Cosa leggeva Dostoevskij?

I libri del grande scrittore russo, ma soprattutto il suo rapporto con la lettura dentro e fuori la colonia penale, ci insegnano molto sul sul suo incredibile rapporto con la letteratura.


In copertina: Mario Schifano, Sole – Serigrafia materica – Asta Arte Moderna e Contemporanea

Questo testo è tratto da La biblioteca di Dostoevskij, di Lucio Coco. Ringraziamo Olschki per la gentile concessione.


di Lucio Coco

Per tre mesi, da quando nella notte tra il 23 e il 24 aprile 1849 si erano aperte per lui le porte della fortezza dei Ss. Pietro e Paolo, dove era stato imprigionato per l’affaire Petraševskij, le letture di Dostoevskij erano state soltanto «i pellegrinaggi ai Luoghi Santi e le opere di S. Dmitrij di Rostov». Questi libri – scrive al fratello nella prima lettera che aveva potuto scambiare con lui, che porta la data del 18 luglio 1849 – lo avevano interessato molto, ma si trattava solo di «una goccia nel mare e di qualunque libro mi pare che sarei felice fino all’inverosimile». Due mesi dopo questa sete di libri la si può avvertire ancora in un’altra missiva, indirizzata sempre al fratello Michail, in cui lo ringrazia per i libri di Shakespeare e del romanzo Jane Eyre di Charlotte Bronte: «Sono mesi che io vivo soltanto dei miei propri mezzi, cioè della mia testa», perciò quei volumi, che «aveva riletto più volte» erano stati per lui «per lo meno una distrazione». E ancora nel poscritto della stessa: «Se procuri qualcosa da leggere mandamelo» (lettera del 14 settembre 1849).

Il 24 dicembre 1849 è il giorno della partenza per Tobol’sk in Siberia dopo che la condanna a morte gli era stata commutata ai lavori forzati a tempo indeterminato. Il 22 dicembre aveva scritto al fratello una lettera drammatica. Per il trasferimento gli veniva tolto tutto. L’unico libro che gli era permesso di tenere era la Bibbia. Pregava poi il fratello di incaricare qualcuno di venire a ritirare presso la prigione i suoi effetti personali, alcuni manoscritti, «il cappotto e un vecchio vestito». E prima del congedo, per un viaggio dal quale non sapeva se sarebbe tornato, ancora un pensiero per i libri. Questa volta era per dire al fratello di sincerarsi se l’esemplare delle Opere di Valerian Majkov fosse stato restituito alla sua legittima proprietaria la signora Evgenija Petrovna.

Dopo questa lettera seguono più di quattro anni di silenzio epistolare. Sono gli anni dei lavori forzati a Omsk. Il 22 febbraio 1854, quando riprendono i contatti con Michail Michailovič, Fedor fa un breve riassunto di quello che era accaduto dopo quel 22 dicembre 1849. Soprattuto il freddo durante il viaggio che avrebbe condotti i detenuti in Siberia («Nel governatorato di Perm una notte ci toccò di sopportare 40° sotto zero»). L’11 gennaio l’arrivo a Tolbol’sk, tappa intermedia, prima di giungere alla meta prefissata di Omsk, dove i condannati si fermarono per sei giorni. Nella lettera Dostoevskij accenna all’incontro con le mogli dei decabristi, dalle quali aveva ricevuto in dono una copia del Vangelo, che sarebbe stata la pressoché unica lettura durante i lavori forzati. Lo scrittore sarebbe tornato in diverse occasioni su questo episodio. Per esempio nel capitolo Gente di altri tempi del suo Primo diario di uno scrittore (1873) ne dà questa rappresentazione: 

Vedemmo queste grandi martiri, [le mogli dei decabristi] che avevano seguito volontariamente i loro mariti in Siberia. Esse avevano abbandonato tutto. […] Innocenti, per ben venticinque anni esse sopportarono tutto quello che sopportarono i loro mariti condannati. L’incontro durò un’ora. Esse ci benedissero sulla nostra nuova via e con un segno di croce regalarono a ognuno di noi un Vangelo, l’unico libro permesso nella prigione. Durante quattro anni esso rimase sotto il mio cuscino in galera. Lo leggevo qualche volta e lo leggevo agli altri. Su di esso insegnai a leggere a un forzato.

Del periodo di Omsk un’altra testimonianza importante sono le Memorie da una casa di morti, un libro-diario che racconta l’esperienza dei lavori forzati, pubblicato a puntate su «Vremja» tra il 1860 e il 1862. In questo volume così viene ricordato da Dostoevskij il Vangelo di Tobol’sk: 

Al momento del mio ingresso nella colonia penale avevo un po’ di soldi; a portata di mano con me ne avevo pochi, per timore che me li requisissero, ma per ogni evenienza avevo nascosto alcuni rubli, ovvero li avevo incollati nella rilegatura del Vangelo, che era possibile portarsi dietro in colonia penale. Questo libro, con i soldi incollati dentro, mi era stato regalato ancora a Tobol’sk da coloro che pativano anch’essi in deportazione e calcolavano ormai in decenni il tempo, e che in ogni disgraziato da un pezzo avevano imparato a vedere un fratello. 

Era stato questo l’unico testo in possesso di Dostoevskij durante la prigionia perciò, sempre nelle Memorie, lo scrittore fa questo racconto di quando, dopo tanto, gli capitò di fare una lettura: 

Erano già alcuni anni che non leggevo nemmeno un libro, ed è difficile rendere conto di quella strana e al tempo stesso eccitante impressione che produsse su di me il primo libro letto nella colonia penale. Ricordo che cominciai a leggerlo di sera, quando la baracca venne chiusa, e che lo lessi per tutta la notte, fino all’alba.

È questa un’altra testimonianza della stessa divorante passione che traspare nelle pagine dell’epistolario. Tornando alla lettera a Michail del 22 febbraio 1854, essa segna anche un momento di passaggio nella sua storia di deportato. L’indomani – annuncia al fratello – sarebbe dovuto partire per una nuova destinazione. Infatti la pena dei lavori forzati gli era stata commutata nel dover rendere servizio come soldato semplice vicino al confine con la Cina, nel 7° battaglione siberiano di stanza a Semipalatinsk. Egli evidentemente sentiva dentro di sé che gli anni bui erano terminati perciò prorompe in questo accorato sfogo con il fratello Michail: «Io ho bisogno di vivere, fratello. Questi anni non passeranno senza frutto». E poi subito si affretta ad aggiungere: «Io ho bisogno di denaro e di libri». Di nuovo il discorso torna sui libri, quasi per riprendere il filo di un discorso che si era interrotto quattro anni prima. Segue quindi un emozionante elogio dei libri e non solo per giustificare la richiesta di volumi che si apprestava a fare al familiare: 

I libri sono la vita, il mio nutrimento, il mio avvenire. […] Mandami il Corano, la Critica della Ragion pura e se potrai fare l’invio in qualche modo non ufficiale, mandami immancabilmente Hegel, specialmente la sua Storia della filosofia. A questi libri è legato il mio avvenire.

Alla fine della lettera ancora un poscritto, dove di nuovo si parla di libri: «Io credo che tu possa, se vuoi, mandarmi qualche cosa – libri per esempio, al nome di Michail Petrovič. […] Adesso scriverò romanzi e drammi, ma debbo leggere ancora molto».

Appena arrivato nella città kazaka subito si riaggancia alla lettera inviata a Michail un mese prima per rinnovargli la richiesta di quello che considerava il cibo per la sua anima ovvero i libri: 

Adesso chiedo libri. Mandamene, fratello. Le riviste non occorrono; mandami storici europei, economisti, i Padri della Chiesa, possibilmente autori antichi (Erodoto, Tucidide, Tacito, Plinio, Flavio, Plutarco, e Diodoro, etc.): sono tutti tradotti in francese. Infine il Corano e un lessico tedesco. Naturalmente non tutti insieme, ma appena puoi mandami anche la fisica di Pisarev e una qualsiasi fisiologia (anche in francese, se in russo è cara). Scegli le edizioni più economiche e più compatte. Non tutto insieme, ma un po’ alla volta. Anche per il poco che farai ti sarò grato. Cerca di capire come è necessario questo nutrimento spirituale (lettera a Michail del 27 marzo 1854).

Il 18 gennaio del 1856 sempre da Semipalatinsk scrive all’amico Apollon Majkov, figlio di quell’Evgenja Petrovna che animava i salotti culturali frequentati dagli intellettuali pietroburghesi. In questo caso egli si lamenta con il poeta perché, se da una parte nella nuova destinazione aveva potuto «cominciare a leggere di più», dall’altra deplora il fatto che in quel posto era difficile trovare materiale librario: «Dopo essere uscito, qui a Semipalatinsk, ho cominciato a leggere di più. Ma tuttavia libri non ce ne sono, nemmeno quelli necessari e il tempo passa. […] Quest’anno io non ho letto niente» (ad Apollon Majkov 18 gennaio 1856). Però non aveva dimenticato. Per lui prendere un libro in prestito significava dare la parola d’onore che lo avrebbe restituito. Perciò in un passaggio della missiva ha modo di dimostrare quanto ci tenesse ai libri quando chiede all’amico se il volume che gli avevano sequestrato quando era rinchiuso nella fortezza dei Ss. Pietro e Paolo, le Opere di Valerian Majkov, era stato poi restituito alla madre Evgenija Petrovna che ne era la legittima proprietaria. 

«I libri necessari» 

È probabile che al ritorno a San Pietroburgo (dicembre 1859) alcuni dei libri che si era procurato durante i dieci anni di carcere e di servizio militare sostitutivo avessero contribuito a formare il nucleo originario della biblioteca di Dostoevskij. Il Vangelo di Tobol’sk che lo avrebbe accompagnato fino all’ultimo momento della sua vita è certamente uno di questi. A giudicare dagli elenchi che aveva stilato la moglie Anna Grigor’evna anche il Salterio in lingua slava e il Corano in francese dovevano far parte di questa dotazione iniziale. Gli anni del rientro pietroburghese furono segnati da un grande impegno dello scrittore come romanziere, come pubblicista, come critico letterario e come redattore delle riviste «Vremja» (1861-1863) e «Ėpocha» (1864-1865). Ed è naturale che questo attivismo lo portasse a leggere e a cercare numerosi libri. Di queste ricerche rimane traccia nei conti che egli teneva aperti con le librerie di Aleksandr Fedorovič Bazunov e di Ivan Il’ič Glazunov presso le quali si serviva. Si tratta di diversi volumi tra cui quali risultano le opere di Konstantin Sergeevič Aksakov, i Quadri fisiologici Ludwig Büchner, la Storia della civilizzazione in Inghilterra di Buckle, le lezioni di fisica di Gano Adolf, i racconti fantastici di Hoffmann, i libri di August-Wilhelm Grube, La storia dello Stato russo di Nikolaj Karamzin, le opere storiche di Nikolaj Kostomarov, il lavoro sui vecchi credenti di Sergej Vasil’evič Maksimov, quello di Grigorij Vasil’evič Esipov sullo scisma russo, il volume sullo scisma russo dei vecchi credenti dello storico Afanasij Prokof ’evič Ščapov, la grammatica latina di Raphael Kühner, la Fisiologia della vita comune di George H. Lewes, gli scritti dell’arcivescovo Nikanor, il catechismo del metropolita Filarete, i testi dello scrittore ed economista Ivan Posoškov, e poi la Storia universale di F. Schlosser, le opere di Turgenev. Queste note spese di libri risultano ancora più interessanti perché molti di questi testi, appartenenti alla biblioteca di Dostoevskij della prima metà degli anni Sessanta, non si rinvengono nei cataloghi della biblioteca redatti successivamente. Diversi volumi, infatti, andarono perduti o furono soggetti a episodi di alienazione non sempre dipendenti dalla volontà del loro legittimo proprietario, come viene raccontato, per esempio, dalla moglie Anna Grigor’evna con riferimento a quanto accaduto al tempo del viaggio all’estero della coppia risalente agli anni 1867-1871. Nel suo libro di memorie Vospominanija la donna così descrive il comportamento di Pavel Isaiev, figlio di Marija Dmitrievna, la prima moglie dello scrittore: 

Alla nostra partenza Pavel pregò mio marito di lasciargli la biblioteca, affinché potesse usarla per ampliare la propria cultura e gli promise che l’avrebbe conservata intatta fino al suo ritorno; ma poi, avendo bisogno di denaro, vendette tutto a diversi librai. Ai rimproveri rispose con insolenze, affermando che il torto era nostro, perché non gli avevamo inviato puntualmente il denaro. La perdita della biblioteca addolorò molto Fedor Michajlovič, sia perché non aveva più la possibilità di riacquistarla, sia perché c’erano alcune opere rare o introvabili. 

Rientrato a San Pietroburgo Dostoevskij avvia la collaborazione alla rivista «Graždanin» e riprende a pieno regime in città l’attività di scrittore, saggista, recensore e critico. Anche il bisogno di libri aumenta a misura di questo forte impegno letterario. I suoi taccuini offrono una testimonianza certa di ciò. Per esempio in una annotazione del 21 giugno del 1872 si trova scritto: 

Libri necessari: 1. La storia dell’imperatore Alessandro I di M. Bogdanovič; 2. Il Grande Menaion del metropolita Macario (per ognuno dei cinque fascicoli usciti fino ad allora è segnato anche il prezzo); 3. La nobiltà in Russia di A. Romanovič-Slavatinskij; Russia e Serbia di Nil Popov.

In un appunto degli anni 1874-1875 c’è un elenco cospicuo di libri da leggere nella biblioteca di Ems, località termale dove andava a curare la malattia polmonare che lo affliggeva, tra cui figurano George Sand, Alexandre Dumas figlio, Pierre-Joseph Proudhon, Alfred de Musset, Gustave Flaubert e diversi altri, naturalmente, avverte, «se ci sarà tempo». Poi in una nota del 26 gennaio del 1876 è segnato l’acquisto di Contadini in Russia di Ivan Beljaev, a cui fa seguito il memento del mese di marzo con un lungo elenco di libri da prendere o acquistare tra cui risultano le opere di Tacito, Taine (Sull’intelligenza e la conoscenza), Lewes, Bogdanovič, Pypin, Polevoj, Sergej Solov’ev, Vladimir Solov’ev, Lassalle, Agostino (Le confessioni), Tommaso da Kempis, Zola, Vladislavev, Chomjakov, Jakuškin, Ramèl-Plon, Charpentier, Carlyle, Augustin Thierry, Prescott, Schlosser, Danilevskij, Saint-Beuve, Julian Schmidt. Tutti autori e titoli che è possibile trovare nel catalogo dei libri della sua biblioteca. 

È curiosa anche la circostanza per la quale Dostoevskij sul finire della vita abbia voluto stilare altri due elenchi di «libri necessari» che in parte si intersecano con quelli annotati sui suoi taccuini. Stavolta egli non scrive per sé ma pensa alle letture che dovrebbero svolgere i giovani. In una lettera del 18 agosto 1880 a Nikolaj Ozmidov gli suggerisce come letture per la figlia Walter Scott, Dickens, Don Chisciotte, Gil Blas e poi Puškin, Gogol’, Turgenev, Gončarov. Tra gli storici il tedesco Friedrich Schlosser e i russi Sergej Solov’ev, Karamzin e, in un secondo momento, Kostomarov. Segnalava come necessari La conquista del Perù e La conquista del Messico di Prescott, perché «in generale tutte le opere storiche hanno un enorme valore formativo». Per quanto riguarda gli altri autori, «Tolstoj doveva essere letto tutto» mentre per Shakespeare e Schiller si poteva fare riferimento anche a delle buone traduzioni in lingua russa. Quindi chiude la missiva dicendo di aver scritto «con cognizione e per esperienza». Queste letture si sovrappongono, con poche varianti, a quelle consigliate in una lettera del 19 dicembre 1880 a un altro corrispondente, Nikolaj Alexandrovič, che gli aveva chiesto dei consigli per il figlio. È interessante notare che siamo a un paio di mesi dalla morte dello scrittore quindi questa missiva può essere considerata come un piccolo testamento spirituale con oggetto proprio la lettura. Il primo consiglio che dà Dostoevskij è di «prendere e dare solo quello che produce buone impressioni e genera pensieri elevati». Segue un elenco che comprende, qualora il lettore abbia più di sedici anni, le opere di Žukovskij, Puškin, Lermontov, tra gli stranieri Schiller, Goethe, Shakespeare, e ancora «Tolstoj, soprattutto Lev Tolstoj (Gogol’, senza dubbio, bisogna leggerlo tutto). In una parola, tutti i classici russi». Per quanto riguarda la storia, le letture sono quelle di Sergej Solov’ev, Schlosser, Prescott e poi ancora i romanzi di Walter Scott e Dickens, mentre per la critica letteraria viene consigliato un autore come Belinskij. Infine il Vangelo, «soprattutto il Vangelo. Il Nuovo Testamento in traduzione. Se potesse leggerlo anche nell’originale (cioè nell’antico slavo ecclesiastico), sarebbe la cosa migliore di tutte. Il Vangelo e gli Atti degli Apostoli – sine qua non (ndr)». Dopo questi consigli la lettera si chiude con un riferimento alla «Rivendita di libri di F.M. Dostoevskij» nel caso avesse voluto acquistarli. Questa attività era stata aperta dalla moglie Anna Grigor’evna all’inizio del 1880 e consisteva nella vendita di libri per corrispondenza «esclusivamente per i non residenti». Alla morte dello scrittore (9 febbraio 1881) la libreria fu chiusa dalla vedova che non volle neppure che fosse rilevata da terzi perché non le stava bene che «sotto il nome di Fedor Michajlovič Dostoevskij la gestissero degli estranei». La Dostoevskaja, fedele al suo compito di venditrice, interviene nella lettera e scrive di suo pugno un «elenco di libri necessari per la biblioteca di un giovane» dove su una colonna mette i libri segnalati dal marito e sull’altra inserisce i prezzi dei volumi.

Mario Schifano, Sole – Serigrafia materica – Asta Arte Moderna e Contemporanea

Il destino della biblioteca 

Volendo dare una rappresentazione schematica della biblioteca di Dostoevskij secondo un ordine tematico, è possibile raggruppare il patrimonio del fondo librario in quattro sezioni così suddivise (tra parentesi è indicato il numero dei volumi): 1. Letteratura. Filologia. Storia della letteratura. Critica. Folklore (214); 2. Teologia. Filosofia. Storia (103); 3. Sociologia. Diritto. Scienze naturali. Medicina. Arte. Letteratura per ragazzi. Dizionari. Varie (140); 4. Libri e periodici in lingua straniera (92), per un totale di 549 libri. Anche se risulta essere poca cosa di fronte, per esempio, ai più di ventiduemila volumi della biblioteca di Tolstoj, si tratterebbe comunque di un lascito cospicuo, se non fosse che a noi oggi della biblioteca di Dostoevskij rimangono meno di una trentina di volumi (29 per l’esattezza), di altri diciassette restano solo alcune copertine, dei frontespizi, degli occhielli oppure dei fogli di sguardia conservatisi perché vi era una dedica o un pensiero dell’autore e del donatore, reperti questi che danno l’idea di uno smembramento e anche del trattamento violento che toccò in sorte alla biblioteca dello scrittore. 

I numeri indicati dimostrano come il vaglio della Storia sia stato nei confronti del patrimonio librario dostoevskiano altrettanto duro e severo di quanto lo sarebbero state in seguito le censure di regime o gli stessi roghi dei libri. Difficile è seguire il destino di questa biblioteca. Dopo la morte dello scrittore infatti (9 febbraio 1881 secondo il calendario gregoriano, il 28 gennaio secondo quello giuliano della Russia prerivoluzionaria) il libri di Fedor Destoevskij presero diverse vie. Come si può leggere nella prima lista di volumi redatta dalla vedova Anna Grigor’evna negli anni 1877-1900 e pubblicata da Leonid Petrovič Grossman nel 1919, una parte di essi, quelli dello «scaffale tra le finestre» (109 pubblicazioni tra opere Dostoevskij e letteratura critica che lo riguardava, testi di altri autori anche stranieri e periodici), «non è escluso che fossero destinati in dono alla scuola di Staraja Russa intitolata allo scrittore». Questa scuola venne aperta nel 1893 in quella che era stata la località di villeggiatura nell’oblast’ di Novgorod della famiglia dello scrittore a partire dal 1872. 

Sempre per volontà della vedova un’altra parte della biblioteca finì, nel 1891, decimo anniversario della morte dello scrittore, nella «Sezione Dostoevskij» del Museo statale di storia, che nel maggio del 1906 (venticinquesimo anniversario della morte dello scrittore) assunse la denominazione di «Museo alla memoria di Dostoevskij». Dopo la sua chiusura nel 1929, la parte dei manoscritti confluì nel Fondo manoscritti della Biblioteca di Stato russa (ex Biblioteca Lenin), mentre la parte relativa ai materiali figurativi e ai libri andò ad arricchire la Casa Museo di Dostoevskij alla Božedomka (quella che era stata la dimora della sua infanzia), aperta nel 1928 e dal 1940 diventata una sezione del Museo statale della Letteratura di Mosca. In questi passaggi però inevitabilmente qualcosa andò perduto. Ne è testimonianza, per esempio, il fatto che alcuni libri, donati dalla Dostoevskaja al Museo alla memoria del marito e presenti nell’Indice bibliografico, sono stati rinvenuti nella Biblioteca storica di Mosca. In altri casi la diaspora dei libri è stata ancora più marcata e ogni tanto qualche loro traccia riemerge in luoghi ben lontani da Mosca e San Pietroburgo. È il caso per esempio del ‘riaffioramento’ negli archivi dell’Istituto di letteratura di Kiev dei frontespizi del De coelo et ejus mirabilibus et de inferno ex auditis et visis di Emanuel Swedenborg nella versione russa di Aleksandr Aksakov (Leipzig, 1863) dove appare la dedica dello stesso traduttore, oppure della copertina con dedica del curatore (Nikolaus Gerbel’, San Pietroburgo, 1880) e di altri materiali ‘strappati’ sempre rinvenuti nella capitale ucraina. 

In altre circostanze, invece e per fortuna, è il caso di un semplice ‘trasferimento’, come è accaduto al prezioso Vangelo di Tobol’sk che nel 1939 passò dalla Casa Museo al Fondo manoscritti della Biblioteca di Stato russa. È questo un libro che aveva accompagnato Dostoevskij per tutta la sua esistenza. Si tratta infatti del ‘Nuovo Testamento’ nella versione russa del 1823 che gli era stato donato dalla moglie del decabrista Armenkov a Tobol’sk verso la metà del gennaio del 1850 quando lo scrittore era in procinto di partire per la Siberia per scontare con i lavori forzati la pena per crimini contro lo Stato che in un primo momento gli era costata la condanna a morte. Nelle sue ultime ore di vita del 9 febbraio 1881 (28 gennaio del calendario giuliano), come racconta la moglie Anna Grigor’evna, lo scrittore, che era gravemente ammalato, aveva degli sbocchi di sangue e sentiva che la fine era prossima, le chiese di aprire a caso una pagina di quel libro e di leggergli un passo. La donna così ricorda quel momento: «Aprii il Vangelo di Matteo al capitolo terzo [vv. 14-15]: “Ma Giovanni lo trattenne e disse: io devo essere battezzato da te e non tu da me. Ma Gesù gli rispose: “Non trattenermi…”». L’interpretazione che ne trasse lo scrittore fu negativa e la moglie la riporta così: «“Senti, Anja: ‘Non trattenermi’ vuol dire che devo morire”, disse mio marito, e chiuse il libro». Queste di Dostoevskij sono parole che hanno il sapore di un vero e proprio testamento spirituale. L’importanza decisiva dell’ora è sottolineata anche dalla moglie la quale proprio su quella pagina di Vangelo aveva voluto lasciare questo appunto con riferimento ai due citati versetti di Matteo: «aperti e letti da me su richiesta di Fedor nel giorno della sua morte, alle 3».

Ricorda ancora la moglie che durante i quattro anni di lavori forzati «Fedor Michajlovič non si separò mai dal Vangelo» e che «in seguito, quel libro si trovò sempre sul suo tavolo, e quando aveva qualche dubbio, lui apriva il Vangelo e leggeva le righe che gli cadevano sotto gli occhi». Perciò anche quel 9 febbraio, seguendo un’abitudine consolidata, volle accostarsi a quel «sacro libro» che lo accompagnava da più di trent’anni e sul quale durante la vita, a partire dai lontani tempi della prigione, aveva lasciato tanti segni della sua attenzione, dalle sottolineature a matita, alle tracce d’inchiostro, dalle pieghe agli angoli delle pagine ai graffiti lasciati sui fogli dalla penna secca oppure, quando proprio mancava tutto, soltanto dalle unghie.

Nel racconto degli ultimi momenti di vita di Dostoesvkij fatto da Anna Grigor’evna il Vangelo di Tobol’sk torna anche un’altra volta in un riferimento puntuale. Infatti due ore prima della morte lo scrittore volle che i figli venissero attorno al suo letto e disse espressamente alla moglie di «consegnare il suo Vangelo a Fedja (il terzo figlio nato dal matrimonio con Anna Grigor’evna)». Quella sera stessa, «alle otto e trentotto, il mio amatissimo marito spirò», annota con dolore la donna. Dopo la morte dello scrittore la sorte del libro fu inevitabilmente legata alle vicende della famiglia. Per volontà di Dostoevskij il volume doveva tenersi in casa ed essere trasmesso di generazione in generazione in linea maschile. In seguito il Vangelo passò nella Casa-museo dello scrittore aperto nel 1928 a Mosca in quella che era stata la casa della sua infanzia alla Božedomka, per essere successivamente trasferito (dal 1939) nel Fondo manoscritti della Biblioteca di Stato russa (ex Biblioteca Lenin) dove oggi è conservato come una preziosa reliquia della vicenda umana e spirituale di Dostoevskij, che uno strappo sulla sua rilegatura lascia chiaramente trasparire. Infatti in quella lacerazione del ‘Vangelo del carcere’ lo scrittore nascondeva i pochi rubli che aveva, facendone in questo modo un piccolo scrigno dove riporre insieme a quel povero gruzzolo anche il tesoro del suo cuore inquieto.


Lucio Coco è curatore di importanti edizioni di testi dei Padri della Chiesa quali Giovanni Crisostomo, Evagrio Pontico, Gregorio di Nazianzo e Gregorio di Nissa. Si è inoltre interessato alla storia della spiritualità cristiana, approfondendo quella russa, nel cui ambito ha curato la prima edizione del Meterikon nella versio russica di Feofan Zatvornik (Mondadori) e dedicando particolare attenzione al fenomeno dello jurodstvo nella sua declinazione femminile con l’edizione delle Sante stolte della Chiesa russa (Città Nuova). Per i tipi di Olschki sono sue diverse prime edizioni di testi letterari bizantini, come gli Erotopaignia, le Sentenze Morali e l’epistola sulla Formazione del principe di Fozio, l’Elogio del cane dell’umanista Teodoro Gaza e l’Elogio del vino di Michele Psello.

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