«Mi sono trovato in un campo e al centro del campo c’era un albero che muoveva lentamente rami e foglie succhiando l’aria per provare a soffocarmi. Sono andato nel panico, ho corso ancora e, arrivato alla fine della strada, altri rami mi aspettavano».
IN COPERTINA un’opera di vito vitulli
Questo testo, una sorta di “poema in sottotitoli”, è originariamente pensato per essere il voice-over di un video ambientato a Venezia. Ne costituisce lo scheletro narrativo. Si tratta di una reinterpretazione di The Black Tower di John Smith.
Le voci narranti de Il rovescio degli alberi sono due, la prima maschile e la seconda femminile. Il personaggio femminile recita solo l’epilogo («Non lo vedo da quella volta che sono andata a trovarlo… quell’isola straniera fatta d’acqua e di pietra».)
Nel novembre dello scorso anno
ho visto un albero per la prima volta.
Ricordo bene: era domenica, mattina presto,
-->e io camminavo per il mio sestiere.
In giro non c’era nessuno, la città era mia.
Tornando a casa, ho preso una strada secondaria,
percorrendo le mura dell’Arsenale.
Ho pensato fosse una scorciatoia.
La mattinata era nebbiosa
ed era bello passeggiare in quella città di acqua e pietra.
Ho attraversato due ponti,
e dal secondo vedevo un antico palazzo bianco.
Sopra al tetto sporgevano dei rami.
Gli ho subito voltato le spalle.
Con passo svelto ho raggiunto una calle conosciuta
e da lì, la via di casa.
~
Ho dimenticato l’albero per diverse settimane.
Il primo dicembre camminavo veloce,
molto in ritardo per un appuntamento.
Devo aver preso una svolta sbagliata
e quando me ne sono accorto
era già troppo tardi.
Ho accelerato il passo tentando di arrivare a destinazione.
Calle dopo calle mi sono perso sempre di più,
fino a quando non ho incontrato di nuovo
il ponte da cui avevo visto l’albero.
Mi sono rifiutato di attraversarlo.
La sera ho raccontato tutto
alla coppia inglese che vive nell’appartamento sotto al mio.
– In this city there is no such thing as a living tree, hanno detto.
~
Mi ritengo una persona buona
O perlomeno una persona decente.
Tuttavia, odio gli alberi.
Sono nato in un piccolo paese europeo,
e come in ogni paese del continente
c’erano parchi, giardini, e qualche orto in periferia.
Da bambino non provavo nulla per quelle forme di vita,
mi lasciavano indifferente.
Crescendo, diventando l’adulto che sono ora,
i sentimenti sono mutati,
e quei luoghi ho cominciato a evitarli.
Il colore delle foglie,
l’odore dei fiori,
la forma delle cortecce,
il terriccio sotto ai piedi.
Tutto mi infastidiva.
Quegli organismi hanno preso a disgustarmi,
e poi a spaventarmi.
Alla fine era vero terrore.
Un giorno ho descritto i miei sentimenti a un amico,
una persona che viaggia molto,
e lui mi ha parlato di una città
che una volta ha visitato.
Un luogo remoto chiamato al-Bunduqiyya
– Ci abitano in pochi,
le auto non possono passare,
centinaia di canali,
splendidi palazzi antichi,
silenzio.
E, soprattutto, gli alberi, le piante e i fiori laggiù non crescono più.
È un posto perfetto per te. –
~
Una vecchia conoscenza è venuta a trovarmi,
portando messaggi di amici comuni
dalla città in cui sono cresciuto.
Chiedevano quando sarei tornato.
– Qui sto bene, ho detto. Non ho in progetto
di lasciare la mia nuova città per la vecchia.
Le ho chiesto se, venendo dalla stazione, avesse visto alberi.
– No.
La notte abbiamo passeggiato
e potevo sentire chiaramente
il suono che il vento fa attraverso le foglie.
Ho ringraziato l’oscurità che me le nascondeva.
Più tardi ho sognato sestieri sconosciuti
illuminati da forti lampioni,
con edifici moderni e campi da pallacanestro.
C’era un parco con decine di pini marittimi.
Potevo avvicinarmi e toccarli,
accarezzare la corteccia senza provare terrore.
La sveglia ha suonato alle 8.30.
Sono saltato giù dal letto
e per spegnerla ho attraversato rapido la stanza.
Pensando agli alberi che avevo sognato
mi è venuta un po’ di nausea.
Ho alzato le serrande,
ho visto la quieta laguna,
le barche lente che la attraversavano.
Era una giornata di sole,
il tocco della luce sulla faccia mi ha ridato vigore.
Mi sono vestito velocemente,
mi sono versato del caffè
e ho messo dei pancake sul fuoco.
Mentre aspettavo che si cuocessero
ho messo su una lavatrice.
I pini erano ancora nella mia mente
e così, dopo la colazione,
mi sono fatto coraggio e sono andato al ponte.
Quando sono arrivato, dell’albero non c’era traccia.
Ho attraversato il ponte,
mi sono avvicinato all’edificio bianco.
Ci ho girato intorno senza trovare nulla.
C’era un altro canale
e dall’altra parte del canale un macellaio.
Sono entrato nel negozio
e ho chiesto cosa fosse successo all’albero.
– Che albero? ha chiesto il proprietario.
Ho indicato l’altra parte del canale.
– Oh, il vecchio pino, l’hanno portato via.
L’informazione mi ha molto calmato.
Volevo chiedergli di più
ma è entrato un cliente
e lui ha dovuto servirlo.
Sono andato in una biblioteca,
non lontano da lì,
e ho chiesto un libro sugli alberi della città
– Sugli alberi della città?
– Sì, ho detto, alberi, qualche genere di libro,
o pubblicazione,
che mi possa dire dov’erano gli alberi.
La bibliotecaria avrebbe dato un’occhiata.
Nel frattempo, mi ha dato una vecchia guida turistica.
Nelle prime pagine era scritto che la città poggia su milioni di tronchi.
Pali di legno infilati nel fango, mille anni fa, e su di essi le fondazioni.
al-Bunduqiyya è costruita su una foresta capovolta.
Ho lasciato la biblioteca,
ho corso fino alla macelleria,
sono entrato nel negozio con gocce di sudore che scendevano sul collo.
La seconda conversazione con l’uomo
ha confermato i miei sospetti.
L’albero di cui mi aveva parlato
era lo stesso che avevo visto dal ponte.
L’avevano abbattuto quando lui era un bambino.
Gli ho descritto quello che avevo visto io,
mi ha fissato senza dire nulla.
Ho lasciato il negozio, camminato fino al primo ponte
poi sono andato al secondo
e al terzo, e ancora oltre.
I ponti non erano quelli che ricordavo
o forse ero io a cambiare.
Ho provato a controllare il respiro
e a rallentare il passo
ma intorno a me tutto era sconosciuto.
~
Mi sono trovato in un campo
e al centro del campo c’era un albero
che muoveva lentamente rami e foglie
succhiando l’aria per provare a soffocarmi.
Sono andato nel panico, ho corso ancora
e, arrivato alla fine della strada,
altri rami mi aspettavano.
Ho girato un angolo e ho continuato a correre,
ho preso nuove svolte
ma ogni volta che mi guardavo intorno
vedevo rami
fiori
e foglie sul suolo
e alberi
e fiori morti.
~
Sono arrivato a casa e sono crollato sul letto.
Ho chiuso gli occhi, e ho visto
le foglie degli alberi che mi fissavano.
Diventavano sempre più verdi,
e la massa di alberi premeva
sulla mia fronte spingendo la nuca
sul cuscino.
Ho provato a tenere aperti gli occhi
e a fissare il piccolo lampadario cubico
sul basso soffitto.
Alla fine la luce del sole si è attenuata
e sono caduto in un sonno nero.
Mi sono svegliato stranamente calmo.
Mi sono cucinato tre uova
e ho fatto il punto della situazione.
Sembrava che per ora dovessi stare in casa.
Non c’era dubbio che, se fossi uscito,
li avrei di nuovo incontrati.
Mi sono rassegnato al mio destino.
~
I giorni all’inizio avanzavano rapidi.
Passavo la maggior parte del mio tempo
a lavorare a un romanzo
su un ragazzo che ha perso la madre
ed è ossessionato con l’apnea.
Scrivere non è mai stato facile per me
e raccontare questa storia di morte
e acqua
era molto impegnativo.
In qualche modo apprezzavo
la mia incarcerazione,
perché mi obbligava a lavorare.
L’unico cibo che riuscivo a farmi portare a casa
era pizza.
Così, dopo che la mia riserva di cibo si è esaurita,
ho vissuto di quello.
Per un po’ ho mangiato solo marinara
ma presto ho cominciato a sentirmi molto male
così ho aggiunto un po’ di verdure e del formaggio,
talvolta della carne,
per bilanciare le vitamine.
Ho perso traccia del tempo,
ho passato mesi seduto di fronte alla finestra,
a fissare la laguna scintillante
e le barche che passavano.
L’arrivo del ragazzo della pizza alle sette precise
è diventato il punto più alto della giornata.
Non mi chiedeva nulla.
Mi dava la pizza con un gran sorriso
perché ero generoso con le mance.
~
Non so chi abbia chiamato l’ambulanza,
ero quasi incosciente quando è arrivata,
nudo, sdraiato sul pavimento.
Ricordo il suono delle sirene
ma solo come elemento di un sogno di pietra e acqua.
Quando siamo arrivati all’ospedale
non ero sorpreso da quello che ho visto dalla barella.
Mentre mi portavano alla mia stanza,
fuori dalle finestre:
alberi.
Il mio ricovero è durato a lungo
ma i dottori erano comprensivi,
e per la prima volta nella mia vita
potevo parlare in dettaglio della mia paura,
senza pensare che i miei ascoltatori
volessero cambiare l’argomento.
Mentre le settimane passavano
la mia ossessione diminuiva
e quando fui dimesso diventò chiaro per me
che gli alberi che vedevo ad al-Bunduqiyya
esistevano solo nella mia mente.
Il mio compagno di stanza
mi suggerì di spostarmi nell’area portuale della città
dove gli alberi non erano mai esistiti.
– Quella zona non è stata costruita su una foresta
ma sul cemento.
Non ti dovrai preoccupare di alberi quando sarai lì –
Lo disse con una smorfia.
Trovai un hotel
dove alloggiavano solo uomini
che commerciavano acciaio.
Passai i giorni seguenti
a esplorare la grande area industriale,
tra navi in costruzioni,
rotaie di treni invisibili,
containers color ruggine.
~
Non mi spaventai quando lo vidi di nuovo.
Mi venne da ridere.
Era così assurdo mentre mi scrutava
al di là delle gru.
In me trovai la stessa curiosità
provata da ragazzino
quando m’ero accorto che gli alberi non mi erano indifferenti.
Mi chiesi, adesso, come questa sequoia mi avesse trovato.
Mi feci strada tra i container, fino all’enorme tronco.
Il più grande albero che avessi mai visto.
Toccai la corteccia a mani nude
percependo un incontrollabile
calore e un’umidità
che scorrevano attraverso il mio corpo.
~
Non lo vedo da quella volta che sono andata a trovarlo.
Sono in viaggio per lavoro
e al-Bunduqiyya è sulla strada della mia destinazione.
Ho pensato di fargli visita.
Prendo il vaporetto per il cimitero
e ci arrivo nel tardo pomeriggio.
Mi ci vogliono secoli per trovarlo.
Il cimitero è enorme e la sua tomba
è proprio alla fine.
Mi piace molto la passeggiata tra gli alti cipressi,
il suono degli uccelli,
il profumo dei fiori.
Penso che sarebbe felice
di questo luogo pacifico,
così diverso dalla città in cui ha passato i suoi ultimi giorni,
quell’isola straniera
fatta d’acqua e di pietra.
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