Io lo so dove va l’estate



“Che poi, dal capoluogo alla località di villeggiatura, il viaggio era stato anche buono. O quantomeno decoroso. Sopportabile e degno.“.


In copertina, Summer Night (Inger on the Shore), Edvard Munch (1889)

di Gabriele Merlini

I

Che poi, dal capoluogo alla località di villeggiatura, il viaggio era stato anche buono. O quantomeno decoroso. Sopportabile e degno. Vibrazioni positive, l’aria nell’abitacolo inebriata da ciò che dovrebbe sempre avere la meglio tra neofiti del settore e quella voglia detonante – tra il goffo e il professionale – di proseguire a scoprirsi; dissezionarsi a vicenda riavvolgendo il nastro della memoria fino al punto esatto dal quale tutto genera, o almeno dal quale tutto dovrebbe generare, infine prendersi le misure del punto vita. Spalle e natiche e rilassarsi odorandosi le code ché ogni cosa nella vita cambia ma vai a sapere in quale direzione. 

«Gira qui.»

«Qui. Ok.»   

«Eccellente. Grazie infinite.»   

La curva dell’autostrada agevolata da un sapiente cambio di marcia. Il sole, piantato nel cielo, il più irritante tra i disegni rossi.  

«Tutto bene?» 

«Tutto be-nis-si-mo.»

E d’altronde, impettita davanti allo specchietto retrovisore, stamani guida lei per questa fastidiosa emicrania che affligge lui; il tizio alla sua destra spalmato sul sedile passeggero come una grossa e inutile sottiletta intento a grattarsi le mutande floreali attraverso secchi e meccanici movimenti del polso. La striscia di asfalto ancora non bollente che li accoglierà all’arrivo e quelle aiuole abbrustolite dalla calura a dividere la banale idea di spiaggia dalle abitazioni torreggianti. La gialla distesa di erba rasa quindi la tenuta composta da tre nuclei abitativi, due scalinate e un arco alla sinistra della rimessa per barche a vela che rappresenta l’ultimo avamposto di normalità prima della psicosi: lì serve svoltare a destra per cercare un parcheggio, meglio se all’ombra del leccio con scalfite sulla corteccia le date dei più osceni baci tra paesani (l’autoradio ripete per l’ennesima volta il sostantivo e l’aggettivo protocollo diagnostico così si fa necessario cercare sul frasario il significato di protocollo diagnostico al fine di evitare figuracce con eventuali avvocati o notabili abbrustoliti dagli ultravioletti.) 

«Ok ma spegni. Adesso. Abbi pietà.»

«Bene. Stai calmo. Un attimo.»  

Oltre la portiera, attraverso i tergicristalli da sostituire, alberi lesti e cartelli guizzanti. 

II

Ché alla fine è stato il bisnonno del tizio spalmato sul sedile passeggero ad assicurarsi la residenza marittima per colei che ai tempi era la giovane moglie. Seconda guerra mondiale e residui di bombe in lontananza. Fucilazioni e fienili e chiunque lì attorno che faceva la fame: pure questa, a pensarci bene, è oscenità. Canne di bambù nodose tipo avambracci di portuali poi vialetto impeccabile a delineare una zona di peccati indicibili, estremismi conservatori travestiti da progressismo e porci capitalisti con canottiere griffate: ecco come dipinge il territorio lui che alla destra di lei ha ripreso a scorticarsi il piede digrignando i denti. Fuori dal vetro il piccolo aeroporto abbandonato, una cartiera in disuso, un punto vendita di statue religiose e papere gonfiabili.

«Voglio morire. Che ore sono?»

«Saremo in dieci minuti.» 

dove ogni mattonella è parametrata a quanto costa viverci sopra e sbraita qualsiasi dosso sull’asfalto generato dalle radici di vecchi pini; dove ogni processionaria urticante si infrasca all’ombra di cespugli secchi e tutto ricorda una solenne fregatura per boccaloni del tessile, del cemento o della finanza.

«Poi sul serio. Metti via quella merda.»

Un sorriso che sa di redenzione.

«Sul serio. Non è prudente.»

«Ok. Ok, va bene.»

Metà pomeriggio di fine agosto e molecole a calare incandescenza: ecco dove siamo. Dietro i titoli dei vecchi giornali che lei ha comprato in sconto al mercatino dell’antiquariato di una piazza cittadina ancora non divorata dalla gentrificazione a ridosso della mano sulla coscia e un terminale, malinconico inchino ai più sensibili tra i moscerini. 

III

L’equivoco del militarismo progressista.

Un presidente fuori dalla mischia.

Le donne. Un senso diverso delle proporzioni.

Ma è stata una scelta avventata quel viaggio assieme dopo l’unica notte trascorsa nello stesso letto a distanza di un lustro dal primo incontro; il sesso consumato con gli occhi sbarrati in direzioni opposte e i sorrisi stranianti ché va bene, tutto si ripete ciclico e noioso ma è stata una scelta avventata per entrambi. Sia per lei che per lui che però è estasiato dall’ipotesi di potersi aggrappare una seconda volta in modo acritico a quell’illeggibile damigella che guida austera per fare fronte a ciò che potrebbe venire giù di nuovo nella sua vita e coglierlo di sorpresa. Ecco il motivo del viaggio che le ha proposto bruciando le tappe: sorreggersi di nuovo a chi non casca quasi mai e può garantire una forma credibile di solidità. L’equilibrio del cosmo, la sicurezza sul bordo degli oggetti e la redenzione finale, al massimo spingendo giù la controparte che nella norma è più tardiva e disillusa di te. 

«Un riccio morto.»

«Interessante.»

Oltretutto, nel giro di poco, lei dovrà compiere una ulteriore stabilizzazione emozionale e dedicarsi a tempo pieno ai luoghi del rimosso, ai contenitori psichici che non sono vuoti ma zeppi di archetipi e alle sedute di gruppo che ha (ri)preso a frequentare dopocena: ecco cosa le interessa quando bilancia freno e frizione e imbocca la diramazione che punta il nord. Mica quell’idiota concorso statale per la Sovrintendenza alle Belle Arti che tra l’altro non vincerà mai, e del resto la psicanalisi è una moda radicata da decadi nel suo giro e ritiene sia saggio seguire l’onda prima della risacca (il gruppo di ascolto che le è toccato in sorte si riunisce sullo stesso lato del fiume del piccolo appartamento che ha preso in affitto per due spiccioli, così tocca farsi largo tra la folla di turisti se vuole raggiungere per tempo il Cerchio della Consapevolezza, una maratona che è solita affrontare agghindata in quel modo particolare che i baristi definiscono esotico a dispetto dell’opinione degli adepti: basilare.) Ma l’Io cosciente è più stimolante di un documento sulla fattibilità di un restauro e pace se la famiglia ha gradito poco la decisione comunicata durante un agitato pomeriggio di confronto: la fuga e l’abbandono della strada maestra in vista del ritorno all’apprendimento, il distacco dalla sicurezza di una professione garantita e tutto il resto della storia (che poi i suoi genitori mica le manipolano direttamente il cervello e l’inconscio è in grado di resistere a molte operazioni meschine. Più che altro, sfruttando imposizioni subdole, l’hanno sempre spinta ad azioni non volute. Pilotate e dolorose. Da qui la nausea e l’avversione che prova a capodanno o per il compleanno della nonna.) 

Perdurano i guai con Eros e Thanatos ma troverà il modo per tirare avanti con la propria indole e con quell’assurdo tizio alla destra, anche se non fa pipì da un secolo e dovrà aspettare di arrivare a destinazione per abbassarsi la gonna dentro la spaziosa toilette che – le è stato garantito – affaccia davvero su un giardino perennemente in fiore. Sull’arco in pietra sgranocchiato dall’edera, sul pergolato di bambù e il resto di quel circo che starebbe o-nesta-mente spalancandole le braccia sul muso se solo lei non fosse tanto etc. 

IV

«Allora. Fammi un altro riassunto di quanto sta per accaderci. Che ho già dimenticato.» 

«Beh. Danza rituale tra te e la mia tribù, poi preghiera. I membri della mia famiglia vestiti in drappi bianchi e piume di struzzo, vogliosi solo di rivederti…poi te che fremi estasiata.»

«Pensa l’onore.»

«Già. Non ho mai smesso di parlare di te con loro in questi anni, spesso in rima baciata. La mia dose quotidiana di ossigeno perciò non distruggere tutto con le tue follie. Giusto?»

Giusto. Lo sguardo ancora all’indietro come se lì risiedessero le più sensate risposte. 

In passato ho ucciso numerosi capitalisti.

Catturato l’hippie assassino: ferito il capo della Mobile.

Ancora violenze causate da uno spettacolo di musica rock.

Questi i vecchi giornali sul sedile posteriore, e alla fine poco da farci: nel futuro dovrà darci davvero un taglio con il collezionismo di quotidiani del passato che puzzano di estremismo ché vai a sapere chi potrebbe notarla mentre, nascosta come una principiante, riempie il serbatoio ai distributori di periferia: delatori, spie, assassini. Nonostante abbia saputo mantenere un sorriso sincero al netto di alcune storie brutte e resti consigliabile non provocare la cittadinanza con gesti sospetti («dopotutto noi non siamo l’oggetto della fucilata; piuttosto, il sintomo» le ha spiegato il guru arrivato dalla capitale con il diretto delle 16.05 per la Plenaria di Ascolto Guidato. «Da qui l’obbligo di abbandonarsi per perdonare, infine sarà l’Universo a mettersi in discesa.» Vero? ) 

V

«Verissimo. Ma prendi le case che crollano, mi segui? Ecco. Così mi ha detto lui. » 

«Già, lui. Immagino.» 

«Quella roba che viene giù senza il minimo preavviso e ti coglie di sorpresa. Assi e luci, travi che reggono pesi indicibili poi implodono quando meno te l’aspetti. Mi segui?» 

Lui la seguirebbe ovunque. 

«Ecco. Alcuni studiosi tendono a identificare la casa che crolla con il corpo del sognatore. Ciò che viene giù quando meno te l’aspetti e ti frega. Al pari la cantina, quello che è sepolto dalle macerie, sarebbe il livello inconscio…» prima del silenzio e d’un inatteso ruttino.

«Merda. Cos’è stato?»

«Scusa. Colpa mia.»

Fortunatamente il casello, davanti la fila di alte Apuane, è un oasi di pace. 

«Bene. E adesso ti scongiuro spegni quella maledetta radio che sto per impazzire. Va bene?» 

«Va bene.» 

All’ombra del pitosforo il parcheggio viene eseguito con manovre nervose. Come previsto, sui sedili posteriori le pagine spalancate dei giornali ingialliti stavolta creano ironici, geometrici quadri futuristi.

VI

Per un teatro al servizio delle masse lavoratrici.

Per un teatro al servizio delle masse lavoratrici.

Per un teatro al servizio delle masse lavoratrici.

In quanto, oltre il muro di zaini, il cancello è veramente sovrastato da un’instabile tettoia di mattoni rossi quando cede il passo, superate le grate cadenti, a un panorama statico. Aiuola e prato impeccabili quindi l’amaca che dondola per mani invisibili (la terrazza al contrario si direbbe dritta, statica e tagliente come la tastiera di un pianoforte che apre a qualcosa di nascosto, indicibile: vorrà dire qualcosa pure questo?)  

«Santo cielo. Una buona azione dopo l’altra» esclama così il tizio alla sua destra, adesso non più spalmato sul sedile passeggero come una sottiletta ma intento a chiudere la zip del trolley che si blocca ogni volta. L’ombra della casa copre lenta il paraurti. «D’altronde tutto viene giù quando meno te l’aspetti. No? Ehi. Ci sei?» 

In lontananza, dietro la curva, il suono di una frenata. Un botto sordo, un fruscio di passi insicuri e la stasi. 

«Ehi. Dico. Ci sei?» 

Ma stamattina è proprio incapace di recepire qualsiasi avvertimento, lei, e senza nemmeno voltarsi o muovere un muscolo dalla sua nuova, rivoluzionaria posizione si scopre più che mai sicura di una cosa. Semplice, intuitiva e inscalfibile: niente davanti ai suoi occhi avrà il buonsenso di inclinarsi e franare per il verso giusto poiché niente, da quelle parti, mai e poi mai ha avuto il buongusto di farlo. 


Gabriele Merlini è autore del romanzo Válečky o guida sentimentale alla Mitteleuropa (Effequ 2013) e del saggio No Music On Weekends. Storia di parte della new wave (Effequ 2020.) Ha inoltre curato le antologie Selezione Naturale. Storie di premi letterari e Odi. Quindici declinazioni di un sentimento. Suoi racconti, recensioni e reportage su numerosi magazine e quotidiani.

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