Gli appunti che seguono sono tratti dal manoscritto di una donna di nome Therese, che si è chiusa in una camera d'albergo per decidere se esiste dio. Dopo aver abbandonato albergo e manoscritto Therese è sparita; pubblichiamo alcuni dei suoi testi, leggermente rimaneggiati, nella speranza di ritrovarla.
> Qua sono disponibili le pagine pubblicate fino ad oggi.
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Spesso sono tentata di lasciar perdere questa storia. Chi se ne frega dell’esistenza di dio eccetera eccetera? Che cosa mi cambia? Mi passerebbe la fame, la sete, il dolore, il piacere, il desiderio? Aveva ragione lui, quando mi diceva che sono solo «seghe mentali». Lo diceva pure il mio psicologo, le chiamava «fughe dalla realtà». Non che non mi sia mai venuto il dubbio; ci ho provato a scappare dalla domanda. Per convincermi mi sono detta che la mia angoscia non è un serpente che striscia nella vita di chiunque, che le mie domande non hanno importanza né risposta. Sono distrazioni che mi sono imposta per scappare dal dolore e dalla responsabilità. Dietro la porta della mia stanza ci sono i tormenti del mondo, ed è più facile fuggire nel trascendente, soprattutto se funziona.
[Nota di Therese: È l’angoscia di K. «Colui che è formato dall’a. è formato mediante possibilità. E soltanto chi è formato dalla possibilità è formato secondo la sua infinità»]
Devo ributtarmi nella vita, uscire, cercare un lavoro, delle passioni, un marito. Le “vere” domande sono queste, le più “importanti”. Se mi alzassi dal letto per andare in bagno e inciampassi contro la sedia, allungherei le braccia per non cadere, non mi metterei di certo a pensare a dio. La salute prima di tutto: è meglio star bene che pensare a queste cose – sebbene non sia più facile. Piuttosto che restare in una stanza dovrei uscire, fare attività fisica, chiacchierare con le amiche, andare a ballare, magari fare un figlio, le donne fanno i figli. Li fanno perché la vita è meravigliosa, perché hanno paura della morte, per far uscire qualcosa da se stesse, per alimentare un ciclo che non capiscono, per distrarsi, per amore, talvolta li fanno e basta.
Eppure non posso dimenticare quanto sia influenzata dal modo in cui mi hanno addestrato a pensare. La maggior parte delle mie certezze sono figlie di basi scientifiche, religiose e filosofiche la cui origine non ho mai messo in discussione: comprare questo o quello, avere dei figli, non averli, vestirmi in un certo modo e non in un altro, mangiare certe cose in un certo modo, essere eterosessuale, omosessuale, non rubare, non uccidere, fare sesso, non farlo, lavarmi le mani prima di mangiare… ogni gesto è guidato da quel che la visione del mondo in voga mi ha insegnato. Sono sicura che la terra sia sferica, ma non ho percorso il mondo, mi sono fidata di chi me lo ha detto. Se uscissi dalla mia camera e camminassi senza mai deviare per 40.009 chilometri, se facessi il giro del mondo e tornassi al punto di partenza, si tratterebbe comunque di fede, se non altro nei miei sensi – ma anche i sensi sono parziali. Sotto le “vere” scelte della vita restano le domande più odiose, le “questioni metafisiche” che odiano persino i filosofi. Come non capirli:
È davvero impossibile prenderla sul serio. Eppure qualunque cosa io faccia si poggia su una “metafisica” in cui ho fiducia, talvolta senza saperlo. Se telefono a un’amica, se faccio un figlio, se mi trucco, se uccido una vecchia per rubarle i soldi… che lo voglia o no ogni scelta è una risposta alla mia domanda. Eludere la domanda è impossibile, ignorarla è da vigliacchi, sottintenderla troppo facile.
-->Potrei fondare le mie scelte su un mondo ateo, in cui la morte cancellerà ogni mio sforzo, oppure su uno etico, in cui verrò premiata e punita per qualche motivo. O anche su qualcosa di inarrivabile, di insulso, profondo, meraviglioso, orribile, oltre il bene e il male… il mio errore è di voler scegliere; dovrei abdicare la decisione, affidarla alle parti di me che non parlano, tuffarmi nel migliore dei mondi di cui posso persuadermi – ma non è questa la mia risposta.
Chiunque crede in qualcosa, la fede è una prigione senza porta. Forse la mia è questa: credere solo (e non troppo) nella fede.