Dialoghi fra l’io e l’anima, di Luigi Russolo

Un artista e pensatore dal pensiero originale, che spazia dalla condizione dell’uomo soggetto alla passione fino a riflessioni sulla società, sull’arte, sulla salute del corpo e dello spirito, ponendo a fondamento la dottrina della filosofia orientale e di derivazione ermetica.


IN COPERTINA, Anonimo, XX sec., Their golden wedding, Asta Pananti in corso

Questo testo è tratto da DIALOGHI FRA L’IO E L’ANIMA Gli ultimi pensieri di Luigi Russolo a cura di Giuliano Bellorini e Anna Gasparotto. Ringraziamo Olschki  per la gentile concessione.


di Giuliano Bellorini, Anna Gasparotto, Maria Luisa Gasparotto

I Dialoghi fra l’Io e l’Anima, l’ultimo scritto di Luigi Russolo, futurista tra i cinque firmatari del manifesto datato 1910, ci porta alle radici dell’esperienza culturale più nota dell’autore.

Un’apparente contraddizione: chi condivideva ideali che volevano tagliare con il passato e ha rappresentato pittoricamente l’espressione del frantumarsi della realtà, ritorna alle radici del pensare antico e subisce e assimila il fascino delle filosofie orientali. Di “dialoghi” si tratta: l’Io dialoga con l’Anima. L’Io è definito “io storico”, cioè individualità creata dall’educazione ricevuta, dal tipo di società e nazione in cui vive, dagli studi. L’Anima è l’Atman, “forza ed energia infinita diffusa ovunque […] assoluto o Dio come vuoi […] che impregna, assorbe o permea il tuo corpo e la tua mentalità” (94). Ricorre qui un paragone: l’anima di ciascuno non smette di far parte dell’assoluto “come l’acqua che imbeve una spugna immersa nel mare è per così dire della spugna, senza per ciò che quest’acqua cessi di essere il mare” (94).

Sappiamo che Russolo è attento lettore di Plotino. Plotino, autore delle Enneadi, è conosciuto dal Nostro attraverso testi antologici e si rivela in perfetta sintonia. Nel colloquio con l’anima, il protagonista “Io storico” confessa il disagio psicofisico che da tempo lo affligge durante il tempo della guerra e narra poi di un’improvvisa rinascita delle forze, improvvisa e inspiegabile. L’Anima lo conforta spiegandogli che chi si dedica allo studio delle filosofie orientali percepisce immediatamente l’orrore e la vanità della quotidianità, spesso tragica, come nei giorni di guerra, e viene avvolto da stanchezza di vivere. Questo “tremendo senso di vuoto” (3) si dissolve quando ci si palesa il mondo oltre la materia. Gli organi e le cellule che “lavoravano di malavoglia” (6) riprendono il giusto vigore quando abbandonano ragionamenti, pensieri che in definitiva vengono definiti egoistici. Perché egoistici, quando sembra legittimo sentirsi impotenti e delusi? Perché pensare così è un sottrarsi alla vita. Qui interviene la legge del Karma, “giustissima e inesorabile […] legge inaccessibile inviolabile […] che l’uomo non può analizzare perché troppo vasta, complicata nelle sue infinite conseguenze di effetti” (7). Rimette le forze in equilibrio, surclassando quella passiva derivante dal ragionamento. Ci si spalanca davanti un ‘non conosciuto’ oltre le apparenze e i nostri convincimenti c’è una forza unica che proviene dall’assoluto. Russolo dice: “la vita è l’effetto di una forza universale […] forza che la scienza ignora come non misurabile e esperimentabile” (10). “La scienza oggi ignora o nega ciò che può conoscere ed ammettere domani” (11).

Leggiamo qui tra le righe Plotino e lo ritroviamo citato: “vi è nell’universo una vita diffusa che produce tutti gli esseri nelle loro varie forme e non si stanca mai di generare quei giocattoli belli e preziosi che sono gli esseri viventi. Il genere e il lamentarsi sono atti dell’uomo che sa vivere soltanto di una vita inferiore ed esteriore” (129).

Anche la vita artistica di Russolo e la sua produzione cambiano dagli anni della guerra quando il Nostro nel 1934 si ritira in un paesino rivierasco sul Lago Maggiore, Cerro. Qui vive a contatto con gli elementi naturali, con il silenzio. Le sue opere pittoriche esprimono l’esperienza interiore ormai lontana dal futurismo, e lui stesso si definisce “ex futurista”. Le riflessioni sull’arte, penetrate dalla meditazione che si è ormai fatta esperienza di vita, conducono a considerazioni importanti. L’artista non è più solo esecutore materiale, seppur creativo: è il pensatore che dipinge e scopre l’armonia che va oltre l’aspetto formale, per attingere a quello spirituale. L’artista diventa un devoto dell’Arte ed esplicita la sua missione: il significato spirituale del dipinto è ora il mostrare la provenienza del luogo occulto da cui la cosa rappresentata emerge. L’artista è un medium, è colui che ci mette in contatto con l’assoluto.

Russolo cita Bergson e il suo élan vital, matrice della realtà materiale e della coscienza: nel mondo dello spirito funzionano le stesse leggi del mondo materiale. Russolo cerca incessantemente l’armonia, risposta al contrapporsi delle cose e degli eventi, dello spirito e della materia.

Anche la psicanalisi viene fatta oggetto di studio, e il Nostro dice che non esistono zone d’ombra, quelle comunemente denominate subcosciente o supercosciente; la coscienza può “spostare la luce” (17), illuminando alternativamente zone diverse, sgombrando così il non noto.

Anche nell’analizzare l’esperienza amorosa, l’Io storico guidato dall’Anima scopre che la forza dell’atto generativo va ricondotta “a quella forza che gli antichi indiani chiamavano Kundalini […] forza creativa universale cosmica, impulso universale per il quale tutto è creato e tutto è” (44).

Abbiamo riscoperto, con la lettura dei Dialoghi un Russolo inedito che, non curante dell’apparire, ha saputo dare una direzione originale alla propria esperienza. Dagli esordi futuristi, vissuti con passione, il Nostro si allontana per continuare la sua ricerca, una ricerca di significato della vita e dell’arte, un itinerario filosofico, non sempre coerente e giustificato, ma non per ciò stesso mancante di autenticità.

Dialoghi fra l’io e l’anima, di Luigi Russolo

 

1. Anima. Vedo oggi tu vuoi parlarmi di quello che ti sta succedendo da alcuni giorni e di cui non sai renderti ragione, di quella aumentata energia che senti nel tuo corpo e che viene dopo una così lunga depressione e mancanza di forze che ti rendeva difficile faticosa anche la più breve passeggiata. Ora invece ti senti forte, la debolezza è scomparsa, puoi camminare muoverti, e ne hai la volontà. E non sai a che cosa attribuire questo cambiamento.

2. Io. Sì, sono stupito di questo cambiamento e non so come spiegarlo sopratutto perché è stato così improvviso. Cinque giorni fa appena svegliato ho sentito che la mia debolezza era passata, ho sentito questo con assoluta certezza, e l’ho sentito come se mi venisse dal mio interno e con assoluta indubitabile certezza. Questo cambiamento improvviso e che ho potuto constatare in questi cinque giorni, e che segue a quella stanchezza debolezza estrema di questi ultimi mesi, questa guarigione che avviene senza che io abbia ricorso a nessuna cura, a nessuna medicina mi stupisce, mi disorienta al punto da togliermi quasi il piacere per le ricuperate forze.

3. Anima. Per soddisfare la tua curiosità dovrò farti un lungo discorso, dovrò analizzare tutto quel complesso aggregato di forze, di attività di tendenze che forma quella che tu chiami la tua personalità, il tuo Io, farti insomma una approfondita descrizione della tua psiche, e la mia sarà come è logico ben diversa da tutte le altre che non hanno saputo penetrare in parte, in minima parte la verità.

4. Io. Sarò ben felice di sentire.

5. Anima. Incomincerò ad analizzare la causa della tua debolezza, di quella stanchezza estrema che da circa sei mesi tu sentivi nel tuo corpo e che ti rendeva difficile anche la più piccola passeggiata il minimo sforzo fisico. Da qualche anno tu eri arrivato, per i tuoi studi di filosofie orientali ad osservare il mondo dei fenomeni sotto il suo vero aspetto di illusione fenomenica mentre sentivi che la realtà, la vera realtà era diversa, era dietro, o meglio oltre l’apparenza fenomenica.
Questo risultato non era in te un solo dato acquisito di conoscenza, veramente tu incominciavi a vivere questa tua conoscenza e il risultato, il primo risultato era stato quello di disamorarti della vita, dei suoi aspetti e delle sue attrattive. Perfino l’arte aveva diminuito ai tuoi occhi le sue attrattive ed eri divenuto estremamente difficile nel giudizio delle opere sì che poche pochissime erano rimaste quelle opere d’arte che ancora destavano in te l’emozione che l’arte ha il potere di destare negli eletti che la sanno veramente gustare.

Questa rarefazione delle gioie artistiche si aggiungeva alle altre disillusioni su tutto ciò che il mondo e la società crede interessante e reputa e cataloga come valori da conquistare.

Da molto tempo tu eri ormai disilluso sul valore gloria, così raramente coronante valori veri (almeno fin che dura in vita l’artista), non avevi mai ricercato l’onori, o le alte cariche di cui ti ridevi, non avevi mai perseguito la ricchezza, e l’amore già da molti anni l’avevi giustamente giudicato l’appagamento di due egoismi che si incontrano, egoismo che vedevi sempre in funzione larvato e per così dire santificato sotto l’eufemismo di gioia della famiglia anche negli affetti famigliari. Che ti restava? L’amicizia e l’amore più alto, l’amore per l’umanità, l’amore per il tuo simile. Ma la tua profonda penetrazione psicologica ti rendeva difficile la scelta di un amico e la morte te ne aveva tolti alcuni e dei più cari e d’altra parte l’amore del prossimo, la santa carità con la conoscenza approfondita di questo tuo prossimo e delle sue rapacità, vizi, ignominie palesi o secrete faceva sì che ben raramente, e qui avevi torto, potesse esercitarsi o almeno esercitarsi in modo sufficientemente continuo.

Questo senso di solitudine, che prende sempre chi si dedica con profondità agli studi di metafisica orientale, questo tremendo senso di vuoto, del terribile nulla che ci circonda nel mondo della materia prima che sia sufficientemente palese il mondo oltre la materia tu l’avevi già provato anni fa e l’avevi superato nel suo primo affacciarsi, ed era rimasto in te latente, cioè era passato nel tuo subcosciente senza che risalisse spesso alla tua coscienza, senza cioè che ti influenzasse più costantemente.

Questo era il tuo stato d’animo prima che scoppiasse la guerra.

Ma lo scoppio della guerra venne. Ricordi il terribile senso di sconforto, la melanconia profonda nera che ti prese al suo annuncio? In fondo era prevista e prevedibile, tutti l’aspettavano da un momento all’altro ma ciò nonostante quando venne l’annuncio certo ufficiale tu ne fosti annichilito. Era la certezza dell’aprirsi improvviso di un baratro insondabile ai dolori e miserie infinite oltre ogni possibilità di resistenza umana.

E passò il primo anno di guerra e venne il secondo e venne il terzo.

La guerra si allargava nello spazio e nel tempo e prima ristretta all’Europa dilagò poi in Asia, dilagò nell’America, tutto il mondo ne fu sossopra, tutti i continenti ne furono travolti. Non sarebbe più stato possibile trovare una terra, un isolotto sconosciuto in mezzo al mare che non ne fosse toccato, sconvolto travolto. Nessuna possibilità di pace di estraniarsi dalla guerra in nessun angolo della terra! Nessuna possibilità di pace di tranquillità per nessun uomo, in nessun punto del globo terrestre! Tutti ne dovevano soffrire tutti dovevano sentirla viverla o meglio agonizzarla e centellinarne la lunga ingiudicabilmente lunga durata. E che cosa venne posto in commercio! La stessa atmosfera di falsità, di deturpazione, di occultamento, di mutilazione delle verità si allargò per così dire nel campo dei prodotti: così alle materie genuine e autentiche ormai introvabili o bloccate si sostituivano qualunque altra materia, qualunque altro prodotto che da vicino o lontano potesse non dico sostituirlo ma lontanamente ricordarlo!

E così alla tragica danza macabra dei morti, feriti, mutilati, profughi senza casa né tetto né mobili né abiti un’altra danza si venne ad aggiungere demoniaca travolgente irrefrenabile, la danza degli aguzzini intenti ad approfittare dell’altra per arricchire in una corsa sfrenata al guadagno al denaro alla ricchezza! A questa disperante situazione materiale e morale diremo così operante attivamente e continuamente bisogna aggiungere d’altra parte la mancanza della possibilità di immergersi nella contemplazione artistica per evadere dalle miserie quotidiane.

Chiusi tutti i musei, tutte le gallerie d’arte, ritirate dalle chiese tutte le opere di valore, coperti e occultati per protezione i più insigni monumenti di scultura o di architettura, pochi rari e mediocri le manifestazioni musicali i concerti…

A poco a poco si venne formando nella tua psiche un vuoto estremo, una stanchezza di vivere, una insopportabile noia di questo stato che lentamente dall’animo si diffuse a tutti gli organi a tutte le cellule al tuo corpo. Questo stato d’animo per un processo che vedremo e spiegheremo in seguito influenzò prima tutti gli organi del tuo corpo e poi tutte le cellule che ne vennero così come disturbate nella loro funzione. Così senza che alcun organo fosse ammalato o leso le tue forze di giorno in giorno diminuirono. Tutto il tuo corpo lavorava a passo ridotto, per così dire tutto avveniva con un minimo di energia, anzi con appena quella necessaria a non lasciare morire tutte le sue funzioni. Questo minimo di attività funzionale alla quale erano ridotti tutti gli organi del tuo corpo ti davano quel senso di debolezza estrema, di fatica nel fare il più piccolo sforzo. E questa debolezza andava aumentando progressivamente.

Io. Ma allora tutti gli organi anche le cellule sono sensibili ad uno stato d’animo diremo così psichico dell’Io.

Anima. Proprio così, e ne vedremo il modo nel seguito della nostra conversazione.

Io. Gli organi e perfino le cellule lavoravano diremo di mala voglia come se anche loro fossero convinte come lo ero io dell’assoluta inutilità di vivere.

9. Anima. Tu la chiami inutilità di vivere; questo era il risultato del tuo ragionamento, ma era un risultato diremo così troppo ragionativo ed intellettivo e aggiungerò anche essenzialmente egoistico.

10. Io. Perché egoistico?

11. Anima. Il tuo ragionamento era giusto: la vita così come è ridotta ora non vale la pena di essere vissuta, tanto più che non si vede a ciò un fine o un cambiamento prossimo. Ragionamento giusto ma che faceva astrazione da un fatto inesorabile e fondamentale: la vita bella o brutta, facile o difficile l’Io dell’uomo non può né sceglierla né entro certi limiti modificarla. Le ragioni per le quali la vita ad ogni uomo è quello che è non sono nel campo del ragionamento intellettivo dell’uomo stesso,6 ma è nel campo di quelle leggi del Karma, leggi di causa ed effetto di cui egli lascia e lancia brandelli ed elementi e spinte e brame inappagate nel fatto stesso e per il fatto stesso di vivere. Fa per così dire debiti ed acquista crediti che anche se fuori del suo campo ragionativo restano pur sempre da soddisfare.

Questa legge dunque è quella che regola con inesorabile logica che fugge ad ogni influenza o intromissione umana gli avvenimenti, gli sviluppi e la durata della vita.

Era dunque egoistico il tuo voler sottrarti alla vita ora che questa ti appariva più difficile, più brutta più inutile ad essere vissuta. E se le tue cellule avevano risposto a questa diminuita spinta alla attività vitale che derivava dal tuo ragionamento questo non poteva continuare perché avrebbe portato inevitabilmente alla morte del tuo corpo.

E qui intervenne allora questa inesorabile legge del Karma, questa legge giustissima inesorabile di causa ed effetto. E così una mattina tu ti svegliasti con quella netta precisa sensazione che la tua debolezza era terminata, che le tue forze avevano ripreso, che le funzioni del tuo corpo erano ritornate normali.

Ricordi che tu eri stupito di questa impressione; tu avevi l’impressione che qualcheduno dentro nel tuo profondo ti dicesse che la tua debolezza era terminata e che tu invano cercasti di capire chi era che ti diceva questo e che invano hai cercato anche nei giorni successivi, quando era ormai evidente e confermato che la tua debolezza era finita; questo chi, questo colui non ti riuscì mai di capire chi fosse non ti riuscì mai di individuarlo. E non potevi farlo, non è possibile farlo perché è una legge generale inaccessibile inviolabile generale e che l’uomo non può analizzare perché troppo vasta complicata nelle sue infinite conseguenze di effetti da infinite origine di cause. E se tu hai avuto l’impressione che fosse qualcuno che ti avesse detto questo ciò era una illusione: in realtà tu avevi percepito che i tuoi organi tutti e le tue cellule avevano obbedito agli ordini, impulsi ed effetti di questa legge; che venivano ad essere più efficaci in quanto erano ritornati più sensibili, avendo raggiunto il punto di equilibrio che si determina quando due forze agiscono concomitanti e nel caso tuo una era la forza attiva vi tale del Karma e l’altra quella passiva derivante dal tuo ragionamento che la vita non valeva di essere vissuta. Nessuna individualità dunque ti aveva detto nulla; il risultato di forze in conflitto che tu avevi per una illusione di antropomorfismo tu trasformavi in individualità.

Molte volte avviene questo. Così molti mistici che credono di udire delle voci in realtà avvertono forse che agiscono cambiamenti di spinte originate da queste forze e che li spingono ad agire in un senso piuttosto che in un altro. È un antropomorfismo, dare cioè a forze che fanno agire le parole che ne danno l’ordine.

Io. Ma se queste forze agiscono così tempestivamente come nel mio caso è logico pensare che qualcheduno che abbia una volontà e una intelligenza intervenga a dirigerle.

Anima. Sì, è un errore generale che fa l’uomo. Egli crede di aver l’intelligenza solo lui, crede che sia un suo attributo speciale. Invece le forze della natura hanno una logica così alta e superiore che può ed e o raggiunge i risultati di una intelligenza e se questo è vero già per le forze così dette fisiche, quelle che studia la scienza, questo è ancora più vero per quelle che chiameremo vitali e che agiscono e mantengono la vita.9 Si può anzi dire che l’uomo compie un errore nell’antropomorfizzare le forze della natura attribuendo ad esse una intelligenza. Troppo spesso l’intelligenza, attributo che l’uomo crede essenzialmente umano, arriva a risultati illogici, assurdi sbagliati tanto che la conclusione che ne dovrebbe trarre l’uomo è completamente inversa di quella che abitualmente ne trae. L’uomo dovrebbe concludere che una intelligenza è tanto più grande profonda e vera quanto più si avvicina nelle sue azioni alla logica assoluta inesorabile fatale delle leggi naturali che vediamo dirigere le forze della natura, quelle forze che l’uomo tanto spesso gratifica di brute! L’errore che compie l’uomo è di credere o immaginare l’intelligenza come qualchecosa di libero fantasioso bizzarro che può arrivare a risultati inaspettati o e risultati che possono essere diversi anche con postulati o premesse identiche. E questo avviene sì nel gioco dell’intelligenza e del raziocinio, ma questo perché l’uomo ignora e non considera elementi talvolta minimi che si sono ingranati nelle premesse e che con la loro presenza e la loro influenza hanno determinato modificazioni minime all’inizio ma che a loro volta con gli sviluppi logici che subiscono queste iniziali modificazioni producono uno sviluppo diverso e conclusioni solo apparentemente illogiche ed inaspettate.

Per essere nel vero l’uomo dovrebbe considerare le forze della natura come supremamente intelligenti e l’intelligenza umana nella sua più alta manifestazione come supremamente logica e naturale, di quella logica e naturalezza che hanno le cosidette forze brute. Questa è una premessa che dovrai sempre tener presente nel corso delle nostre conversazioni se vorrai capire tutto il sottile funzionamento delle forze che agiscono nella psiche poiché tutto ciò che l’uomo ha suddiviso in molte categorie catalogato con nomi diversi come elementi componenti quel complesso aggregato che è la psiche umana, altro non è che il gioco di forze che nel loro modo di agire seguono tutte la logica inesorabile delle forze naturali.

E per riportare l’analisi al fenomeno della tua debolezza fisica ed alla sua scomparsa.

Determinatosi nella tua Volontà, raziocinio, sentimento, emozione, impulsi, idee ecc. altro non sono che forze attive agenti con influenze reciproche, con impulsi diversi, con intensità diverse e con durata variabile.

Riportiamoci al caso della tua debolezza fisica ed alla sua scomparsa per analizzarlo come un assieme di forze agenti con l’inesorabile logica delle forze naturali.

Il tuo ragionamento ti aveva portato alla conclusione che la vita era diventata troppo brutta, troppo pesante insopportabile per essere vissuta. Questa conclusione che ha maturato in te lentamente sì ma con profonda irreducibile convinzione è venuta, si è posta come un freno od un ostacolo a rallentare tutte le forze psichiche che accompagnano e si determinano nel medesimo tempo con reciproci effetti di causa ed effetto (e di effetto che è una nuova causa) i rapporti normali delle forze che determinano e mantengono la vita. Cosa avviene se un freno agisce su una forza che funziona nell’ordine delle forze naturali?

Ne rallenta la potenza e ne intralcia il suo sviluppo e ne diminuisce la sua efficacia.

Egualmente la tua profonda convinzione che la vita non valeva la pena di essere vissuta aveva agito come freno sulla forza che rende attive e fa funzionare tutte le cellule e di conseguenza tutti gli organi del tuo corpo e questa aveva prodotto quella estrema debolezza che provavi.

Questa debolezza era come la risultante di due forze agenti in senso perpendicolare fra loro che determinano una risultante obliqua alle due forze in conflitto attivo.

Io. Generalmente si pensa che le forze psichiche agiscono in modo diverso dalle forze naturali o forze brute, ma da quanto dici invece è evidente che agiscono nello stesso modo.

15. Anima. Cioè agiscono non nello stesso modo ma con le stesse leggi. E queste leggi sono regolate dalla legge logica e inesorabile di causa ed effetto.

Nella natura molte sono le apparenze delle forze che funzionano. Dico apparenze perché in realtà la forza è unica e proviene dall’assoluto. Ma queste forze trasformazioni di questa forza unica appaiono di natura diversa in quanto è diverso il mondo sul quale devono agire. Così è naturale che le forze che devono agire sulla materia siano di natura tale da essere rivelate dalla materia stessa e sono queste precisamente quelle che studia la scienza fisica chimica astronomica. Ma esistono forze che agiscono su altri mondi e che la materia non può rivelare e che sono per così dire più sottili e son tutte quelle che agiscono sull’uomo e sugli esseri viventi e che oltre ad avere un corpo materiale, sensibile quindi alle forze, agiscono sulla materia, hanno un nuovo elemento che li differenzia profondamente dalla materia propriamente detta cioè l’elemento vita. Diciamo subito che la vita è l’effetto di una forza universale che agisce egualmente su tutti gli esseri viventi e in tutto il complesso dell’essere vivente. Così nell’uomo le manifestazioni di questa forza si fanno sentire tanto nelle manifestazioni fisiologiche del suo corpo che in quelle della sua psiche e le leggi che regolano il gioco l’azione di questa forza sono quindi identiche a quelle leggi che regolano la forza che agisce particolarmente sulla materia.

16. Io. Ma questa forza che agisce sugli esseri viventi e che produce la vita è una forza che la scienza ignora come non misurabile e esperimentabile, come l’altra che agisce semplicemente sulla materia bruta molta scienza nega che esista.

17: Anima. Che la scienza ignori o neghi oggi questa forza non prova che non esista. Ciò che la scienza oggi ignora o nega può conoscere ed ammettere domani.

Quando l’uomo ha voluto studiare i processi degli organismi vitali si è accorto (dopo avere avuto delle illusioni in proposito) che questi processi non sono esplicabili con una spiegazione semplicemente meccanica. Neanche i più semplici come la secrezione di una lacrima o di una goccia di sudore possono essere spiegati completamente con termini presi alla fisica o alla chimica.

E l’uomo preso dalla sua mania di spiegazioni fatte a base di un unico principio-che in questo caso era il meccanicismo che voleva applicare a tutto l’universo-pure non dovendo confessare di non poter spiegare e limitato da un altro principio erroneo e generalmente accettato come assioma, che la coscienza è un fenomeno superiore e complicato della psiche umana, non ha voluto ammettere quello che è così ovvio e semplice, che cioè la coscienza è fenomeno universale in tutti gli organismi viventi; non solo, ma che esiste una coscienza limitata ma sufficiente alle sue funzioni in ogni cellula vivente!

Davanti a questo diverso comportarsi della cellula viva rispetto alla materia inanimata cerchiamo di renderci conto in che consiste essenzialmente questa diversità. La risposta o reazione che la cellula dà ad uno stimolo che può essere essenzialmente fisico (luce calore umidità) consiste generalmente in una attività, in un lavorio biochimico che ne determina la crescita e lo sviluppo; dobbiamo concludere che la cellula ha una sensibilità diversa da quella di una molecola inanimata, una specie di determinazione all’attività che è stata chiamata forza vitale, élan vital, libido con significazioni pressoché identiche ma che risultano inadeguate e ad ogni modo cercano di spiegare il fenomeno non all’origine della sua causa, ma genericamente nel suo effetto, che è la vita stessa della cellula. Se studiamo invece più profondamente il fenomeno nella sua origine vediamo che perché la cellula possa dare questa risposta agli stimoli anche semplicemente fisici che riceve vediamo che dobbiamo constatare che la cellula ricevuto lo stimolo sviluppa una attività determinata da quello stimolo stesso. Che cosa è questa determinazione se non la presenza nella cellula stessa di una differenziazione fra il soggetto cellula e lo stimolo ricevuto? che cosa è questo se non la coscienza che differenzia il soggetto dall’oggetto? la divisione fra soggetto cellula e l’oggetto stimolo? e poiché lo stimolo è intermittente e non continuo questa determinazione può già stabilire il soggetto come stabile e lo stimolo od oggetto come fuori di sé? quale altro fenomeno può intervenire prima di questo?

Evidentemente nessuno. Dunque l’origine, la vera origine, la causa prima degli sviluppi successivi della cellula che hanno fatto nascere l’ipotesi della forza vitale, della libido ecc. va ricercato invece nel fatto che nella cellula esiste una coscienza. Ma l’uomo erroneamente ha creduto di attribuire solo all’esse[re] vivente come organismo già sviluppato (che altro non è che un enorme aggregato di cellule, e anche in questo solo nell’uomo e nel campo non del suo organismo fisiologico ma nell’interno della sua psiche) questa facoltà.

Questo errore è all’origine di tutti gli errori che l’uomo ha fatto nello studio del fenomeno vita e di se stesso.

Uno dei più diffusi errori è sicuramente quello che dà la coscienza solo all’uomo.

Vediamo di definire questa coscienza. La sola [definizione] che sia giusta è questa. È la possibilità del soggetto (qualunque sia) di vedere percepire o sentire l’oggetto (qualunque sia).

È chiaro che così definita e sfrondata della retorica di quel conoscere che uso in mancanza di un altro termine e ridotto quel conoscere applicabile solo all’essere ragionante, l’uomo, cioè al mentale dell’uomo, si può anche e meglio definire così: la possibilità del soggetto di percepire se stesso come oggetto.

Così definita la coscienza, e questa definizione le abbraccia tutte, vediamo che questa coscienza la possiamo attribuire non solo agli animali ma a gruppi di organi, ad organi unici, a parti di organi, alla cellula stessa.

Quando la fisiologia parla di cellule di solito usa il termine stimolo, la cellula ha lo stimolo a o lo stimolo b ma già è implicita una divisione in soggetto cellula e stimolo oggetto. Ora pure (restringiamo pure al massimo l’orizzonte delle possibilità cellulari) dobbiamo sempre ammettere che se la cellula sente uno stimolo non può percepirlo che come rivolto a se stessa con una già chiara determinazione di se stessa come soggetto e dello stimolo come oggetto. È quindi già una coscienza. E questa coscienza ha già fatto una distinzione: il soggetto-se stessa è stabile, e lo stimolo che c’è o non c’è a se stessa è instabile.

La cellula ha quindi già una coscienza limitata ma sufficiente a se stessa.

È ovvio che parliamo di cellule vive. Il fatto che la cellula risponda ad uno stimolo prova che è viva. È la vita che dà la coscienza alla cellula ed è quindi la vita che porta con sé la coscienza nella materia. Questo della cellula è certo il nucleo più piccolo di coscienza.

Si potrebbe dire meglio che è l’atomo di coscienza. Anche qui come dall’aggregazione di atomi arriviamo ai corpi alla materia, dalla aggregazione di questi atomi di coscienza arriviamo attraverso aggregazioni sempre più vaste e molteplici di cellule alla coscienza di un organo, che non è solo la somma delle coscienze delle cellule che formano quell’organo ma che è la coscienza della funzione di quell’organo come nella cellula era la coscienza della funzione della cellula. La cellula cresce come è noto e si moltiplica per scissione. Quando un gruppo cellulare è tanto vasto e complesso da formare un organo nel quale le cellule sono strettamente legate ed interdipendenti, alle molte coscienze singole cellulari viene ad aggiungersi una coscienza più ampia che è quella dell’organo e della percezione degli stimoli che lo fanno agire come entità organo, con la stessa percezione di se stesso come organo stabile soggetto e stimolo instabile oggetto. Abbiamo così la coscienza dell’organo limitata sì all’organo stesso ma già più vasta di quella di ogni singola cellula.

Dalle aggregazioni di diversi organi arriviamo alla coscienza di gruppi d’organi con funzioni particolarmente caratterizzate (come sarebbero il gruppo di organi della digestione, o della respirazione) e strettamente legati ed interdipendenti nel loro funzionamento con una loro coscienza totale che è la coscienza della funzione di quel gruppo d’organi.

Infine dall’aggregazione di un numero sufficiente di gruppi d’organi arriviamo ai vari organismi, agli animali (ed è solo qui che l’uomo si decide a vedere in essi il fenomeno coscienza). Ma anche qui per l’uomo la coscienza vera non esiste che nell’animale superiore cioè nell’uomo.

Noto subito che non solo gli organi o gruppi d’organi hanno una loro coscienza mahanno anche una memoria ed è caratteristica e nota la memoria che ha per esempio il complesso mano, che nel pianista molto spesso nella esecuzione di un pezzo musicale a memoria, molte volte esegue e continua (sopratutto se lasciata agire meccanicamente un pezzo musicale) anche quando la memoria mentale del pianista non ricorda più.

E se nel caso del pianista questa memoria può rendere dei buoni servizi, non è così nei casi di molte malattie. È stato constatato che molti organi guariti da una malattia e dalle lesioni grandi o piccole che lo avevano colpito continua a funzionare male per l’abitudine presa durante la malattia e la memoria che fa continuare questa cattiva abitudine.

È purtroppo il caso di molte malattie che da acute diventano croniche, di moltissime malattie funzionali.

Questo complesso di coscienze formano il vitale animale o vitale inferiore dell’uomo e nell’animale formano quello che senza poter né spiegare né definire si è soliti chiamare istinto.

Avverto subito che tutto questo complesso di coscienze è normalmente inavvertito dalla coscienza di veglia dell’uomo e forma precisamente quello che si chiama il suo subcosciente inferiore o subcosciente animale, ma non facciamoci ingannare dalle parole: questo subcosciente è tale solo per il mentale o raziocinio dell’uomo, è il famoso Lui, Es di Freud e della psicoanalisi, ma per se stesso è coscientissimo di se stesso e se ha una logica che non è quella del mentale umano, è però logicissimo per se stesso ed in se stesso sensibilissimo agli stimoli piacere-dolore; reagisce a questi stimoli con rapidità fulminea immediata e senza nessuna incertezza rispondendo agli stessi bisogni necessità e desideri, allo stesso modo soddisfarli e appagarli: unica e sola sua legge. Questa legge è la legge di vita della materia, quello che i greci chiamavano Eros, la libido della psicoanalisi, élan vital di Bergson, ha cioè avuto diversi nomi ma è sempre la stessa cosa, è la coscienza della vita negli organi, coscienza che resta come ho detto generalmente oscura per la coscienza mentale dell’uomo, la quale non conoscendo che se stessa e ignorando queste altre coscienze, movendosi quindi in un ristrettissimo campo è portata a riferire tutto a questo suo campo. Così, quando eccezionalmente altri piani di coscienza giungono a lei, essa non è capace di fare la discriminazione, non li avverte cioè come di origine diversa; li accetta come propri e questo è l’origine delle più strane confusioni, dei più bizzarri accostamenti.

La coscienza dei vari organi semplice ed immediata è sempre ben diretta; percepiti gli stimoli le risposte a questi stimoli sono immediate e dirette o a soddisfarli, se di desiderio o di bisogno, o a allontanarli se di sofferenza. Così p. e. [per esempio] l’organi sessuali hanno lo stimolo quando sono in condizione di poterlo soddisfare (la coscienza mentale dell’uomo vi aggiunge invece l’eccitazione immaginativa pensando, quando molte volte gli organi non hanno alcun stimolo). Così lo stomaco sente appetito o fame quando eliminati i cibi avuti ha fabbricato sufficienti succhi gastrici per digerire il cibo nuovo e appetito e fame cessano non appena ha sufficiente cibo nuovo da digerire. Ma l’uomo ha invece trasportato il suo bisogno di cibo alla gola (lingua e palato) ed è questa che ascolta e che soddisfa nei pasti, ed ha anche creato una arte gastronomica per eccitare e soddisfare questi desideri della gola che non hanno più nulla da fare con quelli dello stomaco, e questo si trova a dover lavorare fuori tempo, o più di quello che è capace di fare; non fa dunque meraviglia se tante malattie di stomaco travagliano gli uomini.

[…]

Si potrebbe definire le infinite possibilità della coscienza di partecipare a tutte le attività dell’universo come un principio di identificazione; così la coscienza divina è una identificazione con la divinità e la coscienza arriva anche alla possibilità di identificazione non solo con una attività materiale o un essere materiale, ma anche con un concetto astratto come può essere il concetto astratto umanità, e lo stato di essere della coscienza è appunto la non personalità, la non egocità, il portarsi fuori su tutto. La sua possibilità centrifuga su tutto e su tutti, la sua infinita possibilità di identificazione su tutto e tutti è per così dire un non essere che può divenire ogni forma di essere solo mantenendo la sua presenza come un substrato di differenziazione con la cosa identificata, la dualità fra l’oggetto e il soggetto.

Si può paragonare la coscienza alla luce che illumina tutto ciò che avviene nella psiche umana. Come la luce stessa necessariamente legata all’ombra, suo inscindibile opposto, lascia delle zone d’ombra ove nulla è visibile e quindi non manifesto all’osservatore, e queste zone d’ombra sono quelle che generalmente con termine improprio si chiama subcosciente o supercosciente. Ma l’osservatore può spostare questa luce e dirigerla e proiettarla su quelle zone che normalmente sono zone d’ombra e allora quello che erano le zone d’ombra vengono illuminate rivelando ciò che avviene in esse, e le zone che erano prima in luce diventano zone d’ombra. La coscienza cioè non può simultaneamente illuminare tutto il campo della psiche umana, ma deve illuminare solo delle zone limitate. In questo è affine al pensiero che come vedremo in seguito ha eguali limitazioni. Solo che quando l’osservatore vuole concentrare e dirigere questa luce sulle varie zone con questo processo di illuminazione prima e di identificazione poi, ad aiutare la comprensione la zona della coscienza va sentita ed osservata come una zona a forma cubica cioè spaziale mentre nel caso del pensiero va considerata come superficie e a limitazione di contorno, o lineare.

Queste sono le due forme che si devono seguire per facilitare la concentrazione sulle varie zone di coscienza, o per la concentrazione sulle diverse idee.

Non devi naturalmente credere che questo voglia dire che la coscienza è a forma cubica e le idee a forma piana. Sarebbe un grossolano errore. Questa distinzione è solo un metodo per facilitare la concentrazione sui fatti di coscienza e sulle idee che sono fatti distinti della psiche umana.

Quanto ho detto fin qui dimostra quale grossolano errore sia la distinzione che è così generale e usata fra cosciente e subcosciente quasi fossero sostanzialmente diversi mentre sono identici e solo la pigrizia mentale e psichica del mancato sforzo di illuminazione e concentrazione rendono il cosidetto cosciente cognito all’uomo e il cosidetto subcosciente generalmente sconosciuto. Quando avrai imparato a concentrarti e ti sarai lungamente esercitato nella concentrazione con le indicazioni del metodo da usare che ti ho detto più sopra potrai penetrare in ogni angolo oscuro della tua coscienza e vedrai così scomparire ogni subcosciente e supercosciente. Vedremo poi più avanti quali errori abbia fatto la cosidetta psicologia scientifica e particolarmente la psicoanalisi del Freud o collocare nel subcosciente la coscienza degli organi genitali (vedremo in seguito che ogni organo del corpo umano ha la sua coscienza) e tra questi due sopratutto molto importanti gli organi sessuali e gli organi della digestione e assimilazione, stomaco ed intestini.

Ho detto che tutto questo mondo è generalmente sconosciuto alla coscienza di veglia del mentale umano. Esistono però metodi: l’identificazione dei mistici, Samiana dello Joga orientale, che danno la possibilità di sentire questo mondo e viverlo: così si può con questi metodi vivere la coscienza di un organismo non solo, ma anche quella di un organo, portare cioè la coscienza propria di questo organismo o di questo organo alla coscienza mentale dell’uomo.

La prova di questa possibilità è data precisamente dal fatto che l’uomo ha nella sua coscienza mentale la coscienza di alcuni organi del suo corpo, quelli che per le necessità quotidiane della vita ha imparato ad ascoltare. Così egli ha imparato a sentire la coscienza del suo stomaco e ha anzi troppo spesso lasciato invadere la sua coscienza di veglia da quella dello stomaco che in troppi uomini domina sovrana. Ma qui l’uomo come ho già detto ha spostato la coscienza dello stomaco alla gola e al palato e ben pochi sanno distinguere fra gola e appetito, cioè fra il vizio e il bisogno.

Se l’uomo si identificasse con la coscienza di molti altri suoi organi senza fare spostamenti-come è avvenuto per lo stomaco-egli saprebbe regolarsi molto meglio per la sua salute e quando fosse ammalato per la sua guarigione, come vediamo fare dagli animali che non fanno mai eccessi-perché si lasciano regolare dalla vera coscienza degli organi e sanno nelle malattie curarsi molto bene e scegliere-come fanno i gatti le medicine fra le erbe.

Ma i metodi di identificazione con altre coscienze sono alla maggioranza degli uomini e presuppongono una profonda concentrazione, frutto di una lunga e difficile disciplina, che ha per risultato la dominazione completa del corpo e della mente e allargano enormemente le conoscenze dell’uomo allargando il campo della sua coscienza mentale.

Ma bisogna pure aggiungere che se pochi conoscono e pochi applicano e possono applicare questi metodi di identificazione o Samiana, moltissimi sono invece gli uomini che li soffrono passivamente. È diffusissimo il caso di uomini nei quali ritroviamo il caso inverso della identificazione o Samiana, il caso cioè nel quale la coscienza dell’organismo o di un organo ha invaso tutta o quasi tutta la coscienza di veglia del mentale umano così che questo non agisce che con gli stimoli i desideri e i bisogni di un dato organo del suo corpo. Quanti uomini non vedono non sentono e non agiscono che con gli stimoli e i bisogni e i desideri del loro stomaco? E quanti non vedono non sentono non agiscono che con gli stimoli e i bisogni e i desideri dei loro organi sessuali? Ma anche i casi di queste invasioni della coscienza mentale di veglia da parte della coscienza naturalmente più ristretta e tipicamente egoista e parassitaria di un organo o gruppo d’organi, e i casi più diffusi sono quelli dello stomaco e organi della digestione e assimilazione, e quello degli organi sessuali (molto spesso questi gruppi si trovano associati), queste invasioni sono incoscienti. L’uomo crede di pensare, di agire lui, cioè crede che agisca o pensi il suo Io, la sua creduta personalità o individualità autonoma, ed è invece la coscienza di un gruppo o anche due gruppi di organi che avendo invaso la sua coscienza mentale ne hanno preso la direzione e agiscono da padroni e despoti assoluti!

È estremamente complicato questo aggregato come lo chiamava Budda dell’io umano, di cui l’uomo è tanto superbo di questo Io che lui crede di dirigere dominare e conoscere, e che né conosce, né domina né dirige!

(il dialogo prosegue nell’edizione Olschki)


Giuliano Bellorini è musicista e studioso di letteratura italiana, con particolare interesse per i rapporti tra poesia e musica. Tra le sue numerose pubblicazioni, l’edizione del Canzoniere Vaticano Capponiano 74 di Luigi Cassola (Biblioteca Storica Piacentina), Le Suites per violoncello solo di J.S.Bach (Libreria Italiana Musicale), Luigi Russolo. La musica, la pittura, il pensiero. Nuove ricerche sugli scritti, con l’edizione critica dell’Arte dei Rumori del 1916 (Leo S.Olschki). Svolge attività concertistica come clavicembalista e pianista, con un repertorio molto vasto includente l’opera omnia per clavicembalo di J.S.Bach. Ha insegnato pianoforte, letteratura poetica e drammatica e letteratura italiana presso i Conservatori, e attualmente è docente presso il Conservatorio di Musica «G.Verdi»di Milano.

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