L’influenza del fumetto giapponese in occidente ha radici profonde, e per capirla sul serio tocca fare un significativo salto nel passato. Ma ne vale la pena, solo così ci si fa un’idea della dimensione del fenomeno.
In copertina un’opera di Osamu Tezuka
di Marco Milone
Nel 1947 veniva pubblicato “Shin Takarajima” (La nuova isola del tesoro) di Osamu Tezuka, un’opera che ancora oggi viene ricordata come la nascita del moderno manga. Il volume venderà rapidamente oltre 400 mila copie, una quantità impressionante in un paese che si sta ancora riprendendo dalla devastazione della seconda guerra mondiale. Tezuka aveva sviluppato l’uso di un “sistema di rappresentazione” simile a un anime e il suo modo di impostare la gabbia e la duttilità del tratto conferiscono una “visione cinematografica” che ancora oggi è alla base del successo mondiale del manga, o della sua elevazione artistico culturale come prodotto grafico e d’intrattenimento. Tuttavia, sebbene le tecniche di narrazione cinematografica di Tezuka abbiano avviato l’intero genere, vi sono altre influenze che hanno permesso lo sviluppo di questa letteratura illustrata.
Per comprendere la storia del manga dobbiamo quindi fare un salto a ritroso sino al VI-VII secolo, ovvero al sorgere degli emaki, un’opera di narrativa illustrata e orizzontale che, unendo testo e immagini su un rotolo orizzontale, mostrano una successione di eventi, dando modo al pubblico di non doversi limitare alla visione di una singola tavola (come quando ci fermiamo a contemplare un quadro), ma di srotolare la striscia osservando man mano la cronologia narrativa.
Il testo intercalato potrebbe rendere l’emaki un probabile antenato dei moderni manga, ma la questione è più ampia e complessa, in quanto l’emaki rappresenta il primo tentativo di scandire il tempo del racconto attraverso la successione cronologica degli eventi: scene d’azione ininterrotte sembrano apparire e scomparire al ritmo soggettivo del lettore che si ritrova come a interpretare il tempo di una partitura musicale.
Negli emaki l’equilibrio tra testo e immagini varia notevolmente da un’opera all’altra, adattandosi alle dimensioni e al ritmo della narrazione, come se l’autore disponesse di “una sintassi del movimento e del tempo”. Gli emaki presentano transizioni più ambigue, perché ogni lettore può seguire una parte del dipinto in modo più o meno ampio e rapido. In assenza di una chiara separazione tra le scene, per mantenere una coerenza narrativa la modalità di lettura viene suggerita nei dipinti in due modi: esaltando la separazione attraverso elementi decorativi o tramite la presenza di figure o la disposizione degli oggetti. Dovremo dunque attendere l’XI-XII secolo per incontrare il primo proto-manga.
In particolare, nel Chōjū-jinbutsu-giga, tradotto come “caricatura di uomini e animali” e attribuito al monaco Sojo Toba, assistiamo alla parodia della società giapponese: il Choju giga avvia la narrazione mostrando dei conigli e delle scimmie antropomorfe in procinto di farsi un bagno prima di un’importante cerimonia funebre, mentre altri animali sullo sfondo giocano o fanno la lotta. In questa insolita rappresentazione, con un gesto molto libero e innovativo, l’autore rivela grande sensibilità per la caricatura, la satira e l’osservazione del mondo animale.
-->Incuriosisce peraltro come l’emaki si sviluppi nell’XI secolo, e quindi quasi in parallelo all’arazzo di Bayeux, come se un inconscio collettivo abbia portato a un’evoluzione dell’arte sequenziale, che in Occidente sembra comporsi di meno sequenze, delineate in modo più definito nel singolo riquadro, e di una narrazione più breve, caratteristica,ben riscontrabile ancora in un precursore del fumetto come William Hogart. Sempre in tale ottica è interessante come la grande diffusione dell’arte giapponese in occidente, ovvero tra 1850 e 1870, sia di poco successiva all’operato di Rodolphe Toppfer, che nella prima metà dell’Ottocento realizza già opere dotate di una certa ricchezza di vignette in proporzione alla storia da rappresentare.
Sarà proprio durante il periodo Edo che assistiamo a un avvicinamento tecnico e stilistico della rappresentazione giapponese a quella dei manga moderni, come pure all’influenza dell’arte giapponese sugli artisti occidentali. Non solo artisti come Van Gogh, Monet e Lautrec rimansero affascinanti dall’arte di maestri giapponesi quali Hokusai, Hiroshige e Utamaro, ma riscontriamo tracce di questa influenza pure nell’Art Nouveau e nelle opere di artisti che concentreranno la loro attività nei manifesti pubblicitari.
Gli artisti occidentali scopriranno l’ukiyo-e nel 1856, quando l’incisore francese Braquemond avrà casualmente accesso a un volume “manga” usato come imballaggio per delle ceramiche provenienti dal Giappone e lo diffuse tra i suoi amici. Ma il manga, durante il periodo degli impressionisti e post, non era ancora quel fenomeno editoriale che tutti noi conosciamo, ma una semplice raccolta di migliaia di immagini realizzate attraverso la xilografia per gli allievi del maestro e per i suoi futuri lavori. Gli schizzi sparsi di Hokusai, successivamente noti col nome “Hokusai Manga” raccoglievano centinaia di immagini rappresentanti una miriade di soggetti differenti: dall’uomo agli animali, passando per i paesaggi.
Oltre alle stampe ukiyo-e, non bisogna trascurare lo sviluppo di altri linguaggi artistici tra cui il teatro Kabuki e le pubblicazioni e-hon, che influenzarono, in modo indiretto, la formazione e lo sviluppo del fumetto moderno: se il teatro Kabuki enfatizzerà l’utilizzo di una comunicazione non verbale per esternare sentimenti e emozioni, le pubblicazioni e-hon, creeranno un vero e proprio modello di mercato editoriale.
Il fumetto giapponese prese forma come fenomeno editoriale grazie all’intervento di artisti Occidentali come Charles Wirgmann e George Bigot, che, dopo la convenzione di Kanagawa, si diressero in Giappone per fondare piccole testate giornalistiche, contribuendo attivamente alla formazione del fumetto e dell’editoria giapponese. Sulle forme delineate da queste due figure, altri artisti giapponesi decisero di sfruttare il momento per perfezionare la propria tecnica, come nel caso di Kitazawa Rakuten o di Okamoto Ippei , uno dei primi autori a sperimentare lo storymanga.
Nel periodo Taishō sorse infatti il “movimento dei nuovi rappresentanti progressisti del manga”, cui aderirono numerosi mangaka del tempo. Nel 1912 Ippei raggiunse la notorietà realizzando una serie di caricature politiche per il quotidiano “Asahi”, per le quali si guadagnò l’epiteto di “manga kisha”, ovvero “giornalista di manga”.
Apprendista sotto la guida rigorosa del maestro Ukiyo-e Inoue Shunzui, studiò l’arte occidentale e, grazie alle riviste importate dagli occupanti americani, scoprì il fascino dei primi comics, che iniziò ben presto a imitare, realizzando qualcosa di simile ma destinato più specificatamente ai gusti del pubblico giapponese, ovvero una serie di caricature corredate da brevi commenti in più lingue.
Diversamente dallo stile di Rakuten, più realistico, Ippei preferiva caricature dalle fisionomie semplici, e introdusse una ripartizione di pagina a sei vignette, innovazione per la quale è spesso considerato il pioniere del fumetto nipponico. All’apice della carriera, Ippei disegnò un particolare gioco dell’oca, dove ogni immagine rappresenta un piccolo rebus che i giocatori devono ingegnarsi a risolvere.
Tutta questa disamina sullo sviluppo storico delle arti che influenzarono il manga ci aiuta a comprendere come, a differenza dei fumetti occidentali, i mangaka enfatizzano una narrazione in cui le immagini siano capaci di comunicare con immediatezza, prediligendo quindi una bassa percentuale di parti scritte.
I manga sono particolarmente iconici, quasi a ricalcare la lingua scritta giapponese, che si basa sulla continua associazione tra una data immagine, chiamata ideogramma, e un dato significato – tant’è che per rappresentare graficamente le emozioni dei personaggi prima se ne illustra la forma (tipiche rappresentazioni sono le goccioline di stupore sul volto o le stelle che rappresentano il dolore), che poi vengono ricalcate uniformemente per tutto il corso dell’opera.
Gli stessi occhi grandi, introdotti da Tezuka come omaggio a Bambi, non sono altro che un’icona per aumentare ulteriormente l’empatia con il personaggio. E similmente nei fumetti giapponesi, non sempre si mostra il paesaggio o il luogo in cui si trova il protagonista, consentendo al lettore di focalizzarsi maggiormente sul personaggio e sulla sua espressione. I sentimenti quindi non solo possono essere rappresentati tramite icone applicate sopra o vicino al personaggio, ma venire proiettati direttamente sullo sfondo.
E se l’arte ha influenzato la rappresentazione iconica del manga, oggi assistiamo alla continua influenza tra il fumetto e la pop art, verso una rappresentazione identitaria della nuova società giapponese, fatta di otaku, cose kawaii, immagini colorate e tradizioni modernizzate.
Consigli di lettura
ANTOCCIA L.(2015) – Arte e cinema: le fonti pittoriche di Hayao Miyazaki, Art e Dossier.
ARNALDI, V. (2015) – Manga art. Viaggio nell’iper-pop contemporaneo, Lit Srl, 2015.
BERNDT J. (2014) – “Manga Studies #1”, in Comics Forum.
BOUISSOU J. M. (2011) – Il manga. Storia e universi del fumetto giapponese, Latina, Tunuè.
DE GONCOURT E. (2013) – Hokusai: il pittore del mondo fluttuante, Firenze, Luni Editrice.
Hokusai, Hiroshige, Utamaro. (2016) – Ediz. Illustrata. Skira,.
KOYAMA R. B. (2007) – Mille anni di manga, Milano, RCS Libri.
MC CLOUD S. (1994) – Understanding Comics, Avon A Editore.
Milone M (2020) – Per un introduzione sugli emaki, Mimesis edizioni.
Milone M (2022) – Ukiyo-e, L’erudita.
MORENA F. (2010) – Hokusai Art e Dossier, Firenze, Giunti Editore.
MURASE M. (1996) – L’arte del Giappone, Tea Editore.
marco milone, poeta, scrittore (Fumetto, Per un introduzione sugli emaki) e produttore cinematografico (Revengeance, La mafia non è più quella di una volta). Ha tenuto seminari e laboratori al Conservatorio Bellini, all’Università degli Studi di Palermo e in vari festival, sia come critico cinematografico sia come iamatologo. Inoltre, si interessa di management dell’innovazione: è direttore amministrativo della piattaforma The Nemesis ed è membro del consiglio di amministrazione di Freedom Waves e di Undo Studios.
Gli artisti occidentali scopriranno l’ukiyo-e nel 1856, quando l’incisore francese Braquemond avrà casualmente accesso a un volume “manga” usato come imballaggio per delle ceramiche provenienti dal Giappone e lo diffondesse* tra i suoi amici.
*diffuse
Corretto, grazie!