Per delle liste aperte al passato (e 9 consigli sull’arte)


Una lista di fine anno che parla anche degli anni prima.


di Enrico Pitzianti

Le liste di fine anno sono dappertutto, ma più che un semplice trend giornalistico questi elenchi di regali, album, libri e via dicendo, rispondono a un bisogno fisiologico della mente umana: quello di categorizzare, e, insieme, di riordinare ciò che ci circonda.

L’anno solare non è un concetto arbitrario. I moti di rivoluzione dei pianeti esistono e capita che chi abita questi ultimi organizzi la propria vita – e di conseguenza la società – in modo rispondente. Le liste possono servire a comprendere il tempo, a sentirlo passare, per accorgerci di come i ricordi e le epoche si sedimentano nella nostra memoria. Per quanto possa suonare banale, infatti, un’eventuale assenza di memoria (individuale come collettiva) corrisponderebbe a un inarginabile disorientamento. Ricordare non serve solo “a non ricascare negli stessi errori”, ma anche a mantenere vivo un sapere che non ci renda orfani culturali, linguistici, dialettali e familiari.

Le liste di fine anno servono a organizzare il passato per poterne catalogare i contenuti: personali, di coppia, amicali, familiari, di quartiere, cittadini o nazionali.  Servono a stabilire priorità e prospettive future e anche per decidere chi siamo oggi – probabilmente la conseguenza di quel che siamo stati in passato. Anche le festività distribuite lungo il corso dell’anno hanno uno scopo analogo: il tempo passa, ma a intervalli regolari ci ritroviamo a rinnovare l’affetto e l’amicizia ai nostri cari attraverso regali, messaggi o altri gesti più o meno simbolici. La regolarità di questi intervalli serve a scandire l’importanza e l’ovvietà dei nostri rapporti affettivi.

Eppure le liste annoiano. D’altra parte la  loro ripetitività è anche uno stratagemma retorico atto a dimostrare quanto la lista sia fitta, lunga e forbita. Una lista di libri dimostra che leggiamo o che per noi i libri sono importanti, così come una lista di eventi certifica la nostra vita impegnata.

Forse però c’è un modo di migliorare le liste che compiliamo. Aprirle al passato.

Se scorriamo tra i libri, gli album o le canzoni che ci hanno colpito di più durante gli ultimi dodici mesi, infatti, quel che troveremo non farà esclusivamente parte dell’anno che sta per concludersi.  Chi davvero può dire di aver già letto tutti i libri meritevoli usciti nel 2015? Chi ha già sentito tutti i dischi definiti “fondamentali” dalle riviste musicali? Chi ha già letto tutti i romanzi che hanno vinto qualche premio letterario in giro per il mondo? Presumibilmente soltanto  chi se ne occupa per lavoro, o qualcuno con gusti e interessi molto specializzati. Si ripesca spesso e volentieri dal passato. Succede nella moda, nel cinema, nell’architettura e nel design eppure, quando si fanno le liste di fine anno, si tende a immaginarle come dei riassunti quasi automatici dei dodici mesi appena trascorsi . Sarebbe forse meglio riordinare le liste in una lista aggiornata. Dire, ad esempio: «ci eravamo sbagliati su quella band che ci sembrava dover passare alla storia della musica nel 2013, ora che siamo nel 2017 non ci sembra granché, inoltre si sono sciolti da due anni, era bello solo il primo disco e forse, pensandoci bene, non era eccezionale».

Se si rendessero le liste revisionabili dopo anni, usandole come provvisorie classifiche di libri, ricordi personali, film, scoperte scientifiche, fotografie, concerti e così via, potremmo avere delle liste migliori nel presente. In questo modo si potrebbe avere una lista che riproporrebbe oggi un disco di una band degli anni ’70, un bel film del 2013 e così via. Liste aperte verso il passato, porose. Certo, si dovrebbero proporre nomi e titoli non in voga, senza sfruttare il successo  contingente  dei nomi del momento – cosa che, per inciso, è forse il motivo per cui si tende a creare delle bolle di importanza verso dei fuochi di paglia piuttosto che investire sul lungo periodo.

Tornando alle liste comunque, il vantaggio di aprirle al passato non sarebbe dimenticare chi merita di essere dimenticato, perché in ogni caso se viene a mancare l’interesse verso qualcosa o qualcuno per un certo periodo di tempo il ricordo scompare naturalmente. Il vantaggio sarebbe piuttosto riaffermare alcuni elementi culturali – trasportarli dal passato al presente. Dire: è il 2024, dieci anni fa il suo romanzo non ci era sembrato molto interessante, ma ora rileggendolo, si è cambiato idea e ve lo riproponiamo con una recensione tardiva, perché crediamo sia stato dimenticato con troppa facilità.

I nomi dimenticati sono tanti nel corso della storia e le sottovalutazioni sono trasversali a stili, discipline e generi. Rivalutare costantemente gli anni precedenti a quello appena trascorso consentirebbe, forse, di arginare il problema.

Sarebbe utile pensare alle liste come a degli elenchi di pensieri con annessi i ripensamenti, delle brevi direzioni del gusto di un’annata, ma anche di un lustro o di una decade. Un’organizzazione del genere potrebbe risultare più fruttuosa e interessante in futuro – oltre che meno noiosa nel presente.

Ecco allora una lista aperta al passato. Un elenco d’arte (artisti, opere ed eventi) che meriterebbe di essere rimessa in ordine nella nostra memoria. Senza attenerci al solo 2016.


1) A Tolosa, nel sud della Francia, i proprietari di una casa che aveva bisogno di qualche lavoretto ritrovano per caso, in soffitta, un Caravaggio. Si tratta di una versione di Giuditta e Oloferne stimata 120 milioni di euro.

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2) Il pittore e scultore toscano Venturino Venturi, morto nel 2002, si impegnò in quella che è una sfida insieme ardua e affascinante per qualsiasi artista: disegnare la Divina Commedia.  È in mostra presso Villa Bardini, Firenze (29 settembre 2016 – 26 febbraio 2017) e se ne parlò in questo articolo.

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3) Le opere di Beni Bishof, pittore svizzero molto attivo, ma poco considerato soprattutto in Italia. Bishof appartiene a quella generazione di artisti che devono tutto alla multimedialità e si concentra su sculture, disegni, libri d’artista e pitture a olio dove l’unico elemento costante è la brutalità del tratto.

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4) L’artista Mino Maccari parla di pornografia con Ennio Flaiano; un estratto dalla corrispondenza tra due grandi nomi del novecento italiano. Ne avevamo parlato qui.

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5) Aleksandra Waliszewska è una pittrice polacca classe 1976. Il suo lavoro è molto seguito, ma vale la pena includerla perché questo sembra essere il periodo della sua vera ascesa artistica. Le figure delle sue pitture sono inquietanti e ironiche allo stesso tempo e spesso sembrano abitare mondi distopici e crudeli.  Il richiamo è quello ad un immaginario horror tipicamente cinematografico e non è un caso, infatti, che la Waliszewska sia anche sceneggiatrice.

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6) Alberto Burri è un nome importante dell’arte contemporanea italiana e internazionale. Fu lui, insieme a Lucio Fontana, a segnare l’impronta di quella corrente che venne chiamata “informale”. Perché vale la pena ricordare Burri in una lista di fine anno aperta al passato? Perché i nomi noti operano spesso influenze poco visibili. L’opera di Burri, infatti, è stata una delle più importanti ispirazioni per l’artista alessandrino 108, al secolo Guido Bisagni. Le forme dense, piene, insieme alla ricerca sulle qualità espressive della materia, sono osservabili nel lavoro di Burri come in quello di 108.

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7) Bernadette Murphy, insegnante e storica dell’arte, ha risolto alcuni misteri su uno dei pittori più importanti della storia recente, Vincent Van Gogh. Per esempio, quanta orecchia mancava a Van Gogh dopo la celebre mutilazione? La versione ufficiale è quella dell’automutilazone con un rasoio da barba, ma ce n’è un’altra che accusa Paul Gauguin, artista francese che visse con  Van Gogh nella famosa casa gialla di Arles.

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8) A Parma apre al pubblico il Centro Studi e Archivio della Comunicazione (CSAC), fondato dal professor Arturo Carlo Quintavalle nel 1968. È strutturato in cinque sezioni – Arte, Fotografia, Media, Progetto, Spettacolo, nelle quali sono conservati circa 12 milioni di pezzi. Se non bastasse il contenuto a motivare una visita, si consideri anche il contenitore, l’Abbazia di Valserena, la celebre “Certosa di Parma” di cui scrisse Stendhal.

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9) Questi ultimi anni sono stati, a detta di molti, gli anni in cui la qualità della vita a Milano è migliorata. E nella qualità della vita è inclusa, ovviamente, l’offerta culturale. Sulla Darsena c’è un’edicola che è stata trasformata, di fatto, in un piccolo museo. Si tratta di una piccola struttura in ferro risalente ai primi del 900 e nell’ultimo periodo oltre a ospitare mostre e artisti (l’ultimo è Devis Venturelli) ha anche dialogato con strutture di rilievo come il PAC.

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10) La psichedelia è stata una delle chiavi artistiche degli anni sessanta e settanta. Ma l’estetica che solitamente attribuiamo all’immaginario di artisti come Alex Grey gode in realtà di nuova vita nelle opere di alcuni giovani artisti contemporanei che ne hanno ripreso la simbologia. Oggi Paula Durò è sicuramente una dei nomi più interessanti della variante “pop” della pittura psichedelica. Varrà la pena ricordarsene nel caso in cui la crescita della Durò, e di questo filone estetico, prenderà definitivamente piede.

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Enrico Pitzianti, Cagliari 1988, si occupa di estetica e arte. È parte della redazione di Artnoise e di Dude Magazine. È laureato in semiotica, ha fondato il progetto artistico online GuardieShow ed è consulente per SpaceDoctorsLtd.
Copertina (c) Aleksandra Waliszewska.

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