Il sesso dei nostri cervelli: esistono differenze mentali tra generi?



Cercare differenze cognitive che spieghino direttamente gli squilibri di genere ha poco senso. Quello che dobbiamo vedere è l’insieme dell’intreccio di tratti cognitivi, società, cultura, educazione e percezioni consce e inconsce, che portano inevitabilmente a far divergere il destino di menti e cervelli più simili di quanto crediamo.


In copertina e nel testo, Opere di Takato Yamamoto

di Massimo Sandal

Le parole di Barbero che tanto scalpore hanno fatto la settimana scorsa sono un test di Rorschach. Quello che ciascuno ha visto in quell’intervista dipende da quello che ciascuno di noi pensa e crede, delle donne, di Barbero, del sessismo e delle sue radici. Come tale, è un’esegesi che gira in tondo e che serve a poco.

Sta di fatto che alcuni hanno interpretato, forse non scorrettamente, quell’espressione così netta e così ambigua, «differenze strutturali», come riferita alle differenze biologiche tra cervelli maschili e femminili. Differenze da cui poi discenderebbero le inevitabili differenze di personalità e comportamento che infine si tradurrebbero, sia pure in filigrana, negli attuali ruoli di genere. Men are from Mars, women are from Venus: i due sessi come due specie leggermente diverse che inevitabilmente giungono a occupare nicchie diverse.

È una questione immensa sviluppata su più strati, e riassumerla completamente in un articolo è impossibile. Qui ci tocca limitarci ad alcuni spunti, e già la strada sarà lunga e accidentata. Tl;dr: è una questione complessissima, in cui ci sono molte domande, pochissime risposte e confusione a ogni passo. 

Cervelli che si somigliano

Il primo, alle fondamenta, è se ci sono delle differenze intrinseche, inevitabili tra i cervelli e i sistemi nervosi dei due sessi. Già in partenza stiamo semplificando parecchio, perché in realtà il sesso è più complicato di un semplice binario, e non prendiamo neanche in considerazione, colpevolmente, i livelli di complessità introdotti tenendo conto delle persone transgender o non binarie, delle persone intersex e delle persone non neurotipiche.

Già a questo livello però le cose sono tutto meno che ovvie. Al punto che ci sono libri che tacciano di “neurosessismo” l’idea che esistano differenze sostanziali tra i due cervelli, e un’analisi di trent’anni di ricerche neuroanatomiche, pubblicata da un team di Chicago nel 2021, grida fin dal titolo di buttare via il “dimorfismo. Conclude infatti che l’unica differenza anatomica significativa tra i cervelli maschili e femminile sarebbe la dimensione, in media dell’11 per cento più grande tra i maschi. Molte delle ricerche che, in precedenza, avevano trovato ad esempio differenze significative nella connettività (ovvero nella quantità e tipo di connessioni presenti all’interno del cervello) sarebbero in realtà fallaci. Le AI sono in grado di distinguere immagini di cervelli maschili e femminili, ma smettono di esserne capaci se si elimina il fattore dimensioni. Va detto che l’analisi di Chicago è stata a sua volta criticata e non c’è ancora un chiaro consenso accademico sul tema. Il fatto che sia difficile trovare differenze macroscopiche non significa che non vi siano differenze a livello di funzionamento del cervello. Ma sembra chiaro che queste differenze, perlomeno, non sono facili da trovare.

Una mente con poco genere

Il secondo strato è: queste differenze, se esistono, si tramutano in differenze a livello cognitivo e comportamentale? Cervelli diversi danno luogo a menti diverse? Un risultato sorprendente, e propugnato anche da ricercatori che invece ritengono vi siano davvero differenze nette e significative a livello neuroanatomico, è che spesso tali differenze fisiologiche (quando ci sono) sembrano compensarsi a vicenda: ovvero permettono a cervelli diversi di funzionare incirca allo stesso modo. Per esempio ci sono indizi che lo spessore della corteccia cerebrale possa essere relativamente maggiore nelle femmine, il che potrebbe compensare la minore dimensione, portando a cervelli il cui quoziente intellettivo è, come osserviamo, in media pressoché identico. 

Lasciamo perdere allora le connessioni con l’anatomia, e misuriamo direttamente le differenze cognitive tra i generi. Esistono? Sì. Quante sono? Non tante quanto potremmo pensare. Al momento il grosso delle evidenze scientifiche sembra favorire la cosiddetta ipotesi della somiglianza, ovvero che in gran parte dei caratteri cognitivi e comportamentali uomini e donne siano in gran parte simili. “Gran parte” ovviamente non significa “tutti”. In un punto della situazione sul tema pubblicato nel 2013 dalla principale proponente dell’ipotesi della somiglianza, Janet S. Hyde, si legge che, al momento, i tratti che effettivamente mostrano robuste differenze tra i sessi (statisticamente: in quasi tutti i casi la variabilità tra singoli individui è enormemente più elevata della differenza media dovuta al sesso) sono principalmente i seguenti: rotazione mentale di oggetti 3D, amicabilità, ricerca di sensazioni, interesse nelle cose rispetto alle persone, aggressività fisica, alcuni comportamenti sessuali (masturbazione e uso della pornografia) e attitudine verso il sesso occasionale. A questi si aggiunge il rischio di soffrire di alcune condizioni psichiatriche, come la depressione e la schizofrenia. Gran parte dei tratti che spesso associamo agli stereotipi di genere non sono invece, in realtà, granché diversi tra i sessi: tra questi la performance nella matematica (ma c’è una differenza significativa nella sicurezza nelle proprie capacità in materia: al punto che le donne eccezionali in matematica si sentono meno eccezionali degli uomini: in questo senso è vero che sono, in alcuni ambiti, meno sicure di sé, come diceva Barbero), le abilità verbali, l’emotività e la capacità di leadership. Che la scarsità di donne in alcune discipline scientifiche non abbia molto a che fare con capacità innate (nonostante quanto alcuni dicono) ma con l’ambiente è evidente dal fatto che in diversi Paesi non si riscontra alcun divario nelle capacità matematiche durante la scuola, e in altri si sta chiudendo velocemente.

Immersə nell’ambiente

Già, l’ambiente. Anche i ricercatori che più sottolineano le differenze intrinseche tra i sessi non possono fare a meno di ammettere che probabilmente quanto misuriamo è enormemente dipendente da influenze ambientali. Qui è bene fare una parentesi, perché spesso in questo dibattito si cade nella fallacia per cui, se si parla di influenze ambientali, allora bisogna considerare il cervello come una tabula rasa (e, viceversa, se si parla di differenze biologiche allora queste implicano un destino inevitabile). La realtà è che l’interazione tra ambiente e genetica è ricorsiva, riverberante, mai lineare. Un tratto può dipendere simultaneamente da ambiente e genetica, e quale fattore domini non è sempre ovvio. Prendiamo l’altezza. È un tratto geneticamente determinato, a parità di condizioni; l’altezza media però è aumentata di circa 10 cm in Occidente tra il XIX e il XX secolo, perché sono cambiate le condizioni nutrizionali e di salute. Una persona occidentale con geni “alti” nel XIX secolo probabilmente era più bassa di una persona occidentale con geni “medi” nel tardo XX secolo. In generale, una piccola differenza innata può venire amplificata dall’ambiente, così come una differenza leggera di condizioni ambientali può portare a esiti completamente diversi. A loro volta queste differenze poi mutano la società e quindi l’ambiente che ci circonda, che interagiranno con le nostre tendenze innate, e così via, creando ulteriori loop tra natura e cultura che sono pressoché inestricabili.

Diane F. Halpern, una delle ricercatrici più attente a porre l’attenzione sulle differenze cognitive tra sessi, ha comunque ricordato che «enormi insiemi di dati a livello internazionale hanno trovato ampie differenze cross-culturali nelle differenze cognitive tra i sessi» e che «l’eguaglianza tra generi, se ristretta solo ad alcuni domini (es. Istruzione, forza lavoro) e non altri (es. salute), può influenzare le differenze cognitive tra i sessi». Di più, «gli stereotipi di genere possono influenzare le differenze cognitive», tanto che fattori culturali possono annullare o addirittura invertire la direzione delle differenze tra i generi, per esempio nel caso delle attitudini matematiche

Nel 2017 Larry Cahill, probabilmente il leader tra i neuroscienziati che ritengono fondamentale investigare le differenze neurologiche tra i sessi e autore di un influente articolo già nel 2006, Perché il sesso è importante per le neuroscienze (nonché certo qualcuno che non ha timore di apparire “politicamente scorretto”, visto che ha scritto per Quillette, una delle principali testate culturali che si pongono contro “l’ortodossia di sinistra”) ha curato un’antologia di studi e articoli di rassegna sul tema delle differenze di sesso e genere nella neurobiologia, citata spesso come una fonte importante che dimostrerebbe la massiccia influenza della biologia nel determinare le differenze cognitive tra generi. Gli stessi autori di questa antologia, benché focalizzati sulle differenze e non sulle somiglianze, sono molto attenti nel mettere al centro le influenze ambientali: Jill Becker, Michele L. McClellan e Beth Glover Reed scrivono chiaramente che «Sfortunatamente, quello che “differenze dovute al sesso nel cervello” vuol dire per molte persone che non sono neuroscienziati è che i cervelli maschili e femminili sono cablati per essere diversi tra loro […] I neuroscienziati sanno bene che il cervello umano non è cablato in modo fisso, ma è raro che queste nuances arrivino al pubblico». Sempre nella stessa antologia, Marina A. Pavlova, dopo aver ricordato fermamente l’importanza dei fattori biologici, in particolare ormonali, ammette che «il cervello umano è plasmato da molti fattori interagenti che non sono solo di origine neurobiologica […] e ambientale ma anche socioculturale (per esempio, ruoli sociali normativi e la loro accettazione» e descrive esperimenti che mostrano come gli stereotipi di genere contribuiscano alle differenze cognitive.

Tu meriti il posto che occupi?

Siamo al terzo e ultimo strato. Quale che sia la mappa dell’intreccio tra biologia e genetica, resta la domanda finale: se ci sono in media alcune differenze cognitive, sia pur non tante, queste spiegano almeno parte dei gap sociali che ci sono tra i generi? La risposta è che al momento nessuno lo sa: fatichiamo ad avere risposte sugli strati precedenti, figurarsi su come questo labirinto si trasli nella società. Quello che sappiamo è che, se c’è un’influenza di queste differenze cognitive, allora c’è comunque ancora moltissimo spazio per correggere la società che vi sta intorno, prima di arrendersi. Una delle teorie più in voga per spiegare, ad esempio, la preponderanza di uomini “eccellenti” è la cosiddetta ipotesi della variabilità maschile: anche se in media uomini e donne sono simili, i maschi avrebbero una maggior percentuale di individui ai due estremi. Ci sarebbero quindi tanti bravi ingegneri o leader donne quanto bravi uomini, ma al vero top ci sarebbero principalmente maschi (e viceversa ci sarebbero anche molti più pessimi uomini di pessime donne). È in parte vero, nel senso che in media la variabilità tra i maschi è leggermente più alta, ma non basta a spiegare le differenze che si osservano. Il fatto che i migliori giocatori di scacchi siano quasi tutti maschi non ha a che fare con una differenza intrinseca di talento o con una maggiore variabilità ma, banalmente, è questione di statistica. Ci sono meno giocatrici professioniste (per moltissimi motivi legati alla struttura sociale e culturale dello sport) quindi ci sono anche meno giocatrici bravissime. Ma la distribuzione dei punteggi è pressoché identica tra uomini e donne. 

Praticamente tutti i tratti di cui abbiamo parlato, anche quelli che sembrano più fortemente influenzati dalla biologia, si piegano come giunchi davanti alla cultura e dalla presenza di stereotipi di genere. Attenzione: il fatto che si pieghino non significa che siano irrilevanti. Lo sfondo biologico andrebbe considerato semplicemente come uno dei tanti fattori che costruiscono la nostra personalità, che può essere importante per uno e irrilevante per l’altro, a seconda dell’interazione di tutti gli altri fattori. Inoltre spesso ci focalizziamo su possibili differenze cognitive a livello profondo, quando in realtà le differenze che contano sono più emotive e psicologiche. Per esempio per il successo in matematica il principale fattore da considerare nel gap tra uomini e donne è la fiducia in sé stesse. Di nuovo, allora, avrebbe ragione Barbero -se è questo che intendeva- a parlare di spavalderia e sicurezza di sé: ma è assai dubbio che sia una differenza «strutturale» e non, invece, inculcata a livello culturale e sociale.

Un utile paragone può essere, di nuovo, quello con l’altezza. In generale, le persone alte sono più ricche e di successo rispetto alle persone basse. È un vantaggio sostanziale: c’è chi ha calcolato che 10 cm di differenza corrispondano a una differenza media di guadagni tra il 9 e il 15 per cento, che nel corso di una vita può sommarsi in centinaia di migliaia di euro di differenza (per confronto, il gender gap sui salari in Europa è intorno al 14 per cento). Dobbiamo dedurre che le persone alte sono intrinsecamente avvantaggiate, dal punto di vista psicologico e cognitivo, rispetto alle persone basse? Quasi certamente no. I motivi di questo vantaggio non sono chiari, ma per esempio possono avere a che fare con il modo in cui istintivamente valutiamo le persone alte; questo a sua volta può portare a un circolo vizioso in cui vediamo più spesso persone alte in posizioni in alto nella gerarchia, e quindi rafforziamo il nostro bias positivo nei loro confronti. Le persone alte inoltre, fin dall’adolescenza, cresceranno più sicure di sé e della propria forza, rafforzando tratti cognitivi utili ad avere successo. Tutta questa serie di feedback fa sì che un tratto genetico (l’altezza) di per sé irrilevante, immerso in un ambiente socioculturale pervaso da tendenze inconsce, si tramuti in un vantaggio sociale ed economico netto. Con le differenze del caso, è probabile che  sesso e genere seguano una falsariga simile. Cercando differenze cognitive che spieghino direttamente gli squilibri di genere, stiamo probabilmente cercando l’ago nel pagliaio sbagliato. Quello che dobbiamo vedere è l’insieme dell’intreccio tra tratti cognitivi, società, cultura, educazione e percezioni consce e inconsce che portano inevitabilmente a far divergere il destino di menti e cervelli più simili di quanto crediamo. Le «differenze strutturali» di cui -forse- parlava Barbero sono in realtà come le radici di un albero, che scavano tanto più nel terreno quanto più sole riceve la chioma.  


Massimo Sandal (1981) è uno scrittore e giornalista scientifico. Ha conseguito un dottorato in Biofisica sperimentale a Bologna e uno in Biologia computazionale ad Aquisgrana, dove vive tuttora. Collabora con varie testate, tra le quali Le Scienze e Wired.

 

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3 comments on “Il sesso dei nostri cervelli: esistono differenze mentali tra generi?

  1. Ho imparato ad apprezzare il dr Sandal nel podcast di Pagella Politica e trovo che abbia una onestà intellettuale rara, oltre alla competenza. Questo articolo è estremamente interessante anche se alla fine ci lascia con un “non sono sicuro”, che a volte è la risposta più onesta.

    Mi scuso con il dottor Sandal se approfitto ma mi interesserebbe una sua opinione su questa ben motivata posizione https://stemplet74.substack.com/p/the-ugly-mask-of-politics

  2. Elda Grossi

    Ho trovato l’articolo molto interessante e utile, anche perché sto lavorando a una tesi sul tema della differenza di genere nel campo del professionismo musicale.
    Grazie

  3. Andrea R.

    Articolo molto bello, che sviscera un tema sul quale sembra che l’esposizione di un minimo dubbio porti come risposta una valanga di preconcetti. Bravo!

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