Così Introduzione al paleolitico di Alberto Broglio (Editori Laterza, 1998) torna a darti ciò che hai sempre chiesto a un testo di saggistica in riva al mare: panoramiche esaustive sull’ominazione, giacimenti gravettiani, statuette antropomorfe, oggetti ornamentali utilizzati da cacciatori di mammut, planimetrie di sepolture, tipologie di manufatti su ciottolo e scene incise a bulino tra budelli di grotta. Il tutto con tono gentile e premura nelle spiegazioni. Nuova – o almeno, «nuova» se trattiamo della fine degli anni novanta: all’incirca quando usciva Mezzanine dei Massive Attack – luce sulla fase terminale della preistoria e l’evoluzione culturale di quella strana specie di animaletti cui apparteniamo, meritevoli in estate più che mai di tutela e solidi strumenti per la caccia.
Poi, dopo una serie di rincorse abbastanza goffe da descrivere, sono capitato su Che cosa fa la gente tutto il giorno? di Peter Cameron, Adelphi 2023. Teoria di racconti che restituiscono buoni spunti sia mai a qualcuno salti in testa l’idea di produrre a sua volta racconti: per dirne una, ci può essere una fine per una storia breve – una conclusione degna; un sensato epilogo – ma anche no, e l’eventuale assenza non dovrà rappresentare mai un blocco autoriale. Esiste una discreta grazia nella sospensione, e spesso Cameron la becca a pieno.
Infine un doveroso promemoria: tutti ce ne andiamo. Chi prima, chi dopo. Unica differenza, tolto il livello di scomodità nel trapasso, come affrontiamo ed elaboriamo il distacco. Credo di non essere il primo a sottolineare un simile aspetto. Michael Diamond e Adam Horovitz – cioè Ad-Rock e Mike D dei Beastie Boys – danno ulteriore prova di ironia e classe nel loro Beastie Boys. Il libro edito in Italia da Rizzoli nel 2022, bio della band dalle origini ma soprattutto commovente lettera di commiato al terzo membro Adam MCA Yauch che ebbe, ormai molti anni fa, a lasciare questa valle di lacrime. Consapevole del peccato originale dell’editoria musicale in specifici contesti, però qui trattiamo di pagine interessanti per contestualizzare un periodo. Alcune città. Certi mondi e determinati stili. La genesi di un suono che si è fatto filosofia e – il signore preservi la bella stagione – quanto sia possibile trovare le anime gemelle nei posti più assurdi, continuamente ricordandoci di prendere pochissimo sul serio il resto della baracca.
Alessio Montagner
Doug Dorst, S, RCS, 2014
Fisicamente, il testo riporta come autore un certo V. M. Straka, e il titolo sulla copertina è “La Nave di Teseo”. Aprendolo, si trova un libro della Winged Shoes Press pubblicato nel 1949, con le pagine ingiallite e piene di appunti a penna. Tra le pagine si trovano fotocopie, cartoline, un tovagliolo con delle scritte, pezzi di giornale, vecchie fotografie. S, scritto in realtà da Dorst su un’idea di J. J. Abrams, è la storia che emerge combinando libro, appunti e oggetti, la storia di due ricercatori in lettere che cercano di capire che ne sia stato di Straka. Per noi, è un’occasione per riflettere su quale sia il ruolo dell’autore. Chi è Straka? È un personaggio fittizio o è uno pseudonimo di Dorst? La Nave di Teseo è uno pseudobiblion interno ad S, o è il vero libro, il quale cita sé stesso come fosse uno pseudobiblion?
Pirké Avòt, Living Lessons (Edizione Weiss), 2019
Sfogliandone le pagine, si ha l’impressione che questa edizione dei Pirké Avòt – uno dei cardini della spiritualità ebraica – sia quasi un libro per bambini. In effetti è così. Bambini ebrei, però, i quali alle elementari conoscono Torah e Talmud già molto meglio di noi goyim. Come funziona? Ogni pagina riporta un detto dei padri, con a destra il testo ebraico e a sinistra la traduzione integrativa (le parti “originali” sono mantenute in grassetto). Per ogni detto si trova una biografia del suo autore, una storiella ebraica, una riflessione sulle singole parole ebraiche, un trafiletto con le informazioni di contesto, e un’”illuminazione” intuitiva che chiarisce il significato del detto. Il tutto è ampiamente abbellito dalle illustrazioni di Boris Shapiro, le quali, attentamente analizzate, dànno un affresco di tutta la vita del pio ebreo.
L’Ora dell’Ascolto, Piemme (Edizioni del Deserto), 1989
Quando si pensa alla preghiera, si immagina spesso la ripetizione ossessiva di poche formulette imparate a memoria. La vera preghiera cristiana, invece, ha il suo centro nella Liturgia delle Ore, cioè nel Salterio. Tale pratica include anche un “ufficio delle letture”, da recitare in orario libero, nel quale non si leggono semplicemente i salmi, ma opere dei padri della Chiesa, da Ignazio di Antiochia a Bernardo di Chiaravalle. Questo libro che propongo è appunto un lezionario di rito benedettino per la recita di tale ufficio. Ma se uno non è cristiano, perché dovrebbe interessarsene? Ebbene: il libro copre più di 1000 giorni di lettura (i tre anni ecclesiastici: A, B e C), e per ogni giorno propone due o tre lunghi estratti di opere dei Padri. Il risultato è un’enorme antologia di testi del primo Millennio, dalle più famose opere di Agostino alle remote lettere e omelie di qualche predicatore dimenticato. Un’occasione unica per immergersi nel pensiero medievale e scoprire il pensiero del primo millennio dell’epoca volgare.
Roberto Paura
Parliamo di bombe atomiche: con l’uscita nei cinema di Oppenheimer, il tema è destinato a tornare caldo. Su Oppenheimer, oltre alla recente uscita della biografia che ha ispirato il film di Nolan (Oppenheimer. Trionfo e caduta dell’inventore della bomba atomica di Kai Bird e Martin J. Sherwin), imperdibile è il classico di Abraham Pais – fisico e biografo di grandi scienziati, tra cui Einstein, che aveva conosciuto – e quella monumentale e di taglio scientifico Inside the Center (in italiano Robert Oppenheimer. L’uomo che inventò la bomba atomica) di Ray Monk, filosofo della scienza e celebre biografo di Ludwig Wittgenstein. Un punto di vista critico è quello di Haakon Chavalier – uno dei personaggi del film di Nolan – che fu amico di Oppenheimer e poi suoi fiero avversario, come si evince dal titolo del suo celebre libro L’uomo che volle essere Dio. Ma per una panoramica dell’intero Progetto Manhattan e della storia degli scienziati atomici “in presa diretta”, insuperabile resta Gli apprendisti stregoni di Robert Jungk, giornalista austriaco, pioniere degli studi sulla pace e degli studi sul futuro, che fu il primo a intervistare i protagonisti della più grande impresa tecnologica della storia umana. Un’opera che si legge come un romanzo ma le cui riflessioni sull’etica della scienza continuano a risuonare come un’inascoltata profezia del nostro futuro.
Restando sulle prossime uscite cinematografiche, l’attesissimo (almeno dagli appassionati) Napoleone di Ridley Scott promette di riportare in auge la febbre per il più celebre dei personaggi storici, appena due anni dopo l’abbuffata del bicentenario della morte (2021). La scelta del regista di focalizzarsi sugli esordi della folgorante carriera durante la Rivoluzione segue molto fedelmente la celebre sceneggiatura di Stanley Kubrick per quello che il regista di 2001: Odissea nello spazio definiva “il più grande film mai realizzato”. Chi volesse recuperarla insieme all’enorme mole documentaria raccolta da Kubrick con la sua tipica ossessione per il dettaglio può rivolgersi alla Taschen, che anni fa affidò ad Alison Castle la curatela di un volume monumentale dedicato al film mai girato: Stanley Kubrick’s Napoleon: The Greatest Movie Never Made (edizioni in inglese, francese e tedesco).
Se quest’estate avete in previsione qualche lunga camminata per gli storici itinerari di pellegrinaggio europei, siete tenuti a portarvi dietro una copia tascabile dei Racconti di un pellegrino russo. Questa celebre opera risalente alla fine dell’Ottocento è un’immersione nel misticismo popolare russo, molto più resistente alla prova del tempo del misticismo occidentale. I racconti narrati in prima persona dal protagonista, impegnato nel difficile itinerario interiore e in lunghi pellegrinaggi per raggiungere la piena comunione con Dio attraverso la recitazione della “preghiera interiore”, pratica tipica dell’esicasmo, regalano uno stupendo spaccato del mondo russo dell’Ottocento e stimolanti riflessioni sul rapporto tra l’Uomo e il divino. Per chi si appassionerà al tema, sul mercato editoriale è possibile recuperare anche la Filocalia, l’antologia di testi di teologi orientali – dai Padri della Chiesa ai mistici ortodossi bizantini – costantemente citata nel testo come fonte di ispirazione irrinunciabile a fianco alla Bibbia. Un’edizione recente della Bompiani è impreziosita da una prefazione di Cristina Campo.
Niccolò Monti
Questa prima metà d’anno mi ha dato la sensazione di vivere in una favola, a tratti celeste, felice, insidiosa, un incubo alla fine del quale ci aspetta solo la fine del mondo.
Sulla scia di questa sensazione, tre consigli che stanno bene assieme, o che almeno tra le cose lette negli ultimi mesi si richiamano molto, a cominciare dal meno “estivo” dei tre, anche se la Lapponia dove l’ha immaginato l’autrice ha contorni solari e lugubri in proporzioni simili.
Tundra e Peive di Francesca Matteoni (nottetempo), che non è una fiaba. Ha l’aria di esserlo, ma gioca con le aspettative di questo genere come farebbe una gatta col gomitolo – spesso lasciandolo stare, illudendoci di aver previsto come si svolgerà la trama nelle pagine seguenti; invece, ci sorprende, la gatta diventa una strega, poi un’orsa, una renna, una bambina, una bestia lacustre. Questo è un libro di metamorfosi e di amicizie tra creature magiche e mondane, di una bambina che scopre un mondo minacciato dagli umani, che cercherà di stare al gioco di questo mondo e di salvarlo. È un racconto per il quale, in più occasioni, ho tremato ed esultato.
Ma più a fondo ancora nella paura va un altro libro: Mandibula di Monica Ojeda (Alessandro Polidoro). Più in là della paura, qui direi che Ojeda riesce a inventarsi una narrazione che insidia e fa orrore – nel senso che lei intende quando parla di “gotico andino”. La storia di un gruppo di ragazze che scopre i confini macabri del corpo frequentando come luogo di ritrovo, quasi fossero una setta, una casa abbandonata; l’uso delle creepypasta che, da forma narrativa nata su Internet, vengono intessute da Ojeda per far scivolare un senso di inquietudine lungo tutta la durata di Mandibula; una professoressa che rapisce una ragazza; le figlie che divorano le madri. E aggiungo: a una storia costruita come una tenaglia non può che accoppiarsi una scrittura che ti prende a morsi.
Finiamo con un libro che l’autrice ha definito una fan nonfiction: Narrazioni dell’estinzione di Elvia Wilk (Add), e il titolo italiano, ottimo, come pure tutta la traduzione di Latronico, però, non dà la stessa sensazione di straniamento dell’originale: Death by Landscape. È il paesaggio a prendere il sopravvento; ma non siamo nel pittoresco, o nell’ammirazione del paesaggio sublime di epoca romantica. Il paesaggio è una forma attiva, che può appunto uccidere: ovvero, nelle storie di cui ci parla Wilk – le storie di Octavia Butler, Margaret Atwood, Han Kang, Jeff e Ann VanderMeer e altre scrittrici e altri scrittori – la “natura” viene sovvertita e da cosa passiva diventa un soggetto ribelle, o un inquietante punto fermo, il fondamento che determina tutto e crediamo di poter domare. Alle finzioni speculative, ai nuovi modi di narrare il naturale, l’ambiente, il pianeta, Wilk affianca una riflessione anti-patriarcale, una critica femminista che ci aiuta a non dimenticare il lato politico che, dentro o fuori, accompagna ogni narrazione.
Greta Plaitano
Quando mi chiedono se sono una donna gelosa rispondo sempre con quella che, in fondo, so benissimo essere una bugia: “No, non sono gelosa. Sono territoriale”. Ovviamente, l’interlocutore al quale propino quella che – dopo accurate valutazioni – ho capito essere la mia menzogna preferita molto spesso mi ride in faccia, lasciandomi ogni volta una ruga di disappunto all’angolo destro delle labbra. L’occupation di Annie Ernaux è un piccolo libro che parla proprio di come ci sentiamo quando siamo in preda alla gelosia e, quasi sempre, non riusciamo ad ammetterlo. Nessuna trama complessa, ‘soltanto’ una donna con la testa occupata dall’idea dell’altra, intenta a toccare e a creare un nuovo quotidiano con l’uomo che lei ha amato. Sulla scrittura di Ernaux non c’è molto da dire: è diretta, semplice, a tratti quasi banale. Ma è questo punto a renderla così sconcertante e, se la si legge nella sua lingua madre, a spingerci a sondare le ambiguità che si nascondono nello strato più superficiale di noi stessi.
Oltre a dannarmi per i miei miseri sentimenti, in questi mesi ho continuato a leggere per lavoro e ho avuto la fortuna di scontrarmi con un testo di Federico Valacchi, La verità di carta. A cosa servono gli archivi? Questo libro, come tanti altri scritti di Valacchi, è la testimonianza che i professori universitari possono essere meglio dell’immagine che hanno di loro giornalisti e scrittori (i quali comunque potrebbero imparare e, di conseguenza, scrivere davvero poco senza i primi) e, oltre a risultare eruditi e barbosi, e decidere di mostrarsi intelligenti, sensibili e soprattutto umani. Nel suo sfatare i falsi miti su che cosa sono gli archivi (luoghi pieni di carte polverose e muffa) e nella missione non facile di divulgare che cosa possono essere (degli strumenti di coerenza, di democrazia e di quotidianità responsabile) il docente offre uno spazio di dialogo onesto su un tema ora molto alla moda, ma sul quale di rado, nel mondo della divulgazione, si trovano parole così piene. Piene perché sostenute da un sapere tecnico e dall’esperienza personale, colorato da un’autoironia che solo un’intellettuale incapace di spaventarsi davanti alla profondità ma che vuole parlare agli altri può avere.
Ho infine riletto una cosa strana, della quale mi ricordavo soltanto una bella sensazione, Le persone, soltanto le persone di Christian Raimo. È un vecchio Minimum fax del 2014, pieno di macchie di caffè e parole di cui non conoscevo il significato segnate all’ultima pagina (‘anossia’, che tutt’ora non è che usi proprio spesso). L’ho riletto perché avevo voglia di ricordarmi cosa mi piaceva dei racconti e cosa mi piaceva della me che leggeva racconti (ok, lo ammetto, anche perché qualche mese fa mi sono ritrovata a mangiare verdura cotta allo stesso tavolo dell’autore in una serata molto romana, troppo rumorosa, in cui siamo finiti a parlare di omelie). E, in effetti, mi sono ricordata che dei racconti mi cullava la vicinanza, il tutto e subito, il fatto di non dover aspettare che qualcosa si snodasse, che dei personaggi compiessero un lungo viaggio dell’eroe pieno di ostacoli e risoluzioni. E mi piace, ancora oggi, sentire che non sto inseguendo i protagonisti, ma che sono semplicemente seduta con loro, nella stanza in cui provano a vivere con la stessa fatica che provo io.
Edoardo Rialti
Cormac McCarthy, Il Passeggero, Einaudi
“Ogni cosa sembra dipendere dalla velocità della luce ma nessuno vuole parlare della velocità delle tenebre.” Una delle notazioni più convincenti sull’opera di Cormac McCarthy, confermata ancora una volta da questo primo quadro del suo ultimo dittico, l’ha espressa di recente lo scrittore Luca Doninelli: ogni volta che lo leggiamo, ci rendiamo conto di quanto sia rattrappito, contratto il nostro mondo, e quanto siano esigue e ripetitive le parole per esprimerlo. Anche in questo splendido e corusco racconto sull’amore incestuoso, la schizofrenia, la transessualità, le scienze dure, le ricerche e il lavoro dei sommozzatori, a colpire è il lavoro dell’intelligenza richiesto al lettore per esporsi a sua volta alla precisione e intensità delle parole e dei gesti che McCarthy è capace anzitutto di guardare, a differenza nostra, e quindi di nominare, una fatica e un corpo a corpo con dialoghi e descrizioni che però costituiscono anche una delle più grandi-se non la più grande-ricompense sempre dell’autentica esperienza della lettura.
Cesare Pavese, Saggi sul Mito, La Noce d’Oro
Una meritoria raccolta di vari interventi di Pavese-dalle lettere sulle Georgiche alle risposte ai lettori, ai saggi- sull’esperienza fondamentale che precede e informa tutte le altre, e tutti i nostri tentativi espressivi, prima durante e dopo tutte le altre passioni, le opere e i giorni. Le nostre intuizioni e i nostri struggimenti più radicati e fondanti non si scoprono mai una prima volta, ma sono sempre già ricordati una seconda volta. Quel primo incontro impossibile a registrarsi e riscoperto sempre a posteriori è il cuore dell’esperienza mitica e in questo siamo tutti consorti, in qualunque latitudine. La poesia stessa, nei suoi trionfi e nella possibilità del suo incancrenirsi nella retorica e nell’eccesso di consapevolezza, nel tempio troppo adorno che mette in fuga il dio, non è che una conseguenza, un tentativo di esprimere questo stato dell’essere che la precede, questo fatto accaduto una volta per sempre. Con parole che ancora una volta hanno tutto il peso primigenio delle nuvole che assumono volti e facce, del pane, del vino, della forma di una certa collina, si torna a scomporre l’alfabeto immaginativo di tutti i nostri discorsi apparentemente più elaborati e spesso solo più fatui e distratti da quell’unum che è il fulcro inesprimibile dell’esperienza di ciascuno nell’essere al mondo.
Anne Carson, Eros Il dolceamaro, Utopia
Della poesia lirica greca ci restano perlopiù frammenti, colonne spezzate, fregi di cui si conserva il gesto di una mano o l’inclinazione di un viso, un ramo di melo che oscilla alla brezza, un amante scosso dalla febbre. Eppure è stato proprio in quel momento della storia della cultura che la parola scritta si è accompagnata a un modo diverso di percepire l’io stesso e i suoi sentimenti, uno sprofondamento determinato proprio dalla focalizzazione ed esclusione sensoriale innescata da quella operazione sempre “violenta” che è la lettura. La poeta Anne Carson con finezza e una capacità di auscultazione che va avanti e indietro nel tempo ed è capace di fondere le risorse della filologia coi riverberi delle immagini e intuizioni di Archiloco e Saffo in Dante o Woolf, percorre con ironia e al tempo stesso limpida, aguzza saggezza la tela di ragno che avvince le strategie, i paradossi, i vuoti e pieni delle nostre metafore espressive alle mani dell’anima e della mente che si protendono, acuiscono e dissolvono nel desiderio.
Vanni Santoni
Come al solito, prima di far nomi ulteriori o ridondanti, consiglio di dare un occhio alle ultime Classifiche di Qualità, e magari pure alle più recenti classifiche annuali di narrativa straniera, la cui top-10 è ricca di bei nomi e anche di testi meno noti che meritano moltissimo, come i romanzi di Drndić, Lockwood o Mallo. Ciò detto, in un contesto che guarda sempre e solo alle ultime novità, trovo che possa aver senso guardare ai romanzi davvero importanti usciti negli ultimi anni. “Vai, ora ricomincia con Cărtărescu, Gospodinov e Tokarczuk,” dirà qualcuno, e del resto se quel qualcuno non ha ancora letto quantomeno Abbacinante, Solenoide, Fisica della malinconia e Guida il tuo carro sulle ossa dei morti (mentre da Tokarczuk e da Bompiani si aspetta, ancora una volta, questo benedetto I libri di Jakob, che pareva non voler uscire mai, ma è infine fissato per il 6 settembre) faccio pure bene. Ma evitiamo le ripetizioni e andiamo, allora, sul “recupero” di un romanzo ancor oggi, almeno in Italia, meno noto dei succitati, ma decisivo per influenza su tutta la narrativa anglosassone, tant’è che in Scozia, in Irlanda e nel Regno Unito è pacifico considerarlo un classico moderno: consiglio dunque Lanark di Alasdair Grey, romanzo portato in Italia, in quattro volumetti, da Safarà, nella traduzione del bloomiano (nel senso di Leopold) Enrico Terrinoni. E auspico il volume unico, visto che sono passati sette anni dalla pubblicazione del primo, e sei dall’ultimo (che peraltro risulta oggi indisponibile, quantomeno sugli store online).
Andrea Zandomeneghi
Per l’estate quest’anno suggerisco tre libri dalla prosa preziosissima in cui sono presenti atti sodomitici posti in essere da personaggi che non possono agevolmente essere sussunti nella categoria – invenzione della medicina tedesca ottocentesca [cit De Martino] – dell’omosessualità.Non è che platonicamente come il cavallo è individuazione concreta della cavallinità allora l’omosessuale è individuazione concreta dell’omosessualità. Non esiste nulla di così monolitico, la realtà è un continuum che fluisce di per sé privo di categorie, queste esistono solo nella nostra mente che le costruisce e sono solo strumentali, sono utili nella pratica linguistica e in quella operativa, ma fare delle categorie una metafisica che informa il reale è la più grande bestemmia contro l’essere che conosco. La sodomia (come l’omoerotismo tutto) non è affatto monopolio esclusivo dei c.d. omosessuali o loro pratica riservata. Come va decostruita l’idea dell’eterosessualità, così va decostruita quella dell’omosessualità.
Controcorrente di Huysmans è la bibbia del decadentismo, una straordinaria collezione di sofisticatissime stramberie (pittoriche, bibliografiche, botaniche, olfattive, erotiche) volte a suonare la sensibilità esacerbata di Des Esseintes come fosse un pianoforte in modo tale che la sua vita – priva di scopi (e dunque di senso) che non siano laboriosi capricci barocchi destinati a essere esauriti in meno che non si dica – sia puramente estetica. Des Esseintes naturalmente ha una sessualità estenuata e impotente, prova dunque a condirla con varie spezie esotiche in cerca di brividi rivitalizzanti, particolarmente piccante è l’avventura con un adolescente che gli pare scappato di collegio: «mai egli aveva subito un più attirante e dispotico ascendente; mai aveva conosciuto simili rischi, mai s’era sentito più dolorosamente appagato». Sodomia come spezia per erotismi esausti.
Le vite immaginarie di Schwob è un testo straordinario nella sua vivacità e raffinatezza, si tratta di una raccolta di brevi vite di personaggi storici, da Empedocle e Pocahontas, una delle migliori è quella di Petronio che, dopo aver scritto il Satyricon, fugge dai palazzi e dalle eleganze e dalle mollezze per sperimentare ciò che ha scritto: quella libertà sfrenata e avventurosa di Ascito e Gitone e Encolpio nelle suburre dell’antichità. E così termina la sua vita battendo i bassifondi. Sodomia come depravazione che conduce alla libertà.
L’amore al fiume (e altri amori corti) di Sinigaglia è una raccolta di racconti di pregevolissima fattura, il primo dei quali (eponimo) inizia con una lunga scena omoerotica di altissimo livello, senza dubbio la migliore tra quelle degli ultimi anni, una scena che ha tutto: sensibilità testuale, ironia, realismo, classe, spavalderia, introspezione, istintualità, sensualità, seduzione, vergogna e animalità. Due bersaglieri di vent’anni fanno sesso («un eccezione» si dicono) sulla sponda d’un fiume e non può non venire in mente il Tondelli di Pao Pao, dove l’argomento è analogo, ma non c’è reale consumazione della carnalità, ogni cosa è sospesa dalla schietta innocenza postadolescenziale dell’autore che deraglia soprattutto con la lingua: veloce, giovane, neologistica, ritmata. E invece in Sinigaglia si respira una maturità artistica sorprendente e olimpica, una grande consapevolezza dei mezzi formali, una miscela di lingua classica e dicibilità cruda del reale che incanta ed eccita. Sodomia come pulsione animale preborghese.
Grazie. Finalmente dei consigli non convenzionali.
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