Nell’illustrare la Divina Commedia, Venturino Venturi riesce dove in molti hanno fallito, compreso Dante: crea un Paradiso più bello dell’Inferno.
di Francesco D’Isa
Se la ferocia delle biografie risiede nel riassumere una vita in poche righe, sintetizzarle ulteriormente è un’esasperata crudeltà che Venturi non merita – tanto più che si finisce sempre per parlare soltanto degli eventi tragici. Eppure, nel guardare la Divina Commedia che l’artista ha ideato assieme all’amico Mario Luzi (pubblicata da Edizioni Pananti, Firenze, 1984), è difficile tacere che il padre di Venturino, il socialista Attilio, fu costretto a emigrare in Francia a tre anni dalla nascita del figlio, portando con sé, tra le poche cose, una Divina Commedia e un Pinocchio. Attilio non poteva condensare più Toscana in meno spazio, e, considerato che i figli impareranno l’Italiano su questi due libri, non stupisce l’interesse di un Venturi adulto nei confronti di entrambi. Se a questo si aggiunge l’amicizia e la collaborazione intellettuale con Mario Luzi, che in quanto poeta non poteva che amare Dante, e il fatto che illustrare la Divina Commedia (soprattutto l’Inferno) è uno spasso per qualunque artista, la nascita di un progetto simile sembra ineluttabile.

Va detto che Dante, soprattutto a Firenze, è un eclatante caso di “sindrome dell’ombra”; un male incurabile, iniettato nei luoghi e nei secoli da autori di elevata statura intellettuale a danno dei posteri, delle città e della propria opera. La grandezza di una Divina Commedia, infatti, è a tal punto virale da generare un’interminabile eco fatta di reinterpretazioni, rivisitazioni, studi svolti in qualunque ciclo scolastico, film, spettacoli teatrali, fumetti, letture pubbliche, persino videogiochi e souvenir. Dopotutto, se con i giganti si va sul sicuro, perché rischiare?
Una risposta adeguata sarebbe il proverbio toscano che «il troppo stroppia», quale che sia la sua qualità. Il naso più famoso d’Italia getta un’ombra invadente, aggravata dal fatto che ci rende incapaci di godere di un INCREDIBILE CAPOLAVORO come la Divina Commedia.
Si potrebbe pensare che la mostra La Divina Commedia di Venturino Venturi, presso Villa Bardini, Firenze (29 settembre 2016 – 26 febbraio 2017) fomenti questa sindrome, e invece no.
Venturi sembra accettare il prezzo della beatitudine, sgretolando le proprie immagini e rinunciando a una gioia e a un dolore che, non meno dei “difettivi sillogismi”, fanno “in basso batter l’ali”.
A questo punto le regole della narrazione presuppongono che si spieghi il motivo dell’ “invece no”, ma temo di non conoscerlo. Forse la mia esperienza soggettiva ha generato, per un’irripetibile rete di concause, un nuovo sguardo sulla Commedia – vuoi il bel tempo, il doverci scrivere sopra, o il buffet, anche se non ho preso nulla. O forse c’è qualcosa nei disegni dell’artista che lo rende possibile. La sincerità mi impedisce di inserire una tesi a caso solo perché va messa, ma posso dire qualcosa sulle 54 opere di Venturino in mostra, nella speranza di individuare qualche indizio. Anzitutto sono più grandi di quel che pensate. Il tratto sporco, graffiato e pastoso dell’artista esprime con eleganza la terzina cui l’immagine è associata. Sono dolorose e un po’ buffe, come quando si piange da piccoli; infantili ma non puerili, quasi fossero disegnate da un bambino che una guerra ha costretto all’età adulta. Guardarle non equivale a una lettura di Dante, ma alla lettura di Dante dell’artista, che sembra far parte della storia assieme al poeta e a Virgilio, pur facendosi i fatti suoi.

Ritornando alla questione delle biografie, aggiungo che Vetturino ha vissuto per alcuni anni nel manicomio fiorentino di S. Salvi per via di una profonda depressione, da cui si riprese anche in virtù della sua arte. Che gli artisti siano un po’ pazzi è una banalità tendenzialmente falsa, ma capita che un osservatore molto attento distingua in un’opera quando è in gioco la creatività, per quanto dolorosa, e quando il disegno si sgretola nella follia, come nel celebre Campo di grano con volo di corvi di Van Gogh; ecco, le opere di Venturi sembrano sempre lì lì per esplodere, pur restando “sane”. Il percorso da Inferno a Paradiso che ci propongono è doloroso, sporco fin nell’alto dei cieli, perché privo della purezza disinteressata dei santi. Eppure l’Inferno va scomparendo, si diluisce in figure geometriche un po’ storte e in visioni di primitiva pace (cerchi, ovali, triangoli e quadrati, per intenderci). Il Paradiso di Venturi è una lotta faticosa ma si direbbe riuscita, che porta non tanto alla trasfigurazione dell’Inferno che la precede ma al suo diradarsi. L’artista si libera con un inaspettato autoritratto, accompagnato dal verso dantesco: «O insensata cura dei mortali, /quanto son difettivi silogismi / quei che ti fanno in basso batter l’ali! (Paradiso, XI, 1-3)». Il Paradiso è un luogo crudele, dove non è possibile mantenere la propria umanità; Venturi sembra accettare il prezzo della beatitudine, sgretolando le proprie immagini e rinunciando a una gioia e a un dolore che, non meno dei “difettivi sillogismi”, fanno “in basso batter l’ali”. Nonostante il tema sia abusato, in una cosa l’artista si è conquistato il primato, persino su Dante: è l’unico che ha fatto il Paradiso più bello dell’Inferno.
-->(Una nota conclusiva: in genere nelle mostre ci sono degli schermini interattivi che nessuno guarda se non per “tocchicchiare” a caso. In questo caso è consigliabile farlo, perché sono esposte alcune tavole di Botticelli, poco note e purtroppo incomplete, fatte a illustrazione della Commedia dantesca. La versione digitalizzata le rende leggibili per la prima volta e dà l’impressione di sfogliare un fumetto disegnato da Botticelli, dunque una pausa sugli schermi è ben spesa.)

[…] 2) Il pittore e scultore toscano Venturino Venturi, morto nel 2002, si impegnò in quella che è una sfida insieme ardua e affascinante per qualsiasi artista: disegnare la Divina Commedia. È in mostra presso Villa Bardini, Firenze (29 settembre 2016 – 26 febbraio 2017) e se ne parlò in questo articolo. […]
Bell’articolo! Rende perfettamente l’idea dell’opera.