Giochi di finzione e trascendenza



Dal gioco delle perle di vetro di Herman Hesse a eXistenZ di David Cronenberg: qual è il senso dei giochi “inesistenti” inventati dalla narrativa?


In copertina: Paradise Corns (The Machine), di [ a y s h ] (Ayshia Taşkın)

Questo testo è estratto da Fictional Games: A Philosophy of Worldbuilding and Imaginary Play pubblicato per Bloomsbury, che ringraziamo

di Stefano Gualeni e Riccardo Fassone

Traduzione e adattamento di Robin Longobardi Zingarelli

A partire dal neolitico, il gioco come attività sociale ha contribuito alla costituzione e allo stabilirsi di costumi e credenze nelle comunità umane. L’atto del giocare è cognitivamente complesso e socialmente stratificato, e si attua in fasi diverse e per vari motivi. Come elemento fondativo e trasversale di ogni cultura, il giocare è talmente pervasivo che si manifesta anche all’interno di mondi di finzione, come nel caso di sport o giochi a cui prendono parte personaggi di film e romanzi. Queste espressioni ludiche esistono esclusivamente al loro interno dei mondi di finzione, puramente come fenomeni immaginativi. Alcuni di questi giochi, in particolare, sono caratterizzati dalla capacità di trasformare radicalmente i personaggi dell’opera di finzione in questione e portarli a riflettere su di sé. Questa capacità del gioco di finzione si lega allora alla riflessione sul tema della trascendenza, e più nello specifico al tema dell’evoluzione post-biologica e del futuro del gioco in relazione al potenziamento tecnologico degli esseri umani.

Uno dei giochi più conosciuti nella letteratura occidentale è il gioco delle perle di vetro dal romanzo omonimo di Herman Hesse, pubblicato nel 1943. Il romanzo è ambientato in una versione immaginaria del nostro mondo, in un numero di secoli imprecisato nel futuro. Hesse ci racconta che questo gioco ha attraversato numerose trasformazioni nel corso della storia all’interno del mondo del romanzo, incorporando in questo modo nozioni e concetti da mitologie e religioni. Il gioco stesso è preservato e insegnato da un’istituzione che ricorda per molti aspetti un ordine monastico. Ci sono molte ovvie sovrapposizioni tra il processo di professionalizzazione dei giocatori e le fasi attraverso le quali i monaci o i seminaristi si preparano a prendere gli ordini. Le analogie tra l’atto di giocare e le pratiche di trascendenza, come la preghiera, la meditazione e lo stato di estasi indotto dalle droghe, sono particolarmente frequenti nelle occasioni in cui il gioco di finzione ideato da Hesse viene praticato pubblicamente, durante cerimonie ed eventi. Nel romanzo, il gioco delle perle di vetro è presentato esplicitamente come una pratica di trascendenza del sé. Ciò è ulteriormente enfatizzato dal fatto che le scuole per i giocatori professionisti hanno una struttura e una modalità operativa simile a quelle delle istituzioni di culto. Il gioco delle perle di vetro inoltre è concepito come un sistema universale per pensare e comunicare, ovvero un modo di agire che stimola il pensiero in maniera multimodale e transdisciplinare – che unisce nel proprio linguaggio ludico matematica, musica, poesia, politica, e così via.

Il gioco delle perle di vetro rappresenta bene una riflessione sulla trascendenza, intesa nel suo significato più ampio. La parola ‘trascendenza’ deriva dal latino, in cui il prefisso –trans denota l’idea di andare oltre, mentre il verbo scandare l’azione di arrampicarsi. Usiamo quindi il termine trascendenza per riferirci all’atto di superare deliberatamente gli ostacoli e le limitazioni che definiscono una certa condizione. Si potrebbe obiettare che, data questa definizione vaga e onnicomprensiva, ogni artefatto e sviluppo tecnologico costituisca in sé un’opportunità di trascendenza. Per evitare di banalizzare il concetto e per cercare di chiarire la nostra posizione, ci riferiremo a una forma di trascendenza che emerge da giochi di finzione che sono giocati proprio in quanto trascendono il sé del giocatore.

Dati questi i presupposti, abbiamo analizzato giochi di finzione che spingono effettivamente i giocatori (i personaggi delle opere di riferimento impegnati fittiziamente nel gioco) a superare le loro limitazioni fisiche, percettive e cognitive, e non semplicemente a far loro immaginare di averlo fatto. I giochi che prendiamo in considerazione causano trasformazioni significative nei giocatori e funzionano come dispositivi letterari per caratterizzare il contesto sociale di riferimento. Abbiamo scelto di analizzare giochi finzionali in mondi di finzione con due principali caratteristiche, spesso compresenti:

1) l’ambientazione di riferimento è più avanzata sotto il profilo tecnologico rispetto al mondo reale del fruitore dell’opera;

2) I personaggi del mondo fittizio ottengono capacità e possibilità di agire, pensare e giocare che sono chiaramente al di là di quelle attualmente disponibili per gli esseri umani. 

I due giochi che consideriamo in questo articolo evidenziano, ognuno a proprio modo, il ruolo trasformativo ed evoluzionistico che possiedono nel loro mondo di finzione. Questi sono: Blood Spire, un gioco mortale che è al centro del racconto fantascientifico di Alastair Reynolds del 2003, Diamond dogs; ed eXistenZ, un gioco di finzione che ha luogo all’interno di un mondo virtuale nell’omonimo film di David Cronenberg del 1999.

Blood Spire (guglia di sangue)

Diamond dogs descrive un mondo in cui gli umani hanno colonizzato lo spazio già da diversi secoli. Molti dei personaggi dell’opera sono descritti con parti robotiche, organi bioingegnerizzati e una varietà di miglioramenti cognitivi e percettivi. Nonostante gli avanzamenti nell’ambito dei viaggi spaziali descritti dal racconto, gli uomini hanno trovato solo vaghe tracce della presenza di alieni senzienti, fino alla scoperta fortuita di una costruzione aliena, un artefatto chiamato dai protagonisti ‘Blood Spire’ (guglia di sangue). Si tratta di una sonda spaziale scoperta da una spedizione esplorativa su un pianeta senza vita, Golgotha, apparentemente creata per mettere alla prova forme di vita intelligenti. La sonda sfida i giocatori che entrano le anguste stanze della guglia aliena ad affrontare una serie di percorsi ed enigmi matematici prima di potere procedere nel percorso. Strutturalmente, Blood Spire consiste in una sequenza lineare di spazi di gioco collegati da porte. Queste stanze sono organizzate in una spirale ascendente dalla base della costruzione fino alla sua cima. Ogni camera contiene un enigma logico-matematico che deve essere risolto per aprire la porta della stanza successiva. Una volta trovata la soluzione esatta, i giocatori possono aprire la porta del livello successivo e quindi continuare il gioco. Se il giocatore dovesse scegliere malauguratamente una soluzione errata, esso riceve una punizione corporale. Le punizioni, sempre inflitte ad un membro del team, variano molto da stanza a stanza ma spesso comportano il ferimento o addirittura la morte del giocatore. Il giocatore può lasciare il gioco solo quando l’indovinello è stato risolto e la porta del livello successivo non è stata ancora aperta dagli altri giocatori. In questi casi, i membri del team possono decidere di uscire momentaneamente dal gioco per ricevere assistenza medica, per sostituire le parti del corpo danneggiate o distrutte, o semplicemente per riposare. In questo modo possono anche ottenere  potenziamenti cibernetici e cognitivi, alcuni dei quali li aiuteranno a superare i livelli della Blood Spire, progressivamente più arcani e complessi. Questo processo di trasformazione del sé culmina con solo due giocatori che arrivano alla fine, ormai diventati piccoli corpi robotici a quattro zampe con menti accelerate artificialmente.

Blood Spire costituisce uno strumento per stimolare e guidare un tipo specifico di trascendenza tra i protagonisti umani della novella. Esso funziona anche come un dispositivo narrativo che presenta indizi sui valori fondanti e le inclinazioni della civiltà che lo ha costruito, enfatizzando il loro rigore, la capacità di adattamento e il focus logico-matematico oltre che una fonte di occasioni per arricchire la caratterizzazione dei protagonisti della storia. In questo caso, la trascendenza del sé umano è imposta ai giocatori dalla serie di vincoli e obiettivi ludici del gioco che li costringe a continuare a superare i loro precedenti limiti in una sorta di abbandono fatalistico.

eXistenZ

EXistenZ (1999) è un film di finzione horror e fantascientifico scritto, diretto e prodotto da David Cronenberg. Nella storia, la celebre game designer Allegra Geller (Jennifer Jason Leigh) sta fuggendo da un gruppo di radicali “realisti”, attivisti politici che si oppongono alla produzione di videogiochi iper-immersivi. È scortata nella sua fuga da Ted Pikul (Jude Law), un rappresentante delle pubbliche relazioni di Antenna Research, lo studio che pubblica il gioco di Geller. La designer riesce a salvare una copia del suo ultimo gioco, eXistenZ, conservata nel suo ‘gamepod’, un assemblaggio di componenti organiche e artificiali che ricorda lontanamente il controller di un videogioco. Per essere utilizzato, il pod deve essere inserito in una bioporta: una presa organica nella parte bassa della schiena che agisce come un’interfaccia tra il pod e il sistema nervoso. Questo processo biotecnologico consente un’ esperienza radicalmente immersiva, indistinguibile dalla realtà. La bioporta rappresenta un altro tema  cruciale del film: la fusione di organico e artificiale. Il film in questo modo diventa una fantasia persistente della trascendenza del corpo, in particolare attraverso lo sviluppo tecnologico e la digitalizzazione della coscienza umana.

Il gioco, come descritto nel film, permette ai giocatori di esistere in un universo alternativo artificiale in cui sono apertamente incoraggiati a prendere parte ad attività pericolose o illegali, fino anche a uccidere una persona se si ipotizza che sia una spia di un gruppo terrorista. Inoltre,  eXistenZ non è distinguibile dalle esperienze del mondo reale. Gli oggetti, ambienti, e le situazioni presenti nel gioco sono percepiti dai protagonisti del film con la stessa vividezza dell’universo reale, tranne per pochi istanti in cui i giocatori tornano alla loro realtà empirica attraverso un glitch del gioco. Il gioco di Geller stabilisce gli obiettivi e la condizione di vittoria, e informa il giocatore sulle modalità per vincere. In questo, Cronenberg sembra quasi suggerire che giocare un videogioco implichi abbandonare la nostra presunzione di libertà per abbracciare una posizione deterministica, così come i giocatori nel mondo di eXistenZ, Pikul e Geller, non hanno nessuna opzione se non conformarsi al destino che il gioco ha prescritto loro.

Quando Geller e Pikul accedono al mondo virtuale, si confrontano con la possibilità esistenziale del loro vissuto ludico, e scoprono che i loro avatar all’interno del gioco possiedono l’abilità di imporre i loro desideri, obiettivi e attitudini sui loro sé reali. Nel gioco, i sé virtuali – o il personaggi – di Geller e Pikul sono radicalmente diversi dai Geller e Pikul nella loro realtà ordinaria, e completamente rivolti verso gli obiettivi del gioco. La scelta da parte di Cronenberg sembra evidenziare una trasgressione e una trascendenza del sé originario, e cioè di un superamento del sé come raccontato o vissuto fino a quel momento. L’impossibilità di Geller e Pikul di imporsi sui loro sé virtuali porta a riflettere sull’irrilevanza del libero arbitrio rispetto alla necessità di dover andare avanti nella trama. Strappato al suo sé originario, il giocatore realizza che il libero arbitrio è un’illusione anche fuori dal mondo di gioco, e che i suoi obiettivi e desideri sono influenzati e in gran parte determinati da fattori esterni come pressioni economiche e politiche. Da questa prospettiva, eXistenZ può essere interpretato come un gioco che mette a confronto i giocatori con una serie di domande di senso e, più in generale, agisce come uno strumento per l’esplorazione virtuale dell’esistenza.

L’orientamento nei confronti della tecnologia mostrato da Diamond Dogs e eXistenZ mostra una differenza cruciale tra le due opere di finzione. Mentre il film di Cronenberg rappresenta la possibilità di trascendere il proprio libero arbitrio attraverso il gioco, i personaggi di Diamond Dogs agiscono nella convinzione che non solo la trascendenza tecnologica degli esseri umani sia desiderabile ma che sia anche necessaria.  Specialmente nell’esempio di Blood Spire, la costruzione aliena ospita un gioco che è al tempo stesso uno strumento per la trascendenza del giocatore, una sfida per testare forma di vita intelligenti, e un espediente narrativo per la caratterizzazione implicita di alcuni dei protagonisti e un test attitudinale sotto mentite spoglie. EXistenZ lavora invece simultaneamente su due livelli: da un lato, costringe i giocatori del mondo fittizio a trascendere dal loro sé originario e a seguire percorsi esperienziali determinati dal design del gioco stesso. Dall’altro, eXistenZ funziona come un esperimento filosofico che spinge gli spettatori a riflettere sull’illusorietà del libero arbitrio, sia all’interno del contesto ludico che al di fuori di esso.

In tal senso, l’elemento della trascendenza può essere estremamente versatile e funzionale nei giochi di finzione nei mondi immaginari. In primis, inserire un gioco all’interno di un’opera di finzione, specie se ambientata in un’epoca diversa da quella dello spettatore, contribuisce alla costruzione del contesto di un mondo immaginario coerente. Ancora, i giochi analizzati presentano diverse modalità in cui i giocatori trascendono il loro sé: dal punto di vista cognitivo, fisico, addirittura spirituale. Infine, una riflessione sul trascendere la propria identità o fisicità attraverso il gioco costituisce un espediente per riportare la riflessione dal mondo immaginario a quello reale, affrontando domande di senso quali la trascendenza dell’umano attraverso lo sviluppo tecnologico e l’inesistenza del libero arbitrio.


STEFANO GUALENI, professore associato presso l’Università di Malta, È UN FILOSOFO E GAME DESIGNER ITALIANO. HA CREATO VIDEOGIOCHI COME TONY TOUGH E THE NIGHT OF ROASTED MOTHS, GUA-LE-NI; O, THE HORRENDOUS PARADE, E SOMETHING SOMETHING SOUP SOMETHING.
Riccardo Fassone è professore associato presso il Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università di Torino. Tra le sue recenti pubblicazioni ricordiamo: Every game is an island. Endings and Extremities in Video Games (Bloomsbury, 2017).
Robin Longobardi Zingarelli ha conseguito una laurea magistrale in Storia e Critica dell’Arte e una in Digital Games. Attualmente lavora come game designer indie, al contempo, studia la soggettività nel mondo di gioco e più in particolare le rappresentazioni queer e lgbt nei mondi virtuali. Nel corso del tempo si è specializzato negli edugames,  lavorando in particolare con le scuole per la valorizzazione della memoria storica.

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