Il rovescio degli alberi

«Mi sono trovato in un campo e al centro del campo c’era un albero che muoveva lentamente rami e foglie succhiando l’aria per provare a soffocarmi. Sono andato nel panico, ho corso ancora e, arrivato alla fine della strada, altri rami mi aspettavano».


IN COPERTINA un’opera di vito vitulli

di Jacopo La Forgia

 

Questo testo, una sorta di “poema in sottotitoli”, è originariamente pensato per essere il voice-over di un video ambientato a Venezia. Ne costituisce lo scheletro narrativo. Si tratta di una reinterpretazione di The Black Tower di John Smith. 

Le voci narranti de Il rovescio degli alberi sono due, la prima maschile e la seconda femminile. Il personaggio femminile recita solo l’epilogo («Non lo vedo da quella volta che sono andata a trovarlo… quell’isola straniera fatta d’acqua e di pietra».)

 

Nel novembre dello scorso anno

ho visto un albero per la prima volta.

Ricordo bene: era domenica, mattina presto,

e io camminavo per il mio sestiere.

In giro non c’era nessuno, la città era mia.

Tornando a casa, ho preso una strada secondaria,

percorrendo le mura dell’Arsenale.

Ho pensato fosse una scorciatoia.

La mattinata era nebbiosa 

ed era bello passeggiare in quella città di acqua e pietra.

Ho attraversato due ponti,

e dal secondo vedevo un antico palazzo bianco.

Sopra al tetto sporgevano dei rami.

Gli ho subito voltato le spalle.

Con passo svelto ho raggiunto una calle conosciuta

e da lì, la via di casa.

~

 

Ho dimenticato l’albero per diverse settimane.

Il primo dicembre camminavo veloce, 

molto in ritardo per un appuntamento.

Devo aver preso una svolta sbagliata

e quando me ne sono accorto

era già troppo tardi.

Ho accelerato il passo tentando di arrivare a destinazione.

Calle dopo calle mi sono perso sempre di più,

fino a quando non ho incontrato di nuovo 

il ponte da cui avevo visto l’albero.

Mi sono rifiutato di attraversarlo.

La sera ho raccontato tutto 

alla coppia inglese che vive nell’appartamento sotto al mio.

– In this city there is no such thing as a living tree, hanno detto.

 

~

 

Mi ritengo una persona buona

O perlomeno una persona decente.

Tuttavia, odio gli alberi.

Sono nato in un piccolo paese europeo,

e come in ogni paese del continente

c’erano parchi, giardini, e qualche orto in periferia.

Da bambino non provavo nulla per quelle forme di vita,

mi lasciavano indifferente.

Crescendo, diventando l’adulto che sono ora,

i sentimenti sono mutati,

e quei luoghi ho cominciato a evitarli.

Il colore delle foglie,

l’odore dei fiori,

la forma delle cortecce,

il terriccio sotto ai piedi.

Tutto mi infastidiva.

Quegli organismi hanno preso a disgustarmi,

e poi a spaventarmi.

Alla fine era vero terrore.

Un giorno ho descritto i miei sentimenti a un amico,

una persona che viaggia molto,

e lui mi ha parlato di una città

che una volta ha visitato.

Un luogo remoto chiamato al-Bunduqiyya

– Ci abitano in pochi,

le auto non possono passare,

centinaia di canali,

splendidi palazzi antichi, 

silenzio.

E, soprattutto, gli alberi, le piante e i fiori laggiù non crescono più.  

È un posto perfetto per te. –

 

~

 

Una vecchia conoscenza è venuta a trovarmi,

portando messaggi di amici comuni

dalla città in cui sono cresciuto.

Chiedevano quando sarei tornato.

– Qui sto bene, ho detto. Non ho in progetto

di lasciare la mia nuova città per la vecchia.

Le ho chiesto se, venendo dalla stazione, avesse visto alberi.

– No.

La notte abbiamo passeggiato

e potevo sentire chiaramente

il suono che il vento fa attraverso le foglie.

Ho ringraziato l’oscurità che me le nascondeva.

Più tardi ho sognato sestieri sconosciuti 

illuminati da forti lampioni,

con edifici moderni e campi da pallacanestro.

C’era un parco con decine di pini marittimi.

Potevo avvicinarmi e toccarli, 

accarezzare la corteccia senza provare terrore.

La sveglia ha suonato alle 8.30.

Sono saltato giù dal letto 

e per spegnerla ho attraversato rapido la stanza.

Pensando agli alberi che avevo sognato

mi è venuta un po’ di nausea.

Ho alzato le serrande,

ho visto la quieta laguna,

le barche lente che la attraversavano.

Era una giornata di sole,

il tocco della luce sulla faccia mi ha ridato vigore.

Mi sono vestito velocemente,

mi sono versato del caffè 

e ho messo dei pancake sul fuoco.

Mentre aspettavo che si cuocessero 

ho messo su una lavatrice.

I pini erano ancora nella mia mente

e così, dopo la colazione,

mi sono fatto coraggio e sono andato al ponte.

Quando sono arrivato, dell’albero non c’era traccia.

Ho attraversato il ponte,

mi sono avvicinato all’edificio bianco.

Ci ho girato intorno senza trovare nulla.

C’era un altro canale

e dall’altra parte del canale un macellaio.

Sono entrato nel negozio 

e ho chiesto cosa fosse successo all’albero.

– Che albero? ha chiesto il proprietario.

Ho indicato l’altra parte del canale.

– Oh, il vecchio pino, l’hanno portato via.

L’informazione mi ha molto calmato.

Volevo chiedergli di più 

ma è entrato un cliente

e lui ha dovuto servirlo.

Sono andato in una biblioteca,

non lontano da lì,

e ho chiesto un libro sugli alberi della città

– Sugli alberi della città?

– Sì, ho detto, alberi, qualche genere di libro,

o pubblicazione,

che mi possa dire dov’erano gli alberi.

La bibliotecaria avrebbe dato un’occhiata.

Nel frattempo, mi ha dato una vecchia guida turistica.

Nelle prime pagine era scritto che la città poggia su milioni di tronchi.

Pali di legno infilati nel fango, mille anni fa, e su di essi le fondazioni.

al-Bunduqiyya è costruita su una foresta capovolta.

Ho lasciato la biblioteca,

ho corso fino alla macelleria,

sono entrato nel negozio con gocce di sudore che scendevano sul collo.

La seconda conversazione con l’uomo

ha confermato i miei sospetti.

L’albero di cui mi aveva parlato

era lo stesso che avevo visto dal ponte.

L’avevano abbattuto quando lui era un bambino.

Gli ho descritto quello che avevo visto io,

mi ha fissato senza dire nulla.

Ho lasciato il negozio, camminato fino al primo ponte

poi sono andato al secondo

e al terzo, e ancora oltre.

I ponti non erano quelli che ricordavo

o forse ero io a cambiare.

Ho provato a controllare il respiro 

e a rallentare il passo

ma intorno a me tutto era sconosciuto.

 

~

 

Mi sono trovato in un campo

e al centro del campo c’era un albero

che muoveva lentamente rami e foglie

succhiando l’aria per provare a soffocarmi.

Sono andato nel panico, ho corso ancora

e, arrivato alla fine della strada,

altri rami mi aspettavano.

Ho girato un angolo e ho continuato a correre,

ho preso nuove svolte

ma ogni volta che mi guardavo intorno 

vedevo rami

fiori

e foglie sul suolo

e alberi 

e fiori morti.

 

~

 

Sono arrivato a casa e sono crollato sul letto.

Ho chiuso gli occhi, e ho visto

le foglie degli alberi che mi fissavano.

Diventavano sempre più verdi,

e la massa di alberi premeva 

sulla mia fronte spingendo la nuca

sul cuscino.

Ho provato a tenere aperti gli occhi

e a fissare il piccolo lampadario cubico

sul basso soffitto.

Alla fine la luce del sole si è attenuata

e sono caduto in un sonno nero.

Mi sono svegliato stranamente calmo.

Mi sono cucinato tre uova

e ho fatto il punto della situazione.

Sembrava che per ora dovessi stare in casa. 

Non c’era dubbio che, se fossi uscito,

li avrei di nuovo incontrati.

Mi sono rassegnato al mio destino.

 

~

 

I giorni all’inizio avanzavano rapidi. 

Passavo la maggior parte del mio tempo

a lavorare a un romanzo

su un ragazzo che ha perso la madre

ed è ossessionato con l’apnea.

Scrivere non è mai stato facile per me

e raccontare questa storia di morte

e acqua 

era molto impegnativo.

In qualche modo apprezzavo

la mia incarcerazione,

perché mi obbligava a lavorare.

L’unico cibo che riuscivo a farmi portare a casa

era pizza.

Così, dopo che la mia riserva di cibo si è esaurita, 

ho vissuto di quello.

Per un po’ ho mangiato solo marinara

ma presto ho cominciato a sentirmi molto male

così ho aggiunto un po’ di verdure e del formaggio,

talvolta della carne,

per bilanciare le vitamine.

Ho perso traccia del tempo, 

ho passato mesi seduto di fronte alla finestra,

a fissare la laguna scintillante 

e le barche che passavano.

L’arrivo del ragazzo della pizza alle sette precise

è diventato il punto più alto della giornata.

Non mi chiedeva nulla.

Mi dava la pizza con un gran sorriso

perché ero generoso con le mance.

~

 

Non so chi abbia chiamato l’ambulanza,

ero quasi incosciente quando è arrivata,

nudo, sdraiato sul pavimento.

Ricordo il suono delle sirene

ma solo come elemento di un sogno di pietra e acqua.

Quando siamo arrivati all’ospedale 

non ero sorpreso da quello che ho visto dalla barella.

Mentre mi portavano alla mia stanza,

fuori dalle finestre:

alberi.

Il mio ricovero è durato a lungo

ma i dottori erano comprensivi,

e per la prima volta nella mia vita

potevo parlare in dettaglio della mia paura, 

senza pensare che i miei ascoltatori

volessero cambiare l’argomento.

Mentre le settimane passavano 

la mia ossessione diminuiva

e quando fui dimesso diventò chiaro per me

che gli alberi che vedevo ad al-Bunduqiyya

esistevano solo nella mia mente.

Il mio compagno di stanza 

mi suggerì di spostarmi nell’area portuale della città

dove gli alberi non erano mai esistiti.

– Quella zona non è stata costruita su una foresta

ma sul cemento.

Non ti dovrai preoccupare di alberi quando sarai lì –

Lo disse con una smorfia.

Trovai un hotel

dove alloggiavano solo uomini

che commerciavano acciaio.

Passai i giorni seguenti

a esplorare la grande area industriale, 

tra navi in costruzioni,

rotaie di treni invisibili,

containers color ruggine.

 

~

 

Non mi spaventai quando lo vidi di nuovo.

Mi venne da ridere.

Era così assurdo mentre mi scrutava

al di là delle gru.

In me trovai la stessa curiosità

provata da ragazzino

quando m’ero accorto che gli alberi non mi erano indifferenti.

Mi chiesi, adesso, come questa sequoia mi avesse trovato.

Mi feci strada tra i container, fino all’enorme tronco. 

Il più grande albero che avessi mai visto.

Toccai la corteccia a mani nude

percependo un incontrollabile

calore e un’umidità

che scorrevano attraverso il mio corpo.

 

~

 

Non lo vedo da quella volta che sono andata a trovarlo. 

Sono in viaggio per lavoro 

e al-Bunduqiyya è sulla strada della mia destinazione. 

Ho pensato di fargli visita.

Prendo il vaporetto per il cimitero

e ci arrivo nel tardo pomeriggio.

Mi ci vogliono secoli per trovarlo.

Il cimitero è enorme e la sua tomba

è proprio alla fine.

Mi piace molto la passeggiata tra gli alti cipressi, 

il suono degli uccelli,

il profumo dei fiori.

Penso che sarebbe felice

di questo luogo pacifico,

così diverso dalla città in cui ha passato i suoi ultimi giorni,

quell’isola straniera

fatta d’acqua e di pietra.


Jacopo La Forgia (1990) è fotografo e scrittore. Come fotografo ha pubblicato reportage su Venezia, sull’India, sulla Romania. Come scrittore ha pubblicato racconti su Nazione Indiana, Cadillac Magazine, CrapulaClub, Retabloid. Il suo primo romanzo, “Materia”, è uscito per Effequ nel 2019.

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