Dilaga ovunque



Esce oggi per Laterza, Dilaga ovunque, il nuovo romanzo di Vanni Santoni su writing, street art e spazio pubblico. Ne pubblichiamo un estratto.


In copertina, un treno di DAZE, linea 1 NYc, 1979

Questo testo è tratto da “Dilaga ovunque” di Vanni Santoni. Ringraziamo Laterza per la gentile concessione.


di Vanni Santoni  

– …se prendi un Crash o un Daze, e confronti i graffiti con le tele, certo, qualcosa va perso. La decontestualizzazione si sente, e varrebbe lo stesso con gli altri pionieri. Pensa alla tristezza, relativa si capisce, che fanno le tele di Rammellzee, un genio, un personaggio da rivalutare, tant’è che ormai quando si parla di Rammellzee vs Basquiat stanno tutti col primo, ma poi se paragoni le sue tele a quelle di Basquiat, ecco che…
– Basquiat era già pronto per la pittura, usava la strada solo per…
– Sì, certo, non sono nata questa mattina, era solo un esempio. Dico che nel frattempo è cambiato tutto, e soprattutto che esiste ormai una permeabilità tra strada e galleria, e viceversa: tu del resto non fai street art? Mi ha detto Liza che…
– Non continuare neanche, ti prego, Adele.
– Cosa facciamo, giochiamo a interromperci?
– Non “faccio street art”, ho solo fatto qualcosa in passato…
– Ma ci fai i libri sopra.
– Che ti devo dire, due cose le so. Certo, tu ne sai di più. Vuoi che dia il tuo numero al mio amico?
– Senti. Quello che voglio dire è che oggi ci sono artisti che lavorano, o hanno lavorato, in strada e in galleria, facendo bene in entrambi i contesti. Pensa a Kaws o Barry McGee. O a JR. O anche Retna o Swoon, se quelli per te non hanno abbastanza street cred.
– Non ho detto niente. Però tu non hai citato Lady Pink.
– Ma cosa c’entra?! Esporre Lady Pink per noi si colloca anzitutto in un’ottica di celebrazione, di conservazione totale di una pioniera di quel movimento!
– … Sapete cosa vi dico?
– Non te ne eri andato?, fa Adele a Davi, spuntato dietro di lei con in mano un bicchiere di bianco riempito fino all’orlo.
– Ciccina, io in-com-bo sempre, e poi su in lounge c’era la Qothiny, t’immagini, non possiamo stare nella stessa stanza… Si vantava di quelle croste, dai, chiamiamole con il loro nome, che ha esposto da Ruttkowski… Tieni, bevi un po’ di vino, ti vedo tesa… Comunque, dicevo… Sapete cosa vi dico? Che c’è un tabù, nella vostra street art.
– Nostra?
– Sua, nostra, vostra… Il tabù è accettare che i pionieri, al pari dei ragazzini della metro di New York, erano artisti nor-ma-li: Gérard Zlotykamien, John Fekner, Gordon MattaClark, Daniel Buren…
– Te prego, Buren, dice Adele. Se mi dicessi Holzer ci posso anche stare. Ma Buren!
– Bevi su, tesoro. Così magari mi fai finire un discorso, una volta tanto. Dunque, dicevo…
Buren!
– Vaaa bene Adele, con Buren forse mi sono spinto troppo in là, te lo concedo: è arte pubblica, dato che non ha mai lavorato fuor di commissione. Sebbene sia, come sai meglio di me, un pioniere del site specific, e la street art non è forse l’evoluzione ul-ti-ma-ti-va, il punto d’arrivo di quell’approccio?
– Casomai, sorride Adele dando un sorsetto al vino, è il punto d’arrivo dell’in situ, ovvero di arte concepita e realizzata nello stesso luogo in cui viene esposta, e non semplicemente pensata per un luogo specifico.
– Eeee va bene… Duh, Cristiana, – ti fa Davi – abbiamo proprio la regina delle sottigliezze qua, eh?
Tu scrolli le spalle e vai ad acciuffare un altro bicchiere, ma Davi lo sente, Davi parla solo se c’è un pubblico e questo pubblico deve essere massimizzato anche se è composto da due persone, quindi attende, titilla il bordo del bicchiere, aggiunge due chiose sull’in situ, poi appena riappari riprende, serio:
– Buren lo archiviamo, d’accordo, anche se sarebbe affascinante andare oltre, tracciare un collegamento tra street art e land art, ma queste cose le lasciamo agli accademici come Adele: torniamo agli altri, chi avevo detto, poi?
– Zlotykamien, Fekner, Matta-Clark. E aggiungici Jenny Holzer, – dice Adele. – Anzi, secondo il tuo ragionamento, ci starebbe pure Pignon-Ernest.
– Sì, Holzer senz’altro, anche perché attacchinava abusivamente. C’era pure un graffitaro, uno grosso… Tracy 168 mi pare, no Lee Quiñones, che le riconobbe un ruolo, se non di anticipatrice, di ispiratrice di successive evoluzioni, in qualche intervista. I Truisms sono del 1977, che non è prestissimo ma non è nemmeno tardi per appiccicare in giro poster del genere: …e se si parla di pionierismo, anche se me lo hai proposto con quella faccia là, quasi a presa in giro, Pignon-Ernest ce lo metto e come! Se non altro per la centralità che poi ha assunto lo stencil nella street art.
– C’è da dire che questi “pionieri” fanno a gara a retrodatare le loro opere, – dici tu: un’informazione letta chissà dove che ti torna d’un tratto alla mente. – Per esempio – continui – Fekner sosteneva di aver fatto la prima azione nel 1968, ma di quella scritta non c’è traccia, mentre sono ben documentate quelle di dieci anni dopo.
Adele annuisce. E se Adele annuisce a una cosa che dici tu… Davi alza gli occhi al cielo:

– Guarda, a John Fekner dovevo ancora arrivarci. Va bene, te lo passo. Anche Zlotykamien per me lo ha fatto… Di retrodatarsi le prime azioni, dico. Da qualche parte mi pare di averlo sentito parlare di cose fatte nel 1963 su cantieri che esistevano dal 1971, figurati… Ma sul fatto che Ernest Pignon-Ernest intervenga con lo stencil nel 1966, riportando sull’altopiano di Albion – sai là dove era prevista una centrale nucleare? – l’immagine lasciata sui muri di Hiroshima da un uomo e una scala vaporizzati dalla bomba, non c’è tanto da discutere…

…Quel ragazzino di New York, là, Taki o come si chiamava, quando la fece la prima tag? Io dico al-me-no un paio di anni più tardi… E ti dirò, Pignon-Ernest fu pure il primo a stencilare su carta e poi usare il risultato come poster art, anticipando la possibilità di fare lavori immensi come quelli di Fairey o Sten&Lex… Su Gérard Zlotykamien accetto un nì, va bene, quei suoi scarabocchi non erano poi troppo avanti rispetto ai tempi…
– Be’ questa foto, ad esempio, – dice Adele mettendovi il tablet sotto al naso, è addirittura del 1984…

– …va bene Adele, avevo detto nì e nì sia, è che dalla Francia non smettono mai di spingerlo come “primo street artist”, per puro nazionalismo… Ammetto che roba come la sua peserebbe davvero se arrivasse da prima di metà anni Sessanta, e così non pare sia… Però gli va dato il merito di aver ispirato Harald Naegeli, e non è poco, – ridacchia Davi.
– Harald… Naegeli? – Adele sconcertata a sentire un nome che non conosce. Tu, pure, mai coperto.
– Se ti dico “Lo spruzzatore di Zurigo” ti torna su…
– Ah, certo, – dici tu – quel vecchio che fecero nero dopo che aveva tappezzato Zurigo di scheletrini e roba simile: centinaia di migliaia di franchi di multa e lo misero pure dentro.
– Brava Cri, sei stata più veloce della nostra Adele. E ci fu addirittura l’e-stra-di-zio-ne! Ma la parte più bella deve ancora arrivare. Nel 2020, pensate, quarant’anni dopo i disegni per cui l’avevano sbattuto dentro, la città di Zurigo decide di premiarlo, celebrarlo, riconoscergli lo status di pioniere e, finalmente, ar-ti-sta. Il ragazzo, calcolate, ha ottantuno anni. Così lo convocano, lo premiano, lo rivalutano, arrivano altri inviti; a Ufenau, su un’isola del lago di Zurigo, lo chiamano a esporre i suoi disegni, e lui che fa? Durante il vernissage sparisce, raggiunge una chiesa del dodicesimo secolo che stava lì vicino e…   

– Mai domo! Che tipo… Ma veniamo a John Fekner, come voleva la nostra Cristiana, qua. Ammettiamo anche che quella prima scritta se la sia attribuita nel ’68 per accreditarsi.
– Che poi nel ’68 la Sérigraphie Populaire del Maggio parigino sfornava stencil, poster e scritte come se non ci fosse un domani, dice Adele.  
– Mmmh, sì, Adi, ma siamo nel campo del graffitismo politico, che in fondo è un altro filone, no? Dicevo, Fekner, datatelo come volete, faceva parte del Fashion Moda, lo bazzicava assieme a Crash, Futura, Lee e alla tua Lady Pink, sai Adele? Ok, siamo nel 1980 e si può già parlare di postgraffiti se vogliamo, del resto da lì passava pure Haring, SAMO© era appena stato sepolto e Basquiat, sbo-lo-gnato il socio Al Diaz, se la faceva già con Warhol, la storia la sappiamo, ma le scritte a stencil di John Fekner stanno alle origini della street art contemporanea tanto quanto i primi graffiti.
– Hai dimenticato Matta-Clark, – dice Adele.
– Non le sfugge niente, a questa, – ti ghigna Davi – e lo fa per mettermi in difficoltà, sai? In-cor-reg-gi-bi-le… Dunque, Gordon Matta-Clark, va bene, lo ammetto, è un po’ forzato inserirlo tra i pionieri, ma i suoi studi sugli edifici abbandonati e i terrains vagues non possono non essere presi in considerazione: si tratta di accettare, voglio dire, che non esiste una sola radice nelle cose.
– Vero, fa Adele, tant’è che la street art l’hanno inventata i russi. Anzi, i comunisti. La guardate perplessi, ma sta già spippolando sul tablet e conoscendola figurarsi se non ha qualcosa da sbattervi sul muso. Eccolo, infatti:

Decreto no.1 sulla democratizzazione delle arti

Compagni e cittadini. Noi, capi del futurismo russo, arte rivoluzionaria della gioventù, dichiariamo:

1. Da oggi, con la distruzione del regno zarista, è soppressa la presenza dell’arte nei depositi, ripostigli del genio umano, nei palazzi, nelle gallerie, nei saloni, nelle biblioteche, nei teatri.

2. In nome della grande avanzata dell’uguaglianza di tutti di fronte alla cultura, la libera parola della personalità creatrice sia scritta sugli angoli delle case, agli incroci degli steccati, dei tetti, delle vie delle nostre città e dei nostri paesi, sulle schiene delle auto, delle carrozze, dei tram e sui vestiti di ogni cittadino.

3. Come radiosi arcobaleni, si distendano da un edificio a un altro, nelle vie e nelle piazze, quadri che rallegrino e nobilitino l’occhio del passante.

Pittori e scrittori prendano subito i colori e i pennelli della loro arte per dare una nuova luce, per dipingere tutti i fianchi, le fronti, i petti della città, delle stazioni e della moltitudine di vagoni eternamente in corsa. Da oggi in poi ogni cittadino, passando per la via, possa godere a ogni istante della profondità di pensiero dei suoi grandi contemporanei, possa contemplare ormai la variopinta vivezza di una bella gioia, ascoltare ovunque musica, le melodie, il rumore, il fracasso di eccellenti compositori. Le vie saranno la festa dell’arte per tutti.
E se il nostro decreto sarà attuato, ciascuno, uscendo in strada, godrà e insieme diventerà più sapiente contemplando la bellezza delle attuali vie, che sono libri di ferro (le insegne), dove, pagina dopo pagina, hanno scritto le proprie lettere solo la cupidigia, l’avidità personale, l’infame meschinità e la bassa ottusità, ferendo l’animo e umiliando l’occhio.

Tutta l’arte a tutto il popolo!

Vladimir Majakovskij, Vasilij Kamenskij, David Burljuk, 1918

Adele sorride:
– Non male, neh? Anticipa pure la guerra semiotica tra pubblicità e street art…
– Sì, carina, dice Davi. Punto per te. Futurismo russo. Da paura. Ma poi i bolscevichi gliele hanno fatte fare le opere libere in giro, a quelli e ai loro amici? Te lo dico io: Col ca…

In quella, passa Lucienne, e con un sorriso disarmante, uno di quei sorrisi che sarebbe interpretato da chi non la conoscesse come un segno di grande confidenza nei tuoi confronti, e tua nei confronti di lei, talmente profonda da permettere anche frasi all’apparenza dure, perché insomma, siete tra amiche e tutto ha un tot di layer di ironia, ti fa:
– Oh Cristiana, bonjour! Dimmi, ti paghiamo per bere vino o per stare allo stand?

* * *

Alla fine dell’ultimo giorno di fiera (se non altro a cena allo Cheval Blanc stavolta portano pure te, niente tramezzini maionese e asparago bianco di Basilea oggi, del resto la Kirsten-Menour si è fatta onore, tutti i galleristi che hai sentito erano contenti, ma voi – voi?! – avevate piazzato almeno tre vendite davvero notevoli), ti rivolgi a Lucienne e lei alza il mento con quel sorrisetto minimo da gran gallerista, atto a farti pensare che ti stia già leggendo nel pensiero, un’espressione la cui raffinatezza è stata messa a punto per scopi prettamente finanziari, ma che funziona anche in tutt’altri ambiti… Ma chissà, forse era solo una barriera difensiva perché credeva le volessi proporre di nuovo, forte del ritrovato rapporto con la galleria, di farti rappresentare; che le volessi propinare un portfolio rivisto, perché l’espressione muta in una pacata sorpresa mentre porta alla bocca l’interno-chela dell’astice bretone al bergamotto e tu le chiedi se per caso ha ancora bisogno di una mano pure a Londra, visto che vi siete trovate bene, insomma, ti faresti anche la Frieze Art Fair, là… Certo, aereo più hotel e siete pari, si capisce…


Vanni Santoni (1978) ha pubblicato, tra gli altri, Gli interessi in comune (Feltrinelli 2008, Laterza 2019), Se fossi fuoco arderei Firenze (Laterza 2011), la saga di Terra ignota (Mondadori 2013-2017), Muro di casse (Laterza 2015), La stanza profonda (Laterza 2017, candidato al Premio Strega), I fratelli Michelangelo (Mondadori 2019), La verità su tutto (Mondadori 2021, premio Viareggio selezione della giuria). È fondatore del progetto SIC (In territorio nemico, minimum fax 2013). Scrive sul Corriere della Sera. Il suo ultimo romanzo è Dilaga ovunque (Laterza 2023).

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