Il concetto di “tecnosfera” è stato utilizzato per spiegare il complesso rapporto fra uomo e ambiente: si tratta di un sistema che si aggiunge e interagisce con la Terra e che racchiude i processi tecnologici in un’unica sfera. Secondo Jurgen Renn però questo concetto va sostituito con quello di “ergosfera”, che sottolinea il ruolo trasformativo dell’umanità sull’ambiente. A differenza della tecnosfera, è un processo aperto, che può essere modificato dall’uomo.
In copertina: Vincenzo Agnetti, Crisi del linguaggio, ironia e contaminazione dei significati, 1972, Asta Pananti in corso
Di Sophia Grew e Lorenzo Carta
Sepolto fra le rocce
Sulla città congolese di Lubumbashi sorge una bassa collina. Un bambino spinge in salita il vecchio cerchione di un’automobile, le sopracciglia corrugate per la concentrazione e il respiro affannoso per la fatica. Piedi affondano nella terra, sollevano polvere e si inerpicano sulla salita. Quando arriva in cima, si inginocchia e s’infila dentro il copertone, rannicchiato, e inizia a scendere rotolando. Nei fotogrammi catturati dall’artista belga Francis Alys, i compagni di gioco inseguono la ruota sulla collina che digrada, mentre la polvere si alza tutt’intorno.
L’altura che si erge ai piedi dei bambini è un cumulo delle scorie prodotte dalla miniera di Etoile. Giace all’interno della regione del Copperbelt, una fascia di territorio incastonata tra lo Zambia e la Repubblica Democratica del Congo. Qui, dentro alle rocce si annidano grandi quantità di rame, che hanno attirato commercianti da molti angoli del pianeta. Ma, soprattutto, alcune pietre blu nascondono qualcosa di ancora più prezioso: il cobalto. Mentre i giacimenti di rame si trovano in zone che spaziano dal Sud America all’Australia e alla Russia, il cobalto sembra accumularsi soprattutto nella Repubblica Democratica del Congo. Il paese centroafricano possiede circa il 50 percento dei depositi noti ed è responsabile del 72 percento di tutta la produzione mondiale. Da tempo immemore nel suolo della regione giacciono minerali di rame e cobalto: risalgono a un periodo di orogenesi che avvenne fra 610 e 470 milioni di anni fa.
Oggi, questo cobalto di origini antichissime è essenziale per fabbricare oggetti di uso comune. Si trova nelle batterie al litio, quelle dei cellulari, dei tablet, delle auto elettriche; nelle leghe del nichel; è usato come catalizzatore nelle industrie chimiche e petrolifere e come essiccante all’interno delle vernici. La richiesta globale di questo elemento naturale sta crescendo e, con l’aumento della produzione di veicoli elettrici, nei prossimi anni probabilmente esploderà. A estrarre i minerali sono sia minatori artigianali sia imprese straniere, ma l’estrazione del cobalto è legata al lavoro minorile, ai danni ambientali, alla corruzione – problemi che rischiano di aggravarsi con l’aumento della richiesta globale. Nelle miniere del Congo lavorano 40 mila bambini dai sei anni in su; scavano a mani nude o con l’ausilio di piccole vanghe, alla ricerca dell’heterogenite, la pietra che racchiude il cobalto. Inoltre, per portare allo scoperto questi minerali è necessario abbattere alberi e costruire strade con colate di cemento, e le estrazioni causano l’emissione di enormi quantità di anidride carbonica e ossidi di azoto.
Istigate dalle insaziabili esigenze del mercato globale e nel contempo legate indissolubilmente al mondo naturale, fatto di suolo, rocce, radici, le miniere sono uno degli esempi più lampanti della tecnosfera, un nuovo sistema che assieme alle altre sfere naturali – litosfera, biosfera, atmosfera – plasma la Terra. L’esistenza delle miniere, infatti, presuppone un intreccio tra tecnologie industriali, sistemi di conoscenza e rapporti di potere che, interagendo fra loro, operano allo stesso livello degli altri processi naturali. Nel caso del Congo, il paesaggio della regione del Katanga nell’ultimo secolo è stato radicalmente trasformato dalle attività minerarie a una velocità senza precedenti. Quegli stessi minerali hanno resistito più o meno inalterati per circa 500 milioni di anni, finché, in un breve lasso di tempo, l’azione congiunta di generazioni di uomini ha cambiato per sempre il volto di questa zona.
Agli antichi strati geologici di roccia e sabbia gli esseri umani hanno aggiunto prodotti tecnologici, bottiglie di plastica, opere d’arte, città. In questo modo, hanno creato la tecnosfera, un agglomerato di strutture e sistemi di cui fa parte anche l’umanità stessa e che interagisce con l’ambiente naturale, modificandolo. Secondo Peter Haff, sostenitore di questo concetto, la tecnosfera è stata generata dagli esseri umani, ma oggi li tiene completamente in ostaggio. “Molte persone pensano che noi controlliamo la tecnologia,” ha detto, “ma no, in realtà siamo come una molecola in un’onda. Veniamo trascinati”. Il sistema va avanti da solo, senza alcun riguardo per le questioni umane. Fa quel che deve fare per sopravvivere, agisce nel proprio interesse. Agli esseri umani serve la tecnosfera, ma essa è indifferente al nostro destino, perché le basta che l’umanità intera contribuisca al suo sostentamento.
Questa visione lascia ben poco spazio alla volontà umana e al tentativo di dare una direzione ai processi tecnologici. L’essere umano, quindi, perde la propria centralità non solo rispetto al mondo naturale, ma anche rispetto alla realtà che egli stesso ha creato. Prendiamo l’esempio del cobalto: nella visione di Haff sarà un’impresa ardua, se non del tutto impossibile, riuscire a migliorare le condizioni dei lavoratori, a mitigare gli effetti sull’ambiente e a cambiare gli esistenti rapporti neocoloniali. A meno che questi cambiamenti non siano funzionali alle dinamiche della tecnosfera.
L’impatto delle attività umane sulla vita biologica, geologica e atmosferica del pianeta Terra è innegabile, ma non tutti concordano sul potere che l’uomo ha di agire in questo contesto. Jurgen Renn, storico della scienza e direttore del Max Planck Institute for the History of Science di Berlino, ha rielaborato la tesi della tecnosfera, proponendo un nuovo concetto, quello di “ergosfera”. Una sfera del lavoro, dal greco “érgon”. Gli esseri umani hanno sì creato un nuovo dominio sulla terra, diverso dalla litosfera, dall’idrosfera, dall’atmosfera e dalla biosfera. Ma questo sistema è il prodotto del potere trasformativo del lavoro umano e gli esseri umani possono, almeno in teoria, arrivare a comprendere la logica mediante la quale sono coinvolti nei processi planetari del sistema Terra. Con le giuste strutture socio-politiche, con la giusta conoscenza, gli esseri umani potrebbero influenzare la tecnosfera. Ma, per capire come, sarà necessario sviluppare nuove discipline, integrare i sistemi di conoscenza esistenti, mettere in relazione la storia naturale del pianeta con la storia degli esseri umani.
-->Storia della tecnosfera
Recentemente, il termine tecnosfera è divenuto quasi d’uso comune, forse nello sforzo di dar senso alla complessità del tempo in cui viviamo. Questa parola, così densa di connotati e di metafore, ha origine prima della nascita dei telefoni cellulari, prima dei walkman e della diffusione di internet. All’inizio degli anni Sessanta del secolo scorso, Wil Lepkowski, autore esperto di scienza e tecnologia, già considerava l’uomo prigioniero della tecnosfera e alla fine del decennio Max Nicholson e Julian Huxley, membri fondatori del WWF, scrissero un articolo in cui sostennero la necessità di trovare un bilanciamento fra la preservazione della biosfera e la tecnosfera in ascesa. Misero nero su bianco il legame indissolubile fra le questioni ambientali e l’esistenza di un potente aggregato di tecnologie, talmente pervasivo da costituire qualcosa di paragonabile a una sfera geologica. Così, negli anni Settanta anche Friedrich Rapp sostenne che la tecnosfera stava acquistando potere e influenzando sempre di più le condizioni del pianeta naturale. Il termine è circolato per decenni in maniera informale, finché, di recente, Peter Haff ha voluto darne una definizione più precisa, in continuità con gli immaginari precedenti e le vecchie argomentazioni.
Come alcuni studiosi precedenti, anche Haff ritiene che la tecnosfera sia un fenomeno moderno: gli esseri umani hanno vissuto per lungo tempo senza questa sovrastruttura, poiché avevano controllo sulle tecnologie che inventavano e utilizzavano. La ruota, la scrittura, i numeri erano strumenti soggiogati al dominio dell’uomo. Negli ultimi due secoli, però, le nostre creazioni si sono fatte sempre più potenti e indipendenti. Con l’ascesa di tecnologie su larga scala, come la comunicazione quasi istantanea o la produzione e il trasporto di materie prime in tutto il globo, hanno iniziato a sfuggire al controllo umano. “Anche se gli esseri umani erano i progenitori della tecnologia, abbiamo a tutti gli effetti perso il controllo, come il dottor Frankenstein. Non solo la nostra creatura ha fatto valere la sua autonomia, ma ora brandisce anche il suo potere contro di noi” – così Otter riassume la visione che è emersa dai teorici della tecnosfera nel corso della storia. La tecnosfera, dunque, emerge come una entità dotata di struttura propria e di autonomia, che esiste a una scala ben più grande di quella umana e coinvolge l’intero pianeta. Basta pensare all’industria del cobalto; dalla sua estrazione alla sua trasformazione nelle batterie delle auto elettriche, il processo è indipendente dal volere dei singoli lavoratori, dei governi e delle aziende coinvolte.
Negli ultimi decenni l’impatto delle azioni umane sull’ambiente naturale è emerso come una preoccupazione sempre più diffusa e, in virtù di questa consapevolezza e della crescente importanza di questa questione, la tecnosfera di Haff rappresenta un vero e proprio stadio dell’evoluzione geologica della Terra. È un sistema globale che nutre e sostiene l’Antropocene – la nuova epoca geologica in cui gli esseri umani hanno saputo imporsi come forza in grado di modificare il pianeta, lasciando sulle rocce tracce indelebili del loro passaggio. Secondo Haff, però, anche il concetto di Antropocene è intrinsecamente antropocentrico: l’uomo identifica sé stesso come principale agente e fautore dei danni al pianeta, dimenticando che nel mondo esistono forze più grandi, come quelle della tecnosfera, che seguono principi e inseguono obiettivi diversi da quelli umani.
E allora, sostiene il professore della Duke University, se vogliamo affrontare problemi di scala globale come la crisi climatica o i rischi posti dall’utilizzo dei droni armati, è fondamentale che iniziamo a riconoscere l’enorme potere e l’autonomia posseduti dalla tecnosfera. Dobbiamo dimenticare la nostra prospettiva antropocentrica, uscire da quella che Haff chiama “illusione dell’Antropocene”, perché dai nostri artefatti è emersa una nuova forza geologica, che non possiamo più plasmare e controllare a nostro piacimento. Per questo, Haff ha delineato alcune regole che descrivono il comportamento della tecnosfera; ciò che emerge è che le sue componenti maggiori non sono in grado di influenzare l’operato umano, se non in maniera indiretta, proprio come gli esseri umani non possono cambiare il comportamento dei grandi sistemi tecnologici. Gli uni vivono su un piano del tutto diverso dagli altri, al punto che solo di rado s’incontrano. In compenso, però, la maggior parte degli esseri umani si trova a compiere azioni che nutrono il metabolismo della tecnosfera, ed essa, in cambio, deve offrire alla nostra specie un ambiente funzionale alla sopravvivenza.
I limiti della tecnosfera
Il sistema della tecnosfera è descritto da Haff soltanto prendendo in considerazione il suo comportamento collettivo e le sue propensioni macroscopiche, seguendo un metodo della fisica statistica, chiamato coarse-grain perspective. Allo stesso modo, per esempio, il traffico di una strada potrebbe essere rappresentato solo dalla densità delle automobili, e non dal comportamento delle singole macchine. Ma se, come fa Haff, si descrive l’insieme di tutte le tecnologie come un unico sistema che obbedisce a particolari regole, gli esseri umani rimangono delle piccole componenti pressoché inermi, schiacciate da qualcosa di più grande. La nostra specie, così, perde controllo e intenzionalità, si trova bloccata, senza via d’uscita. Christopher Otter, che insegna alla Ohio State University e si occupa, fra le altre cose, di storia della tecnologia, è fra coloro che sostengono che è necessario pensare alla tecnosfera in maniera leggermente diversa. Non va considerata come un’entità autonoma che funziona al di là degli input umani, ma piuttosto è il luogo in cui culminano millenni di rapporti di potere e di relazioni sociali fra esseri umani. Il professore ha identificato due criticità nella teoria di Haff.
Da un lato, vi è la questione della scala. Haff considera la tecnosfera un problema globale, che riguarda la Terra nella sua interezza. Invece, Otter – insieme a studiosi come Christoph Rosol e Jurgen Renn – sostiene che la tecnosfera esiste su diversi livelli e scale: è certamente un fenomeno planetario, ma questo non la rende meno presente e pervasiva nella vita quotidiana degli esseri umani. Ogni giorno interagiamo coi prodotti della tecnologia, con le forchette, le automobili e i computer, ma anche con gli ecosistemi agroalimentari e i cambiamenti climatici. La tecnosfera non è sospesa sopra di noi, irraggiungibile e intangibile, ma è in mezzo a noi, sovrapposta e interposta alle altre sfere della nostra esistenza.
D’altro canto, Otter identifica anche un problema di gerarchia. Se consideriamo la tecnosfera qualcosa di altro rispetto alle società umane, un’entità collocata su una sfera dell’esistenza a noi inaccessibile, ammettiamo che essa eserciti su di noi un potere irresistibile. In realtà, sostiene Otter, rifacendosi anche al pensiero di Bruno Latour, i sistemi tecnologici hanno radici e connessioni profonde nelle società umane. La tecnosfera, dunque, non è inaccessibile agli individui. Il punto è che non tutti gli individui hanno lo stesso potere di comprendere la tecnosfera e di interagire con essa. Le tecnologie, fin dagli albori, sono utilizzate per creare e mantenere asimmetrie di potere. “Queste diseguaglianze sono visibili in tutti i livelli della tecnosfera. Utensili e dispositivi nella storia furono usati per costringere e legare: la schiavitù, per esempio, non avrebbe potuto funzionare senza manette, catene, fruste e armi” scrive Otter. E se gli oggetti della tecnosfera sono ideati soprattutto da coloro che hanno il potere, che intendono servirsene per mantenere il proprio potere, l’arduo lavoro della produzione di tali artefatti è riservato agli schiavi, ai più poveri, agli ultimi. Come afferma Otter, “nessun pezzo di quarzo si è trasformato da solo in una spada; nessuna pila di pietre si è auto-organizzata in una casa”.
Così, gli abitanti del Copperbelt iniziano a scavare alla ricerca del cobalto, sperando di trovare una via di fuga dalla povertà, ma invece cadono in una trappola, che impedisce loro di praticare qualsiasi altro mestiere o di investire in qualsiasi altro stile di vita, mentre il suolo è smosso e tormentato dalla ricerca dei preziosi minerali. E questo susseguirsi di povertà, diseguaglianze, deforestazione, inquinamento non accenna a fermarsi: suo compito è alimentare le tecnologie a basse emissioni di carbonio; il cobalto viaggerà verso i paesi del Nord, alla volta della decarbonizzazione, mentre nel Copperbelt la natura si piega e si spezza, la popolazione si impoverisce. I danni ambientali generati dalla tecnosfera si spostano dal Nord al Sud del mondo, in quello che viene chiamato decarbonisation divide.

Riconoscere il lavoro umano
La tecnosfera riguarda una miriade di aspetti della vita umana e geologica e ci appare nel contempo immensa e localizzata, concentrata e diffusa (sia spazialmente sia in termini di potere), tant’è che è molto difficile riuscire a immaginarla. Per comprendere un concetto di tale complessità, lo storico della scienza Jurgen Renn ha coniato un nuovo ritratto della tecnosfera: l’ergosfera da lui immaginata rimette al centro della questione il lavoro umano, considerato il più essenziale motore di produzione delle tecnologie. In questa visione, emerge pienamente l’enormità del potere trasformativo dell’uomo, che con l’érgon è in grado di plasmare l’ambiente e l’umanità stessa. Tutti gli interventi umani, dalla tecnologia e le infrastrutture alla scienza e all’arte, contribuiscono a forgiare i rapporti fra l’uomo e l’ambiente naturale. “In contrasto all’affermazione di Haff secondo cui la tecnosfera è essenzialmente autonoma e si preserva da sola come una sorta di superorganismo,” scrive Renn in un articolo recente, “ho enfatizzato che l’ergosfera è aperta a diversi modi di plasmare la relazione fra l’umanità e il pianeta che abita”.
L’ergosfera emerge come qualcosa di accessibile alla comprensione e all’influenza dell’uomo. Per Renn, la nostra specie è, almeno in teoria, in grado di comprendere le logiche che ci coinvolgono all’interno del sistema Terra. “Per esempio, senza il progresso degli ultimi anni nell’integrare le recenti intuizioni di una varietà di discipline, non saremmo in grado di comprendere i cambiamenti globali che abbiamo causato” scriveva Renn nel suo importante libro l’Evoluzione della conoscenza (di recente edito anche in italiano da Carocci). A questo consegue che agli esseri umani non è preclusa la possibilità di influenzare i grandi sistemi tecnologici. Date le giuste strutture politiche e sociali, date le giuste conoscenze e le giuste prospettive individuali, la nostra specie potrebbe arrivare a fare ciò che Haff non riteneva possibile. L’ergosfera – che secondo Renn non va considerata un sostituto del termine “tecnosfera”, ma una nuova prospettiva sul suo significato – rimane così un processo aperto alle possibilità.
In parallelo, anche le gerarchie costruite da Haff in Renn vengono a crollare. L’ergosfera è un sistema non lineare, fatto di sfere che si intersecano e si mescolano. Tutti i suoi componenti – umani e non – sono esposti a rischi che mettono a repentaglio la loro stessa sopravvivenza. Non possiamo essere sicuri che i sistemi tecnologici ci saranno d’aiuto anche in futuro, se non siamo pronti ad adattarli alle nuove condizioni planetarie. Tutto questo, comunque, non toglie che anche per Renn la tecnosfera esercita un controllo inverosimile sulle dinamiche sociali e naturali, con conseguenze spesso imprevedibili, e che tende a organizzarsi in modo autonomo. L’uomo può intervenire, ma a partire da circostanze complesse, che talvolta paiono insondabili. Servirà un approccio multidisciplinare, una fusione fra le scienze fisiche e gli studi storici e sociali, per comprendere quanto sta succedendo e in qualche modo immaginare la tecnosfera e l’Antropocene.
Scriveva Marx: “Gli uomini fanno la propria storia, ma non la fanno in modo arbitrario, in circostanze scelte da loro stessi, bensì nelle circostanze che essi trovano immediatamente davanti a sé, determinate dai fatti e dalla tradizione.” Renn riprende le parole del filosofo tedesco, ancora rilevanti per immaginare l’azione nell’Antropocene. Oggi, la situazione è sempre più urgente. Ogni giorno, mentre gli esseri umani valicano i limiti del pianeta Terra, lo spazio di manovra si restringe e lo spettro delle possibilità si chiude su di noi.
Il cobalto continua il suo viaggio dalle terre del Congo alle auto elettriche dei paesi del Nord. Saranno auto sempre più potenti, sempre più veloci; il progresso non aspetta. Seppelliti tra le rocce, nuovi minerali aspettano di essere sradicati dalle mani di chi, qui, ci lavora. Presto saranno inghiottiti dalle fauci della tecnosfera. Quello che Renn mette in luce, però, è che i sistemi di cui facciamo parte non sono sistemi chiusi. Nelle parole di David Graeber: “Le possibilità umane sono sempre – in ogni modo – più grandi di quello che molto spesso crediamo”.
Articolo molto interessante. Complimenti agli autori