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Faccio da sola, breve storia dell’autoerotismo femminile


Una breve storia della masturbazione femminile, da malattia a terapia, ma sempre all’insegna del tabù.


In copertina: un disegno di G. Klimt


di Carla Fronteddu

La masturbazione è l’infinita storia d’amore che ognuna di noi ha con se stessa nel corso della vita
Dosdson, Sex for One

Inserendo come chiave di ricerca su Google “donne” e “masturbazione” i primi dieci risultati si annunciano con questi titoli: “masturbazione femminile: i consigli dell’esperto”, “tutto quello che c’è da sapere”, “ragioni per cui farlo regolarmente”, “errori da non commettere”, “benefici e consigli”. Al settimo posto OMGY (Oh My God Yes), una piattaforma statunitense tradotta in 12 lingue, per soli 39€ offre 62 video dedicati alla scienza del piacere femminile, tutorial per raggiungere l’orgasmo inclusi. A prima vista si potrebbe concludere che l’autoerotismo femminile sia un argomento ormai sdoganato, al punto che l’unica cosa da dire a riguardo sia quanto faccia bene e come farlo meglio. Se si ha la pazienza di aprire i link però, tutte le pagine in questione introducono il tema con queste premesse:

Nonostante i progressi culturali e sociali, per alcuni la masturbazione resta ancora un argomento decisamente ‘rischioso’. L’autoerotismo è una pratica intima, di cui in molti, sia uomini che donne, hanno difficoltà a parlare. Resta un tabù e sull’argomento si sono tramandati per generazioni leggende e falsi miti tanto da spingere le persone (soprattutto le donne) a credere che la masturbazione non sia una pratica sana. Donna Moderna

Una bruna distesa languidamente sul divano. Il vestito le sale sulle cosce. Si accarezza… Siamo al cinema. Lei è la bellissima attrice di origini cubane Eva Mendes, il film è I padroni della notte, la scena ha una grande carica erotica, come ce ne sono tante nei film. Ma nella realtà la masturbazione femminile è ancora piena di tabù, di scarsa conoscenza e spesso di sensi di colpa. Risultato: meno del 18 per cento delle donne confessa stante. Ma dove sta il problema? Elle

La masturbazione femminile è considerata ancora un tabù. Il termine masturbazione proviene dal latino “manus” (mano) e “stuprare” (sporcare, contaminare) … Questo spiega che tale atto sia stato aspramente condannato per tanti secoli. Al giorno d’oggi la sessualità si è fatta più libera, ma le donne che ammettono di masturbarsi sono ancora poche (il 45% della popolazione femminile si masturberebbe regolarmente). Al Femminile

Dove sta dunque il problema? Come è possibile che un’attività che provoca tanto piacere e altrettanti benefici sia legata a sentimenti di colpa e vergogna e se ne sappia così poco?

Secondo lo storico americano Thomas Lacqueur, possiamo far risalire le origini del nostro disagio culturale nei confronti della masturbazione al 1712, anno di pubblicazione di un opuscolo intitolato Onania: ovvero l’odioso peccato dell’autopolluzione e tutte le spaventose conseguenze per entrambi i sessi, con consigli spirituali e materiali per coloro che si sono già rovinati con questa pratica abominevole e opportuni avvertimenti ai giovani della nazione di ambo i sessi. Quell’anno sarebbe stata “inventata” la masturbazione nella sua concezione moderna. Questo non significa che pratiche di autoerotismo non esistessero prima di allora, l’archeologia ci smentirebbe presto a riguardo, ma suggerisce che con la pubblicazione di Onania è iniziato un preciso modo di pensare alla masturbazione in Europa, una concezione che ha esercitato la sua influenza per oltre duecento anni.

Come il titolo dell’opuscolo lascia intendere, con i suoi riferimenti all’autopolluzione e alle spaventose conseguenze per entrambi i sessi, l’opinione nei confronti di questa pratica era estremamente negativa. La masturbazione, secondo l’anonimo autore, è un peccato che trova terreno fertile nell’ignoranza, si moltiplica nella segretezza ed è responsabile di una serie di terribili conseguenze sia per gli uomini che per le donne. Negli uomini causa disturbi “per i quali è sufficiente dire che sono terribilmente problematici e dolorosi”, nelle donne apre la strada a “una legione di malattie”:

In Men as well as Boys, the very first Attempt of it has often occasioned a Phymosis in some, and a Paraphymosis in others; I shall not explain these Terms any further, let it suffice that they are Accidents which are very troublesome & painful, and may continue to be tormenting for some time, if not bring on Ulcers and other worse Symptoms […] THE frequent Use of this POLLUTION; likewise causes Stranguaries, Priapisms, and other Disorders of the Penis and Testes, but especially Gonorrhea ’s, […]In Women SELF–POLLUTION if frequently practis’d, relaxes and spoils the retentive Faculty, occasions the Flouralbus, an obnoxious as well as perplexing Illness attending that Sex, which upon account of the Womb, may draw on a whole Legion of Diseases.

È successo così che l’autoerotismo, una pratica fino ad allora avvolta nell’indifferenza generale, nell’arco di mezzo secolo abbia conquistato una voce nelle maggiori Enciclopedie, si sia fatta spazio negli scritti di filosofi come Kant – che considerava “immorale anche soltanto chiamare tale vizio con il suo vero nome” – e Rousseau – che la definiva un “pericoloso surrogato che inganna la natura”–, e nel 1760 sia diventata il soggetto di Onanisme, un best-seller a cura di uno dei medici più famosi dell’epoca, Samuel August Davis Tissot.

Come il suo predecessore, Tissot delizia il lettore con un lungo elenco degli effetti collaterali della masturbazione, che appaiono meno spaventosi solo per una questione di sfumature:

la masturbazione causa debolezza del sistema digestivo, perdita o eccesso di appetito, vomito e indigestione. Può compromettere il sistema respiratorio e un indebolimento del sistema nervoso […] Le donne soffrono degli stessi sintomi, ma in aggiunta sono vittime di malesseri tipicamente femminili. Sono soggette a isteria “ou de vapeurs affreux,” incurabile itterizia, crampi allo stomaco, prolasso e ulcerazione dell’utero, irritazione della clitoride, etc.

Queste convinzioni, che oggi ci appaiono assurde e ridicole superstizioni, riecheggiavano ancora nelle orecchie di uomini e donne degli anni Cinquanta. Il famoso rapporto Kinsey Il comportamento sessuale della donna pubblicato nel 1953, aveva rivelato infatti la persistenza di queste credenze nella società americana di allora:

Molte persone ritengono che la masturbazione possa danneggiarle fisicamente. Alcune donne del campione, per esempio, credevano che la masturbazione fosse la causa di acne facciale, monotonia, postura scorretta, disturbi di stomaco, dolore ovarico, cisti ovariche, cancro, appendicite, infezioni di vario genere, indebolimento della vista, sterilità, mal di testa, problemi renali, cuore debole, deficit ormonali e altre complicazioni. Tuttavia non  siamo riusciti a trovare prove del fatto che questi disturbi potessero essere causati dall’attività masturbatoria riportata da queste donne.

Ma torniamo all’origine di tutto. Sebbene ai tempi di Tissot e colleghi la masturbazione fosse considerata dannosa per entrambi i sessi, le differenze di genere erano profonde.

Il Settecento è un punto di svolta cruciale nella storia della sessualità umana, un momento in cui prendono forma nuove attitudini e nuovi comportamenti. Studiosi come Stone, Abelove e Laqueur le contestualizzano nel processo di trasformazione culturale – l’Illuminismo – e dei sistemi di produzione – la prima Rivoluzione Industriale – che si stava verificando all’epoca.  In questa cornice, come ha messo a nudo Foucault, la sessualità, lungi da essere repressa, viene braccata nei comportamenti, le si dà la caccia nei sogni, la si sospetta dietro le più piccole follie, la s’ insegue fin nei primi anni dell’infanzia; diventa la cifra dell’individualità, quel che permette contemporaneamente di analizzarla e di renderla docile ed utile e diventa oggetto di operazioni politiche e di interventi economici attraverso incitazioni e freni alla procreazione. All’interno di questa “tecnologia del sesso” genere e sesso vengono ridefiniti e il corpo della donna, grazie al suo potenziale riproduttivo, diventa terreno privilegiato delle “tattiche” che lo integrano al campo delle pratiche mediche, lo mettono in comunicazione organica con il corpo sociale al quale deve assicurare una fecondità regolata, con lo spazio familiare del quale deve essere elemento essenziale, con la vita dei figli del cui allevamento e della cui educazione si deve occupare.

Laqueur individua in questo momento storico il passaggio dal “one–sex model”, che aveva prevalso nell’antichità, al “two–sex model”, che corrisponde alla moderna sensibilità in materia. Secondo questa interpretazione, prima del Settecento non esisteva una distinzione, un’opposizione biologica tra i sessi. Ciò che al giorno d’oggi viene considerato un evidente segno distintivo – pene e vagina, testicoli e ovaie, mestruazioni, assenza di mestruazioni – non veniva interpretato in tal senso. Al contrario, ognuno di questi elementi era visto come una versione dell’altro, coerentemente con una lettura metafisica della realtà: il corpo femminile rifletteva la sua imperfezione rispetto al modello maschile. Le donne, insomma, erano la copia mal riuscita degli uomini. Fino al Settecento, in altre parole, esisteva un solo sesso che si declinava in due tipi, il  maschile e femminile.

Il processo di makeover che si è messo in moto nel corso del secolo, portando alla concezione di due sessi distinti e opposti ha avuto ricadute significative sulla definizione del maschile e femminile, stabilendo le basi per gli stereotipi di genere di cui facciamo ancora fatica a liberarci. Prima di allora, le donne erano considerate soggetti altamente sessuali, lascive e facilmente corruttibili, diversamente dagli uomini, che non erano dominati da istinti e impulsi sessuali. Nel Settecento i ruoli di sono improvvisamente ribaltati: le donne sono state elevate a creature asessuali, mentre agli uomini sono stati attribuiti istinti sessuali difficili da contenere (aprendo la strada a quella retorica che assolve la violenza maschile, in quanto frutto di una natura erotica strabordante e incontrollabile).

Questa nuova dialettica maschile/femminile, attivo/passivo ha cambiato profondamente le pratiche sessuali, portando a una nuova definizione di sesso come pratica eterosessuale e penetrativa. Lo storico Tim Hitchcock, studiando i diari e la letteratura popolare diffusa tra Seicento e Settecento, ha scoperto che le pratiche sessuali seicentesche privilegiavano la masturbazione reciproca e ponevano poca enfasi sulla penetrazione, tenendo in considerazione il piacere di entrambi i sessi, mentre a partire dal secolo successivo l’ago della bilancia si è spostato su pratiche fallocentriche e penetrative. Questa trasformazione nelle pratiche sessuali ha esposto le donne a un maggior rischio di gravidanza, e quindi a un maggior controllo sociale, e le ha rese più facilmente insoddisfatte sul piano sessuale:

[Si è verificata] una transizione tra una forma di sessualità in cui gli interessi di entrambi giocavano un ruolo significativo, a una forma in cui l’orgasmo maschile è diventato l’obiettivo unico. In questo processo si sono prodotte contemporaneamente due conseguenze: gli uomini, adesso concentrati sul primato dei propri organi sessuali, furono liberati; mentre le donne, biologicamente ridefinite in maniera da negar loro un ruolo attivo, furono represse e la loro vita sessuale fu sanzionata più pesantemente.

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In uno scenario così influenzato da una concezione androcentrica della sessualità non sorprende, come nota giustamente Vause, che la masturbazione femminile sia stata percepita come un bastone tra le ruote. L’autoerotismo, infatti, confermando l’esistenza di quell’impulso sessuale e di quella ricerca del piacere rimossi dalla costruzione del soggetto femminile, si configurava come una minaccia all’ordine delle cose simmetricamente costituito. Le illustri menti dell’epoca sono quindi corse ai ripari e si sono affannate a riposizionare e a rendere innocuo il piacere femminile.

La soluzione più comune è stata il massaggio vaginale. Non una vera e propria novità, visto che già Galeno la consigliava per evitare che l’utero se ne andasse a spasso per il corpo rendendo la sua proprietaria isterica.

In un testo del 1653 del dottor Pieter van Foreest, citato da Maines in The technology of orgasm: “hysteria,” the vibrator, and women’s sexual satisfaction si legge:

[…] crediamo che sia necessario chiedere aiuto a una levatrice, così che possa massaggiare i genitali con un dito all’interno, usando olio di giglio, muschio, belladonna o qualcosa di simile. In questo modo la donna afflitta può essere stimolata fino al parossismo. Questo genere di stimolazione con il dito è raccomandata– da Galeno e Avicenna, tra gli altri– per le vedove, coloro che vivono una vita casta o che hanno preso i voti; è meno indicata per il trattamento di donne molto giovani, di donne pubbliche o sposate, per le quali il rimedio migliore è avere un rapporto sessuale con i propri mariti.

Chi ha visto il film Hysteria ricorderà la scena in cui il dottor Dalrymple insegna al giovane assistente Mortimer Granville il trattamento contro l’isteria per cui è diventato famoso in tutta Londra

Il massaggio genitale praticato nel Settecento era considerato un trattamento medico standard e possiamo capire come potesse essere ritenuto socialmente e eticamente accettabile per i medici che li praticavano e per le donne che li richiedevano soltanto tenendo conto del contesto androcentrico in cui erano immersi:

La richiesta per il trattamento derivava da due circostanze: la diagnosi della masturbazione come impura e potenzialmente dannosa per la salute, e il fallimento di una sessualità androcentricamente definita a procurare l’orgasmo alla maggio parte delle donne. Così, i sintomi definiti fino al 1952 come isteria, potrebbero essere stati in larghissima parte nient’altro che il normale funzionamento della sessualità femminile in un contesto sociale patriarcale incapace di riconoscere l’essenziale differenza tra uomini e donne, con la sua ossessione per il coito.

L’impresa tuttavia non doveva essere particolarmente edificante e i medici che se ne sono fatti carico hanno cercato ogni modo di rendere diversamente utili le proprie mani, incitando i mariti, ricorrendo a ostetriche e appena possibile ai dispositivi elettrici che si sono poi evoluti nel moderno vibratore. Il lavoro era impegnativo ma a motivare i medici di allora ci pensavano gli incassi. Il massaggio manuale, infatti, non era un trattamento riservato a donne di ogni estrazione sociale ma – per dirla con le parole della signorina Dalrymple – a casalinghe insoddisfatte,  che erano una minoranza della popolazione femminile.

Non sempre, tuttavia, il massaggio vaginale risultava efficace, di conseguenza le menti scientifiche dell’epoca, mosse da zelo professionale e da un’inesauribile ansia nei confronti degli impulsi sessuali dell’altro sesso, hanno continuato a arrovellarsi su come costringere le donne nel vestito che la società aveva loro confezionato.

Dal momento che la clitoride era stata identificata come la prima responsabile dei disturbi femminili – dalla ninfomania alla masturbazione, dalle mestruazioni dolorose all’isteria – i medici più pragmatici sono giunti a una conclusione lapalissiana: la clitoride andava rimossa! I pionieri di questo assalto ai genitali femminili in Europa, a partire dal 1860, rispondono al nome di Isaac Baker Brown, che esercitava a Londra, e Charles Brown–Sequard, a Parigi.

Negli stessi anni, sempre a Parigi, il professor Charcot offriva dimostrazioni pubbliche di casi di isteria e professava che la maggior parte dei disturbi mentali nelle donne altro non erano che il risultato di anomalie o dell’eccitazione dei loro genitali. Le sue dimostrazioni cliniche richiamavano folle di uomini, esposti all’esibizione pornografica di vulve e clitoridi delle giovani e belle (a giudicare dai disegni dell’epoca) pazienti portate in aula.

L’Ottocento volgeva alla fine e ancora gli illustri scienziati non erano riusciti a far quadrare le idee su l’intrinseca purezza delle rappresentanti del genere femminile con la fastidiosa evidenza che quelle invece cercavano una gratificazione sessuale con tanta passione e persistenza che erano persino disposte a far da sole.

Ma non tutto era perduto; tra il pubblico che assisteva alle lezioni di Charcot sedeva Sigmund Freud che ebbe un’intuizione: le donne non cercano l’orgasmo ma la maternità, e la masturbazione è il sintomo di un arresto nel normale sviluppo sessuale. Cambiando l’ordine degli addendi, il risultato non cambia: non è l’eccitamento dei genitali a causare la malattia mentale, ma il contrario.

Il capolavoro si è compiuto nei Tre Saggi di Teoria Sessuale (1905), in cui Freud stabilisce i termini della sessualità femminile, specificando l’opposizione tra una sessualità clitoridea e una vaginale come forme rispettivamente immature e mature dello sviluppo sessuale della donna. Nel terzo saggio– “Le trasformazioni della pubertà” – definisce lo sviluppo normale dell’individuo come un passaggio dall’autoerotismo alla pulsione sessuale che trova il suo oggetto non più nel proprio corpo, e che riunisce le singole pulsioni parziali sotto il primato genitale. Nel caso dell’individuo femmina, la clitoride, simbolo e luogo della sessualità infantile attiva della bambina, subisce nella pubertà una rimozione e cede la sua eccitabilità alla vagina. Questo trasferimento libidico, tuttavia, non è affatto semplice e scontato:

In questo cambiamento della zona direttiva erogena […] si trovano le condizioni principali del fatto che la donna vada particolarmente soggetta alla nevrosi, in particolare all’isteria. Queste condizioni dunque sono intimamente connesse con l’essenza della femminilità.

La masturbazione, in questo nuovo quadro, si configura come la conseguenza di uno sviluppo interrotto e di una nevrosi.

Solo negli anni Cinquanta, a partire dallo studio di Kinsey sulla sessualità umana la masturbazione è stata finalmente dissociata da disturbi fisici o mentali e riconsegnata a una fisiologica ricerca del piacere. In Sexual behavior in the human female è stata pronunciata ad alta voce la scomoda verità: la masturbazione è una pratica comune, a cui le donne intervistate ricorrevano molto più spesso di quanto il pubblico dell’epoca fosse disposto a ammettere. Esaminando frequenza, tecniche, attitudini, e fonti di informazioni sulla masturbazione, Kinsey ha inoltre abbattuto la convinzione che il pene (o un suo sostituto) fosse necessario al piacere femminile; solo il venti percento del campione, infatti, faceva uso di oggetti fallici per procurarsi l’orgasmo.

La reazione della società americana a risultati che ribaltavano le convinzioni in materia di genere e sessualità è stata rabbiosa, ma non è servita a impedire ulteriore analisi e approfondimenti. Gli studi successivi, infatti, hanno celebrato il divorzio tra piacere femminile e pene. Dagli studi di Masters e Johnson (1966) sull’orgasmo, infatti, è emerso che la difficoltà delle intervistate a raggiungere l’orgasmo corrispondeva nella maggior parte dei casi (il 70%) a rapporti penetrativi.

In poco più di due decadi, la masturbazione è stata ridefinita come un comportamento umano non patologico, che non produce danni fisici o mentali, ma che è anzi un mezzo efficace e efficiente per raggiungere l’orgasmo e per curare la frustrazione sessuale in donne sole.

Nonostante la scienza abbia iniziato da vari decenni a trattare la masturbazione come una condotta normale, gli esempi con cui si apre questo contributo suggeriscono che se da un lato ci siamo liberate dalle superstizioni che assillavano le donne negli anni Cinquanta, dall’altro esiste ancora un silenzio culturale nei confronti dell’autoerotismo femminile, che contribuisce a renderlo un terreno incerto.

La maggior parte degli studi e delle indagini storiche in materia si riferiscono alla masturbazione maschile, complice la difficoltà di trovare fonti sull’altro sesso che non siano registri medici dell’epoca vittoriana. La letteratura scientifica contemporanea –di matrice prevalentemente americana – dal canto suo, si concentra sulla frequenza e sulle ricadute in termini di salute ma trascura la dimensione soggettiva di questa pratica, che pure ha a che fare con la definizione e l’esperienza di noi stessi come soggetti sessuali.

È presumibile che la scarsa conoscenza delle esperienze autoerotiche delle donne da un punto di vista non meramente quantitativo o comparativo influenzi la loro consapevolezza, il modo in cui parlano, pensano e praticano la masturbazione, ma come? Anche su questo punto non abbiamo studi, narrazioni o rappresentazioni che aumentino la nostra comprensione.


Carla Fronteddu (1984) insegna studi di genere a Syracuse University e CEA. Per non andare fuori tema, si occupa insieme a un eterogeneo gruppo di attiviste di Fiesolana2b, l’associazione che ha raccolto l’eredità della Libreria delle Donne di Firenze, per continuare a offrire uno spazio di elaborazione femminista e autodeterminazione in città.

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