Il profumo nell’antichità e nella mitologia greca, tra seduzione e divieto

Il profumo ha una storia antica, che intreccia filosofia, archeologia e mitologia.


IN COPERTINA e lungo il testo, Dioniso a cavallo di una pantera, mosaico dalla “Casa delle maschere” sull’isola di Delos, Cicladi. 150-100 a.C.”

di Stefania Berutti

Tutte le volte che un Babilonese si sia unito alla sua donna, si pone a sedere circondato da profumi che bruciano, e da un’altra parte la donna fa lo stesso.”

Erodoto, Storie, I 198

Il rapporto dei Greci con i profumi è sempre stato ambivalente: gli incensi, le essenze elaborate, le tecniche più raffinate per ottenerne profumi, perfino le confezioni più originali e decorate; tutto veniva dal Levante o dalle isole più orientali del mare Egeo, per questo il profumo era allo stesso tempo un indicatore di status, un bene di lusso e prestigioso, ma anche simbolo di una voluttà tutta orientale, corruttrice di costumi, dedita agli eccessi.

Il profumo come offerta agli dei ha una tradizione antichissima, tanto è vero che nella lingua greca troviamo la stessa radice (thu-) utilizzata per indicare l’atto del sacrificare, il sacrificio stesso, oppure l’incenso bruciato, perché non può esservi alcun sacrificio privo dell’aroma di qualche arbusto odoroso o bastoncino di incenso consumato dal fuoco sull’altare. In latino, poi, per-fumum o pro-fumum indica l’offerta che raggiunge la divinità allungandosi nell’aria sottoforma di anelli odorosi. Resta proverbiale lo scambio tra Alessandro Magno e un suo pedagogo: Leonida rimproverava al giovane principe di usare in abbondanza incenso sugli altari e “lo ammoniva di aspettare a onorare gli dèi a quel modo quando avesse sottomesso le popolazioni che producevano l’incenso. Quando in seguito il condottiero si fu impadronito dell’Arabia, mandò al pedagogo una nave carica di incenso e gli raccomandò di essere generoso nel culto degli déi.” Questo leggiamo nel libro XII della Naturalis Historia di Plinio il Vecchio, uno dei molti brani riportati nel volume “Gli inganni di Cleopatra” di Giuseppe Squillace, prezioso repertorio di testimonianze greche e romane sul mondo dei profumi. 

Ma quando il profumo diviene merce di lusso destinata alla cosmesi di uomini e donne, ecco che l’atteggiamento cambia: l’uomo non deve abusarne, la donna deve seguire una sorta di codice morale nell’uso dei profumi, perché ne va della propria reputazione. 

Gli autori antichi riportano aneddoti di sovrani orientali che si abbandonano a eccessi e stravaganze, presentandosi alla corte e ai sudditi avvolti da profumi intensi e costosi, legando indissolubilmente il profumo all’esercizio del potere e quindi alla necessità di comprendere i limiti, sia dell’uno che dell’altro. Le donne, invece, si profumano quando si preparano all’amplesso: l’aspersione del profumo è un momento codificato nel complesso rituale della preparazione della sposa alle nozze, ma è anche il gesto della donna che seduce, ed è forse la sua arma più affilata. Per questo la donna che si profuma compare nella letteratura e nel mito come una fiera in caccia. 

“Non c’è cosa più indomabile della donna, neanche il fuoco. Non c’è pantera altrettanto sfrontata” Aristofane, Lisistrata vv. 1014-1015

Pardalis è un termine che i Greci usavano per indicare l’animale che noi potremmo definire meglio come leopardo, un felino maculato, abitante delle lande dell’Asia, fedele compagno di Dioniso. La pantera, ci raccontano le fonti, ha la pelle e forse anche l’alito profumati, questo è il segreto che le permette di attirare a sé le prede, senza sforzo, semplicemente mettendosi a favore di vento. La pantera viene però catturata utilizzando lo stesso mezzo, l’odorato, infatti presso i Greci è noto il trucco per imprigionare la pantera senza rischiare la vita e senza attaccarla: basta individuare il luogo in cui si approvvigiona di acqua e collocare un bacile pieno di vino nelle vicinanze, l’animale, attratto dall’aroma del vino si fermerà a lappare e il cacciatore potrà facilmente imprigionarla o ucciderla. L’animale dionisiaco, il cui fiato riempie l’aria di una molle voluttà, resta succube proprio del vino di Dioniso, imprigionato in un simposio senza fine.

Nella commedia Lisistrata Aristofane costruisce la scena di seduzione più comica e irriverente del suo repertorio e l’unico commento possibile del coro dei vecchi ateniesi evoca l’assimilazione della donna alla pantera. L’incontro tra Myrrine e il marito Cynisa si inserisce alla perfezione nella trama di Lisistrata: le donne ateniesi e spartane vogliono scioperare a letto per costringere sposi e amanti a cercare la pace tra Atene e Sparta e per questo stringono un patto sull’Acropoli, quando Cynisa giunge a reclamare la moglie ecco che si presenta l’occasione di mettere in pratica la teoria e Myrrine dovrà costringere il marito a sottostare al ricatto sessuale. Cynisa è convinto che la può sedurre, in realtà è Myrrine che conduce il gioco con un linguaggio che ribalta chiaramente le parti fin dalle prime battute: è lei che si preoccupa di dove giaceranno e che si prodiga affinché il luogo sia consono e comodo per il marito, azioni tradizionalmente appannaggio dell’uomo. E poi il dettaglio che non può mancare:

“Vuoi che ti profumi?” “Per Apollo, no!” “Per Afrodite, sì, che ti piaccia o no!” (vv. 937-940)

Cynisa non è contento del profumo, ma la moglie è irremovibile, ma infine, nel punto più alto della climax, ella si sottrae all’uomo, mettendo perciò in atto il feroce ricatto coniugale. 

La scena di Myrrina e Cynisa è stata analizzata a fondo dai commentatori, fino a rintracciare il modello letterario nella cosiddetta Diòs Apàte, l’inganno di Zeus, una lunga scena del libro XIV dell’Iliade (vv. 153-353). I protagonisti della scena omerica sono Era e Zeus: la regina degli dèi, nell’intento di far guadagnare terreno agli Achei e dare modo a Poseidone di aiutarli, decide di distrarre il consorte dal campo di battaglia ed escogita un piano elaborato. Si reca da Afrodite e, con la scusa di voler portare la pace coniugale tra Oceano e Teti, si fa prestare la celebre cintura capace di ammaliare uomini e dèi, poi convince Hypnos – il sonno – ad appostarsi fuori dal talamo per far crollare Zeus in un sonno profondo, appena dopo l’amplesso. Infine, dopo una lunga toeletta che Omero racconta nel dettaglio, ben attenta a cospargersi il corpo di ambrosia e profumo, Era raggiunge Zeus sull’Ida e questi cade ai suoi piedi in preda alla stessa “follia di Afrodite” che pervade l’ateniese Cynisa. Il brano omerico è stato a ragione considerato un intermezzo quasi comico, dove l’epicità del dattilo sembra piegarsi a un contenuto più leggero e frivolo; c’è chi vi ha visto un’eco di un poema sumerico, chi ha pensato a un’interpolazione più tarda (ma Archiloco già lo conosce e lo cita), perché in effetti qui Era ci viene presentata in una veste lontana dal cliché di regina potente e in collera, mentre Zeus scopre tutte le sue carte di seduttore, fino a spingersi a un breve elenco delle sue più famose conquiste, per dire che in quel momento Era le supera tutte. Qui il gioco delle parti è sì rovesciato, ma in maniera più sottile rispetto al carnasciale di Aristofane: noi lettori sappiamo che è grazie alla fitta trama imbastita da Era se Zeus è preso dal desiderio, ma nel dialogo la moglie lascia che sia il marito a insistere e a trovare il luogo migliore dove giacere, lontano dagli occhi indiscreti, non a contatto con la nuda terra (entrambi sono tabù sociali del mondo ellenico). Se Cynisa suggerisce alla moglie Myrrina la grotta di Pan, alle pendici dell’Acropoli, Zeus rassicura Era che lassù dove si trovano, sulla cima dell’Ida, nessuno li vedrà perché verranno avvolti da una nube dorata, mentre dalla roccia spunteranno verde erba e fragili fiori sotto di loro. 

Le donne si profumano e seducono i loro uomini e forse non è un caso se in entrambi gli esempi, così distanti per contesto (epica e commedia) e per cronologia (VIII secolo a.C. e V secolo a.C.) le donne in questione, una dea e una mortale, si impegnano nella caccia profumata per raggiungere un fine politico, non personale. 

Nel 41 a.C. una regina della dinastia di Tolemeo, per definizione sia donna che dea, organizza una complessa opera di seduzione di cui le fonti letterarie riporteranno il lusso e l’uso smodato di profumo: si tratta di Cleopatra, che giunge via fiume a stanare Marco Antonio. Con questo brano plutarcheo si apre il volume di Giuseppe Squillace, che intende presentare il profumo come ingrediente essenziale per comprendere non solo usi e costumi antichi, ma anche avvenimenti storici complessi, in cui la componente olfattiva ha ricoperto un ruolo quasi strategico. 

Plutarco, nella vita di Antonio, ricorda Cleopatra in una sorta di epifania divina, “acconciata come i pittori raffigurano Afrodite”, a bordo di un battello “dalla poppa d’oro, con le vele di porpora spiegate e i rematori che la spingevano con remi d’argento”, mentre risale il fiume Cidno, in Cilicia. Cleopatra agisce da pardalis e si muove lungo l’acqua mentre “odori meravigliosi, sprigionati da molti profumi, si spandevano sulle rive del fiume”, al fine di attrarre la sua preda. Siamo nella terra di Tarso, città nota anche per la produzione di un profumo chiamato “pardaleon” e Marco Antonio, l’oggetto di questa seduzione serrata, ambisce al titolo di Nuovo Dioniso: leggiamo infatti che è autore di un trattato “Sul bere”, nel tentativo di trasformare la passione smodata per il vino in un’espressione virtuosa, che lo dovrebbe assimilare ad Alessandro Magno. Sulle rive del Cidno la pantera va in caccia di Dioniso. 

“Le donne, soprattutto le giovani spose (…) che bisogno hanno di profumo, se sono esse stesse profumate?” 

Senofonte, Simposio 2.3

“La donna odora di buono quando non odora di nulla” 

Plauto, Mostellaria v.273

Donne profumate che seducono e donne che si tengono lontano dal profumo: nel mondo antico la stabilità sociale passa anche dalle nari e così accade che le due celebrazioni religiose più importanti per le donne ateniesi si scontrino anche su un livello olfattivo. Tra settembre e ottobre veniva celebrato il raccolto e l’inizio della semina, la protagonista era Demetra e il festival a lei dedicato era chiamato Tesmophorie, un termine dall’origine incerta ma legato ad antichissime istituzioni di regole sociali – e quindi anche divine – dove un’eco della Dea Madre e della Figlia per antonomasia (Kore-Persefone) si offrivano alle donne della comunità. Queste erano chiamate a ripercorrere in tre giorni il dolore della perdita e poi la gioia del ritrovamento, in una metafora continua del ciclo di vita e morte, di madre e figlia, di figlia e sposa. Una giornata era dedicata al digiuno, che lasciava nell’alito delle devote un odore pregnante, esso stesso parte del rituale, un “cattivo odore” che non va combattuto, ma accolto. Nelle altre fasi del rituale, le devote erano Melissai, api industriose e simbolo dell’ottima moglie, perciò l’aroma delle Tesmophorie era un leggero profumo di miele, indizio di sacralità. Le donne che partecipano alle Tesmophorie sono donne sposate, le donne cui la società ha dato il compito di rinnovarla, attraverso una progenie legittima e infatti il terzo giorno della festa è detto “Kalligeneia”, dell’”ottima stirpe”.

le donne sono più ardenti, gli uomini sono più fiacchi, perché Sirio brucia la tes     ta e le ginocchia e la pelle è secca per via della vampa” 

Esiodo, Le Opere e i Giorni, vv. 585-587   

Chi si guadagna la vita come etera, invece, chi non conosce il matrimonio legittimo, chi si concede ai piaceri di Afrodite senza sottostare ai vincoli del matrimonio, non è ammessa alle Tesmophorie, ma organizza le Adonie. Verso la fine di luglio, nei giorni in cui Sirio, la stella più brillante della costellazione del Cane, splende alta in cielo e di giorno il caldo è soffocante, si tengono le celebrazioni in onore di Adone. La testimonianza ateniese è molto ricca e resta fondamentale lo studio di Marcel Detienne (1972) intitolato “I Giardini di Adone”, dove viene proposta una chiave interpretativa del rituale. Testi e scene dipinte su vasi ci mostrano donne ateniesi che seminano in cocci di argilla grano, finocchio e lattuga e li dispongono sui piatti tetti delle loro case; dopo una prima annaffiata, lasciano che i semi germoglino e poi abbandonano questo orto domestico al proprio destino, organizzando banchetti e feste dove abbonda l’uso di profumi e unguenti aromatici e dove si consumano amori clandestini oppure effimeri. Alcune fonti letterarie sembrano suggerire che le donne sposate non fossero estromesse dai festini, ma raggiungevano le abitazioni private con il favore delle tenebre e senza troppa pubblicità. Dopo quattro o cinque giorni i germogli erano ormai bruciati dal sole e così veniva consumato il ricordo di Adone. 

Adone è un dio che arriva dall’Oriente e, oltre ai giardini ateniesi, il Mediterraneo ci restituisce due tradizioni celebri, legate al culto del giovane, bellissimo dio: a Byblos, in Fenicia, e ad Alessandria d’Egitto, Adone era al centro di un rituale pubblico, che coinvolgeva l’intera comunità, sia maschile che femminile, e che consisteva in processioni di grande effetto scenografico e grande uso di profumi, per rievocare la morte del dio. Un caso di lamentazione funebre che ad Alessandria si conclude con la certezza della rinascita e la promessa di una nuova festa l’anno seguente. Sbarcato in Grecia Adone sembra doversi scontrare con la Dea e sua Figlia, cioè con la famiglia come istituzione alla base del tessuto sociale. Ciò comporta la divisione netta tra le devote e la diversa natura del rituale, pubblico per Demetra e privato per Adone, il tutto arricchito da una barriera vaporosa fatta di aromi. 

Il mito greco, rielaborato da Ovidio nelle sue Metamorfosi, racconta che Adone è il figlio di Kinyras, re di Cipro, il quale viene punito da Afrodite, probabilmente per un mancato sacrificio, e condannato a divenire l’oggetto dell’amore della figlia Mirra, un amore incestuoso e quindi proibito. La ragazza, aiutata da una nutrice, inganna il padre e, proprio nei giorni di astinenza dall’amore coniugale, cioè durante le Tesmophorie, giace con lui di notte, fino a quando Kinyras si accorge dell’inganno e la maledice cacciandola di casa. Mirra è incinta e chiede pietà agli dei, che la trasformano nell’arbusto odoroso che da lei prende il nome. Ma dalla pianta nasce il figlio che porta in grembo, Adone. Zeus decreta che siano Persefone e Afrodite a prendersi cura del bambino, perciò il giovane sperimenta fin da subito un ciclo personale di vita e di morte, ora presso la regina dell’Ade, ora presso la dea dell’amore e della vita. Una volta più grande, Adone può scegliere di suddividere l’anno in tre parti e decide che ne trascorrerà i due terzi con Afrodite: la versione più comune attribuisce a Persefone gelosa la morte di Adone, attaccato da un cinghiale durante la caccia. Il giovane muore in un campo di lattuga e dal suo sangue nasce l’anemone, un fiore privo di profumo. Adone ha decretato il suo rifiuto della famiglia, rappresentata dalla figlia di Demetra, ed è morto prima di poter giungere alla piena maturazione, sia sessuale che di adulto della polis. Per tale motivo, ci dice Detienne, la scelta dei semi nei giardini delle Adonie ateniesi non può essere casuale: il grano ci riporta al mondo di Demetra e della figlia, la lattuga veniva utilizzata per placare le passioni d’amore e raffreddare le pulsioni erotiche, mentre il finocchio era la pianta che curava l’impotenza, perché le si attribuiva la proprietà di sviluppare la produzione di sperma. Le donne profumate di mirra piangono la morte di Adone, che viene stroncato quando la sua potenza sessuale sta raggiungendo la piena maturità. E così, cosparse del profumo che inganna e seduce, si lasciano guidare da Afrodite Hedoné, la dea del Piacere, anche lei sedotta, suo malgrado, dalla bellezza (e forse dal profumo?) del giovane figlio di Mirra. 

“Afrodite (che) rappresentava il Piacere (Hedoné), compare cosparsa di mirra e nell’atto di guardarsi in uno specchio” 

Ateneo 15.687C che cita Sofocle TrGF 4 F 361 Radt.

Un’opera perduta di Sofocle si intotolava Krisis, cioè “Il giudizio”, e in un passo dei Sofisti a Banchetto di Ateneo leggiamo la descrizione di Afrodite che compare dinanzi a Paride. Si tratta infatti del giudizio più importante della storia della letteratura: quello che ha decretato la vittoria di Afrodite e la fuga di Elena dal talamo del legittimo marito Menelao. Paride, il giovane principe troiano protagonista del giudizio, viene chiamato in più di un’occasione “seduttore” nell’Iliade (con un termine che Aristofane recupera e adatta al personaggio di Myrrine). Il tono è sarcastico e il fine è quello di sottolineare le sue colpe nell’inizio di una guerra che è giunta al suo decimo anno. 

Quando, nel tentativo di recuperare il rispetto dei fratelli e di porre fine a ciò che è stato di fatto da lui iniziato, Paride affronta Menelao a duello, un intervento divino rende nullo lo scontro e il principe rientra precipitosamente a palazzo. Qui trova Elena ed è subito preso da un desiderio irrefrenabile:

“Ma ora, sdraiamoci e facciamo l’amore; mai fino ad ora il desiderio mi prese il cuore in tal modo, neppure il giorno in cui ti rapii dalla bella Lacedemone, salpai sulle navi che solcano il mare, e nell’isola di Cranae a te mi congiunsi” 

Omero, Iliade III vv. 442-445

Oggi l’isola di Cranae è collegata alla terraferma da un istmo, per cui è facile raggiungerla da Gythio, la cittadina sorta sulla costa. Il nome moderno, Marathonissi, si riferisce a campi di finocchio selvatico (marathon) e la rende forse il luogo aromaticamente più adatto a un amplesso adulterino. 

La memoria dei miti più antichi resta impregnata nell’aria greca attraverso gli odori e i profumi dei suoi protagonisti: giovani donne trasformate in piante aromatiche, fiori che ricordano la presenza della divinità, arbusti che stillano resine in grado di conservare la vita oltre la morte. 


Stefania Berutti, classe 1975, specializzata in Archeologia e Storia dell’Arte greca alla Scuola Archeologica Italiana di Atene, è docente di “Greek and Roman Mythology” presso
l’Istituto Lorenzo de’Medici di Firenze, collabora con la rivista Archeologia Viva come accompagnatrice archeologa di viaggi in Italia e in Grecia e con CAMNES, Centre for Ancient Mediterranean and Near Eastern Studies. Condivide le proprie riflessioni suilegami tra antico e moderno in  www.memoriedalmediterraneo.com

1 comment on “Il profumo nell’antichità e nella mitologia greca, tra seduzione e divieto

  1. Giuseppe Vessella

    Affascinante

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