Il misticismo è una cosa seria?



Come testimonia la ricezione dell’opera del poeta William Blake, il misticismo viene spesso frainteso e male interpretato. L’attuale attenzione per questo tema però non sembra la moda di intellettuali privi di riferimenti ideologici, ma una nuova consapevolezza intellettuale, scevra da dogmi e pregiudizi, in grado di poter esplorare, con rigore e apertura mentale, il vasto campo dell’esperienza umana che non è immediatamente esauribile nell’analisi razionale.


In copertina e nel testo, delle illustrazioni di William Blake

di Adriano Ercolani

Negli ultimi anni si sta assistendo a una rinascita degli studi sull’ambito dell’esperienza mistica, o, più in generale, sugli stati di coscienza non ordinari. Fior di intellettuali, dalla cultura solidamente laica, non compromessi con derive ideologiche inquietanti o pseudoscienze, si occupano con profonda attenzione di tematiche fino a poco tempo fa relegate nello “scaffale dei cretini” (nel quale con una battuta brillante quanto miope Umberto Eco relegava autori come Renè Guenon ed Elémire Zolla): esoterismo, psichedelia, meditazione, esperienze mistiche.

Sembra di essere finalmente giunti a uno sguardo equilibrato e consapevole su materie ed esperienze che, per la loro natura intrinsecamente sfuggente all’analisi razionale, finora erano state poste al centro di visioni contrastanti e, in egual modo, confuse. Da un lato l’esaltazione incendiaria dei cattivi maestri dell’Estrema Destra (tipo Evola), dall’altro il minestrone speziato quando diluito fino alla brodaglia della New Age (spesso reso indigesto dai condimenti velenosi dei falsi guru).

Del resto, quando si affrontano certi temi bisogna scontare alcuni paradossi: parliamo di esperienze che, per definizione, trascendono i limiti del linguaggio e per le quali qualsiasi tentativo di descrizione è una sfida, fallita in partenza, all’ineffabile. Inciampare nella distanza tra significanti e significati, quando si anela a descrivere ciò che è oltre le parole, è un destino goffo quanto inesorabile.

Nell’ultimo canto della Divina Commedia Dante accosta i suoi versi al balbettare “d’un fante che bagni ancora la lingua alla mammella” – e parliamo dei vertici della creazione artistica umana, checché ne cianci ridicolmente uno scientista dogmatico come Odifreddi il quale sostiene che gli ultimi canti dell’opera siano stati scritti di fretta dai figli del poeta. Figuriamoci dunque il livello di impotenza espressiva a cui è condannato un approccio di tipo saggistico e divulgativo.

Inoltre, quando si affrontano questi ambiti, alcuni pilastri della retorica e dell’epistemologia occidentale vacillano: pensiamo al “principio di autorità”, quanto mai controverso considerata la selva di scuole, di percorsi, di “maestri”, sedicenti o autenticamente tali, tra loro in aperta contraddizione; oppure alla distanza che c’è tra il livello di “verità” empirica vissuto dal singolo ricercatore (spesso improvvisa e irripetibile come il satori o potenzialmente sempre differente a seconda di influssi esterni o condizioni interne, come sa chiunque pratichi la meditazione o assuma sostanze psichedeliche) e la necessità di tradurre tale esperienza nei requisiti e nei parametri propri di un esperimento scientifico; e, soprattutto i disperanti limiti del linguaggio, che fanno sì che spesso si dia lo stesso nome ad esperienze completamente diverse (pensiamo alla vaghezza irresponsabile con cui si utilizzano espressioni come “meditazione”,“illuminazione”, “realizzazione”).

Tutto ciò fa sì che gran parte della letteratura “esoterica” si muova all’interno di un orizzonte apodittico, al confine tra intuizione indimostrabile e rivelazione dogmatica. Per questo è necessario un discernimento sopraffino fino alla spietatezza per intravedere e cogliere frammenti d’oro nelle paludi limacciose di tali insidiosi campi di ricerca. L’avvento dell’esoterismo nella cultura di massa ha, inevitabilmente, condotto a volgari distorsioni, tristi equivoci, grossolane generalizzazioni.

Proviamo a descriverne, a grandissime linee, una scheletrica genealogia di riferimenti: come ricostruiscono Maura Gancitano e Andrea Colamedici in Tu non sei Dio. Fenomenologia della spiritualità contemporanea (Edizioni Tlon), possiamo identificare la “prima narrazione esoterica di massa” con la diffusione della teosofia verso la fine dell’Ottocento: gli inquieti fermenti irrazionali del Romanticismo, il cui tempestoso impeto incarnava la reazione uguale e contraria alla rigidità della Ragione illuministica, furono l’humus fecondo per la divulgazione, fascinosa quanto pericolosa, di “verità” fino a quel momento custodite nei sancta sanctorum della Tradizione.

Il carattere implicitamente elitario della conoscenza esoterica ha indotto inizialmente a una facile quanto ingannevole identificazione con la “cultura di destra” (per evocare un fondamentale saggio di Furio Jesi). Non possiamo esplorare in questa sede le diverse sfaccettature di un tema così complesso, dunque ci limitiamo a rimandare alla vasta e stimolante letteratura che ha indagato le relazioni tra nazismo e occultismo (basti pensare all’opera più divulgativa a riguardo, Hitler e il nazismo magico di Giorgio Galli).

Come già ho affrontato in un saggio pubblicato sulla rivista Futuri, è particolarmente significativo l’utilizzo, da parte delle menti più esaltate dell’intellighenzia di Estrema Destra (pensiamo ai concetti di “mistica fascista” e di “aristocrazia dello spirito” coniati da Evola), del concetto di Kali Yuga, l’Era della Confusione vaticinata dalle scritture vediche. Una distorsione tesa a giustificare in senso iniziatico la presa del potere delle forze nazifasciste come compimento profetico dell’Era dell’Oro in cui il Dharma, il “giusto comportamento” in armonia con la legge divina, sarebbe stato ripristinato su scala globale. Una visione così accecata dal fanatismo da essere considerata con sospetto persino da Himmler.

Con la tipica ironia che pervade i rovesciamenti dialettici che ritmano la storia, nemmeno una ventina di anni dopo si ispireranno agli stessi testi i giovani hippie, in preda all’illusoria estasi della Summer of Love, guidati da uno ierofante carismatico quanto confusionario come Allen Ginsberg. Da una parte quindi abbiamo l’aggressività spinta alla massima espressione, fino al sadismo eretto a legge etica e allo sterminio programmato come sistema industriale, dall’altra la massima arrendevolezza, scambiata per compassione universale e rivendicata come stile di vita rivoluzionario: esattamente gli estremi del rajas e del tamas, entrambi fuorvianti ed equidistanti dal percorso centrale e virtuoso del sattva delle dottrine yogiche induiste.

Che un testo sacro come, ad esempio, la Bhagavad Gita abbia ispirato praticamente negli stessi anni coloro che inneggiavano alla superiorità della razza ariana e giustificavano l’Olocausto e coloro che cercavano l’ebbrezza dell’amore cosmico nella vallata di Woodstock ispira due considerazioni: da un lato, la suprema ambiguità oracolare delle scritture sapienziali (la Bhagavad Gita fu citata anche da Oppenheimer per commentare la catastrofe atomica di Hiroshima), dall’altro la tendenza irridemibile degli esseri umani a spingersi agli estremi.

Una figura chiave per osservare questa duplice e lacerante deformazione spirituale è quella di William Blake. Non solo poeta, pittore e incisore, William Blake è stato uno dei più grandi filosofi moderni, a patto di conferire al termine il valore etimologico di “amante della Sapienza”, un gigante del pensiero e della visione. La definizione più emblematica di Blake ce l’ha fornita forse Daniele Capuano, quando lo ha semplicemente definito “il più grande poeta gnostico d’Occidente”.

Il tema del dualismo in Occidente nasce con i Presocratici, in particolare Eraclito, si amplifica in Platone e giunge nei tempi moderni, attraverso la Gnosi e il Neoplatonismo, fino a Nietzsche e Jung. Blake ne è uno dei principali interpreti, fin dalla sua opera più popolare, I Canti dell’Innocenza e dell’Esperienza: un’opera composta in fasi distinte, dalla struttura speculare e simmetrica, volta a mostrare i due poli della consapevolezza umana, in grado di conciliare i diversi rappresentati, ad esempio, nelle figure poetiche dell’Agnello e della Tigre. 

Nelle sue poesie, apparentemente molto semplici (appunto, “canzoni”), Blake delinea un percorso alchemico di conciliazione dei contrari. Nelle opere della maturità invece, i cosiddetti Libri Profetici, costruite su un complesso sistema allegorico che le rendono indubbiamente più ostiche, il tema verrà approfondito in una vera e propria mitologia cosmogonica originale.

In realtà, uno dei miracoli poetici di Blake, spesso accusato di essere incomprensibile, è proprio il riuscire a racchiudere in poche strofe cantabili la profondità abissale di una sapienza iniziatica: pensiamo a Jerusalem, brano poetico che, musicato da Hubert Parry, viene cantata in Inghilterra prima delle partite di rugby, come una sorta di inno nazionale alternativo.

L’intuizione di Blake si ispira alla leggenda per cui Gesù da bambino avrebbe visitato l’isola di Glastonbury. Non possiamo non citare i versi profeticamente ardenti del componimento:

Portatemi il mio arco d’oro ardente:

portatemi le mie frecce di desiderio:

portatemi la mia lancia: Oh nuvole, apritevi!

Portatemi il mio carro di fuoco!

Non cesserò la battaglia mentale

e né la spada mi dormirà in mano,

finché non avremo costruito Gerusalemme

nella verde e piacevole terra d’Inghilterra.

Chiaramente, il poeta intende la Gerusalemme Celeste, l’avvento apocalittico di quello che è nelle scritture induiste è il Satya Yuga, l’Era della Verità (o l’esiodea Età dell’Oro).

Eppure, con il beffardo karma che sembra perseguitare tutti i grandi iniziati, quello che un po’ ingenuamente potremmo definire il suo “messaggio” è stato grottescamente frainteso e piegato alle più diverse e parziali interpretazioni: proprio il genio mistico che ha trascorso l’esistenza a incarnare artisticamente Il Matrimonio del Cielo e dell’Inferno, oltre la dualità gnostica, anelando a quello che Cusano indicava come coniunctio oppositorum, è divenuto via via un santino satanista o un bizzarro hippie ante-litteram.

Colui che annunciava il superamento della dualità  come un sapiente advaitico reincarnato nella Londra di fine Settecento è stato ridotto a bandiera di schieramenti contrapposti. Per i suoi atteggiamenti platealmente anticonformisti, se si esclude una stretta cerchia di devoti seguaci, Blake fu considerato folle dai suoi contemporanei – basti pensare a una celebre lode da parte di William Wordsworth: “Non c’è dubbio che questo poveraccio fosse pazzo, ma c’è qualcosa nella sua pazzia che attira il mio interesse più dell’equilibrio di Lord Byron e Walter Scott”.

Col suo usuale gusto per i paradossi, G.K.Chesterton insieme confermerà e rovescerà questo sguardo convenzionale sul poeta mistico: “Io dico che Blake era pazzo perché la sue visioni erano vere”. Anche un fine critico e grande poeta dalla profonda sensibilità spirituale come T.S.Eliot si esprimerà in questi termini: “Proviamo per la filosofia di Blake lo stesso rispetto che sentiamo per un mobile ingegnoso fatto in casa. Era dotato di una considerevole capacità di capire la natura umana, di un notevole e originale senso del linguaggio e della musica del linguaggio, di un vero talento per la visione allucinata. Se queste facoltà fossero state governate da un certo rispetto per la ragione impersonale, per il buon senso, per l’obiettività della scienza, sarebbe stato meglio. Il suo genio avrebbe avuto bisogno – e purtroppo invece non poté disporne – di una struttura di idee accettate e tradizionali che gli impedissero di indulgere a una filosofia tutta sua, e lo facessero dedicare esclusivamente ai problemi della poesia in generale. Confusione di poesia, di pensieri, sentimenti e visioni, per esempio, è quanto si trova in un’opera come Also Sprach Zarathustra, questo ditirambo alla solitudine, in una qualità tipicamente non latina! La forza di concentrazione che viene dal sostegno di una precisa struttura mitologica, teologica e filosofica è una delle ragioni che fanno di Dante un classico, mentre la sua mancanza fa di Blake soltanto un poeta di genio.”.

Eppure l’assenza di quell’aura mediocritas lamentata dall’autore de La Terra Desolata, Blake la perseguiva per violenti contrasti, proprio come Nietzsche, a cui non è stato accostato solo in questo caso. Al contrario, infatti, Henry Miller esaltava la parentela poetica e mistica fra i due autori: “Nel fulcro di questa ruota che dardeggia luce sugli spazi deserti, Blake e Nietzsche regnano come sfavillanti stelle doppie; il loro messaggio è ancora così nuovo che pensiamo ad essi in termini di pazzia. Nietzsche ricombina tutti i valori esistenti; Blake plasma una nuova cosmogonia. Per molti aspetti Rimbaud è vicino a entrambi”.

Senza dubbio è indicativo il fatto che tra i primi grandi interpreti dell’opera blakeana appare il famigerato Aleister Crowley, figura cialtronesca dal fascino luciferino, ben immortalata da W.S. Maugham nel breve romanzo ll Mago, che fece del grande poeta inglese una sorta di forzato patrono della magia nera e dell’occultismo.

Ben più consapevole e rispettoso lo sguardo di William Butler Yeats, che scrisse in pagine colme di ammirazione: “Ci sono stati uomini che amavano il futuro come un’amante e il futuro mescolava il suo respiro con il loro e scuoteva i capelli intorno ad essi e li celava alla comprensione della loro epoca. Uno di questi uomini era William Blake e, se si espresse in modo confuso e oscuro, fu perché parlava di cose per le quali nel mondo a lui noto non trovava modelli atti a esprimerle”. Ma non termina certo qui la danza vorticosa della ricezione critica di Blake, tra ammirazione e perplessità, venerazione e plagio.

Come è ben noto, il saggio del 1954 di Aldous Huxley sulle sue prime esperienze con la mescalina è intitolato Le Porte della Percezione come tributo a una delle più note sentenze tratte da i Proverbi Infernali di Blake: “Quando le porte della percezione si apriranno tutte le cose appariranno come realmente sono: infinite”. La ricerca psichedelica di Huxley aveva un dichiarato intento mistico, pienamente blakeano. Non a caso, il saggio si conclude con il richiamo alla nota visione durante la messa nella cappella di San Nicola del 29 settembre 1273 che indusse Tommaso D’Aquino non solo a interrompere la scrittura delle sue opere teologiche, ma proprio a sbarazzarsi degli strumenti di scrittura. Al suo confessore il più grande Dottore della Chiesa rivelò: “Tutto ciò che ho scritto mi sembra paglia in confronto con quanto ho visto”. Un vero e proprio trionfo dell’esperienza mistica sulla speculazione teologica.

Per Huxley, il Doctor Angelicus potè giungere alla consapevolezza che la “realtà data è un infinito che supera ogni comprensione, eppure è suscettibile di essere afferrata direttamente e in certo qual modo totalmente. Essa è una trascendenza che appartiene ad un ordine diverso dall’umano, eppure può essere presente a noi come immanenza sentita, partecipazione sperimentata”. Altrettanto noto è come al titolo del libro, e quindi indirettamente a Blake, si ispirerà Jim Morrison per il nome del suo gruppo The Doors: qui continua l’equivoco di Blake come profeta dello stile di vita sex, drugs and rock’n’roll.

La parabola folgorante e autodistruttiva di Morrison mostra proprio l’esito tragico di un superficiale fraintendimento e di una inconsciente applicazione pratica di alcune intuizioni filosofiche cruciali, tra loro non distanti, come notato nella sopra citata considerazione di Henry Miller. Pensiamo al dionisiaco nietzscheano, a “il metodico sregolamento di tutti i sensi” di Arthur Rimbaud o il bellissimo proverbio di Blake: “La Via dell’Eccesso conduce al Palazzo della Saggezza”.

Se nella storia del rock successivo l’influenza nefasta di Crowley la farà da padrona, soprattutto in Inghilterra (portando un David Bowie ossessionato dall’occultismo sull’orlo della follia, per non parlare della “maledizione” che ha segnato la carriera dei Led Zeppelin di eventi tragici), William Blake ispirerà tributi più saggi e consapevoli: dall’entusiasmo, ingenuo ma autentico, di Patti Smith alla grande influenza sulle visioni di Dylan (dichiarata esplicitamente nell’ultimo disco) e Nick Cave (che lo ha indicato tra i suoi poeti di riferimento).

Un altro grande autore contemporaneo, Alan Moore, creatore di alcune delle narrazioni fumettistiche più importanti della storia come Watchmen e V for Vendetta, ha sempre dichiarato l’enorme influenza di Blake sulla sua opera. Il poeta inglese è addirittura presente come personaggio in From Hell, una ricostruzione labirintica della Londra ottocentesca, in cui le visioni blakeane ispirano l’affascinante lettura esoterica dell’architettura sacra nella capitale inglese come occulto percorso di illuminazione.

Questa breve e necessariamente non esauriente carrellata di epigoni blakeani ha solo lo scopo di mostrare come un poeta apparentemente oscuro e incomprensibile sia in realtà una delle principali fonti di ispirazione per alcuni dei più grandi creatori dell’immaginario contemporaneo.

E si potrebbe fare, in maniera anche più agile e immediatamente verificabile, lo stesso discorso sul cosiddetto Viaggio dell’Eroe, come definito dall’allievo junghiano Joseph Campbell, ovvero il percorso archetipico di iniziazione che è alla base di tutte le grandi narrazioni dell’umanità e che è di fatto applicato in tutte le opere di maggiore consumo pop (basti leggere la lista dei film più visti di tutti i tempi).

Questo conferma come quella che potremmo definire una nuova attenzione per il misticismo non è la moda passeggera di intellettuali ormai privi di riferimenti ideologici, ma, auspicabilmente, il raggiungimento di una consapevolezza intellettuale, scevra in egual modo da dogmi religiosi e da pregiudizi opposti, in grado di poter esplorare, con rigore e apertura mentale, il vasto campo dell’esperienza umana che non è immediatamente esauribile nell’analisi razionale.

In un momento in cui le peggiori forze della storia recente si stanno riproponendo sotto maschere diverse, utilizzando proprio il grande potere che determinati simboli hanno sull’inconscio (consigliamo a riguardo La stella nera di Gary Lachman), viene spontaneo invitare chi ha raggiunto tale consapevolezza a seguire il comandamento di Blake in Jerusalem: non cessiamo “la battaglia mentale”.


Adriano Ercolani (Roma, 1979) Si occupa da oltre vent’anni dei rapporti tra cultura occidentale e orientale, esplorandone le diverse manifestazioni artistiche. Tra i fondatori deI movimento internazionale Inner Peace, collabora al progetto filosofico Tlon e pubblica regolarmente interventi e approfondimenti su numerose testate (tra cui Linus, Blog del Fatto Quotidiano, minima& moralia).

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4 comments on “Il misticismo è una cosa seria?

  1. Silvia Guasti

    Ricorderei anche la matematica, filosofa e mistica Simon Weil, purtroppo morta giovane per quanto e come esperimento a sulla ” sua pelle” il periodo studiato nei Quaderni. Grazie articolo molto interessante. Per concludere direi che Madame Blavasky e La teoria Annie Besana hanno lasciato una scia luminosa per chi ha occhi puri per cantarla. Grazie

  2. Un articolo meraviglioso e attuale, tanto ben studiato e concepito quanto scritto.

  3. Un articolo bellissimo e completo che mi trova completamente d’accordo su ogni punto ….il pazzo è Diogene l’uomo che : Cerca Trova …
    O meglio la prima carta degli arcani maggiori dei tarocchi….

  4. Letizia Cortini

    Grazie molto documentato e profondo!

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