Il nome segreto di Arendelle



Come mai il regno al centro dei celebri film di Frozen si chiama proprio “Arendelle”? Indagando le origini di questo nome arriviamo alla mitologia norrena e poi, ancora più in là, troviamo persino J. R. R. Tolkien, il celebre scrittore autore de Il Signore degli Anelli.  


In copertina: Opere dell’artista contemporaneo hao liang

di Dario De Marco

Ci sono cose che si sanno anche se non si conoscono. Soprattutto se non si conoscono. Le tradizioni e i miti appartengono alla cultura, cioè alla memoria collettiva di un popolo, e sono saperi che non si apprendono, ma si assorbono, si respirano. Un italiano del XXI sec. non ha bisogno di imparare che la pasta si getta in una pentola d’acqua bollente, e non fredda: lo ha visto fare talmente tante volte che lo sa e basta. Così gli antichi greci non si mettevano a studiare l’Odissea, ma erano semplicemente circondati dalle storie di eroi e divinità. Proprio come noi siamo immersi nel nostro brodo di cultura e non dobbiamo fare sforzi per conoscere biografie o aneddoti delle celebrity e delle star (l’accostamento non scandalizzi: si potrebbe dire che ognuno ha i miti che si merita, ma sarebbe malcelato snobismo anch’esso; piuttosto non si trascuri la parola “star” perché è un concetto chiave, su cui torneremo). Tutto questo per dire che non è necessario amare la saga di Frozen, e neanche aver visto i due film usciti finora, per sapere di cosa stiamo parlando.

Sappiamo che Frozen – Il regno di ghiaccio (2013) dichiara esplicitamente un’ascendenza nobile: la fiaba di Andersen intitolata La regina delle nevi. (In realtà il collegamento è talmente tenue, come si può vedere leggendo la lunga e cupa narrazione, che se non fosse stato appunto sbandierato, non se ne sarebbe accorto nessuno). Sappiamo che i film d’animazione Disney attingono a piene mani dai repertori mitologici, semplificando e stravolgendo, e questo ci può piacere o meno, ma è un fatto. Frozen più di altri è immerso in una foresta di simboli e richiami, in particolare dalla mitologia norrena. I quattro elementi – acqua aria fuoco terra – per esempio, sono ubiqui; non altrettanto le loro personificazioni. Nei miti dell’estremo nord ricorre la raffigurazione del mare come un cavallo, una bestia impetuosa e indomita, di colore grigio scuro, che travolge e annega, spingendo giù con le zampe. (Qualche residuo arriva fino all’italiano: l’onda si cavalca, e il bimbo ha paura dei cavalloni.) Chi ha visto Frozen II ricorderà come una delle scene più oniriche – sono le migliori, arrivando in certi casi al confine con lo psichedelico – lo scontro subacqueo tra Elsa e lo spirito dell’acqua: un cavallo. Ma di esempi se ne potrebbero fare tanti; qui ne vedremo uno: è il filo più sottile, più occulto, ma più gratificante se lo si riavvolge tutto.

Mito, leggenda, fiaba e fantasy sono, com’è noto, cose diverse, ma contigue: gli spiriti trapassano dall’una all’altra senza darsi pensiero, e così faremo noi, seguendoli. 

Arendelle/Arendal/Arundel/Ørndal

In particolare seguendo un nome. Il segreto di Arendelle, si intitola il secondo capitolo della saga, uscito a fine 2019. Arendelle è la città: che sia la capitale di un vasto regno o un piccolo castello+villaggio abbarbicato sulle rive del fiordo, non è mai chiarito con precisione (e ciò è un bene). Il nome sembra ispirato alla cittadina norvegese di Arendal, anche se alcuni nell’aspetto ci vedono più somiglianza con la città di Bergen. Assomiglia poi anche al toponimo inglese di Arundel, West Sussex, sede vescovile e terra del Duca di Norfolk. Scavando un po’, come fa il sito della fandom, viene fuori addirittura che il bisnonno del fondatore e sovrano assoluto del regno in cui ci troviamo si chiamava proprio così: Arundel Disney. E l’etimologia? Aren verrebbe da ørn, norvegese antico per “aquila”, mentre dal vuol dire valle: la valle delle aquile, quale location più nobile si potrebbe desiderare. Ce n’è abbastanza per fermarsi soddisfatti. Eppure, alcune assonanze inquietano. E inducono a proseguire.

Sono assonanze con nomi di persona, mentre Arendelle è un toponimo, in verità. Ma in un territorio simbolico in cui gli elementi diventano animali e gli eroi si mutano in costellazioni, non è impensabile un tale salto. E poi, soprattutto, le assonanze sono capaci di rivelare dei richiami nascosti, ma ancora meglio possono aver agito a livello inconscio sugli sceneggiatori. La prima suggestione, infatti, ci porta a fare solo un piccolo balzo di lato, da un film a un libro, e all’indietro, da questo al secolo scorso; eppure un grande passo, per altri versi. Perché si arriva a Tolkien. 

 

Eärendil/Aerennel/Azrûbel

Eärendil, mezzo uomo e mezzo elfo, è uno dei personaggi più insigni della Prima Era nel Mondo costruito dal grande scrittore inglese. Conosciuto come il Luminoso, il Benedetto, il Navigatore, Eärendil è protagonista di vari episodi del Silmarillion – sin da bambino coinvolto in scontri e battaglie – anche se qui ce ne interessa in particolare uno. A un certo punto della sua vita, già re, Eärendil costruisce una nave adatta a solcare gli oceani per raggiungere Valinor, e lo fa perché non si è mai rassegnato alla perdita dei genitori, salpati alla volta delle Terre Immortali e mai più tornati. E chi è che, andando alla ricerca di un fiume mitico, incontra la nave che decenni prima aveva trasportato i suoi genitori ai confini del mondo, in un viaggio senza ritorno? Esatto, Elsa di Frozen. (Un’altra cosa che rende Elsa un personaggio molto tolkieniano è il suo rapporto con la magia: una magia che la attraversa ma che lei non possiede, non controlla alla perfezione. La magia non è un gioco, ogni incantesimo costa, e danneggia anche chi lo fa: Tolkien conosceva molto bene questo postulato e ci ha costruito regole ferree per il suo mondo. Elsa non è un’eroina Marvel con i superpoteri sparatutto, in particolare all’inizio sembra più Frodo con l’anello in mano, sopraffatto da tanta potenza. D’altra parte, quello che Elsa trova alla fine della quest, la rende vicinissima a un altro mito, quello persiano del Simurg – ma non divaghiamo, continuiamo a divagare.)

La discendenza di Eärendil, tramite i due figli Elros e Elrond, arriva fino ad Aragorn (lato umano) e Arwen (lato elfico): e sì, i due sposi del Signore degli anelli erano lontani parenti. Mentre Arwen per amore di Aragorn sceglierà di rinunciare all’immortalità elfica, Eärendil che era un mezzelfo, per la stessa ragione ovvero l’amore della moglie Erwing, rinunciò alla vita degli uomini. Attualmente solca il cielo con la sua nave, e con il Silmaril forma quella che gli elfi chiamano la Stella della Speranza. 

Cosa vuol dire, però, Eärendil? Questo nome gli è stato dato dal padre Tuor, e in alto elfico vuol dire “amante del mare”; in grigio elfico era traslitterato in Aerennel, e nella lingua degli uomini di Númenor in Azrûbel. Va bene, si dirà, ma sia Arendelle che Eärendil sono nomi inventati, o meglio inventati da un solo e preciso autore: cercare sensi occulti nell’etimo, cosa possibile anzi doverosa per i nomi dei miti, qui potrebbe sembrare ozioso. Insomma, la mitologia norrena per Disney è un bacino da cui pescare a piacimento, per Tolkien sono le fondamenta su cui costruire una solida torre fantastica; ma ai nostri fini cambia poco: ben potrebbe essere un mero accrocco di lettere che “suona nordico” o “suona elfico”. Potrebbe, ma non è. E non per timore di fare un torto a J.R.R. Tolkien. È tempo anche per noi di armare una nave atta a solcare gli oceani, e di intraprendere un viaggio di mille anni.

 

Horvendilus/Orendel/Erentel/Örvandill/Aurvandil

A cavallo tra il 1100 e il 1200, nell’antica Zelanda – sjæ-land, terra di mare: la più grande isola dell’attuale Danimarca – visse un uomo di cui non si conosce nulla, tranne la sua opera (volesse il Cielo che fosse così per tutti). Chiamato Saxo cognomine Longus, per la perizia con cui maneggiava le parole meritò l’appellativo di Grammaticus, e così è noto a noi. L’opera di Saxo Grammaticus è Gesta Danorum: è scritta in latino anche se possiamo essere quasi certi che non fosse quella la sua lingua quotidiana. È, vorrebbe essere, un’opera storica, anche se gli storici moderni ormai la prendono con le pinze; mentre per artisti e studiosi del mito continua a essere fonte di infinite delizie. È qui per esempio che si trova una prima narrazione della storia di Amleto, alla quale Shakespeare attinse anche se forse in via mediata. Il padre di Amlethus aveva sconfitto il re Koll di Norvegia, e con questa e altre sue imprese aveva suscitato la gelosia del fratello Feng, che lo assassinò e “prese per sé la sua moglie”. Il re ucciso si chiamava Orvendel.

Dice Giorgio de Santillana: “Horvendilus, scritto anche Orendel, Erentel, Earendel, Örvandill, Aurvandil, che l’appendice allo Heldenbuch dichiara essere il primo di tutti gli eroi che mai furono nati”. (Il mulino di Amleto, Adelphi; lo Heldenbuch è una raccolta di poesie e narrazioni epiche germaniche.) Nella sua storia di naufrago ci sono consonanze con l’Odissea, ma stiamo a sentire anche cosa dice Jacob Grimm, che non fu solo un trascrittore di fiabe: “Il nome dell’eroe compare in documenti antico-altotedeschi: Orendil, Orentil, un villaggio chiamato Orendelsal… ma l’Edda riporta un altro mito”. (Teutonic Mythologie; l’Edda in prosa dell’islandese Snorri Sturluson è il testo fondamentale dell’epica norrena.) Il mito è quello del dio Thórr, che sta per essere guarito da un incantesimo della strega Gróa, e per farla felice le racconta di aver portato il marito fuori dalla terra dei giganti, in una gerla sulle spalle; tant’è vero che, siccome un alluce sporgeva dalla gerla e si era congelato, lui impassibile se l’era staccato e l’aveva lanciato in cielo, facendolo diventare una stella. Il marito della maga è Örvandill il coraggioso, e la stella è Örvandils-ta, che per gli anglosassoni è Earendil, e per noi greco-romani Venere, “stella mattutina”. Vertigo intensifies.

Earendel/Erendelle/Erenthelle/Tell

Perché poi i miti nordici e quelli mediterranei confluiscono nel frullatore cristiano, e allora ecco Cynewulf – poeta anglosassone del X secolo – che nel Cristo scrive: “Ave, Earendel, il più splendido tra gli angeli / mandato agli uomini su questa terra di mezzo!” (sic). Anche se qui Santillana avanza il dubbio che si debba intendere Maria e non Cristo. Ma comunque la potenza del mito è lampante: è un mito delle origini – padre di Amleto o madre di Dio – legato all’alba, a ciò che precede temporalmente e causalmente il sorgere del sole – stella del mattino – all’avvento.

Nell’etimologia, i più grandi studiosi si sono smarriti come in un labirinto di luce: tra la radice aur- (aurora) e quella di ear (orecchio), è stata avanzata l’ipotesi dell’anglosasssone éar (onda, mare) che sembra aver suggerito l’etimo dell’eroe tolkieniano, ma anche quella di ör (freccia). Secondo un’altra linea, infatti Örvandill/Erendel, finito in cielo, non andrebbe a coincidere con Venere ma con Orione il Cacciatore. E Karl Simrock, poeta e germanista, sempre citato da Santillana, ci fa fare l’ultimo salto mortale: “Considerato che nello Heldenbuch Orendel viene scritto Erendelle e altrove anche Erenthelle, egli ritiene probabile che “Ern” sia caduto in quanto epitheton ornans, e ne conclude che la storia di Tell che colpisce la mela sul capo del figlio avesse un tempo come protagonista lo stesso Orendel”. Come il nostro “don”, la prima parte della parola potrebbe cioè a un certo punto essere stata percepita come un attributo d’onore, e quindi eliminata. E Guglielmo Tell sarebbe partito dalla remota Islanda passando attraverso le terre germaniche per giungere nella pacifica Svizzera. È il momento di tornare ad Arendelle.

Alla fine di Frozen II (quindi, attenzione spoiler) Elsa dopo aver rotto la diga e liberato la foresta dall’incantesimo, torna di corsa a cavallo dello spirito dell’acqua da lei domato – come fanno i navigatori, che domano le onde – e con una freccia di ghiaccio devia l’inondazione e salva la città. Sta salvando il suo regno, quella che simbolicamente è la sua discendenza (per un re la città è come se fosse un figlio – e se si avessero ancora dubbi sul salto da persona a toponimo, si consideri la forte personificazione che Arendelle esprime, nel primo film quando si congela e sembra fisicamente soffrire, nel secondo quando addirittura si muove). Ma sta anche salvando la sua heritage, la sua casa, la sua ascendenza: suo padre. Non in senso letterale lui, ma la sua memoria. Elsa, novella Amleto – e qui non si provi a cogliere un’allusione alla presunta omosessualità della regina dei ghiacci, d’altra parte non confermata ma neanche smentita da Frozen II – sta vendicando il padre. Senza fare una carneficina. E quel che più conta, salvando anche sé stessa. Così da lasciare aperta, nell’eventuale seguito, la possibilità di completare il ciclo e ascendere al cielo.


Dario de marco Si occupa principalmente di letteratura fantastica e pizze fritte. Giornalista, ha co-fondato il mensile Giudizio Universale e collaborato con testate troppo numerose per poter stare in questo margine. Ha pubblicato due autobiografie, una travestita da romanzo (Non siamo mai abbastanza, 66thand2nd) e una da saggio (Mia figlia spiegata a mia figlia, LiberAria); la terza sarà in forma di racconti.

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