Il collettivo Guacamaya, la politica e l’arte nel mondo hacker

La storia dell’hacking è sempre stata una storia di lotta contro il potere e ibridazioni con il mondo dell’arte, è il caso ad esempio del collettivo messicano Guacamaya, che inseriscono la pratica hacker nei grandi conflitti del nostro tempo: la lotta ambientalista e quella decoloniale.


in copertina,

di Irene Doda

Alla fine di settembre 2022 il governo messicano ha dato conferma pubblica di un attacco informatico subito dal Ministero della Difesa del paese. Il presidente del Messico Lopez Obrador ha espresso in modo chiaro, durante la conferenza stampa che ha tenuto, che a suo parere l’attacco proveniva “da agenti stranieri”. Gli hacker che hanno colpito l’istituzione hanno sottratto circa 6 terabyte di email e informazioni riservate. Queste hanno raggiunto la stampa internazionale e riguardavano lo stretto controllo che i militari esercitano sul governo civile in Messico, possibili legami con i cartelli della droga, e l’uso estensivo di software molto avanzati per spiare le attività di giornalisti e attivisti nel Paese. A rivendicare l’attacco non è stato, però, un governo o un gruppo mercenario straniero, ma un collettivo denominatosi “Guacamaya” – dal nome di un uccello tipico della regione centroamericana (l’ara, in Italiano). 

Il collettivo hacker, che si definisce ambientalista e anti – imperialista, aveva già contribuito all’inchiesta transnazionale “Mining Secrets”, in cui erano state esposte dal consorzio di giornalisti Forbidden Stories, le tattiche violente del gruppo minerario Solway, basato in Svizzera, contro le comunità locali in Guatemala. “Mining Secrets” , si legge sul sito dell’inchiesta, “svela studi scientifici dannosi nascosti alla vista del pubblico e mostra come la lealtà sia stata comprata attraverso generose donazioni. Ancora peggio, abbiamo scoperto le strategie proposte per sfollare decine di famiglie diffondendo voci sui leader della comunità, il tutto nel tentativo di appropriarsi ed estrarre la preziosa risorsa del ferro nichel”. 

Nel corso del 2022, gli hack and leak (espressione inglese con cui si indica la compromissione di sistemi informatici e la successiva esfiltrazione di informazioni al pubblico) di Guacamaya hanno colpito multinazionali del petrolio, governi e aziende in tutto il Centro e Sud America. Secondo quanto dichiarato dal collettivo stesso in un’intervista data da rappresentanti del collettivo alla testata Cyberscoop, Guacamaya è formato da  “persone normali, persone di qualsiasi città, paese, regione che sono venute a conoscenza di questo strumento (quello dell’hacking, ndr).”.

Il 2022 è stato l’anno in cui diversi gruppi hacker e dediti alla guerriglia informatica sono assurti agli onori delle cronache. Pensiamo al famigerato gruppo Conti, che infiltra i sistemi di governi e aziende in cambio di un riscatto: alcuni dei loro hack di più alto profilo hanno per giunta riguardato governi centro e sudamericani, in particolare Costa Rica e Perù. Un altro esempio è lo Ukrainian IT Army, l” ’esercito” di volontari che collaborano con il governo di Kiev. Secondo tutti i maggiori analisti di sicurezza informatica, uno dei trend osservabili nel corso dei mesi recenti è stata la crescita degli attacchi cyber sponsorizzati da stati, compromissione di infrastrutture critiche nell’ambito di ostilità tra nazioni. Il caso di Guacamaya è molto diverso, sia nei fini (non la compromissione di una risorsa strategica di attore nemico, ma la diffusione di informazioni per interesse pubblico) che nella presentazione e nelle rivendicazioni. 

Ambientalismo e anticolonialismo

L’hacktivismo è il termine con cui si intende l’utilizzo di strumenti cyber e azioni coordinate per raggiungere un obiettivo politico,  attaccare strutture di potere, rivelare segreti industriali o rendere note informazioni considerate di interesse pubblico. Uno dei gruppi hacktivisti più noti al pubblico è sicuramente Anonymous

L’obiettivo degli attivisti di Guacamaya è quello di rappresentare le istanze di popolazioni oppresse contro multinazionali estrattiviste che operano nei territori latino americani. Come nel caso del conglomerato svizzero, le aziende operanti nel continente, spesso sono europee o occidentali. Guacamaya si richiama a una dimensione comunitaria, reclamando l’appartenenza dei membri a una classe non elitaria, lontana dai centri del potere. E in virtù di questa appartenenza al “popolo”, rivendicano l’uso dello strumento dell’hacking come democratico. “Chiunque può fare quello che abbiamo fatto noi”, ha spiegato il rappresentante del gruppo al reporter di Cyberscoop. I valori politici di Guacamaya sono quelli dell’ambientalismo e dell’anticolonialismo, e la loro lotta si inserisce nella dialettica di conflitto tra un Sud Globale sfruttato e un Occidente predatorio. Nella narrazione di Guacamaya, i territori dell’America Latina (nei comunicati il riferimento è  a Abya Yala, il nome tradizionale del continente), le sue risorse naturali sono la vittima dei calcoli politici ed economici degli attori del Nord Globale. Gli attivisti di Guacamaya identificano gli eserciti e le forze di polizia degli Stati del continente come alleati principali dell’estrattivismo e del capitalismo di stampo occidentale La dichiarazione che il collettivo ha inviato al sito “Enlace Hacktivista” il 19 settembre 2022 recita: “Gli eserciti militari e le forze di polizia degli Stati di Abya Yala sono la garanzia del dominio dell’imperialismo nordamericano, sono la garanzia della presenza estrattivista del Nord globale. Sono forze repressive violente, criminali contro i loro stessi popoli, e anche i loro organigrammi interni piramidali di potere sono ripugnanti”.

La narrazione della resistenza dei popoli indigeni contro un invasore straniero e della difesa dell’integrità del patrimonio culturale da parte di comunità locali è al contempo semplice e comprensibile da un punto di vista comunicativo e accurata dal punto di vista storico e politico. Un report di Global Witness, pubblicato a settembre 2022, ha denunciato i pericoli che gli ambientalisti latino americani corrono nel portare avanti le loro rivendicazioni: sono tra i più a rischio di essere assassinati. Più del 40% degli attacchi è stato portato avanti contro persone indigene, anche se esse rappresentano appena il 5% della popolazione globale. I dati analizzati sono relativi al 2021. In Italia è piuttosto nota la vicenda della lotta della popolazione indigena dei Mapuche, che attualmente vive in un territorio che si estende tra Cile e Argentina, contro la multinazionale Benetton, che da anni cerca di impossessarsi delle terre della comunità. Le terre da cui le famiglie Mapuche vengono sfrattate sono successivamente utilizzate per allevare bestiame destinato alla produzione di lana. “Nelle terre di Benetton vengono allevati 260 mila capi di bestiame, tra pecore e montoni, che producono circa 1 milione 300 mila chili di lana all’anno i quali sono interamente esportati in Europa”, illustra Massimo Venturi Ferriolo, filosofo ed ex membro della Fondazione Benetton (decise di dimettersi proprio in solidarietà con il popolo Mapuche). 

Il territorio di Abya Yala è dunque un esempio lampante di come la lotta per l’indipendenza dai poteri coloniali e quella ecologista e per l’integrità delle risorse siano essenzialmente assimilabili come un’unica lotta. Nella storia di Guacamaya emerge anche lo strumento dell’hacking come via “democratica” di assalto al potere: mezzi presentati come semplici, alla portata di tutti, che possono scuotere le fondamenta di potentati estremamente radicati, come il caso dell’esercito in Messico. 

L’hacking e il linguaggio artistico 

Oltre a un lungo manifesto politico, di cui abbiamo già in parte riassunto i contenuti Guacamaya ha pubblicato, in concomitanza con le sue rivelazioni, anche un componimento poetico – il titolo di questo articolo è tratto proprio dal primo verso della poesia – e un video musicale, con immagini che richiamano l’estetica indigena e canzoni rap in spagnolo. 

Hacking, attivismo e performatività artistica sono due dimensioni che spesso si sono mescolate. 

“Ci sono alcuni elementi importanti nell’estetica del collettivo Guacamaya, specialmente nel momento in cui annunciano un hack”, spiega Gabriella Coleman, professoressa di antropologia presso l’Università di Harvard ed esperta di etica ed estetica dei gruppi hacker. “Uno di questi è la rivendicazione di autenticità. Negli ultimi anni, con l’aumento degli attacchi hacker sostenuti da stati-nazione è sempre più importante per i soggetti attivisti posizionarsi come tali. L’estetica è quindi un modo di rimarcare la propria affiliazione politica, la propria adesione a un particolare movimento o ideologia”. 

L’arte, la performance e la teatralità hanno sempre accompagnato la scena hacker, diventando una parte integrale della strategia comunicativa di vari collettivi. Esistono forti contaminazioni tra il mondo hacker e le pratiche artistiche. Prosegue Coleman: “Le ragioni per l’uso di arti visuali, poetiche, musicali in combinazione con gli attacchi o con i leak sono diverse per ciascuna realtà. Ma da sempre gli hacker tendono a usare linguaggi artistici, per veicolare messaggi, per rendersi accessibili a un pubblico non tecnico, e per veicolare l’aspetto giocoso e divertente della pratica hacker”. 

Alla fine degli anni Novanta iniziò a operare l’Electronic Disturbance Theater (EDT), un gruppo di attivisti digitali che attraverso i nuovi media voleva favorire azioni di resistenza non- violenta e disobbedienza civile. L’EDT creò FloodNet, un software per “orchestrare una disobbedienza civile elettronica collettiva, interrompendo l’accesso al sito web preso di mira e inondando il server host”, in supporto alla lotta zapatista in Messico. Nel 2007, lo stesso gruppo creò il Transborder Immigrant Tool (TBT), uun progetto destinato alle persone in transito sul confine tra Stati Uniti e Messico. Il tool permetteva l’invio per ventiquattro ore di poesia sperimentale attraverso un’applicazione mobile: i testi poetici avevano non solo l’obiettivo di sostenere il morale e la salute mentale delle persone migranti, ma anche di fornire indicazioni per trovare rifugio, fonti d’acqua o spostarsi su rotte più sicure. Anche se non si tratta di un’iniziativa di hacktivismo in senso stretto, il TBT è un esempio di convergenza tra attivismo digitale e codici artistici. 

Nel 2016, l’hacker conosciuto con il nome di Phineas Fisher, (che, tra le altre cose ha rivendicato l’attacco all’azienda italiana di sorveglianza Hacking Team, una compagnia che lavorava per conto di vari regimi totalitari nel mondo) concesse un’intervista video alla testata VICE. Nel video Phineas Fisher è impersonato da un pupazzo animato, dall’aspetto simile a una rana: si è trattato di una specifica richiesta dell’hacker, come condizione per concedere l’intervista. Già nel suo manifesto Fisher utilizzava immagini, disegni, loghi e componimenti poetici.  

Phisher ha letteralmente messo in scena uno spettacolo di marionette. “Si tratta di teatro”, conclude Coleman. “Gli hacker sono generalmente individui e gruppi che danno valore alla creatività al pensare fuori dagli schemi. Per veicolare i messaggi politici radicali, poche cose sono potenti come l’arte”. Gli hacktivisti di Guacamaya lo stanno bene. “Sono un collettivo anonimo, e avrebbero potuto restare completamente nascosti. Invece, hanno deciso di posizionarsi attraverso delle rappresentazioni artistiche, di inserirsi all’interno di un movimento”. 

La guerriglia comunicativa, l’aspetto ludico e di sperimentazione con i nuovi media sono una parte integrale di moltissime esperienze di hacktivismo. Da una parte perché Internet è un medium che si è evoluto in senso sempre più visuale. Dall’altro perché gli hacker hanno l’esigenza di comunicare le loro istanze al grande pubblico in modo efficace, non tecnico. E in fondo, hacking e arte sono due mondi in grado di procedere in parallelo, con molti punti di contatto: un hacker è una persona in grado di approcciarsi alle cose con uno sguardo curioso e non convenzionale, di alterare le strutture e di proporre prospettive inedite sulla realtà. L’hacking è un modo di rimodellare e riadattare gli strumenti tecnologici secondo codici nuovi, non ortodossi, non ufficiali. Un compito simile a quello di un artista che assorbe e rielabora gli spunti provenienti dall’esterno. “L’ artista come hacker trae la sua spinta principale dalla figura del pirata”, si legge sul blog di Danae, una piattaforma di arte digitale.  “Che, ancora prima ancora che ladro, è per sua natura etimologica un esploratore, colui che tenta, aggredisce e, soprattutto, naviga. L’architettura del web e la sua interfaccia utilizzano ostinatamente la metafora della navigazione marittima: il web è cibernetico (κυβερνητικός, kubernētikós, significa ‘buon pilota’, ‘buon navigatore’). (…) Nella metafora della navigazione marittima, l’artista / hacker rivendica il possesso del timone”. 


Irene Doda ha 28 anni, vive e lavora in Romagna. Scrive per Wired, Il Tascabile, Siamomine, Emma Rivista e altre testate online e cartacee. È co-autrice e speaker del podcast Anticurriculum, sul futuro del mondo del lavoro.

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