È giusto fare figli?



Al netto del desiderio personale, è una domanda che pone interessanti interrogativi etici e ambientali, ma non esiste alcun criterio per decidere che non sia un atto di fede. Un percorso filosofico sull’opposizione tra natalismo e antinatalismo.


In copertina, Mother with Two Children, di Egon Schiele (1917)

 

di Francesco D’Isa

Quale che sia la tua risposta, prima di arrabbiarti sappi che la mia è che non esiste alcun criterio per decidere che non sia un atto di fede. Quindi, in ultima analisi, è “boh”.

Mi spiego meglio. Nonostante la pandemia, è possibile che il periodo natalizio abbia significato un incontro con parenti che non frequenti abitualmente. Se sei in età fertile e non hai figli è anche possibile che tu abbia subito una serie di discorsi che si possono ben riassumere nell’espressione cliché «a quando un nipotino». Come confermano anche alcune recenti dichiarazioni del Papa, esiste una certa pressione sociale nei confronti della procreazione, soprattutto se sei una donna. L’idea che va per la maggiore è quella natalista e le opinioni di chi sceglie di non avere prole (o addirittura pensa che sia sbagliato farlo) in genere non vengono neanche considerate se non con sarcasmo, nonostante abbiano antecedenti nobili, da Sofocle a Leopardi, passando per Budda (almeno in un certo senso), Schopenhauer e Cioran, in un percorso che resta vivo anche nel dibattito filosofico contemporaneo.

La posizione natalista è nota, ma su quella antinatalista c’è più confusione. C’è chi dipinge gli (le) antinatalisti come dei mostri, ma che io sappia nessuno di loro è un Erode che vuole uccidere i bambini né desidera imporre la propria volontà ad altri – l’antinatalista si limita a esporre la propria tesi e da questo punto di vista dunque la sua posizione etica è analoga a quella di qualunque natalista. Certo, è sempre possibile che esista qualche estremista che prevede un antinatalismo prescrittivo e desidera proibire ad altri di procreare, ma immagino che sia una posizione altrettanto marginale quanto quella dei natalisti prescrittivi, dunque mi permetto di non prenderla in considerazione. La maggioranza degli antinatalisti, piuttosto, si può dividere in due filoni: coloro che pensano che fare figli sia sbagliato in assoluto, perché la vita è male, e chi pensa che sia sbagliato nella situazione attuale, per motivi pratici, ecologici e politici.

Inizio dai secondi. In breve l’idea è che tra riscaldamento globale e  sovrappopolazione mondiale l’essere umano abbia un impatto troppo gravoso sugli ecosistemi del pianeta, cui conseguono tragici danni verso se stesso e le altre specie, e che dunque dovrebbe limitare le nascite volontariamente. Chi sposa questo punto di vista suggerisce che tra le tante scelte di vita che possiamo attuare fare figli è in assoluto la più inquinante e vari studi suggeriscono che l’idea sia fondata. Da un certo punto di vista sembra una soluzione ovvia, perché di certo è più impattante un figlio che nella sua vita consumerà quanto me piuttosto che uno qualunque dei miei attuali consumi. Nel dettaglio il calcolo è più complesso, perché non possiamo prevedere con certezza quanto a lungo e in che mondo vivrà un’ipotetica figliolanza. C’è chi sostiene ad esempio che andremo sempre più verso una società meno impattante dal punto di vista ecologico, e che di conseguenza i nostri figli inquineranno meno; o che i paesi più inquinanti sono quelli dove l’antinatalismo è meno applicabile, ovvero dove i figli sono una risorsa economica necessaria. Altri invece ripongono nei nostri figli la speranza di un mondo migliore e sostengono che loro riusciranno dove noi abbiamo fallito. A mio parere queste obiezioni attenuano solo lievemente la tesi dell’antinatalismo ecologico; alla velocità attuale delle misure contro il riscaldamento globale, un bambino che decido di far nascere adesso resta probabilmente molto più inquinante di qualunque altro mio atto antiecologico, dal prendere un aereo al mangiare la carne. L’argomento della speranza nelle future generazioni, invece, gode di un simmetrico che è altrettanto lecito, data l’impossibilità di conoscere il futuro: la mia prole potrebbe sì salvare il mondo, ma anche distruggerlo.

Il problema di fondo di questi calcoli si scontra contro il tentativo di trarne una regola generale. La figlia di un indios dell’Amazzonia impatta forse meno di un mio singolo viaggio in aereo, mentre il figlio del proprietario di una multinazionale del petrolio che in futuro diventerà un manager senza scrupoli potrebbe essere più dannoso di centomila figli di persone come me. Viceversa lo stesso figlio del CEO, se si convertisse ad attivista ecologico, piuttosto che inquinare potrebbe essere causa della mancata immissione di tonnellate di CO2 nell’atmosfera. Ignorare il destino di una progenie ipotetica è un punto centrale del mio discorso e ci tornerò in seguito; al momento appunto come conclusione provvisoria che fare figli è tendenzialmente dannoso per l’ambiente, ma che non si può considerare un argomento dirimente sulla questione.

Passiamo ora all’altro corno del dilemma, l’idea dell’antinatalista forte, per cui non sia giusto fare figli perché la vita è un male. È la tesi (tra gli altri) del saggio Sileno citato da Nietzsche nella Nascita della tragedia:

«L’antica leggenda narra che il re Mida inseguì a lungo nella foresta il saggio Sileno, seguace di Dioniso, senza prenderlo. Quando quello gli cadde fra le mani, il re domandò quale fosse la cosa migliore e più desiderabile per l’uomo. Rigido e immobile il demone tace; finché, costretto dal re, esce da ultimo fra stridule risa in queste parole: ‘Stirpe miserabile ed effimera, figlia del caso e della pena, perché mi costringi a dirti ciò che per te è vantaggiosissimo non sentire? Il meglio è per te assolutamente irraggiungibile: non essere nato, non essere, essere niente. Ma la cosa in secondo luogo migliore per te è morire presto’…».

(F. Nietzsche, La nascita della tragedia, Adelphi, pp. 31-32)

La prima critica che viene fatta a chi la pensa come Sileno è: «Perchè non ti uccidi, se la vita è un male». Un(‘)antinatalista a questo punto potrebbe obiettare che una cosa è non nascere, un’altra uccidersi. Il suicidio implica quasi sempre del dolore, che nel primo caso non è dato; ma anche se esistesse un metodo del tutto indolore per lasciare il mondo, non è detto che la convinzione che sia razionale farlo sia sufficente alla capacità o al desiderio di compiere il gesto. I nostri organismi sono costruiti per sopravvivere e aborrire la morte, che lo si voglia o no, e se non si versa in condizioni di estremo dolore è difficile vincere questo drive – cosa che non si può affermare per chi non è mai nato.

Una critica più forte consiste invece nella banale constatazione che no, la vita non è un male. Per quanto si possano ammirare i tentativi di filosofi come Benatar di dimostrare che la vita è un male da un punto di vista logico, infatti, sulla qualità della vita l’ultima parola – anzi l’unica – spetta immancabilmente a chi questa vita la esperisce. Ed è qui che l’argomento torna ad essere opaco, perché non possiamo sapere cosa penseranno i nostri figli e figlie della loro vita. È vero infatti, come indica tra le altre la filosofa ​​Seana Shiffrin, che i figli nascono senza il loro consenso – ma anche la loro mancata nascita sarebbe non consensuale. In breve, chiedere il consenso di esistere o meno a chi non esiste è sempre assurdo, perché per darlo (o negarlo) questa persona dovrà prima esistere.

Per decidere sensatamente se mettere al mondo una persona sia un bene o un male, inoltre, dovremmo conoscere con esattezza quel che penserà della propria vita e quanto bene o male arrecherà al prossimo. Questa irreperibile conoscenza potrebbe persino non essere sufficiente, perché il parere sulla vita muta negli anni, talvolta persino nei giorni, e se anche una persona potesse raggiungere l’ultimo secondo di vita in totale lucidità per esprimere un giudizio complessivo sulla propria esistenza, questo sarebbe comunque falsato dall’opacità dei ricordi e dalle emozioni del momento. Senza contare che dovremmo applicare il medesimo calcolo per i figli dei nostri figli, e i loro figli, nipoti e così via. Mia figlia potrebbe essere una donna felice e meravigliosa, ma se suo figlio fosse un mostro omicida, o una persona estremamente infelice, la valutazione cambierebbe drasticamente.

Come dirimere la questione dunque? Bè, in nessun modo che si possa considerare definitivo. Non potendo interpellare chi di dovere, decideremo seguendo il nostro criterio personale, che dovrà poi scontrarsi con istinti irrazionali, emozioni, volontà di un(a) eventuale partner, o anche solo col semplice caso. Non è possibile sapere se sia giusto o sbagliato far nascere una persona, ma possiamo sapere che per lo stesso motivo qualunque consiglio daremo lascia il tempo che trova – quando non è addirittura irritante.


Francesco D’Isa  (Firenze, 1980), di formazione filosofo e artista visivo, dopo l’esordio con I. (Nottetempo, 2011), ha pubblicato romanzi come Anna (effequ 2014), Ultimo piano (Imprimatur 2015), La Stanza di Therese (Tunué, 2017) e saggi per Hoepli e Newton Compton. Direttore editoriale dell’Indiscreto, scrive e disegna per varie riviste.

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7 comments on “È giusto fare figli?

  1. Trovo questo argomento molto interessante. Ho quasi 40 anni e nessun figlio e , essendo gli ultimi anni per me per poter pensare di averlo, l’argomento mi è particolarmente caro. Mi sento antinatalista sia per motivi economici, più che ecologici. Ma soprattutto mi sento antinatalista anche per una visione negativa di questa realtà. La nostra condizione mi sembra molto ingiusta: il dover provare sofferenza fisica, assistere al nostro corpo che invecchia e degenera, che potrebbe ammalarsi. Aver vissuto la malattia e morte di entrambi i miei genitori. Questo chiedersi il senso delle cose senza poter avere una risposta. Non potevamo vivere e basta senza chiederci il perché??? Sembra che “chi ci ha progettati” lo abbia fatto con pessime intenzioni. È una sorta di punizione questa vita. Eppure mia madre l’amava così tanto. Sempre in continua ricerca della bellezza che è quella che cerco disperatamente anche io . E di bellezza ce n’è in effetti. Se solo si potesse solo contemplare… Ma il dolore, fisico e mentale, beh quello è indiscutibile. A prescindere da cosa mio figlio potrà pensare della vita, che quel dolore dovrà provarlo, è assicurato.

  2. Ben scritto però un pò banaletto. E’ una discussione che va avanti ormai da anni e mi sembra che le prospettive si siano esaurite. Inoltre, più che una riflessione mi sembra più una filippica sul quanto l’autore si senta irritato da domande indiscrete. Per carità, empatizzo, certe domande cagano proprio il cazzo ma di nuovo, argomento fritto e rifritto. Forse a questo punto sarebbe stato più stimolante prendere una posizione anche se provocatoria? Aizzare un dibattito?

    • Ho preferito esprimere quel che credo, piuttosto che provocare per il gusto di farlo. E quel che credo come penso si capisca è che per quanto come dici si dibatta da anni non esiste alcun criterio razionale che sia universale ;)
      Francesco D’Isa

  3. Paola Morandi

    No, non è assolutamente giusto fare figli dal momento che la vita è infernale, assurda. L’essere, costretto a nascere, si trova a dover sostenere una lotta continua fra mille difficoltà, sofferenze fino ad arrivare ad affrontare il peggiore di tutti i mali per un vivente e cioè la Morte. Penso che non si possa decidere per un altro, decidere la sua esistenza senza il suo consenso,perché questa vita è violenta, brutale, non rispetta nessuno. Abbiamo il dovere morale di fermare la procreazione ed impedire che degli innocenti, per colpa nostra, debbano subire il Male ed essere inesorabilmente condannati a morte e a marcire in un cimitero.

    • Serena

      Oh my God. Che visione della vita…se lo avesse pensato tua madre non saresti qui a scrivere certe affermazioni…la tua vita deve essere proprio triste per avere questa visione…

  4. Logicamente inoppugnabile.

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