Fallimentari azioni militari contro gli uccelli

Gli animali selvatici sono stati protetti, in passato, per ragioni molto diverse dall’ambientalismo. Vale la pena raccontarlo, soprattutto nel caso degli uccelli, tra gli animali più “indomabili” in assoluto.


IN COPERTINA un dipinto di Winslow Homer

Questo testo è un estratto da  Wanted, di Mary Roach, ringraziamo Aboca Editore per la gentile concessione.


di Mary Roach

Per quanto mi sia dato di capire dai giornali dell’epoca, la pratica nota come “bombardamento dei corvi” toccò l’apice nei pressi della cittadina texana di Asa il 6 febbraio del 1953. Joe Browder, “che odia i corvi”, prese 70 chilogrammi di dinamite e li suddivise per realizzare trecento bombe. Candelotti di esplosivo, insieme a frammenti metallici provenienti da una fonderia del posto, vennero infilati in tubi di cartone e legati agli arbusti lungo il fiume Brazos, dove gli uccelli tornavano regolarmente a passare la notte. Secondo una stima vertiginosa, cinquantamila corvi morirono all’istante. 

Perché nessuno chiamò le autorità? Le autorità erano già lì. Il guardiacaccia locale faceva parte della squadra impegnata ad appendere le bombe dopo che gli uccelli erano volati via per andare a procacciarsi il cibo del giorno. E il crimine degli uccelli era proprio quello: procacciarsi il cibo. La preoccupazione comune espressa dai giornali del tempo era che i corvi – “briganti neri dell’aria”, “gangster piumati”, la “minacciosa marea nera” – razziassero i nidi degli uccelli acquatici, divorandone le uova e i pulcini al punto che i cacciatori di anatre non ne avrebbero avuti abbastanza da impallinare. In effetti, il bombardamento dei corvi fu un’operazione di salvaguardia patrocinata dal governo. Chi sovrintese all’uccisione con l’esplosivo di duecentocinquantamila corvi dell’Illinois nell’inverno del 1935? Il commissario per la salvaguardia della flora e della fauna dell’Illinois. Chi fece fuori tremila corvi appollaiati sugli alberi nei pressi di Coupland, Texas, volò a una conferenza sulla fauna protetta a St. Louis e tornò il venerdì seguente per bombardare una colonia di corvi a Creedmoor? Il segretario della Lega per la protezione dell’ambiente naturale del Texas. 

Ecco la storia vera della conservazione ambientale in America. Fu solo negli anni ottanta che tale parola assunse il significato che ha per noi oggi. Flora e fauna protette e aree incontaminate non venivano tutelate per il loro valore intrinseco. Venivano tutelate per la caccia e la pesca. Vasti tratti di aree incontaminate erano protetti dallo sfruttamento agricolo e da altre forme di sviluppo per assicurare che vi fossero sempre luoghi e cose per la caccia e per la pesca. E le anatre venivano protette dai corvi. 

Anche i contadini inveivano contro le abitudini alimentari dei grandi stormi. Nel 1952, il braccio agricolo del governo fece un tentativo con la dinamite. Il Denver Wildlife Research Laboratory condusse una serie di “test sperimentali con esplosivi” tra gli alberi lungo un tratto acquitrinoso dell’Arkansas di poco meno di 2 chilometri presso cui merli dalle ali rosse, gracole, storni e vaccari testabruna andavano ad appollaiarsi dopo una lunga giornata di furtarelli di riso. Lo scopo dello studio era mettere a confronto l’efficienza in termini di costi dei diversi materiali di cui le bombe erano composti: dinamite rispetto a Primacord, piombo rispetto ad acciaio, tubi postali di cartone rispetto a vaschette da gelato rispetto a barattoli. Grazie a tale lavoro, per esempio, ora sappiamo che il “numero medio di uccelli uccisi” con un tubo postale riempito di dinamite e pallini di piombo è pari a milleottocentoventi, con un “costo per uccello ucciso” inferiore a un centesimo. 

Ciò che l’esperimento non rivelò fu quanto evidente fosse l’effetto dell’uccisione di ciò che ammontava all’1 o al 2% di un enorme stormo sulle perdite dei contadini. Tale valutazione, in realtà, esisteva grazie ai dati raccolti nel corso di un decennio di bombardamento dei corvi in Oklahoma. Dal 1934 al 1945, centoventisette posatoi di corvi furono fatti saltare con la dinamite “per ridurre la predazione delle uova degli uccelli acquatici e i danni alle colture”, scrive l’ornitologo di lunga data dell’USDA, Richard Dolbeer, nel suo capitolo di Ecology and Management of Blackbirds (Icteridae) in North America. Furono uccisi, secondo le stime, 3,8 milioni di corvi, eppure, scrive Dolbeer, “non si ottennero prove in grado di indicare che le esplosioni avessero influito sui livelli totali della popolazione, sui danni all’agricoltura o sulla produzione di uccelli acquatici”. 

Ecco cosa succede quando, come strumento per il controllo dei danni contro la fauna selvatica, si decide di uccidere. Non è solo un sistema meschino. Non funziona, eccezion fatta per un’eliminazione totale. Durante una visita al National Wildlife Research Center, nel corso di un’intera mattinata trascorsa negli archivi, lessi trascrizioni di racconti orali di alcuni veterani. Uno in particolare mi rimase impresso. Weldon Robinson aveva avviato la sua carriera come cacciatore di taglie per conto dello Stato, uccidendo coyote per 3 dollari a esemplare. Ben presto, era stato arruolato dal Denver Wildlife Research Laboratory, dove aveva fatto strada. Nel 1963, Robinson era a capo di quattro unità, tra cui Controllo uccelli, Controllo predatori e roditori agricoli. Era lo zar degli uccisori di animali selvatici molesti. A un certo punto, come rivela il racconto orale di Robinson, aveva avuto un’epifania sugli animali per ridurre il cui numero l’agenzia aveva lottato a lungo: “Madre Natura si adatta”. 

Robinson era approdato al fenomeno della riproduzione compensativa. Distruggi una parte della popolazione e ora c’è più cibo a disposizione per quelli che restano. Attraverso una vasta gamma di reazioni fisiologiche – periodi di gestazione più brevi, covate più abbondanti, annidamenti ritardati – un individuo ben nutrito produce più prole di quelli che stentano o che, semplicemente, tirano a campare. Con ampia disposizione di cibo, entrambi i genitori ben nutriti e i loro pingui piccoli hanno maggiori probabilità di sopravvivere e riprodursi. I coyote, per esempio, riescono ad avere tre cuccioli quando il cibo è scarso e otto quando è abbondante. Tali cifre sono tratte da Resolving Human-Wildlife Conflicts, un pressbook tecnico di Michael Conover. Conover è l’ex direttore del Jack H. Berryman Institute, che sponsorizza le ricerche sui metodi di risoluzione (in larga parte letali) dei conflitti tra esseri umani e fauna selvatica. Conover aggiunge che l’uccisione dei coyote fa ottenere territori a maschi che, altrimenti, non figlierebbero. In sostanza: al fine di ottenere una riduzione netta della popolazione dei coyote, gli esseri umani dovrebbero distruggerne almeno il 60% ogni anno. 

Robinson aveva condiviso il suo slogan al riguardo. “La natalità è più efficace della mortalità”, aveva detto all’intervistatrice. Efficace, per quanto leggermente astrusa. La donna aveva cambiato argomento. Lui ci era tornato immediatamente sopra. Ed ecco che me lo immagino sporgersi sulla sedia. “La natalità è più efficace della mortalità”, aveva ripetuto. Al che, l’intervistatrice aveva detto di non avere altre domande e insieme avevano guardato delle vecchie fotografie e si erano stupiti del fatto che un collega, un certo Howard Neff, un tempo avesse avuto i capelli. 

Un’altra cosa in cui mi sono imbattuto nei racconti orali è una menzione della pratica di sovrastimare le dimensioni di uno stormo al fine di ottenere i fondi federali per il controllo degli uccelli. Il capo del centro per il controllo della devastazione causata dagli uccelli stava spiegando all’intervistatore quanto avesse sovrastimato le dimensioni di uno stormo che stava volando tra due punti sopra di lui. La tecnica non era perfetta, ma era, disse, meglio che semplicemente inventarsi un numero grande, come stavano facendo certi Stati. “‘Ci sono venti milioni di uccelli! Ci servono più soldi.’ [Risatine.] Già, i contadini facevano la stessa cosa. ‘Ho duecentomila uccelli nel mio campo!’ Me ne servono di più! [Risatine.]” 

Non era neppure chiaro, nel caso dei merli che mangiavano il riso, se il bottino rappresentasse una perdita pesante. In base alle stime di una pubblicazione del 1971 della Fish and Wildlife Service Resource, la perdita media per acro era compresa tra mezzo staio di riso – un volume di più o meno 18 litri – e poco più di uno staio. Ovvero meno, si spinge a dire il documento, del quantitativo che sarebbe di norma caduto sul terreno man mano che una mietitrebbia si fosse mossa sulle messi (una perdita compresa tra 1,6 e 8 stai per acro). 

E c’è pure questo: gli uccelli assicurano al contadino significativi servizi di controllo dei parassiti delle erbacce. Sulla base dello studio di quasi cinquemila stomaci di uccelli, Foster Ellenborough Lascelles Beal del Bureau of Biological Survey (un antesignano dell’NWRC) ebbe a dire quanto segue: “A giudicare dal mero contenuto del suo stomaco, il merlo dalle ali rosse è senza alcun dubbio un uccello utile. Il servizio reso dalla distruzione di insetti nocivi e di semi di erbacce pesa decisamente più dei danni dovuti al suo consumo di cereali”. Il rapporto era firmato nientemeno che dal ministro dell’Agricoltura. Oggi bisogna rivolgersi a organizzazioni agricole per trovare questo tipo di informazione. (La Wild Farm Alliance, per esempio: sulla base del contenuto dello stomaco, “ogni cincia trapuntata vale circa 2.900 dollari per l’industria di produzione del pecan”.) 

Il bombardamento degli uccelli venne abbandonato in fretta, scrisse Dolbeer nel libro sui merli, “per varie, ovvie ragioni: fatica, spesa, rischi connessi, alta percentuale di esemplari menomati […] e scarsa efficacia nella risoluzione dei problemi”. È strano, dunque, che il rapporto sull’esperimento di bombardamento dell’Arkansas si sia concluso con il via libera. I risultati, dichiararono i ricercatori Johnson Neff e Mortimer Brooke Meanley Jr., indicava “l’efficacia e convenienza economica del bombardamento dei posatoi”. 

Meanley e Neff erano, come Joe Browder, semplicemente uomini mossi dall’odio per gli uccelli che razziavano i raccolti? E pure uomini a cui piaceva far detonare le bombe? Il bombardamento degli uccelli parve raggiungere l’apice dopo la Seconda guerra mondiale. Iniziai a chiedermi se fosse l’effetto di una intensa passione latente per lo scontro, dei postumi bellici di uno zelo patriottico malriposto. Un necrologio per Meanley archiviò tale idea. Il servizio da lui svolto nella Seconda guerra mondiale era consistito nella riabilitazione dei soldati portandoli nel cuore della natura. “Faceva commenti sull’incredibile fortuna di aver tenuto fede al suo impegno militare accompagnando dei soldati a fare camminate ornitologiche.” Sia Meanley che Neff erano degli stimati ornitologi. 

Dunque, in che modo questo garbato amante degli uccelli, autore di Natural History of Swainson’s Warbler, finì per far saltare con la dinamite dei merli in una palude dell’Arkansas? Allo stesso modo, suppongo, in cui certi entomologi finirono per sviluppare degli insetticidi e certi biologi della fauna selvatica si ritrovarono a dover abbattere degli orsi. I posti di lavoro sono pochi ed è lì che si trovano. Per qualcuno esperto di uccelli, il loro controllo era uno dei pochi modi per guadagnarsi da vivere. 

Non so dire perché Meanley e Neff abbiano appoggiato l’uso delle bombe. Forse, non lessero mai il rapporto sui merli del signor Beal oppure la monografia sull’esito poco brillante delle campagne di bombardamento dei corvi in Oklahoma. Parrebbe che nessuno abbia letto nemmeno la monografia di Neff e Meanley, perché il controllo dei merli prese rapidamente le distanze dalle bombe. 

Passiamo alla guerra chimica. Cinque anni dopo, Neff e Meanley erano nuovamente sui campi a spargere granaglie trattate con la stricnina intorno ai posatoi di merli e vaccari testabruna. Entrambe le specie, scrisse Dolbeer, “solitamente evitavano le esche”. Oppure, magari, semplicemente evitavano Johnson Neff e Mortimer Brooke Meanley. 

La guerra contro gli uccelli ladri di quando in quando si è avventurata al di là dei confini della metafora e ha assunto la forma di una vera e propria operazione militare. Nell’ottobre del 1932, il ministro australiano della Difesa accettò di inviare due mitraglieri – guidati da un certo maggiore G.P.W. Meredith – a stanare branchi di emù impegnati a calpestare il grano dei contadini dello stato dell’Australia Occidentale e a cibarsene. (Il ministro della Difesa aveva negato la richiesta originale dei contadini, ovvero il prestito di qualche mitragliatrice.) I militari chiesero in cambio solo le penne dei caduti, con cui ornare i cappelli dei cavalleggeri dello stato. 

L’emù si rivelò un avversario più tosto di quanto il maggiore Meredith e i suoi fucilieri si fossero aspettati. Per quanto incapace di volare, l’uccello è un gran corridore, in grado di raggiungere una velocità oraria di quasi cinquanta chilometri se spinto dalle motivazioni giuste. Gli emù si confondono nell’ambiente circostante e si muovono con una vedetta che, in quel caso, lanciava un avvertimento sonoro prima che gli uccelli fossero a tiro delle armi da fuoco e, a quel punto, lo stormo si sparpagliava in una crescente voluta di polvere. Il terzo giorno, forte di un conto confermato di soli ventisei uccelli abbattuti, il maggiore Meredith cambiò tattica. Tese un’imboscata, nascondendo i suoi fucilieri nel sottobosco sopra una diga presso cui gli emù andavano ad abbeverarsi. Intorno alle quattro pomeridiane, un branco di grosse dimensioni fu individuato in lontananza. 

“Quel perenne allungare il collo e la cautela del loro approccio mostrò che non si erano scordati di quanto accaduto nei giorni precedenti, ma una sete implacabile li spinse ad avanzare”, scrisse un corrispondente del “West Australian”. Quando gli uccelli furono a poche centinaia di metri di distanza, il maggiore Meredith diede l’ordine di fare fuoco. Una volta che la polvere si fu posata, gli uomini si alzarono in piedi per contare i cadaveri. Il deludente conto fu di una cinquantina di uccelli morti sul terreno. Si cercarono delle scuse. La mitragliatrice si era inceppata, disse qualcuno a un giornalista. Qualcun altro ipotizzò che la maggior parte delle pallottole avessero trapassato il piumaggio degli uccelli senza fare danni, perché l’emù ha “più penne che carne”. Il maggiore Meredith era convinto che centinaia di altri esemplari fossero stati colpiti ma fossero sopravvissuti. Attribuì all’emù una capacità quasi sovrannaturale di “affrontare le mitragliatrici senza l’invulnerabilità dei carrarmati”. I suoi commenti furono malinconici. “Se avessimo a disposizione una divisione dalle capacità di resistenza alle pallottole che hanno questi uccelli, sarebbe in grado di affrontare qualsiasi esercito al mondo.” 

Il sesto giorno, il maggiore Meredith si ritirò, sconfitto. “Gli emù apparvero in enormi branchi lungo la strada” osservò il “Daily News” di Perth, “come per dare un addio beffardo”. Sostanzialmente, fine della storia. Dodici anni dopo, mentre infuriava la Seconda guerra mondiale, i nuovi contadini dell’Australia Occidentale chiesero nuovamente un intervento militare. Stavolta, volevano che “venissero sganciate bombe leggere da aerei a volo radente”. La richiesta fu respinta. 

Nel frattempo, sull’oceano Pacifico, gli albatros dell’atollo di Midway si stavano preparando a essere un nemico altrettanto insuperabile. 

Le isole di Midway si trovano a metà tra l’America del Nord e l’Asia, nell’oceano Pacifico. Per questo, l’atollo di Midway era strategicamente importante per gli Stati Uniti e, nel 1941, la nazione vi costruì una stazione aereonavale. Midway era (ed è) importante anche per una dozzina di specie di uccelli marini, comprese le decine di migliaia di albatros di Laysan e albatros dai piedi neri che tornano a quelle isole ogni anno per posare le uova e crescere i pulcini. Dato che quegli uccelli non avevano predatori sulle isole, accolsero i nuovi venuti – sia umani che meccanici – non con timore bensì con un misto di nonchalance e curiosità. Si librarono alti sopra le rampe della marina, con avventata noncuranza per quei grossi e rumorosi uccelli di metallo con i quali condividevano lo spazio aereo. Le collisioni – scontri con gli uccelli – divennero un problema. 

“Abbiamo un uccello nella presa d’aria del carburatore.” Un macchinista aviatore, un certo Jerry, parla nel microfono di un addetto alle relazioni pubbliche della marina in un filmino governativo del 1959. “Ha provocato una perdita totale di potenza nel nostro motore numero tre.” 

Il microfono si inclina nuovamente verso la bocca dell’intervistatore. L’uomo ha i baffi a forma di ‘V’ rovesciata, baffi imili a uno svettante albatros capovolto. “Cosa succederebbe se uno stupido uccello finisse nella presa d’aria di un vostro aereo radar Super Constellation?” (“Stupido uccello” era il nomignolo dato all’albatros dai militari.) “Pensa che vi schiantereste durante il decollo?” 

“Sì, signore. È più che probabile.” 

L’intervistatore si rivolge alla telecamera. “Avete sentito. Da gente che sa cosa sta dicendo. Gente a cui risulta difficile comprendere la continua esistenza di tali stupidi uccelli qui a Midway.” 

La scena si sposta in un ufficio del Naval Air Station Barbers Point a Oahu. Ci viene presentato il contrammiraglio Benjamin E. Moore con la sua bacchetta. L’ammiraglio Moore è in piedi accanto a un cavalletto che sorregge un cartello indicante le statistiche chiave sullo stupido uccello. “L’anno scorso abbiamo registrato cinquecentotrentotto attacchi.” La bacchetta dà un colpetto alla scritta “Attacchi uccelli 538”. A quel punto, l’ammiraglio scompone il costo di tali attacchi, a cominciare dagli stipendi degli uomini che riparano i danni. “Duemilacinquecentoventi ore di lavoro per 2 dollari all’ora uguale a 5.040 dollari.” L’ammiraglio Moore si avvicina a un secondo cavalletto. La bacchetta dà un colpetto alla scritta “Voli sospesi 33”. Ogni volo sospeso prevede che il pilota scarichi undicimilatrecentosessanta litri di carburante per raggiungere un peso di atterraggio sicuro. La bacchetta dirige lo sguardo verso la scritta “Carburante gettato in mare 375.512 litri” e, più sotto, “Costo 17.500 dollari”. L’ammiraglio torna al primo cavalletto, dove qualcuno all’esterno dell’inquadratura si è avvicinato di soppiatto e ha cambiato il cartello. Un colpetto finale, deciso della bacchetta: “Totale 156.000 dollari”. 

L’ammiraglio Moore si avvicina alla sua scrivania. Alla sua sinistra, una bandiera americana pende da un’asta, triste e floscia come tutte le bandiere in un ambiente chiuso. L’ammiraglio si siede. L’atmosfera si incupisce. “O si eliminano gli stupidi uccelli da Midway e si tengono gli uomini, oppure si tengono gli uccelli e, prima o poi, si darà sepoltura a un equipaggio aereo di ventidue uomini. Spero che non mi tocchi mai il compito di spiegare a una madre o a una moglie che suo figlio o suo marito sono stati uccisi da…” L’ammiraglio Moore fa una pausa per sollevare una fotografia che qualcuno ha fatto finire sulla sua scrivania. Studia con sguardo truce la sommità dell’ingrandimento di un albatros che se ne sta con calma su un prato. “… questo.” Un movimento melodrammatico, orchestrale accompagna una dissolvenza e le parole The End. 

Il filmato si intitola The Second Battle of Midway. E quella battaglia è stata lunga, più lunga della prima, addirittura più lunga della Seconda guerra mondiale. Inizialmente, la strategia è stata un semplice massacro. Considerato l’elevato numero di uccelli, l’alto costo delle munizioni e l’attenzione dell’ammiraglio per il budget, l’assalto iniziale è stato condotto senza armi da fuoco. Si è svolto nel 1941 e se ne parla dettagliatamente in un Fish and Wildlife Service Special Scientific Report, sotto il titolo di “Large Scale Examination Experiment”. Duecento uomini armati di tubi o mazze di legno, “per sei o sette ore al giorno” colpirono gli albatros sulla nuca. Si stima che siano stati uccisi ottantamila uccelli. “Per un breve periodo, i rischi per i velivoli si ridussero”, conclude il paragrafo. “Nella stagione seguente, parvero esserci tanti albatros quanti ce n’erano prima.” 

La strategia passò alle molestie. Per convincere gli albatros a nidificare altrove, il personale fece fuoco con tutto ciò che aveva a disposizione. Sotto il titolo “Turbativa”, un’analisi governativa degli effetti del controllo sugli albatros di Midway del 1963 indica “fucili, pistole, bazooka, mortai”. “Alcuni uccelli evidenziarono fastidio, ma ad abbandonare i nidi non furono in numeri apprezzabili. Dieci congegni esplosivi al carburo furono sistemati a distanza di 41 metri l’uno dall’altro lungo il margine delle piste presso cui i nidi erano più numerosi. “Nessun calo nel numero degli uccelli in volo.” Gli uomini bruciarono pneumatici e accesero bengala per cacciare gli uccelli mediante i fumi fastidiosi. Tentarono di far suonare una “sirena ultrasonica”, pensando erroneamente che gli uccelli potessero udire gli ultrasuoni. A un certo punto, un velivolo di sorveglianzaradarLockheedWarningStarrullòaunatrentina di metri dall’area di nidificazione e attivò un raggio radar ad alta intensità. Senza il minimo effetto osservato. 

Incapace di far sloggiare gli uccelli dall’isola, la marina valutò la possibilità di spostarli fisicamente. Attraverso un altro programma sperimentale, diciotto albatros vennero prelevati dal loro sito di nidificazione accanto alle piste di decollo, vennero identificati con una fascetta e collocati a bordo di aerei militari in partenza per il Giappone, le Filippine, Guam, Kwajalein e – sìììì – il Naval Air Station Barbers Point di Oahu, luogo di nidificazione del militare odiatore di albatros più alto in grado, l’ammiraglio Benjamin E. Moore. Quattordici dei diciotto tornarono in volo (senza aereo) a Midway in tempo per la stagione della nidificazione. La marina non si era resa conto del fatto che, nonostante un albatros viaggi per migliaia di miglia, torna sempre a nidificare nello stesso punto. 

E… no: non si può semplicemente spostare il nido. La marina ha provato a fare anche questo. Gli uccelli consultavano il loro GPS interno, notavano che il nido era stato spostato, tornavano al loro vero luogo di nascita e procedevano a costruire un nido nuovo. Dopodiché, la marina provò a spostare le uova. Diecimila uova di albatros vennero portate sull’isola adiacente, dove i marinai scacciarono gli uccelli locali dai loro nidi e vi installarono subito le uova sequestrate, ma gli uccelli non si lasciarono ingannare. 

La marina, esasperata, andò a chiedere aiuto alla scienza. Il 2 ottobre 1957, Hubert Frings, professore di zoologia presso la Pennsylvania State University, ricevette una telefonata da Washington. Era disposto a raggiungere l’atollo di Midway in vista della stagione della nidificazione di dicembre/gennaio? In altre parole, Frings avrebbe compiuto l’estremo sacrificio di trascorrere la sua pausa tra un semestre e l’altro su un’isola tropicale invece di starsene ad Altoona, Pennsylvania? Ci potete scommettere. L’avrebbe accompagnato sua moglie Mable, bibliotecaria nonché esperta di bioacustica con un interesse speciale per le “sequenze degli stridii” di grilli e cavallette. 

Nel primissimo giorno dei Frings a Midway si stava svolgendo l’ennesima “eliminazione su ampia scala”. Nonostante il fallimento documentato delle precedenti uccisioni di massa, si parlava di prendere a mazzate l’intera popolazione di Midway. Mable si gettò nella mischia con il suo registratore a bobina, pensando di registrare i richiami di allarme e angoscia degli albatros, in maniera da poterli riprodurre in un secondo momento, nell’ambito di un’operazione ornitologicamente più cosciente volta a spaventarli e scacciarli. Non ci furono richiami da registrare. “Gli uccelli”, scrisse Hubert nelle sue memorie, “restavano per lo più seduti tranquillamente al loro posto finché non venivano presi a mazzate”. I nastri di Mable catturarono solo “il rumore sordo del legno sui crani” e, a un certo punto, il lamento angosciato di un giovane marinaio: “Non sono entrato in marina per spaccare la testa a uccelli innocenti”. 

Hubert sollevò pacatamente la questione del morale e, se si fosse sparsa la voce, “della reazione della gente in patria”. Le sue preoccupazioni furono ignorate. Come già successo, la carneficina non raggiunse i suoi obiettivi. Nonostante fossero stati uccisi ventunomila uccelli, “ce n’erano”, osservò Hubert, “quasi altrettanti a zonzo intorno alle piste e le cifre relative agli scontri tra uccelli e aerei restavano uguali”. Inoltre, continuò, “persino se a Midway si fosse ottenuto l’annientamento totale, sarebbe probabilmente passato poco tempo prima che il cartello ‘terreno disponibile’ facesse arrivare nuovi coloni”. 

Hubert e Mable fecero tutto il possibile per fornire alternative più garbate. Proposero di ripulire le spiagge delle isole vicine dal caviale verde per renderle più attraenti agli albatros in cerca di casa. Il progetto ha un cameo nel film promozionale della marina. Vediamo la bacchetta dell’ammiraglio Moore dare un colpetto all’ingrandimento fotografico dell’atollo di Kure. Il Navy Bureau of Aeronautics, dichiara l’ammiraglio nel film, intendeva tagliare del tutto gli arbusti, ma non sono riuscito a sapere altro al riguardo. 

La marina fece effettivamente un tentativo di “modificare il terreno”, anche se la cosa avvenne proprio a Midway. Qualcuno aveva lasciato intendere che una serie di dune nei pressi delle piste stesse creando correnti ascensionali e che gli albatros ne avessero bisogno per volare. E che l’appiattimento delle dune avrebbe, pertanto, risolto il problema. Hubert non era d’accordo. Il vento proveniente dall’oceano, insieme alla notevole superficie delle ali degli albatros, fornivano tutta la spinta ascensionale di cui avevano bisogno. Lo rimarcò, ma le dune vennero comunque spianate con i bulldozer. Ora il numero di albatros in volo sulla pista era addirittura superiore, dato che la demolizione aveva reso l’area più facilmente accessibile. 

Passarono le settimane e Hubert dovette tornare a insegnare. Lui e Mable convennero di condurre degli esperimenti a casa, in Pennsylvania. La coppia era impaziente di sviluppare un repellente per gli albatros. La marina, a quel punto spedizioniere esperto di albatros vivi, ne mandò prontamente due ai Frings. Una foto nel diario di Hubert mostra Mable con un abito a maniche corte e scarpe basse bicolori, impegnata a sollevare il coperchio di una cassa di compensato. Dal bordo spuntano le teste di due albatros di Laysan, freschi reduci dall’ultima tappa del loro viaggio, il treno espresso per Altoona. Gli uccelli sembrano, come sempre, per nulla turbati dalle strane cose che gli umani gli fanno. 

Gli esperimenti con i repellenti per albatros furono deludenti. Le palline di naftalina non li infastidivano. Furono introdotti dei serpenti vivi che vennero ignorati. Allo stesso modo, registrazioni di richiami di fastidio e allarme non provocarono la minima reazione. Più o meno, ce lo si aspettava perché, per ottenere e registrare tali richiami, un albatros di Midway venne fatto girare in cerchio e, mentre tutto ciò avveniva, gli uccelli impegnati a nidificare a pochi passi di distanza “non si degnarono nemmeno di girare la testa per capire cosa stesse provocando quel trambusto”. L’albatros è un uccello sostanzialmente imperturbabile. 

I Frings tornarono a Midway nel gennaio successivo. Erano ormai a corto di idee. Un giorno, Hubert notò un gruppo di mogli di militari della marina che stavano allontanando agevolmente uno stormo di albatros che poltrivano sui loro giardinetti, muovendosi con delle tovaglie davanti a sé. “Effettuammo dei test tenendo vari tipi di superfici davanti a noi, mentre avanzavamo verso gli uccelli”, scrisse Hubert. “Una superficie piatta di discrete dimensioni […] fortemente repellente.” Eccitato dalle scoperte fatte, Hubert fissò un incontro con il comando di Midway. Era convinto che, con un “programma integrato” di uomini che imbracciassero quadrati colorati, “sarebbero davvero stati in grado di ripulire l’isola dagli uccelli nidificatori”. Stimò che ci sarebbe stato bisogno ogni giorno di un numero di uomini compreso tra venti e trenta, per tutta la durata del ritorno degli albatros ai loro nidi. 

La proposta non venne accolta. Aveva fatto immediatamente seguito alla proposta di infastidire gli albatros sistemando fili metallici bassi in tutta la zona della nidificazione: per farli cadere. L’indicazione finale di Hubert fu ispirata dall’osservazione che non si era mai visto nessun albatros volare sotto le piastre metalliche che pendevano dai tetti di alcuni hangar. Si chiese se appendere lunghi pannelli di tela potesse impedire a un albatros di tentare di nidificare dove non avrebbe dovuto. Concepì dei pannelli colorati lunghi 3 metri e larghi uno, sospesi tra pali alti 6 metri sulla spiaggia accanto alla pista di decollo. Sembrava una cosa splendida, se eri un wedding planner o… Christo. Non altrettanto per un pilota della marina. Una sera, Hubert espose l’idea presso il circolo ufficiali. “Il consenso al riguardo”, scrisse nel suo diario, “non fu unanime.” 

Fu più o meno in quel periodo che l’atteggiamento nei confronti dei Frings iniziò a incrinarsi. “Il nostro lavoro”, ricordò, “veniva visto […] come inutile e importuno.” E così Hubert Frings tornò all’insegnamento e Mable alle sue cavallette e ai suoi grilli e a un progetto nuovo: “analizzare gli stili di vita dei ragni”. Concludo con una citazione tratta dal diario di Hubert: “Di tutti gli animali che abbiamo mai avuto, questi albatros sono quelli a cui mi sono affezionato maggiormente. Li adoro e rispetto la loro indipendenza e il loro atteggiamento disinvolto. Ciò segna la fine di un periodo in cui ho fatto conoscenza con autentici aristocratici della vita”. Provo grosso modo le stesse sensazioni riguardo a Hubert e Mable Frings. 

La marina chiuse la Naval Air Station di Midway nel 1993. Nessun aereo si è mai schiantato. Nessun aviere è morto a causa dello stupido uccello. Gli attacchi degli uccelli erano continuati per tutta la permanenza della marina, nonostante tutti gli sforzi fatti. Secondo un particolare rapporto, alla fine di un programma quadriennale di controllo degli albatros si era registrato il doppio delle collisioni rispetto a quante ce n’erano state appena prima che iniziasse. 

Nel settembre del 1958, la rivista “Flying” pubblicò un articolo sul rebus degli albatros di Midway. Venivano citate le parole di un aviere: “Scommetto che, qualunque cosa gli facciamo, quando tutto sarà finito, Midway continuerà a essere il territorio degli albatros e noi nient’altro che figure di passaggio, soggette ai capricci di un uccello che si rifiuta di farsi conquistare”. 

Spero che quell’aviere abbia puntato dei soldi su tale scommessa. Perché ora è tutto finito e le isole sono certamente territorio degli albatros. La Naval Air Station Midway ora è il Midway Atoll National Wildlife Refuge. Non vi accade nulla all’infuori della felice schiusa delle uova e della crescita di uccelli marini e del sommesso lavoro riparatorio del personale del Fish and Wildlife, attualmente impegnato a ripristinare l’habitat degli uccelli. 

In tutto il mondo, la fauna selvatica continua inconsapevolmente, tragicamente a imbattersi in grossi veicoli. E la scienza continua, talvolta piacevolmente, sempre zelantemente, a cercare soluzioni. 

 


Mary Roach è autrice di sette bestseller del New York Times, tra cui STIFF: The Curious Lives of Human Cadavers; GULP: Adventures on the Alimentary Canal e PACKING FOR MARS: The Curious Science of Life in the Void. I libri di Mary sono stati pubblicati in 21 lingue e il suo secondo libro, SPOOK, è stato inserito nel New York Times Notable Book. Mary ha scritto, tra gli altri, per il National Geographic, Wired, il New York Times Magazine e il Journal of Clinical Anatomy. È stata redattrice ospite della serie Best American Science and Nature Writing, è stata Osher Fellow dell’Exploratorium di San Francisco ed è consulente delle riviste Orion e Undark. È stata finalista al Premio Winton della Royal Society e vincitrice del Premio di giornalismo ingegneristico dell’American Engineering Societies, in una categoria per la quale, siamo onesti, era l’unica concorrente.

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