È possibile un “cigno verde” che ci salvi dal collasso?

John Elkington elabora il concetto di “cigno verde” che per lui è rappresentato da quelle “soluzioni sistemiche alle sfide globali” che offrono “un progresso esponenziale sotto forma di creazione di ricchezza ecologica, sociale e ambientale”. Se i “cigni neri” di Nassim Nicholas Taleb sono problemi che ci portano esponenzialmente verso il collasso, allora i “cigni verdi” descritti da Elkington sono soluzioni che ci portano esponenzialmente verso la svolta.


IN COPERTINA e nel testo, opere di Raphael Kirchner

Questo testo è tratto da “Per un nuovo capitalismo” di John Elkington. Ringraziamo Aboca Edizioni per la gentile concessione.


di John Elkington

Per molto tempo i cigni sono stati simbolo di bellezza, leggerezza ed eleganza. Ma questi uccelli straordinari simboleggiano anche il potenziale mutamento e la trasformazione. Questo risulta particolarmente rilevante nel momento attuale, visto che nel decennio che si annunzia, gli Esponenziali Anni Venti, vedremo tutte le forze in gioco per una trasformazione radicale e una rigenerazione arrivare a spostare l’ago della bilancia. 

Nell’opera di Nassim Nicholas Taleb, e in particolare in uno dei suoi libri di maggiore impatto, Il Cigno Nero, l’attenzione si concentrava prevalentemente su trasformazioni di carattere “degenerativo”. Per lui un Cigno Nero – entrambe le parole richiedono la maiuscola – è un evento raro, caratterizzato dall’estrema intensità del suo impatto e da una prevedibilità soltanto retrospettiva. Una delle domande che tipicamente ci si pone in seguito a un Cigno Nero è: “Ma come abbiamo/hanno fatto a non prevederlo?”. Pensate al crollo del mercato del 2007-2008 o al disastro nucleare di Fukushima, in Giappone. 

La cosa interessante è che persino nel caso del più nero di tutti i Cigni Neri c’è stato, in genere, qualcuno che l’aveva previsto, seppur magari un po’ alla lontana, come nel caso dell’intuizione di un economista anticonformista, Hyman P. Minsky, che affermò che nelle economie moderne “la stabilità è destabilizzante”. Così, quando il primo ministro britannico Gordon Brown lodò la stabilità dell’economia del suo paese, predicendo la fine dei cicli ricorrenti di “boom e crisi”, gli investitori più scaltri avrebbero dovuto darsela a gambe. Non lo fecero, perché la maggior parte di loro si era dimenticata di quel che aveva detto Minsky (morto nel 1996), ammesso che ne avessero mai sentito parlare. 

I Cigni Neri, concludeva Taleb, producono in genere un impatto negativo, sgradito e, soprattutto, sistemico. Se poi ci si sposta lungo lo spettro dei colori, si possono trovare anche i Cigni Grigi. Costoro esibiscono molte delle caratteristiche comuni ai Cigni Neri, dai quali però differiscono per il fatto che è possibile prevederne l’arrivo, almeno in una certa misura. I Cigni Grigi, a quel che ritiene il presidente del Population Institute, Robert J. Walker, sono “avvenimenti poco probabili, che arrivano solo a quel tanto di probabilità sufficiente perché ce li possa aspettare”. Ma seppure possano, e in un certo senso debbano, essere previsti, può rimanere difficile coglierne le possibili implicazioni e valutarne l’impatto prima che si verifichino. 

Walker sostiene che “un concorso di eventi – tra i quali il mutamento climatico, la crescita della popolazione mondiale, il pesante carico del debito pubblico e la crescente domanda globale di cibo, energia e acqua – sta drasticamente incrementando i livelli di rischio complessivi in tutto il pianeta”. Si potrebbe concludere che questo è esattamente il tipo di mondo nel quale i Cigni, Neri e Grigi, possono moltiplicarsi, e in cui il capitalismo e la democrazia rischiano di dover affrontare un duro dramma esistenziale. Proseguendo lungo lo spettro cromatico, comunque, giungiamo a quelli che potremmo definire “Cigni Bianchi”: insiemi di dinamiche esponenziali che potrebbero portarci al collasso senza scampo come pure al passaggio a un differente ordine di realtà. I Cigni Bianchi sono come lavagne che possono essere compilate dalla gente con intenzioni buone, brutte o cattive.

Inoltrandoci ancora un po’ arriviamo ai Cigni Verdi della nostra storia. A un certo livello, questi cigni mostrano caratteristiche e dinamiche molto simili a quelle dei loro cugini generalmente portatori di degenerazione, i Grigi e i Neri. Anche loro prendono il mondo di sorpresa, in gran parte per il loro carattere esponenziale e per i loro risultati, in genere del tipo di quelli che a priori appaiono non semplicemente improbabili, ma proprio impossibili. I Cigni Verdi, però, anziché essere portatori di degenerazione, come molti Cigni Grigi e Neri, stimolano piuttosto la rigenerazione. E il nostro obiettivo, adesso, è proprio la rigenerazione: all’interno delle nostre economie, delle nostre società, del nostro ambiente naturale e –cosa forse più importante di tutte –delle nostre politiche. Il ruolo di politici, governi e politiche pubbliche avrà un’importanza decisiva nel determinare passo dopo passo la direzione e il successo del nostro sforzo collettivo di cambiamento. Spesso, poi, sembra che i Cigni Verdi si producano come risposte ai problemi e all’impatto di Cigni Neri e Grigi precedenti. A mo’ di monito per la salute pubblica: così come i peggiori Cigni Neri possono esibire qualche penna verde, ossia qualche aspetto positivo e utile, anche i Cigni Verdi meglio accolti possono farsi crescere qualche penna – e in certi casi anche un’intera ala – di colore nero.

Prendete i veicoli elettrici, parte di uno dei processi da Cigno Verde più notevoli tra quelli attualmente in corso nel mondo dei trasporti. Il loro funzionamento dipende in genere dalle batterie che usano e queste, a loro volta, richiedono materiali come il cobalto. Ed è qui che il Cigno Verde comincia a tirare fuori le sue penne più scure, con il 70% delle forniture globali di cobalto provenienti dalla Repubblica Democratica del Congo, uno dei posti più poveri, corrotti e violenti che si trovino sulla Terra. 

Pensare diversamente 

Un tema centrale proposto e affrontato in quanto segue è la creazione di condizioni di mercato, posizioni politiche, governance e convinzioni culturali in cui i Cigni Neri e Grigi possano essere avvistati e contenuti il prima possibile e si sappiano, di contro, promuovere e sostenere Cigni Verdi in migliore quantità e qualità. Ma molte cose debbono accadere prima che questa possa divenire la norma. 

È nella natura umana, per esempio, respingere o ignorare ciò che non si riesce a comprendere. E siamo più portati ad agire così quando ci dobbiamo confrontare con persone e idee che fanno vacillare il nostro senso della realtà, le certezze faticosamente acquisite, le nostre identità. Troppo spesso, liquidiamo come pura follia le idee o le informazioni che si scontrano col nostro attuale senso della realtà. Questo si verifica nel mondo degli affari e nei mercati finanziari come nella vita quotidiana. La maggioranza delle persone trova già abbastanza difficile arrovellarsi il cervello attorno ai Cigni Neri. Cercare di convincerli a mandar giù anche quelli Verdi può essere anche peggio: come provare a vendere a qualcuno un viaggio per il regno dei miracoli. 

Se mi si chiede cos’è un miracolo nel mondo d’oggi, la spiegazione che preferisco mi viene da Charles Eisenstein, dell’Università di Yale. La sua conclusione in merito è che le trasformazioni del genere di cui avremmo bisogno adesso saranno giudicate come miracoli. Ma la concezione di miracolo che ci fornisce è diversa da quella comune. Nella sua definizione, i miracoli sono eventi che sembrano impossibili nella prospettiva di una vecchia visione del mondo (una vecchia storia) ma divengono totalmente possibili nel quadro di una storia nuova, più ampia. Ma insomma, cos’è un miracolo moderno? Spiega: 

Non è l’intromissione di un essere soprannaturale in questioni materiali o un evento che violi le leggi dell’universo. Un miracolo è qualcosa che è impossibile dal punto di vista con cui comunemente s’intendono realtà e verità, ma che diventa possibile nel momento in cui si adotta un nuovo modo d’intendere e comprendere. Un miracolo è più di un evento: è un invito. Dice: “L’universo è più ampio di quanto tu credevi che fosse”. Ci invita a salire in un mondo più grande, nel quale sono possibili cose nuove. Un miracolo può dilatare e fare esplodere il nostro mondo, se lo accettiamo. In effetti, capita che non lo si accetti; qualche volta lo si relega nella categoria del “quella era una stranezza irripetibile”, un’eccezione rispetto alla vita, e si può garantire la propria normalità e tornare a pensare e vivere come sempre si è fatto, come se nulla fosse accaduto. Quando ci troviamo dinanzi a un evento che sfida le nostre usuali spiegazioni, buttiamo via l’evento e ci teniamo le spiegazioni. 

Qui c’è un baratro che segna differenze mentali profonde: chi l’ha varcato e si è inoltrato, come passando dall’altra parte dello specchio, viene in genere visto con intenso sospetto. Tuttavia, riprendendo il suggestivo “Think Different” di quella suggestiva campagna della Apple di cui abbiamo parlato in precedenza, là dove alcuni scorgono un caso di follia altri colgono la presenza di un genio.  E talvolta capita che quelli che vedono “folli, anticonformisti, ribelli, piantagrane” possano in realtà avere davanti agli occhi – e tuttavia riuscire a non vederli – alcuni dei personaggi più importanti del mondo d’oggi e di quello di domani. E restano in tal modo ciechi rispetto all’arrivo dei Cigni Neri e Grigi, sui quali alcuni di quei folli cercavano di richiamare la loro attenzione, così come alle opportunità che i Cigni Verdi potrebbero offrire. 

Andremo a esaminare il modo in cui nuove forme di ricchezza saranno create, domani, da gente che veniva vista come marginale, persino irrilevante. In definitiva, il genio del capitalismo mantiene il suo legame con la “mano invisibile” di Adam Smith, quella che si serve dell’interesse individuale degli operatori economici per portare avanti la produzione e l’innovazione che possono servire all’interesse di tanti. Le idee che si fanno largo sui margini possono entrare a spingere – o essere assorbite – nella corrente dominante. E agli esperimenti non riusciti è consentito di morire: le economie capitalistiche più produttive accettano una certa dose di fallimenti. 

Questa, almeno, è la teoria. Il mondo reale può essere molto diverso. Questo libro è una testimonianza dei decenni di lavoro che ho svolto, senza navigare nell’oro, a Volans e prima ancora con la ENDS (Environment Data Services) e poi con SubstainAbility, insieme ad alcune delle società e delle firme che nel mondo primeggiano per la loro forza e il loro successo. Questo lavoro ha abbracciato un elenco di aziende e istituzioni finanziarie che va letteralmente dalla A alla Zeta: da Aviva Investors a Zouk Capital. 

Certo, ci sono altri consiglieri economici che possono avanzare credenziali come queste, ma quello che forse nel corso del tempo ha distinto l’impostazione del mio lavoro è che io ho cercato di far passare un futuro radicalmente diverso – e con potenzialità altamente perturbative – nelle camere del consiglio delle grandi società e presso le alte sfere. In questo percorso, mi sono più volte scontrato con molti esempi di quello che si potrebbe anche definire il “gomito invisibile” del capitalismo, un pezzettino della nostra anatomia economica molto portato a scatenare senza volerlo dolorose – e talvolta catastrofiche – conseguenze. 

Molti consulenti nel settore economico si impegnano, ragionevolmente, a essere professionali, obiettivi e neutrali. Invece ho detto per molto tempo ai miei clienti che io e i miei colleghi aspiriamo a essere obiettivi nei termini richiesti dalla necessaria agenda di cambiamenti da realizzare nei prossimi dieci o quindici anni. La neutralità può andare al diavolo. Mi sono trovato a lavorare con leader impegnati a introdurre mutamenti progressivi allo status quo e li ho incoraggiati a passare dal tatticismo all’attività di trasformazione, allargando i propri orizzonti per accogliere un futurus quo con capacità di mutamento esponenziali. Una realtà futura nella quale ciò che oggi esiste – modelli di business, culture organizzative, formazione professionale, mentalità – non sarà più in grado di funzionare. 

Col passare del tempo abbiamo portato i principali innovatori, che qualcuno giudica ancora pericolosi sovversivi, in posizioni centrali di controllo in campo economico e finanziario. Per esempio, abbiamo cominciato con chi si era fatto le ossa con le campagne di Amnesty, Greenpeace e Oxfam, poi allargato l’invito a imprenditori e innovatori sociali, includendo nel gruppo anche l’ultima variante della specie: gli impact investors più interessati all’impatto sociale che al profitto. Seguono gli innovatori esponenziali, che respingono un cambiamento che cresca per scarti frazionari e ne auspicano uno che si moltiplichi in modo esplosivo, come mostra la formula: cambiamento “10X, non 10%”. 

Contrariamente a quanto si fa di solito, abbiamo anche avvisato i nostri clienti che, se mai fosse giunto il momento di scegliere, noi ci saremmo schierati con i piantagrane, e non con i nostri ospiti delle grandi corporation. Questo ha consentito a qualche potenziale cliente di fermarsi un momento a riflettere, visto che non mancano, tra i critici del capitalismo nella sua forma più consueta, i sostenitori della tesi che le grandi aziende, per loro stessa natura, non possano che essere psicologicamente squilibrate. Lunedì 25 ottobre 2004, per esempio, presedetti al lancio londinese del documentario canadese The Corporation, il cui sottotitolo originale era “La ricerca patologica del profitto e del potere”. Con noi c’erano Joel Bakan, autore del libro di riferimento, e Jennifer Abbott, co-regista del film. Alla fine, il documentario vinse decine di premi, ponendo una domanda semplice sebbene profondamente provocatoria: se la legge considera le grandi società delle “persone” dal punto di vista legale, allora cosa potrebbe accadere se una di loro fosse portata sul divano di uno psicoanalista? La troupe del film aveva intervistato una quarantina di addetti ai lavori, attivisti ed esperti di economia politica, fra cui Milton Friedman, Noam Chomsky, Vandana Shiva, Naomi Klein e Michael Moore. La loro conclusione: almeno in base alla definizione fornita dalla legge negli Stati Uniti, le corporation sono psicopatiche. 

Bob Monks, investitore attivista citato nel libro da Bakan, ha spiegato che una corporation è una “macchina per esternalizzare, nello stesso modo in cui uno squalo è una macchina per uccidere”: non perché sia malevola, ma perché è così che l’hanno disegnata. La grande azienda, in altre parole, impone un’ampia gamma di costi economici, sociali e ambientali alla società, perché dal punto di vista commerciale ha senso fare così e perché le regole del gioco, interpretate con un minimo d’elasticità, non lo proibiscono.

Nella mia personale esperienza, le persone che dirigono queste grandi società non partono con l’idea di promuovere vaste ondate d’obesità e malattie croniche, di invadere gli oceani con rifiuti di plastica o destabilizzare gli equilibri climatici. Quando le conseguenze delle loro azioni divengono di pubblico dominio, la maggioranza di loro si mostra inorridita e qualcuno si vergogna, persino nello stesso momento in cui si arrovella per escogitare qualcosa con cui rispondere alle rivelazioni. 

Sono stato coinvolto in buona parte del lavoro che ha spinto molte delle maggiori aziende del mondo a divenire più trasparenti, responsabili e – almeno a sentire loro – sostenibili. In quanto segue, però, mi atterrò al consiglio del film del 1976 Tutti gli uomini del presidente: “Segui i soldi”. Per quanto numerosi siano i leader in campo economico e anche le aziende e i settori del business che intendono essere più attenti verso le persone e migliori per il mondo, le priorità del mercato in cui operano sono molto diverse. 

Come diciamo noi di Volans, non ha un gran senso ripulire i panni sporchi delle corporation se poi dobbiamo tornare a gettarli nell’acqua torbida del mercato. Nei mercati economici e nel mondo degli affari, nessuna motivazione può avere la forza del profitto. Ma le attuali idee sul profitto, pur avendo servito bene economisti, contabili e molti investitori, non sono chiaramente più funzionali nell’Antropocene. È significativo il fatto che, dal punto di vista geologico, la nostra era sarà segnata da cose come il fall-out nucleare, la plastica e, fra le tante altre cose, i resti di ossa di pollo. Qualcuno di voi sapeva che la massa complessiva dei ventitré miliardi di galline quotidianamente allevate nel mondo pesa più di quella di tutti gli altri uccelli presenti sulla Terra? Io non lo sapevo. Viviamo in mondi che spesso somigliano ben poco alle realtà che a livello evolutivo siamo stati programmati ad accettare o ignorare: è il messaggio dello straordinario libro di Donald Hoffman, L’illusione della realtà, il cui sottotitolo ricorda “Come l’evoluzione ci inganna sul mondo che vediamo”. 

Quel che ne emerge è che la ricerca esclusiva del profitto non è in alcun senso un modo di pensare alla salute del pianeta o di gestirlo per preservarla. Per fornire un solo semplice esempio: oggi nessuna delle principali industrie del mondo potrebbe garantire un profitto se le fosse imposto di pagare per il capitale naturale senza prezzo che sta sfruttando.47 Sul versante positivo, invece, credo che stiamo attraversando le prime fasi di un nuovo Rinascimento, almeno per quel che riguarda la nostra comprensione di concetti come profitto, impatto e, in misura decisiva, valore e ricchezza. Come il primo Rinascimento, anche questo, sul piano esistenziale, sarà sconvolgente. 

Paradiso in fiamme 

La maggioranza di noi, oggi, questa realtà emergente riesce ad avvertirla, ma non è che debba trovarla necessariamente confortante. Una ricerca recente sulla pubblica opinione ha rivelato che il 79% degli intervistati sentiva che il mondo stava “cambiando troppo rapidamente” e l’82 che viviamo in un “mondo sempre più pericoloso”. Davvero terribile – ed emblematico – il fatto che Paradise, una cittadina californiana, sia stata completamente arsa dalle fiamme nell’incendio più distruttivo nella storia dello stato. 

Alcuni dei maggiori successi della nostra storia si stanno ora volgendo in disastri incombenti. Per dirlo con le parole di Jonathan Foley, scienziato ambientale: 

Pensateci un po’ su per un secondo: durante gli ultimi cinquant’anni abbiamo raddoppiato la popolazione mondiale, fatto crescere di otto volte la nostra attività economica e cominciato a usare le risorse naturali in una misura due o tre volte superiore a quella massima mai raggiunta prima. In altre parole, la nostra società, negli ultimi cinquant’anni, ha visto più cambiamenti che in qualsiasi altro periodo della storia. Cosa più impressionante ancora, negli ultimi cinquant’anni siamo cambiati di più che in tutta la durata dell’esistenza umana.

Ci sono autori di grande successo commerciale che hanno affrontato la questione dei possibili esiti di questa corsa con un atteggiamento superottimistico. Persone come Steven Pinker e il compianto Hans Rosling hanno sostenuto che stiamo vivendo nell’epoca più pacifica di sempre, a quanto dicono le statistiche. Negli ultimi cento anni abbiamo visto raddoppiarsi l’aspettativa di vita media… In effetti, nel momento in cui scrivevo queste parole, mio padre aveva novantotto anni e mia madre novantasei. Ma cose del genere non vanno avanti per sempre. E la minaccia dell’era dell’Antropocene è che la nostra specie, così abile da migliorare condizioni e aspettativa di vita nel giro di un paio di generazioni, possa squilibrare il mondo inteso in senso più vasto al punto da minare le fondamenta stesse della natura e della civiltà. 

Attualmente molti scienziati collocano gli inizi dell’Antropocene nel 1950, quando le molteplici curve esponenziali tenute attentamente sotto osservazione dal Centro di Resilienza di Stoccolma (Planetary Boundaries),  dal Programma Internazionale Geosfera-Biosfera (la Great Acceleration) e da altre entità consimili hanno preso a schizzare verso il cielo. Ma due scienziati hanno proposto una data di partenza tanto diversa da apparire sorprendente, prendendo in considerazione soprattutto la forza invasiva del legame che la nostra specie ha stretto con l’habitat globale negli ultimi secoli. Nel loro libro, Il pianeta umano. Come abbiamocreatol’Antropocene,SimonLewiseMarkMaslin,professori allo University College di Londra, sostengono che l’Antropocene è iniziato con la colonizzazione del Nuovo Mondo, già nel XVI secolo. 

Com’è possibile? Ebbene, oggi si è calcolato che le malattie che quei migranti si portarono dietro, combinate con l’utilizzo genocida di tecnologie all’epoca decisamente avanzate, abbiano prodotto la morte di una massa oscillante tra i cinquanta e gli ottanta milioni di indigeni nel complesso delle Americhe. Inimmaginabile. Dal punto di vista di coloro che videro il proprio mondo andare in pezzi, un autentico Cigno Nero. Poi, mentre le popolazioni originarie sbiadivano rapidamente sino a dissolversi nel quadro del paesaggio, gli alberi tornarono a crescere. Le foreste, recuperando terreno, assorbirono dall’atmosfera anidride carbonica, e i livelli di diossido di carbonio giunsero a un significativo minimo storico verso il 1610. 

Chi mai avrebbe detto che la nostra specie potesse aver avuto un tale impatto sull’ambiente già tanto tempo fa? Ma l’impatto straordinario di questi cambiamenti, quelli che abbiamo messo in moto ora, minacciano di produrre effetti che lo supererebbero di vari ordini di grandezza. 

E allora, come possiamo ripensare, oggi, le nostre convinzioni sul mercato e le sue realtà? Come possiamo imparare a pensare ciò che prima era impensabile? E queste sono solo alcune delle domande per le quali è ormai urgente trovare risposte. 

Esplorare le frontiere dell’esponenziale 

Per dare il proprio contributo a sostenere tutti coloro che si muovano in questa direzione, Volans e PA Consulting, qualche anno fa, hanno unito le proprie forze con Global Compact, il Patto Mondiale delle Nazioni Unite, la più grande piattaforma globale dedicata a un’attività aziendale sostenibile, per creare il Project Breakthrough. Nel corso dell’operazione, Volans sviluppò quello che chiamiamo “Breakthrough Compass”, ossia la bussola della svolta radicale risolutiva, per definire una mappa del quadro emergente di rischi e opportunità (Figura 2). 

L’asse orizzontale della bussola (“impatto’) descrive lo spettro degli esiti creati dal mondo degli affari, da quelli estremamente negativi a quelli estremamente positivi. 

La scala – un impatto in grado di colpire, nel bene o nel male, miliardi di persone – può sembrare forzata, ma a definirne correttamente i limiti esterni mi hanno aiutato due preziosi fratelli che ho la fortuna di conoscere già da diversi anni. Uno dei due, il Larry Page di Google, investe in soluzioni mirate a migliorare la vita di fasce di popolazione che giungono sino a un miliardo di persone; l’altro fratello, Carl, che lavora all’Anthropocene Institute, ha concentrato la sua attenzione su problemi che potrebbero danneggiare – o anche uccidere – sino a un miliardo di persone. 

Sull’asse verticale (“scala”) si passa dai mutamenti progressivi della linea di fondo sino agli esiti sempre più esponenziali della parte superiore. 

Se vogliamo affrontare adeguatamente le realtà del mutamento climatico e degli altri modi con cui stiamo sempre più violando e squilibrando limiti e regole del pianeta, sarà necessario spostare tutto il nostro bagaglio di mentalità, tecnologie e modelli di business, muovendoci da sinistra a destra e dal fondo sino alla cima della bussola e assicurandoci che una quota crescente delle nostre economie si concentri e operi nel riquadro superiore destro: il regno delle innovazioni della svolta radicale. 

Come si potrà vedere, abbiamo avuto il privilegio di lavorare con un numero crescente di CEO determinati a muoversi verso il riquadro superiore destro. 

Agli inizi del 2020, per esempio, eravamo a Madrid a lavorare con dirigenti di Acciona provenienti da tutto il mondo per giungere a una “sostenibilità esponenziale”. Guidata da un leader illuminato, José Maria Entrecanales Domecq, attualmente affiancato dal direttore della sostenibilità globale José Luis Blasco, questa azienda, il cui campo d’azione va dalle infrastrutture all’energia, è giunta a un livello zero di emissioni qualche anno fa, grazie soprattutto al suo forte impegno nelle energie rinnovabili. 

Nei decenni a venire saranno in molti, nel mondo del business, a seguirne l’esempio. La zona del “Collasso” è il territorio dei Cigni Neri e Grigi, in cui gli esponenziali negativi premono per portare al crollo del sistema. La zona della “Svolta radicale risolutiva” è quella dove ci si dovrebbe aspettare di vedere un numero crescente di Cigni Verdi uscire dall’uovo, mettere le piume e spiccare il volo. È però possibile che ne nascano anche in altre zone, dove iniziano come “Brutti Anatroccoli” ma con potenzialità sostanziali immutate: portare benefici a milioni – e alla fine a miliardi – di persone. 

Mentre il Project Breakthrough andava avanti, abbiamo visitato organizzazioni come XPRIZE Foundation, la X facility di Google e Singularity University: tutte punte di diamante del pensiero esponenziale. Imparando a conoscerle, siamo rimasti profondamente colpiti dal fatto che ci venisse costantemente espressa una stessa, ferma convinzione: che le sfide globali attuali non potranno mai essere vinte, se continueremo a porci obiettivi di progressi minimali dell’1% (o anche del 10), ma che tutto il settore delle attività economiche dovrebbe piuttosto abbracciare un pensiero del 10x, ossia mirare a progressi e incrementi nella misura di una decuplicazione. Abbiamo quindi concluso che questo è oggi l’atteggiamento necessario per fare dei reali progressi nella sostenibilità. Non possiamo più limitarci a perseguire piccoli incrementi progressivi e costanti, abbiamo anche bisogno di misurarci su obiettivi che mirino ad avere un impatto di 10x (insomma, di dieci volte), o anche di 100x, su una popolazione compresa tra un milione e un miliardo di persone. 

Se ora guardo indietro, vedo che ho esplorato i confini più avanzati del pensiero esponenziale per un bel po’ di tempo. Nel 2005, per esempio, ho fatto visita a Kevin Kelly, fondatore e direttore della rivista “Wired”, nella sua casa californiana. Due dei suoi libri, Out of Control e Nuove regole per una nuova economia, hanno decisamente contribuito a volgere la mia visione di un futuro di penuria in un’altra caratterizzata invece, in misura sempre maggiore, almeno in certi settori, da una prospettiva d’abbondanza. In un mondo segnato da ritorni positivi in costante diminuzione e da impacci e limiti alla crescita, Kelly sosteneva che la nuova tecnologia digitale offrisse ritorni crescenti, di fatto capaci di produrre accelerazioni esponenziali. 

Qualche anno dopo, Kelly ha scritto sul suo blog un post di grande impatto, che coglieva appieno l’affascinante dilemma di una mentalità aperta all’esponenziale:

Il progresso corre su linee esponenziali, ma la nostra vita cammina con andatura lineare. Viviamo giorno per giorno per giorno […] L’oggi avrà sempre maggior valore di un qualche giorno nel futuro, in larga misura per il fatto che non siamo sicuri di potervi giungere. Idem per le civiltà. Nel tempo lineare, il futuro è una perdita. Ma le menti e le società degli esseri umani possono riuscire, col trascorrere del tempo, a migliorare le cose e comporre quei miglioramenti in circoli virtuosi, sicché il futuro, in questa dimensione, si presenta come una prospettiva di guadagni. È per questo che un pensiero orientato a lungo termine comporta la confluenza del lineare e dell’esponenziale. 

Il passaggio a una mentalità esponenziale non è semplice, per i motivi offerti da Kelly e per altri ancora. La maggioranza di noi non è stata cablata per pensare in termini esponenziali. Ma oggi, per quelle stesse ragioni, è divenuto vitale, per noi, saper risolvere queste difficoltà. Un altro californiano, Peter Diamandis, cofondatore della XPRIZE Foundation e della Singularity University, ha sostenuto che la tecnologia può aiutarci a creare quella che chiama “tecnologia dell’abbondanza”.  Il mondo, insiste, è ricchissimo di risorse – acqua, energia e tanto altro – ma ci troviamo ostacolati dalla nostra difficoltà di accesso e utilizzo nei modi più efficienti. Ma alla fine, dice, “la tecnologia è una forza per la liberazione delle energie”. Se propriamente utilizzata, e questo è un argomento sul quale torneremo ripetutamente, ci può aiutare a liberarci dai limiti attuali delle nostre risorse.

Io sono un ottimista patentato. Anche le situazioni più tetre hanno un risvolto positivo. La nostra specie spesso dà il meglio quando viene chiusa – o si è spinta di sua iniziativa – in un angolo. Oggi ci siamo spinti in quella che spesso chiamo la “madre di tutti gli angoli”. Questo è, nella realtà di oggi, il grande quadro di sintesi che salta agli occhi. Ma scendete di un livello o due e apparirà chiaro come l’economia globale si stia avviando a una sorta di gigantesca inversione a U, come quella illustrata nella Figura 1. 

I legami tra quest’idea e la “Teoria U” di Otto Scharmer non mi sono affatto sfuggiti; in effetti il suo lavoro dovrebbe essere accolto nel cuore di ogni futuro progetto degli aspiranti allevatori di Cigni Verdi in arrivo. Egli mira a riproporci l’avvertimento di Einstein, che non si può risolvere alcun problema restando al livello del pensiero che l’ha creato. 

Sembra sempre impossibile… 

Tutt’attorno, un vecchio ordine sta morendo e uno nuovo sta lottando per venire alla luce e muoversi con le proprie gambe. Questo l’ho annunciato venti anni fa, nel 2001, nei termini del prossimo avvento di una “Economia della Crisalide”. Un’economia globale che la mia generazione ha fatto crescere, dandone per scontate stabilità ed efficienza, si è rivelata voracemente distruttiva come un gigantesco bruco globale. Adesso la scienza suggerisce che sarebbe bene strizzarla dentro una qualche sorta di bozzolo economico e politico, preservando ambiente e risorse, per avviarne un profondo processo di metamorfosi. 

Ho scoperto che, in una normale crisalide, l’insaziabile bruco si scioglie in una sorta di ricco impasto di nutrienti. Questi, poi, vengono riassemblati nella forma di una farfalla dalle cosiddette cellule immaginali: veri e propri progetti viventi. La stessa cosa, concludevo, si sarebbe verificata con la mia Economia della Crisalide, nella quale le cellule immaginali sono gli innovatori, gli amministratori aziendali, i sindaci delle città. E quello che accade oggi fa pensare che, almeno in qualche area del mondo, il bozzolo della nostra crisalide cominci a dar segno di schiudersi, in un processo che può solo accelerare. 


John Elkington (1949) è un pioniere del movimento per la sostenibilità globale. È autore di 19 libri, tra i quali i bestseller The Green Consumer Guide (1988), che ha portato l’attenzione sugli impatti ambientali di prodotti e marchi di uso quotidiano, e Cannibals with Forks (1997), che ha reso popolare il suo concetto di “Triple Bottom Line” e ha gettato le basi per una strategia aziendale sostenibile.

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