Un saggio della vita e del pensiero di Davi Kopenawa, sciamano e portavoce dell’Amazzonia brasiliana, introdotto e trascritto dall’antropologo Bruce Albert.
In copertina: Piero Guccione, Ricordo di Taormina (2010), Asta Pananti del 14 Giugno
(Questo testo è tratto da “La caduta del cielo” di Davi Kopenawa e Bruce Albert. Ringraziamo Nottetempo per la gentile concessione)
di Davi Kopenawa e Bruce Albert
Davi Kopenawa è nato intorno al 1956 a Marakana, una grande casa collettiva di circa 200 persone situata nella foresta tropicale nella zona pedemontana dell’alto rio Toototobi, nell’estremo Nord-Est dello Stato di Amazonas in Brasile, vicino alla frontiera venezuelana. Dalla fine degli anni ’70 vive nella comunità dei suoceri, ai piedi della “Montagna del vento” (Watorikɨ), sulla riva sinistra del rio Demini, a meno di un centinaio di chilometri a sud-est del rio Toototobi.
Da bambino, Davi Kopenawa ha visto il suo gruppo d’origine venire decimato da due successive epidemie di malattie infettive, diffuse prima da agenti dell’SPI (1959-1960) e poi da membri della New Tribes Mission (1967). Per un certo lasso di tempo ha subíto il proselitismo dei missionari nord-americani che si stabilirono sul rio Toototobi a partire dal 1963. Deve a loro il suo nome biblico, l’apprendimento della scrittura e una visione poco allettante del cristianesimo. Malgrado la sua curiosità iniziale, non tardò a trovare ripugnante il loro fanatismo e la loro ossessione per il peccato. Si ribellerà alla loro influenza alla fine degli anni ’60, dopo aver perduto la maggior parte dei parenti a causa di un’epidemia di morbillo trasmessa dalla figlia di uno dei pastori.

Adolescente e orfano, sconvolto dai ripetuti lutti ma intrigato dalla potenza materiale dei Bianchi, Davi Kopenawa lascia la sua regione natale per andare a lavorare sul corso inferiore del rio Demini, nell’avamposto di Ajuricaba della FUNAI, organizzazione che nel 1967 aveva sostituito l’SPI. Per riprendere le sue parole, cercherà in tutti i modi di “diventare un Bianco”. Finirà solo per contrarre la tubercolosi. Questa disavventura gli varrà un lungo soggiorno in ospedale, che sfrutterà per imparare dei rudimenti di portoghese. Ormai guarito, ritorna per un po’ di tempo nella sua casa collettiva di Toototobi, prima di venire assunto come interprete dalla FUNAI nel 1976, dopo l’apertura della strada Perimetral Norte. Nel giro di qualche anno attraverserà la maggior parte del territorio yanomami, prendendo coscienza della sua estensione e, al di là delle differenze locali, della sua unità culturale. Da questa esperienza trarrà anche una comprensione piú chiara delle molle che innescano la logica predatoria di coloro che chiama “Popolo della merce” e della minaccia che essa rappresenta per l’esistenza della foresta e la sopravvivenza del suo popolo.
Alla fine, stanco delle sue peregrinazioni di interprete, Davi Kopenawa si stabilisce definitivamente a Watorikɨ agli inizi degli anni ’80, dopo aver sposato la figlia del “grande uomo” (pata thë) della comunità, rinomato sciamano e convinto tradizionalista che lo inizia alla sua arte e che da allora è rimasto il suo mentore. Per Davi Kopenawa questa iniziazione è stata l’occasione di un ritorno alle origini grazie al quale ha potuto riannodare il filo di unavocazione sciamanica manifestata sin dall’infanzia e interrotta solo dall’arrivo dei Bianchi. Con l’andare del tempo, è stata questa a fornirgli la materia per un’originale riflessione cosmologica sul feticismo della merce, la distruzione della foresta amazzonica e il cambiamento climatico.
Alla fine degli anni ’80, in Brasile muoiono piú di un migliaio di Yanomami a causa delle malattie e delle violenze che accompagnano l’invasione del loro territorio da parte di circa 40.000 cercatori d’oro. Davi Kopenawa è sconvolto da questo dramma, che riporta alla luce i suoi ricordi d’infanzia sullo sterminio dei parenti. Attivo da molti anni per ottenere il riconoscimento legale delle terre yanomami in Brasile, si impegna subito in una campagna internazionale in difesa del suo popolo e dell’Amazzonia. La sua peculiare esperienza con i Bianchi, la sua inusuale determinazione e la legittimità dovuta alla sua iniziazione sciamanica ne fanno rapidamente un portavoce molto ascoltato della causa yanomami, e nel corso degli anni ’80 e ’90 visita diversi paesi d’Europa e gli Stati Uniti. Nel 1988 riceve il Global 500 Award delle Nazioni Unite per il suo contributo in difesa dell’ambiente. Nel 1989 condivide con l’ONG Survival International il Right Livelihood Award, considerato il Premio Nobel alternativo, per il suo contributo “al risveglio della coscienza pubblica di fronte all’importanza del sapere dei popoli tradizionali per il futuro dell’umanità”. Nel maggio del 1992, durante la Conferenza delle Nazioni Unite sull’Ambiente e lo Sviluppo di Rio de Janeiro (Eco 92 o “Summit della Terra”), ottiene finalmente dal governo brasiliano il riconoscimento legale di un ampio territorio di foresta tropicale riservato esclusivamente alla sua gente: la Terra Indígena Yanomami. Nel 1999 viene decorato dal presidente della Repubblica del Brasile Henrique Cardoso con l’Ordine del Rio Branco “per il suo eccezionale merito”. Davi Kopenawa è un uomo dalla personalità complessa, inquieto e insieme caloroso, introverso e carismatico. Ogni episodio del suo percorso di vita testimonia della sua notevole curiosità intellettuale, della sua indefessa determinazione e di un grandissimo coraggio. Ha sei figli, tra cui una bambina adottata da pochi anni, e quattro nipotini che circonda di cure affettuose insieme a sua moglie, Fatima. Vive con sua moglie e i suoi figli piú piccoli in una sezione della grande abitazione collettiva di Watorikɨ simile a tutte le altre. Malgrado la notorietà, coltiva un sovrano distacco dalle cose materiali e prova un certo orgoglio solo quando scuote l’arrogante sordità dei Bianchi. Le sue passioni principali sono, nella foresta, rispondere ai canti degli spiriti e, in città, assumere il ruolo di avvocato del suo popolo. Oggi è un leader yanomami molto influente e uno sciamano rispettato. Infaticabile difensore della terra e dei diritti yanomami, resta un convinto ed esigente fautore della tradizione dei suoi anziani e, in particolar modo, del loro sapere sciamanico. Dal 2004 è presidente fondatore dell’associazione Hutukara, che rappresenta la maggior parte degli Yanomami in Brasile. Ha ricevuto, nel dicembre del 2008, una speciale menzione d’onore dal prestigioso Premio Bartolomé de las Casas, assegnato dal governo spagnolo per la difesa dei diritti dei popoli originari delle Americhe, e, nel 2009, è stato decorato con l’Ordine al Merito dal Ministero della Cultura brasiliano.

Il primo sciamano (dalle parole di Davi Kopenawa)
Omama ha creato la terra e la foresta, il vento che agita le sue foglie e i fiumi di cui beviamo l’acqua. È lui che ci ha dato la vita e reso numerosi. Da sempre ascoltiamo il suo nome grazie ai nostri anziani. All’inizio Omama e suo fratello Yoasi sono venuti all’esistenza da soli. Non hanno avuto né padre né madre. Prima di loro, all’inizio dei tempi, esisteva solo la gente che noi chiamiamo yarori. Questi antenati erano degli esseri umani con nomi di animali che non smettevano di trasformarsi e che, poco alla volta, sono divenuti la selvaggina che oggi frecciamo e mangiamo. A quel punto fu Omama a venire all’esistenza e a ricreare la foresta, perché quella che esisteva prima era fragile. La foresta diveniva continuamente altra finché, alla fine, il cielo non è crollato su di essa. I suoi abitanti, scaraventati sottoterra, sono divenuti gli antenati cannibali che noi chiamiamo aõpatari. Ecco perché Omama ha dovuto creare una nuova foresta, piú solida, il cui nome è Hutukara. Questo è anche il nome dell’antico cielo, caduto tempo fa. Omama ha fissato l’immagine di questa nuova terra, l’ha distesa lentamente e con cura, come si stende l’argilla per fare un piatto di terracotta mahe3. In seguito l’ha ricoperta di fitte linee tracciate con tintura di annatto4, come fossero disegni di parole. Poi, per non farla crollare, ha piantato nelle sue profondità degli immensi pezzi di metallo con i quali ha fissato anche i piedi del cielo. Senza tutto questo, la terra sarebbe rimasta sabbiosa e friabile e il cielo non sarebbe restato al suo posto. Successivamente, con ciò che rimaneva di questo metallo e dopo averlo reso inoffensivo, Omama ha costruito anche i primi utensili di ferro dei nostri antenati. Infine, ha posato le montagne sulla superficie della terra affinché non tremasse sotto ai venti di tempesta, spaventando gli esseri umani. Ha disegnato anche un primo sole per darci la luce. Ma bruciava troppo e ha dovuto liberarsene distruggendo la sua immagine. Infine ha creato quello che vediamo oggi in cielo, cosí come le nuvole e la pioggia, al fine di frapporle al sole quando diventa troppo caldo. Questo è quello che in passato ho sentito raccontare dai miei anziani. Omama ha creato anche gli alberi e le piante spargendo ovunque al suolo i noccioli dei loro frutti. Questi semi sono germogliati nella terra e hanno dato vita a tutta la vegetazione della foresta in cui viviamo da allora. È cosí che sono spuntate le palme hoko si, maima si e rioko si, gli alberi apia hi, komatima hi, makina hi, oruxi hi e tutti gli altri da cui traiamo il nostro nutrimento. All’inizio i loro rami erano spogli. Poi hanno cominciato a formarvisi dei frutti. Infine, Omama ha creato le api che sono andate ad abitarvi e a bere il nettare dei fiori con cui producono i loro mieli.
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In principio non c’erano ancora neanche i fiumi; le acque scorrevano sottoterra, molto in profondità. Se ne sentiva solo un lontano fragore, come quello di potenti rapide. Formavano un corso d’acqua molto grande che gli sciamani chiamano Motu uri u. Un giorno Omama lavorava nell’orto con suo figlio, che si mise a piangere per la sete. Per dissetarlo, fece un buco nella terra con un’asta di metallo7 e, quando la sfilò dal suolo, l’acqua si mise a zampillare violentemente verso il cielo. Spinse via con forza il suo bambino e scagliò nel cielo tutti i pesci, le razze e i caimani. Il fiotto salí cosí in alto che un altro fiume si formò sul dorso del cielo, là dove vivono gli spettri dei nostri morti. Poi le acque si accumularono sulla terra e iniziarono a scorrere in tutte le direzioni, formando i fiumi, i ruscelli e i laghi della foresta.
In principio, nella foresta non abitava ancora nessun essere umano. Omama e suo fratello Yoasi vi vivevano soli. Non c’erano ancora donne. I due fratelli conobbero la prima donna solo piú tardi, quando Omama pescò la figlia di Tëpërësikɨ in un grande fiume8. All’inizio, Omama copulava nella piega del ginocchio di suo fratello Yoasi. A lungo andare, il polpaccio di quest’ultimo rimase gravido e fu cosí che Omama ebbe per la prima volta un figlio9. Tuttavia, noi abitanti della foresta non siamo nati cosí. Siamo stati generati, piú tardi, dalla vagina della sposa di Omama, Thuëyoma, la donna che egli ha strappato alle acque. Da sempre gli sciamani fanno scendere la sua immagine. La chiamano anche Paonakare. Era un essere pesce che si è lasciato catturare sotto le sembianze di una donna. È cosí. Se Omama non l’avesse pescata nel fiume, forse gli esseri umani continuerebbero a copulare dietro le ginocchia!
In seguito Omama si arrabbiò con suo fratello Yoasi che, a sua insaputa, aveva fatto comparire nella foresta gli esseri malefici delle malattie, i në wãri, e quelli dell’epidemia xawara, anch’essi mangiatori di carne umana. Yoasi era malvagio e il suo pensiero pieno di oblio. Omama, dal canto suo, aveva creato l’essere sole che non muore mai. Non sto parlando qui del sole mothoka, il cui calore si posa sulla foresta e che la gente comune vede, ma dell’immagine del sole. È cosí. Il sole e la luna possiedono immagini che solo gli sciamani possono far scendere e danzare. Queste immagini hanno le sembianze di esseri umani del tutto uguali a noi, ma i Bianchi non possono conoscerle.
Omama voleva fossimo immortali come l’essere sole chiamato dagli sciamani Mothokari. Voleva fare le cose nel migliore dei modi e mettere in noi un soffio di vita davvero solido. Per questo cercò nella foresta un albero dal legno duro per issarlo e imitare la forma della sua sposa. Scelse allo scopo un albero spettro, pore hi, la cui pelle si rinnova senza sosta. Voleva introdurre l’immagine di quest’albero nel nostro soffio vitale affinché restasse duraturo e resistente. Cosí, diventati vecchi, avremmo cambiato pelle, che sarebbe rimasta per sempre liscia e nuova. Saremmo potuti tornare giovani incessantemente e non morire mai. Era ciò che Omama desiderava. Tuttavia Yoasi, approfittando della sua assenza, si affrettò a mettere nell’amaca della moglie di Omama la corteccia di un albero dal legno fibroso e molle, che noi chiamiamo kotopori usihi. Poi, la corteccia finí per ripiegarsi su un lato e iniziò a pendere dall’amaca in direzione del suolo. Immediatamente gli spiriti tucano iniziarono a intonare tristi lamenti di lutto. Omama li sentí e si arrabbiò con suo fratello.
Ma era troppo tardi e il danno era già fatto. Yoasi ci aveva insegnato per sempre a morire. Aveva introdotto la morte, quest’essere malefico, nella nostra mente e nel nostro soffio, che per questo sono diventati cosí fragili. Da allora, gli esseri umani sono sempre vicini alla morte. Ecco perché a volte chiamiamo i Bianchi anche Yoasi thëri, Gente di Yoasi. Le loro merci, le loro macchine e le loro epidemie, che non smettono di portarci la morte, per noi sono anche delle tracce del fratello malvagio di Omama.Yoasi ha creato anche l’essere luna Poriporiri. Ecco perché pure quest’ultimo non smette di morire. Poriporiri è un uomo che viaggia ogni notte attraversando l’immensità del cielo, seduto sulla sua piroga come in una sorta di aereo.
Dapprima è un uomo giovane, ma giorno dopo giorno invecchia sempre di piú. Terminato il suo viaggio, è deperito e i suoi capelli sono diventati bianchi. E poi, alla fine, muore. Allora, le sue figlie lo piangono senza sosta in compagnia degli spiriti tucano. Le loro lacrime diventano forti piogge che cadono a lungo sulla foresta. Dopo qualche tempo, una volta che il corpo del padre si è decomposto, ne raccolgono con cura le ossa. A quel punto fioriscono di nuovo e Poriporiri torna in vita. È cosí. Anche l’essere luna è una cosa della morte. Yoasi ha voluto cosí perché mancava di saggezza. Omama, al contrario, voleva davvero che fossimo eterni. Se fosse stato solo non saremmo mai morti e il nostro soffio di vita sarebbe rimasto sempre vigoroso.
Ma non fu cosí e, ahimè, Yoasi ha fatto diventare altri i nostri antenati. Ecco perché Omama ha creato infine gli xapiri, affinché potessimo vendicarci delle malattie17 e proteggerci dalla morte con cui il suo malvagio fratello ci ha afflitti. E cosí ha creato gli spiriti della foresta urihinari, gli spiriti delle acque mãu unari e gli spiriti animali yarori. Poi, fintanto che suo figlio non è divenuto sciamano, li ha nascosti sulle cime delle montagne e nelle profondità dei boschi.
All’inizio, credevo che gli xapiri fossero venuti all’esistenza da soli, ma mi sbagliavo. In seguito, quando ho potuto vederli e ascoltare i loro canti, ho veramente compreso chi fossero. Il padre di mia moglie racconta anche che è stata la sposa di Omama, la donna delle acque, che per prima ha chiesto di far venire all’esistenza gli xapiri. Noi siamo i suoi figli ed è grazie a lei che i nostri anziani sono diventati numerosi. Ecco perché, dopo aver procreato, domandò al suo sposo: “Che cosa faremo per guarire i nostri figli quando saranno malati?” Era questa la sua preoccupazione. Il pensiero di suo marito, Omama, rimaneva ancora nell’oblio. Nonostante la sua mente si sforzasse di cercare, egli si chiedeva invano cosa potesse ancora creare. Allora la donna delle acque gli disse: “Abbandona le tue perplessità. Crea gli xapiri che guariranno i nostri figli!” Omama approvò: “Awei! Sono parole sagge. Gli spiriti metteranno in fuga gli esseri malefici. Strapperanno loro l’immagine dei malati e la riporteranno nei corpi!” E cosí fece apparire gli xapiri, numerosi e potenti come li conosciamo oggi.
In seguito, il figlio di Omama diventò un giovane uomo e suo padre volle che sapesse chiamare gli xapiri per poter curare i suoi. Cercò nella foresta un albero yãkoana hi e disse a suo figlio: “Con quest’albero preparerai la polvere yãkoana! Vi mescolerai le foglie profumate maxara hana, la corteccia degli alberi ama hi e amatha hi e poi la berrai! Il potere della yãkoana rivela la voce degli xapiri. Bevendola, sentirai i loro clamori e diverrai a tua volta uno spirito!” Poi soffiò la yãkoana nelle sue narici con un tubo di palma horoma. A quel punto Omama chiamò gli xapiri per la prima volta e aggiunse: “Tocca a te adesso farli scendere. Se ti comporti bene e ti vogliono veramente, verranno da te per compiere la loro danza di presentazione e resteranno al tuo fianco. Sarai il loro padre. Cosí, quando i tuoi figli saranno malati, seguirai il cammino degli esseri malefici e li combatterai per riportare indietro la loro immagine! Farai scendere anche lo spirito cacicco ayokora per rigurgitare gli oggetti che strapperai dall’interno dei malati. Cosí potrai veramente guarire gli esseri umani!” Fu in questo modo che Omama rivelò a suo figlio – il primo sciamano – l’uso della yãkoana e gli insegnò a vedere gli spiriti che aveva appena creato.
I nostri anziani hanno continuato a seguire la traccia delle sue parole fino a oggi. Ecco perché continuiamo a bere la yãkoana per far danzare gli xapiri. Non lo facciamo senza motivo. Lo facciamo perché siamo gli abitanti della foresta, i figli e i generi di Omama.
Il figlio di Omama ascoltò attentamente le parole di suo padre e fissò il suo pensiero sugli xapiri. Entrò in stato di spettro e divenne altro. Cominciò a vedere la bellezza della loro danza di presentazione. Divenne rapidamente uno sciamano perché seppe mostrarsi amichevole con tutti gli spiriti. Gli xapiri avevano gli occhi puntati su di lui sin dalla prima infanzia e suo padre gli aveva spesso parlato di loro. Adesso era cresciuto e finalmente venivano a lui numerosi. Poteva vederli scendere risplendenti di luce e ascoltare i loro canti melodiosi. E allora esclamò: “Padre!
Ora conosco gli spiriti ed essi sono al mio fianco! D’ora in poi, gli esseri umani potranno moltiplicarsi e respingere le malattie!” Omama era il solo a conoscere gli xapiri e li diede a suo figlio perché, se fosse morto senza insegnare a nessuno le loro parole, non ci sarebbero mai stati sciamani nella foresta. Non voleva che gli esseri umani restassero indifesi e ispirassero pena. Ecco perché ha fatto di suo figlio il primo sciamano. Prima di poter scomparire, gli ha lasciato il cammino degli xapiri. È questo ciò che ha voluto. E cosí gli disse: “Con questi spiriti proteggerai gli esseri umani e i loro figli, non importa quanto siano numerosi. Non lasciare che gli esseri malefici e i giaguari vengano a divorarli. Impedisci ai serpenti e agli scorpioni di pungerli. Allontana da loro i fumi di epidemia xawara. Proteggi anche la foresta e non lasciare che volga al caos. Impedisci alle acque dei fiumi di sommergerla e alle piogge di inondarla incessantemente. Allontana il tempo coperto e l’oscurità. Trattieni il cielo affinché non crolli. Non lasciare che i fulmini si abbattano sulla terra e calma il vocio dei tuoni! Impedisci allo spirito armadillo gigante Wakari di tagliare le radici degli alberi e al vento di tempesta Yariporari di alzarsi per frecciarli e farli cadere!” Furono queste le parole di Omama a suo figlio. Ecco perché oggi gli sciamani continuano a difendere gli Yanomami e la foresta. E nonostante si tratti di altra gente, proteggono anche i Bianchi e tutte le terre, per quanto estese e lontane possano essere.
Il figlio di Omama ha preso la yãkoana per la prima volta con suo padre. Poi ha continuato a berla da solo, piú e piú volte, per chiamare gli spiriti sempre piú numerosi e poter conoscere i loro canti. Era meraviglioso vederlo quando faceva danzare le loro immagini. Era un uomo giovane e molto bello. La sua pelle era spalmata di tintura vermiglia di annatto e ricoperta di disegni di un nero brillante. I suoi bracciali di creste di hocco trattenevano una profusione di penne caudali di ara rossa, di ciondoli di coda di tucano e di mazzi di piume paixi. I suoi occhi erano scuri e i suoi capelli ricoperti di piccole piume hõromae di un bianco scintillante. La sua fronte era cinta da una spessa coda di saki nero. Danzava lentamente con il dorso inarcato e, contemplando la bellezza degli xapiri, si riempiva di gioia. Li chiamava e li faceva scendere senza sosta. Erano sempre nei suoi pensieri. Tutto ciò avvenne perché fu generato dallo sperma di Omama, il creatore degli spiriti.
Oggi credo che il figlio di Omama sia morto. Tuttavia, la sua immagine esiste ancora, molto lontano da qui, a valle dei fiumi, verso il levante, o forse nel cielo. L’ho vista nel tempo del sogno accompagnare quella della nostra foresta in lacrime. Malata e divenuta spettro sotto l’effetto dei fumi d’epidemia, la foresta chiedeva agli xapiri di curarla e di mettere fine alla sofferenza inflittale dalla rabbia dei Bianchi. Li implorava di pulire i suoi alberi e di rendere brillanti le loro foglie; di far crescere i loro fiori e far tornare la sua fertilità. Diceva loro: “Voi siete miei, dovete vendicarmi!”
Vedo tutto questo in sogno perché, divenuto spettro con la yãkoana durante il giorno, l’interno del mio corpo si è trasformato. Altrimenti, non potrei parlarne cosí. Il figlio di Omama divenne spirito prima di ogni altro. Fu il primo a studiare* e a vedere le cose con la yãkoana. Dopo di lui, molti dei nostri antenati divennero sciamani. Mostrò loro in che modo far danzare gli spiriti. Come gli aveva insegnato Omama, disse loro: “Quando gli esseri malefici della foresta cattureranno l’immagine dei vostri bambini per divorarla, gli xapiri la riprenderanno e vi vendicheranno!”
Seguendo queste parole, gli anziani si misero a bere la yãkoana e a contemplare lo splendore degli spiriti. È quello che continuiamo a fare ancora oggi. Ecco perché si vedono cosí spesso gli sciamani all’opera nelle nostre case. Senza di loro sarebbero vuote e silenziose. È cosí. Queste parole sono molto antiche ma non scompariranno perché sono molto belle e il loro valore è molto alto.
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