La filosofia dell’infinito di Georg Cantor

Georg Cantor è stato uno dei matematici più acuti del XIX sec, le cui idee, all’inizio contrastate, hanno rivoluzionato le concezioni tradizionali della matematica e della logica. La sua più grande innovazione è stata senza dubbio in merito all’infinito, di cui ha permesso una ben più profonda comprensione.


In copertina: Roberto Crippa, Senza titolo – Collage di sughero su tavola, Asta Pananti in corso

Questo testo è un’anticipazione da La filosofia dell’infinito di Georg Cantor, in uscita il 20 maggio 2021. Ringraziamo Mimesis per la gentile concessione.


di Emilio Ferrario

La storia della cultura occidentale mostra che ben presto, già con i paradossi di Zenone di Elea, ha avuto inizio la riflessione sul tema dell’infinito, sia nella sua accezione estensiva che in quella intensiva (continuità). Secondo quanto ci mostra Zenone, come poi anche Galileo e poi ancora Bernard Bolzano (solo per citare alcuni celebri pensatori che hanno tentato di affrontare l’infinità matematica), pensare l’infinito porta inevitabilmente a situazioni paradossali. Per Leibniz la continuità è un “labirinto della mente”.

Bolzano aveva tuttavia affermato, con un certo ottimismo rispetto ai predecessori, che i paradossi si presentano in quanto erroneamente pensiamo l’infinito con i nostri concetti consueti, idonei al finito, mentre in verità per affrontare fruttuosamente l’infinito matematico la mente umana deve munirsi di strumenti concettuali differenti, nuovi, adatti. Ad esempio i concetti di maggiore e minore usualmente impiegati non sono più validi oltre la soglia del finito, dal momento che negli insiemi infiniti una parte può essere anch’essa infinita ed equivalente all’insieme intero. E questi, come vedremo, non sono gli unici concetti che dovranno sottostare a una radicale revisione per addentrarsi nel dominio dell’infinito matematico.

Nel corso del XIX secolo era emersa l’esigenza, nel mondo matematico e soprattutto nell’area tedesca, di dare una cornice rigorosa all’analisi matematica inaugurata da Leibniz e Newton, che aveva avuto enorme sviluppo e successo nel XVIII secolo, ma che nei suoi fondamenti appariva ancora fragile e nebulosa. I suoi concetti basilari di infinitesimo, di differenziale, di limite, erano entità ancora vaghe e subalterne all’intuizione geometrica, operativamente “funzionanti” ma prive di uno statuto matematico rigoroso. L’Università di Berlino, guidata da Karl Weierstrass, ove Cantor si era diplomato nel 1866, era particolarmente attiva in questa direzione. Nel generale contesto di chiarificazione dei fondamenti si situava anche il progetto di “aritmetizzazione dell’analisi”, che mirava a ridefinire i numeri irrazionali (che costituiscono l’assoluta maggioranza dei numeri reali dell’analisi matematica) esclusivamente sulla base dei numeri razionali (ossia i numeri interi e le frazioni quali rapporti tra numeri interi).

La formazione scientifica di Cantor era pertanto avvenuta in questa atmosfera di rigorizzazione dei fondamenti dell’analisi matematica, volta a individuare definizioni certe per i concetti e per le operazioni del calcolo infinitesimale, ma anche, più in generale, a sottrarre territori della matematica al dominio dell’irrazionale per ricondurli in quello della piena razionalità.

La teoria degli insiemi, e con essa degli insiemi infiniti, fu esposta da Cantor nella serie di sei saggi riuniti sotto il titolo Sulle molteplicità infinite lineari di punti [Über unendliche, lineare Punktmannigfaltigkeiten], comparsi nella rivista “Mathematische Annalen” tra il 1879 e il 1884. Tutti i commentatori condividono lo stupore di fronte a questo caso, di estrema rarità nella storia della cultura scientifica, in cui un singolo pensatore crea solitariamente, come dal nulla, una teoria tanto nuova e dirompente da affermarsi poi come fondativa per il successivo sviluppo. Il quinto saggio, intitolato Fondamenti di una teoria generale delle molteplicità [Grundlagen einer allgemeinen Mannigfaltigkeitslehre] e pubblicato a parte nel 1883, è il più celebre della serie, e contiene un’esposizione ad ampio respiro, anche filosofico, dei risultati raggiunti e dei nuovi concetti introdotti per lo studio delle molteplicità infinite.

Emblematico è l’incipit del saggio:

L’esposizione delle mie ricerche fin qui condotte sulla teoria della molteplicità è giunta ad un punto tale che la sua prosecuzione dipende da un ampliamento del concetto di numero intero effettivo [des realen Zahlbegriff] oltre gli attuali confini, e questo ampliamento si situa precisamente in una direzione nella quale, per quanto io ne sappia, non è stata mai cercata da alcuno.

Soffermiamoci un po’ su cosa si intende per “ampliamento del concetto di numero intero”, essendo questo il fulcro di tutta la teoria del transfinito aritmetico.

Immaginiamo di avere una successione di numeri razionali (cioè numeri interi o fratti) della forma 1-1/ν, dove ν è un numero intero qualsiasi. Partendo da ν=1 e ponendo via via ν=2, ν=3 ecc. otteniamo la successione: 0, 1/2, 2/3, 3/4, … 99/100 … ecc., senza mai giungere, evidentemente, a un valore massimo. È però dimostrabile, e anche intuitivo, che tale successione infinita di numeri razionali converge al valore di 1, valore che però non raggiungerà mai.

In effetti si dice che una successione di questo tipo è convergente, ossia ha un limite finito, che nel nostro esempio vale appunto 1. Si dimostra anche che tale valore-limite, che non appartiene alla successione, è il primo numero immediatamente successivo a tutti i termini della successione infinita 1-1/ν.

Spostiamo ora la nostra attenzione su un altro tipo di successione, la più elementare che vi sia in aritmetica, ossia la successione dei numeri interi naturali: 1, 2, 3 … ν, … ecc.

Questa successione non è ovviamente convergente, ossia non tende ad alcun limite finito.

In realtà, per comprendere l’atto di genio, il salto nel nuovo che Cantor compie con la fondazione del numero intero transfinito, occorre proprio rappresentarsi una analogia tra le nature delle due successioni qui esposte. Cantor ci propone di “vedere” la successione non convergente dei numeri interi naturali nello stesso modo, per così dire, di una successione convergente di numeri razionali del tipo di quella sopra esemplificata.

In effetti (e ciò può essere di aiuto all’intuizione) le due successioni, seppure tanto differenti, possono essere poste in corrispondenza reciproca elemento per elemento. Come abbiamo visto, a ν=1 corrisponde 1/2, a ν=2 corrisponde 2/3, … a ν=50 corrisponde 50/51, e così via: le due successioni sono ordinalmente isomorfe. La differenza fondamentale è che la successione 1-1/ν converge verso un limite finito, la successione 1, 2, 3 … ν, … no. Si è soliti dire che la successione 1, 2, 3, … ν, … tende all’infinito, ha come limite l’infinito. L’introduzione del termine transfinito è palese sintomo dell’avversione di Cantor, finanche lessicale, a un in-finito inteso nel mero senso privativo di assenza di un limite finito. Questo limite, seppure non-finito, è per Cantor ben determinato, è una soglia oltre la quale si apre un nuovo e inesplorato territorio: il trans-finito. E dal punto di vista ordinale questa soglia è ω.

Cantor però, non reputando significativo un concetto vago di infinito, ossia di un infinito variabile di volta in volta e superiore a qualsiasi valore finito pensabile, e considerando invece autenticamente scientifico solo il concetto di infinito determinato, si pone la domanda: qual è precisamente questo limite infinito-determinato cui tende la successione non-convergente degli interi naturali?

In analogia al caso di una successione convergente, Cantor stabilisce come limite della successione non-convergente dei numeri interi naturali un numero ben determinato, e gli dà il simbolo ω. Si tratta ovviamente di un numero non-finito (essendo la successione non-convergente) ma al contempo determinato. Un numero quindi di nuova specie, che Cantor chiama numero transfinito. L’introduzione del termine transfinito è palese sintomo dell’avversione di Cantor, finanche lessicale, a un in-finito inteso nel mero senso privativo di assenza di un limite finito. Questo limite, seppure non-finito, è per Cantor ben determinato, è una soglia oltre la quale si apre un nuovo e inesplorato territorio: il trans-finito. E dal punto di vista ordinale questa soglia è ω.

Se Bertrand Russell osservava che in matematica postulare è un po’ come rubare rispetto al guadagnarsi il pane onestamente, in verità Cantor circostanzia questa operazione con consapevolezza gnoseologica, come possiamo leggere in una sua nota ai §8 e §9 dei Fondamenti:

Il corretto processo di formazione dei concetti è a mio avviso sempre il medesimo; si pone un oggetto privo di proprietà, che inizialmente non è che un nome o un segno A, e gli si attribuiscono, secondo un ordine, differenti (in linea di principio infiniti) predicati comprensibili, i cui significati sono noti in virtù di idee già date, e tali da non essere in contraddizione l’un l’altro; mediante ciò vengono definite le relazioni di A con i concetti già noti, in particolare con quelli affini. Una volta ultimato questo, sono avverate tutte le condizioni affinché il concetto A, che sopiva in noi, si risvegli, ed esso è pronto ad entrare nell’esistenza, dotato di quella realtà intrasoggettiva che in generale è quanto si pretende per i concetti. Constatare il suo eventuale significato transiente è poi cosa della metafisica.

Può essere interessante notare che il platonico Alfred North Whitehead sosterrà poi la posizione ontologica secondo cui, ai fini della determinazione contenutistica di un concetto (o oggetto eterno, nella terminologia da lui impiegata) le relazioni che lo connettono con gli altri concetti hanno valenza costitutiva e non devono pertanto essere considerate meramente estrinseche.

Dunque ω è in prima istanza solo il segno per un’intuizione, per un numero che ancora non esiste, ma che è definito in tutto e per tutto come un numero intero ordinale. In questa direzione vengono infatti ricercate le sue prime e principali relazioni. In quanto limite, ω è da riconoscere come il numero intero ordinale immediatamente superiore a tutti i numeri della successione naturale 1, 2, 3, … ν, … allo stesso modo in cui, nel nostro esempio, il limite finito =1 è il primo valore superiore a tutti quelli della successione convergente 1-1/ν.

Il numero ordinale transfinito ω, essendo l’immediato successore della successione infinita degli interi naturali, è per così dire il primo, più semplice e fondamentale numero transfinito. Cantor ci invita a pensare questo nuovo numero come l’espressione del fatto che l’insieme infinito dei numeri interi naturali è attualmente dato nella sua successione enumerabile fino al suo limite ω.

Volgiamoci ora a constatare come la successione dei numeri interi naturali 1, 2, … ν … sia “morfologicamente” identica a qualsiasi altra successione semplicemente enumerabile, ossia a qualsiasi successione che abbia un primo termine e che poi prosegua all’infinito secondo una determinata legge. Potremmo ad esempio considerare la successione dei numeri pari: 2, 4, 6… o anche delle potenze del numero 2, ossia: 2, 4, 8, 16… come pure la successione convergente di razionali dell’esempio precedente: 1/2, 2/3, 4/5… il cui limite ha valore finito =1, ma il cui numero ordinale o enumerazione degli elementi è ancora ω.

Tutte queste successioni possono essere chiamate anche progressioni, ossia sequenze in successione di numeri, o di punti, o più in generale di “oggetti del pensiero”, che hanno un primo elemento e che a partire da esso si sviluppano infinitamente secondo una legge che consente di generare (e quindi di enumerare) esaustivamente un termine dopo l’altro.

Dunque ω può essere visto come il numero ordinale della successione (progressione) dei numeri interi naturali, come anche di qualsiasi altra progressione a essa simile, data nella sua attualità. È in altre parole la forma di tutte le progressioni ordinalmente simili a quella dei numeri interi naturali.

Possiamo concludere che ω è un numero ordinale e al contempo un tipo, precisamente il tipo d’ordine enumerativo o tipo ordinale di tutte le progressioni transfinite semplici.

Vedremo in seguito la differenza che intercorre tra numeri e tipi e anche perché nel caso di ω i due concetti si fondono.

Tornando alla valenza di numero ordinale di ω, notiamo che esso, postulato quale limite transfinito di una successione non convergente, ha l’importante caratteristica di essere privo di un immediato predecessore. Esso risulta generato da un “atto logico”, che Cantor chiama II principio di produzione dei numeri, del tutto nuovo e differente rispetto a quello consueto (I principio) che produce il successore di qualsivoglia numero mediante aggiunta di una unità.

Alberto Biasi, Trama (1960) – Collage di carta, Asta Pananti in corso

Consideriamo ora l’aritmetica di questi numeri transfiniti, dei quali ω abbiamo visto essere il primo.

Se aggiungiamo un’unità all’inizio (o all’interno) della progressione (e definiamo questa operazione 1+ω) è facile notare che l’enumerazione sarà 1, 1, 2, 3, … ω, e pertanto ancora del tipo ω. Se invece aggiungiamo un’unità “in coda” alla progressione (e in questo caso scriviamo ω+1), avremo una progressione del tipo: 1, 2, 3, … ω, ω+1. Quest’ultima comporta una enumerazione del tutto differente dalla prima; in termini colloquiali, si può dire che per completare l’enumerazione ω+1 occorre prima “passare dall’infinito”, o meglio, dal transfinito, e poi aggiungere un elemento. Quindi l’enumerazione 1+ω (=ω) è differente da ω+1.

Oltre la soglia del finito dunque l’addizione tra numeri ordinali perde la proprietà commutativa. Aggiungere un elemento a una progressione “prima” e “in coda” sono due operazioni ben differenti.

Possiamo constatare anche un fatto importante e singolare, ossia che per ottenere progressioni aventi numeri ordinali (e tipi d’ordine) successivi, e pertanto ordinalmente superiori a ω, non occorre necessariamente “aumentare” il numero degli elementi rispetto a quelli di una progressione semplice enumerabile ω (il termine “aumentare” è qui usato in modo improprio, solo per facilità di comunicazione, in quanto parlare di quantità degli elementi non ha senso per gli insiemi transfiniti). 

Compiamo alcune semplici osservazioni. Il numero ordinale transfinito ω+1 si può pensare come quello della progressione semplice ω a cui venga sottratto un elemento, ad esempio il primo, e ricollocato “in fondo”: 2, 3, 4, … ω, ω + 1. Analogamente si possono ottenere gli ordinali ω+2, ω+3 ecc. Consideriamo ora una doppia progressione, come ad esempio quella composta dai numeri dispari e poi da quelli pari: 1, 3, 5, … ω, 2, 4, 6, … ω. Il processo di enumerazione di questa progressione, possiamo dire, “coinvolge” due volte il transfinito, e il suo numero ordinale (e tipo d’ordine enumerativo) sarà 2ω. Aggiungendo a essa un elemento “in coda” avremo poi, ad esempio, l’ordinale 2ω+1.

Analogamente si può procedere oltre nel sottrarre, nel posporre e nel diradare la progressione semplice degli interi naturali, ottenendo così infinite altre progressioni seriali, dalle più semplici del tipo 3ω (ad esempio 1, 4, 7, 10, … ω, 2, 5, 8, 11, … ω, 3, 6, 9, 12, … ω), e poi 4ω ecc., ma anche 5ω+1, 7ω+2, e così via.

In questo modo si arriverà poi a ωω=ω2, che è il numero ordinale (o enumerazione) di una progressione di progressioni, ossia di una progressione di infinite (ω) progressioni, poi ω3, che è una progressione di progressioni di progressioni, e così via.

Mediante l’azione combinata dei due principi generativi dei numeri interi naturali vediamo dunque prodursi, in una scala ascendente infinita: ωω, ω ωω, … ω ωωω, tutti i numeri ordinali transfiniti della cosiddetta II classe numerica (essendo la I classe numerica quella dei consueti ordinali finiti).

Per proseguire in questa sintetica esposizione dei concetti fondamentali della teoria del transfinito è necessario ora, dopo l’aspetto ordinale, prendere in considerazione “l’altra metà del cielo” del concetto di numero, ossia la sua cardinalità.

Nell’aritmetica del finito la distinzione tra l’aspetto ordinale e quello cardinale del numero ha un che di poco significativo, quasi di “ozioso”. Generalmente nelle scuole viene insegnato che, se i numeri cardinali sono 1, 2, 3, … 7, … ecc., i corrispettivi ordinali si esprimono: primo, secondo, terzo, … settimo, …

Cantor critica questa definizione di ordinalità, in quanto assolutamente superficiale e contingente. Non è nella natura del pensiero ordinale considerare cosa vi sia al terzo o al quarto posto. Se anche si permutassero due oggetti in una sequenza enumerabile, la sua ordinalità non per questo muterebbe. Quello che importa dal punto di vista ordinale è l’ordine della enumerazione. Se in un insieme empirico, ad esempio, scambiamo semplicemente posto tra una pera e una mela, ossia senza mutare l’enumerabilità della sequenza, il suo ordine non muta.

Fatta questa indispensabile premessa, consideriamo ora la cardinalità. Se l’ordinalità esprime la enumerabilità, ossia l’ordine di un insieme considerato a prescindere dalla natura dei suoi elementi (prima astrazione fondamentale), la cardinalità è, nella visione cantoriana, il risultato di una doppia astrazione. La cardinalità di un insieme è quanto si può dire di esso una volta compiuta astrazione sia dalla natura degli elementi che dall’ordine in cui essi sono dati. È l’aspetto che, potremmo dire in prima istanza, corrisponde al quantum dell’insieme, la sua prima (e unica, fin qui) prerogativa identificabile.

Tale aspetto è però da vedersi, in via di principio, non necessariamente come un numero, quanto piuttosto, e ciò può apparire paradossale, come una qualità. Questo è il contenuto più interessante e profondo del concetto di cardinalità, concetto che oltre la soglia del finito mostra più palesemente la sua natura.

Più precisamente, la cardinalità è da intendersi come la qualità che un insieme condivide con tutti gli altri insiemi con i quali può essere messo in corrispondenza biunivoca, ossia con i quali possono essere messi in rispettiva corrispondenza gli elementi, in un rapporto uno a uno, diciamo così, senza sovrapposizioni e senza residui.

Se ad esempio, tra insiemi empirici, possiamo mettere in corrispondenza biunivoca (uno a uno e reciproca) gli elementi entro un cesto di agrumi con quelli di un cumulo di sassi e quello di un mucchio di foglie, diremo che questi tre insiemi appartengono, in un certo senso, a un medesimo genere, e cioè che possiedono la medesima cardinalità.

Da un punto di vista concettuale, solo con un secondo passo esprimeremo questo genere, questa qualità, con un simbolo numerico, che nell’aritmetica del finito coincide evidentemente con il numero di elementi di ciascun insieme, numero che peraltro coincide anche con la sua enumerazione, ossia con la sua ordinalità.

Potremmo dire, in termini intuitivi, che la cardinalità di un insieme di 7 elementi è la sua “settità”, indicando con ciò la qualità che questo insieme condivide con tutti gli altri insiemi dello stesso genere cardinale, con tutti quegli insiemi, cioè, i cui elementi possono essere messi in correlazione biunivoca “uno a uno” senza residuo.

Abbiamo visto prima come tutte le progressioni transfinite (numeri ordinali transfiniti) della II classe numerica condividano la medesima cardinalità, quella del numerabile, la cardinalità di ω. Abbiamo visto come differenti insiemi transfiniti connotati dalla medesima cardinalità possano essere enumerati differentemente. La cardinalità è un concetto più astratto, più generico, rispetto a quello di ordinalità. Differenti (infiniti) tipi d’ordine e numeri ordinali possono essere visti come differenti (infinite) specie di una determinata cardinalità, che di esse è genere. Nel transfinito non ha più senso chiedersi “quanti sono” gli elementi. Nel transfinito il concetto di cardinalità perde ogni determinazione estensiva e si manifesta nel suo carattere essenzialmente intensionale. Non ha più a che fare con la numerosità di un insieme (ammesso che nel finito lo abbia), ma ne è piuttosto la qualità, l’intensione, potremmo dire, la “grana”. Un intervallo piccolissimo, un’intera retta, un quadrato, una molteplicità infinitamente estesa, considerati come insiemi di punti, possono avere la medesima cardinalità. L’estensione e la dimensione di un insieme non giocano alcun ruolo nel concetto di cardinalità (il celebre “lo vedo ma non ci credo” con cui Cantor comunica a Richard Dedekind questa scoperta).

Non è un caso che Cantor introduca per la cardinalità degli insiemi transfiniti un nuovo termine: la potenza [Mächtigkeit].

Nei suoi Principi di una teoria dei tipi d’ordine [Principien einer Theorie der Ordnungstypen, §3] troviamo: 

La potenza di un insieme M è perciò definita come rappresentazione [Vorstellung] di ciò che è comune a tutti gli insiemi equivalenti all’insieme M e soltanto a quello, e pertanto anche all’insieme M stesso; questa è una representatio generalis, il τὸ ἓν πάρα τ πολλά, per tutti gli insiemi della medesima classe di M. Essa mi pare costituire pertanto, sia dal punto di vista psicologico che metodologico, il più primitivo concetto originario [Stammbegriff], evinto mediante astrazione da tutte le particolarità [Besonderheiten] che un insieme di una determinata classe può presentare, relativamente alla natura [Beschaffenheit] dei suoi elementi e alle relazioni [Beziehungen] e ordinamenti [Anordnungen] in cui gli elementi stanno, sia vicendevolmente che con oggetti esterni all’insieme. Nel momento in cui si riflette soltanto su ciò che è comune a tutti gli insiemi appartenenti a una e medesima classe, sorge il concetto di potenza o valenza. Il termine “potenza potrebbe forse essere tradotto nel modo migliore in greco con τκράτος, in latino con potestas o plenitudo, in francese con puissance o con il neologismo valence, in inglese con power o mightiness, in italiano con podestà.

A questo punto è inevitabile affrontare il quesito: “cos’è” dunque il numero per Cantor? Vedremo ora come la definizione cantoriana del concetto di numero rimandi necessariamente alla collocazione che esso assume all’interno di una costellazione nella quale si trovano già definiti i concetti di insieme, di finito e di transfinito, di cardinalità o potenza, di ordinalità, di tipo d’ordine e di buon ordinamento. 

Nel periodo in cui Cantor lavorava alla sua teoria del transfinito (e dei numeri transfiniti), era, per così dire, “ambientale” una forte tensione per una rigorosa definizione del concetto di numero. Per il finitista Leopold Kronecker, Dio aveva creato i naturali interi (finiti) e tutti gli altri numeri erano creazioni, artifizi dell’uomo. Giuseppe Peano invece fondava il numero in modo formale-assiomatico, mentre altri, i cosiddetti logicisti, tentavano di fondarlo sulla logica pura del concetto e delle classi, prescindendo dalla specificità aritmetica. Ad esempio Gottlob Frege definiva il numero come estensione di un concetto, mentre Bertrand Russell come classe di classi.

Cantor, che si riconosceva nella tradizione pitagorico-platonica, e che non aveva alcuna inclinazione assiomaticalogicista, fa emergere il concetto di numero all’interno di una genealogia ideale.

Occorre qui riprendere il concetto basilare e fondante di tutta l’avventura cantoriana, ossia il concetto di insieme. Esaminiamolo più da vicino.

In via di principio e in estrema sintesi possiamo affermare che originariamente (tralasciando qui le successive implicazioni paradossali degli insiemi impossibili o inconsistenti) con insieme Cantor intende una molteplicità di oggetti, appartenenti a un qualsivoglia ambito concettuale [Begriffsphäre], tali che possano essere abbracciati dall’intelletto con un atto unitario.

Cantor identifica poi una scala crescente di “definizione” del concetto di insieme.

Al livello più generico abbiamo l’insieme ben definito [wohldefinierte Menge], ossia un insieme di “oggetti della mente” caratterizzato dall’unica condizione che, dato un oggetto qualsiasi, sia possibile stabilire se tale oggetto appartiene all’insieme oppure no.

A un secondo livello abbiamo l’insieme ordinato [geordnete Menge], caratterizzato dall’ulteriore condizione che, dati due suoi elementi qualsiasi, sia sempre possibile stabilire quale sia il precedente (o inferiore) e il successivo (o superiore) secondo una determinata caratteristica o legge che stabilisce un ordine per rango [Rangordnung] tra gli elementi dell’insieme.

Al terzo e superiore livello di definizione abbiamo il cosiddetto insieme ben ordinato [wohlgeordnete Menge], per il quale vale l’ulteriore condizione che vi sia un primo elemento (per rango) e che ciascun elemento, tranne l’ultimo, abbia un successore.

A un insieme semplicemente ben definito può essere attribuita un’unica proprietà, la più generica: la cardinalità (o potenza), ossia la caratteristica che condivide con tutti gli insiemi a esso equivalenti, con gli insiemi, cioè, con i quali può essere messo in corrispondenza biunivoca elemento per elemento.

Un insieme ordinato, invece, può essere messo in corrispondenza con altri insiemi non solo in termini di equivalenza, ma anche rispetto all’ordine dei rispettivi elementi. L’insieme ordinato inizia ad avere, per così dire, una forma. Più precisamente, se due insiemi ordinati, ossia due insiemi in cui vige un ordine di rango tra gli elementi, possono essere messi in corrispondenza reciproca elemento per elemento in modo tale che la corrispondenza rispetti, oltre l’equivalenza, anche l’ordine tra gli elementi, allora diciamo che i due insiemi sono anche simili. Oltre ad avere la medesima potenza, due insiemi simili hanno pertanto anche il medesimo tipo d’ordine.

Il tipo d’ordine non è però ancora numero. Ad esempio, se consideriamo l’insieme dei numeri razionali compresi tra 0 e 1, notiamo che questo insieme è ben definito (è sempre possibile, dato un razionale qualsiasi, stabilire se appartenga o meno a questo insieme), è ordinato (dati due suoi elementi è sempre possibile stabilire il rapporto di rango inferiore/superiore), ma non è possibile enumerarne gli elementi, in quanto nessun elemento dell’insieme ha un immediato successore, dal momento che dati due elementi qualsiasi dell’insieme è sempre possibile trovarne altri (infiniti) intermedi. Un insieme del genere viene infatti detto denso e nel caso che l’intervallo sia aperto (ossia privo degli estremi) Cantor gli attribuisce un tipo d’ordine particolare, che chiama η.

Ma evidentemente η non è ancora un numero, bensì un tipo, un oggetto ideale situato su un livello di generalità superiore a quello del numero, seppure meno “astratto” del concetto di potenza.

Se però l’insieme è ben ordinato (come lo abbiamo definito sopra) ed è pertanto enumerabile, allora il suo tipo d’ordine è anche il suo numero ordinale.

Vediamo dunque che il numero (e nella genealogia cantoriana il numero è essenzialmente numero ordinale) fa la sua comparsa solo a questo terzo livello di specificazione del concetto di insieme, ove soltanto può trovare la sua definizione. Il numero è pertanto, nella sua completa definizione, un particolare tipo d’ordine, e precisamente il tipo d’ordine di un insieme ben ordinato.

Essendo, ad esempio, la successione degli interi naturali, che ha un primo elemento e nella quale ogni elemento (tranne l’ultimo) ha un immediato successore, un insieme ben ordinato, il suo tipo d’ordine ω è anche il suo numero ordinale. Quindi ω è sia tipo che numero. E altrettanto lo sono gli insiemi bene ordinati quali ad esempio ω+1, … 5ω+3, … 2ω+1, … 3ω+ω2, … Ogni numero è anche tipo, ma non viceversa.

Torniamo ora alla cardinalità degli insiemi transfiniti.

Se la cardinalità degli insiemi finiti viene espressa mediante un numero che coincide con la sua enumerazione (numero ordinale), o, in altre parole, ordinalità e cardinalità negli insiemi finiti non si distinguono, come si presenta la cosa negli insiemi transfiniti?

Abbiamo visto prima che possiamo produrre tutti gli ordinali transfiniti della II classe numerica: ω+1, ω+2, … 2ω, … 3ω,ω2,ω3,ωω, … senza dover “aggiungere” ulteriori elementi a quelli che compongono la progressione infinita semplice ω, disponendo (e quindi enumerando) i medesimi elementi in differenti modi. Si rende pertanto evidente che tutti i numeri ordinali della II classe numerica hanno la medesima cardinalità, o anche, la medesima potenza.

Cantor chiama potenza della prima classe [Mächtigkeit der ersten Klasse] o potenza del numerabile la cardinalità della progressione ω e di conseguenza anche di tutti i numeri ordinali della II classe numerica. Nella sua ultima e definitiva notazione Cantor chiamerà 0 questa potenza, che è la più piccola potenza transfinita.

Dunque, superata la soglia del finito, cardinalità e ordinalità si separano, diventano due aspetti distinti del concetto di numero. Troviamo infatti infiniti numeri ordinali differenti tra loro (e pertanto infiniti differenti insiemi ben ordinati) che hanno la medesima potenza, cioè la medesima cardinalità.

Scrive Cantor al §7 dei suoi Fondamenti:

Se concepisco l’infinito così come è mostrato qui e nei miei saggi precedenti, ne consegue allora per me un vero godimento, al quale mi abbandono con la massima gratitudine, nel vedere come il concetto globale di numero, che nel finito ha l’enumerazione [Anzahl] solo sullo sfondo, nel momento in cui ci eleviamo all’infinito, si scinda in un certo modo due concetti, ossia in quello di potenza, che è indipendente dall’ordine che viene dato all’insieme, e quello di enumerazione, che necessariamente è connesso a un ordine normato, grazie al quale l’insieme diviene un insieme ben ordinato. E se poi discendo nuovamente dall’infinito al finito, vedo in modo altrettanto chiaro e bello come i due concetti tornino ad essere una unità e confluiscano nel concetto di numero intero finito. 

È lo sguardo, questo, di una coscienza che sa porsi nel transfinito: la “rivoluzione copernicana” di Cantor è compiuta. Il finito si mostra ora, sub specie infiniti, nella sua forma più autentica e completa, come entusiasticamente notava Florenskij nel suo saggio del 1904. 

Esaminiamo ora più da vicino il nesso tra potenza ed enumerazione, ossia tra cardinalità e ordinalità, nel transfinito.

Abbiamo visto che la prima potenza transfinita, che possiamo chiamare anche potenza del numerabile, è comune a tutti gli insiemi transfiniti enumerabili, e si mostra pertanto come genere di infiniti tipi d’ordine e di conseguenza anche di tutti i numeri ordinali della II classe numerica. In altre parole, aggiungendo elementi a ω, moltiplicandolo, elevandolo a potenza ecc., non si esce dalla II classe numerica, ossia non si supera la potenza del numerabile.

Abbiamo accennato poi che non solo gli insiemi infiniti discreti del tipo ω (compresi quelli ottenibili dalla progressione ω) hanno la potenza del numerabile, ma che anche gli insiemi densi del tipo η (quali gli intervalli aperti di razionali e di irrazionali algebrici) possono venir enumerati, se sviluppati secondo un criterio generativo che necessariamente prescinde dal loro ordine naturale (metodo diagonale), e che quindi anch’essi sono, al di là della prima apparenza, numerabili, ossia hanno potenza 0.

A questo punto viene spontaneo porsi la domanda: esistono, o meglio, è possibile individuare potenze di ordine superiore alla prima, ossia a quella del numerabile?

Una prima risposta affermativa è già implicita nel procedimento di generazione degli ordinali transfiniti della II classe numerica. Mediante l’applicazione combinata dei due principi di produzione dei numeri, la successione ω+1, ω+2, … 2ω, … 3ω,ω2,ω3,ωω, ω ωω, … ω ωωω troverà infine come limite un nuovo numero ordinale transfinito, che Cantor chiama Ω, immediatamente superiore a tutti gli ordinali della successione stessa.

Ω è così anche il primo numero ordinale transfinito della III classe numerica, allo stesso modo in cui ω, limite e attualità della successione degli interi finiti, è il primo numero della II classe numerica. 

Cantor dimostra che l’insieme dei numeri della II classe numerica, considerati nella totalità attuale della loro progressione transfinita Ω, ha potenza superiore al numerabile 0, e inoltre che essa è quella immediatamente superiore a 0. Cantor la chiama potenza di II classe, e più tardi 1.

Di lì si inizia, secondo il medesimo procedimento, a generare i nuovi ordinali transfiniti della III classe numerica Ω, Ω+1, … 2Ω, … ΩΩ, … ΩΩΩ, …, che avranno ciascuno la potenza 1, e nella loro totalità attuale la potenza 2.

Questo procedimento di generazione degli ordinali transfiniti può evidentemente essere esteso senza fine. Con ciò viene prodotta anche la gerarchia ascendente delle potenze degli insiemi transfiniti ben-ordinati, ossia dei cardinali transfiniti 1, 2, 3, … ove ciascuna potenza è quella immediatamente superiore alla precedente. Tutte le possibili potenze transfinite devono trovare posto all’interno di questa scala, essendo esclusa l’esistenza di cardinalità intermedie agli aleph.

Alle potenze superiori al numerabile si può però accedere anche per un’altra via.

Partiamo da un risultato noto del calcolo combinatorio in aritmetica finita. Dato un insieme A avente una certa cardinalità k, il suo insieme delle parti P(A), ossia l’insieme di tutti i possibili sottoinsiemi di A, ha una cardinalità superiore a k, ed esattamente pari a 2k.

Consideriamo ad esempio un insieme A cui appartengono 3 elementi, A = [a,b,c], un insieme pertanto di cardinalità finita k=3. I suoi possibili sottoinsiemi sono: l’insieme vuoto, i sottoinsiemi propri: [a], [b], [c], [a,b], [a,c] [b,c] e infine l’insieme [a,b,c] di partenza. Il numero dei sottoinsiemi possibili, ossia la cardinalità dell’insieme P(A) è pari a 2k = 23 = 8.

Nel calcolo combinatorio, 2k rappresenta anche il numero delle possibili disposizioni con ripetizione di 2 elementi differenti in sequenze di k elementi.

Ad esempio, nella pratica divinatoria dei Ching, 2 elementi base (linea continua e linea spezzata) vengono utilizzati per costituire sequenze di sei elementi (esagrammi). Ovviamente in ciascuna sequenza i due elementi base si trovano ripetuti in varia misura, e infatti tali sequenze si chiamano disposizioni con ripetizione. Dalla formula consegue che gli esagrammi possibili sono 2k = 26 = 64.

Dunque, l’insieme delle parti P(A) di un insieme A di cardinalità k da un lato, e l’insieme delle possibili disposizioni con ripetizione di 2 elementi base in sequenze di k elementi dall’altro, si rivelano essere isomorfi.

Possiamo anche vedere intuitivamente questa identità strutturale mediante la seguente mappatura reciproca: una sequenza binaria (sì/no, oppure 1/0) di k elementi può rappresentare, infatti, un dato sottoinsieme di un insieme di k elementi, ove lo 0 definisce l’assenza e l’1 la presenza di un suo elemento. Riprendendo il nostro esempio precedente, abbiamo la seguente corrispondenza tra gli 8 sottoinsiemi delle parti di un insieme A costituito da tre elementi [a,b,c] e le 8 disposizioni degli elementi base 0 e 1 in raggruppamenti di tre elementi: Φ (insieme vuoto) = [0,0,0]; [a] = [1,0,0]; [b] = [0,1,0]; [c] = [0,0,1]; [a,b] = [1,1,0]; [a,c] = [1,0,1]; [b,c] = [0,1,1]; [a,b,c] = [1,1,1].

Spostiamoci ora nel regno del transfinito.

Consideriamo un insieme M transfinito numerabile, ossia avente cardinalità, o meglio, potenza k = 0. L’insieme delle parti P(M) sarà pertanto più che numerabile e avrà cardinalità pari a 2k = 2 0.

Se ripetiamo l’operazione per il nuovo insieme delle parti, P(P(M)) avrà a sua volta una cardinalità superiore a 2 0.

Iterando questo procedimento di esponenziazione possiamo ottenere una scala crescente di cardinali transfiniti di potenza sempre più “vertiginosa”.

L’aritmetica dei cardinali transfiniti (per quanto si possa parlare di aritmetica per simboli che non sono propriamente numeri) ci mostra peraltro che l’esponenziazione è l’unica operazione cui, diciamo così, il cardinale transfinito è “sensibile”. Le altre operazioni (addizione, moltiplicazione, elevamento a potenza) non “smuovono” una cardinalità transfinita. Ma 2 0 è un cardinale differente e maggiore di 0.

Piero Pizzi Cannella, Cattedrale, Asta Pananti in corso

Pensiamo ora di voler calcolare “quanti” siano i numeri reali tra 0 e 1. Si tratta di un intervallo continuo, essendo il continuo matematico, per definizione, quello della retta reale, ossia dei numeri reali (interi, razionali, irrazionali algebrici e irrazionali trascendenti).

Cantor aveva dimostrato, con il suo metodo diagonale, che l’insieme dei numeri reali dell’intervallo (0,1), e pertanto di qualsiasi intervallo, ha potenza superiore a quella del numerabile.

Espressi in sistema binario, tutti i numeri reali, ossia tutti i numeri possibili dell’intervallo (0,1) hanno la forma ad esempio del tipo: 0,01100010100010111…; hanno cioè una parte intera che vale zero e poi una sequenza infinita numerabile di disposizioni con ripetizione dei due elementi-base zero e uno. Trascuriamo lo zero iniziale (comune a tutti i numeri dell’intervallo) e consideriamo solo il loro sviluppo binario, che è ciò che li distingue. L’insieme di tutte le possibili disposizioni con ripetizione di due elementi (zero e uno) è dunque l’insieme di tutti i possibili numeri reali dell’intervallo continuo (0,1).

Essendo 0 il numero degli elementi di una singola sequenza, la totalità delle differenti sequenze possibili, e pertanto la totalità dei numeri reali dell’intervallo, sarà espressa dal simbolo 2 0. 

Dunque 2 0 è la cardinalità del continuo, la sua potenza.

Ciò viene espresso dalla notazione classica c = 2 0.

Una volta appurato che alle potenze superiori al numerabile si può accedere attraverso due vie differenti, si pone necessariamente il quesito: dove si colloca la cardinalità c, la potenza del continuo, nella scala degli aleph? O più in generale: che nesso intercorre tra gli aleph (le cardinalità degli insiemi transfiniti ben-ordinati) e le potenze transfinite ottenute mediante esponenziazione degli aleph?

Cantor era convinto che la potenza del continuo fosse proprio la seconda cardinalità transfinita 1, quella immediatamente superiore alla cardinalità del numerabile 0.

Nelle comunicazioni e nelle lettere Cantor esprime ripetutamente che la dimostrazione sarebbe “ormai a portata di mano”, ma nonostante tutti gli sforzi e gli incessanti tentativi non riuscirà mai a trovarla.

L’uguaglianza c = 1 restò pertanto una supposizione, la famosa “ipotesi del continuo”.

Nel Congresso internazionale dei matematici, a Parigi nel 1900, David Hilbert elencava le venti principali questioni aperte che il nuovo secolo era chiamato ad affrontare. La prima di queste era proprio l’ipotesi del continuo.

Solo nel 1963 il matematico statunitense Paul Cohen, con un procedimento estremamente complesso (forcing) e con l’ausilio dell’elaborazione elettronica, riuscirà a dimostrare che il problema è indecidibile, ossia che l’ipotesi del continuo non può essere né dimostrata né confutata sulla base degli assiomi della teoria degli insiemi di Cantor (teoria ingenua), neppure nella sua formulazione rigorosa e definitiva elaborata da Ernst Zermelo e Abraham Fraenkel (teoria assiomatica ZFC). In estrema sintesi, al pari del postulato delle parallele nella geometria, l’ipotesi del continuo non può essere risolta come teorema, ma al più assunta come assioma. Pertanto può essere integrata alla teoria oppure non essere presa in considerazione; in entrambi i casi ne derivano teorie coerenti.

Una particolare riflessione merita il tema dalla non-costruibilità del continuo. Gli insiemi numerabili (e quelli più che numerabili ben-ordinati) sono costruibili, ossia è possibile costruire tutti gli elementi di tali insiemi, in via di principio, mediante un procedimento generativo (tralasciando ora la critica degli intuizionisti ai procedimenti non-finitari). Questo vale ad esempio per i numeri interi (ed è ovvio), per i razionali, e anche per gli irrazionali algebrici, la cui numerabilità fu dimostrata da Cantor mediante il celebre metodo diagonale. Quando si afferma invece che gli elementi (i numeri reali) dell’intervallo continuo (0,1) sono tutte le possibili sequenze transfinite di zero e di uno, non è dato con ciò alcun criterio generativo. Il più-che-numerabile, se non è ben-ordinato (e il continuo, nel suo ordine naturale, non è ben-ordinato), non è costruibile (solo per inciso, il buon-ordinamento del continuo non è decidibile in base agli assiomi della teoria ZFC allo stesso modo dell’ipotesi del continuo).

Costruibilità ed enumerabilità sono due concetti intimamente connessi. I numeri trascendenti, che costituiscono l’assoluta maggioranza dei numeri della retta reale e che garantiscono l’assenza di “buchi” nel continuo, non sono costruibili. Nel XIX secolo, al nascere della teoria dei numeri, alcuni matematici escogitarono algoritmi generativi per famiglie sporadiche di numeri trascendenti. Queste famiglie costituiscono però sempre degli insiemi numerabili, che non si avvicinano pertanto minimamente allo spessore, alla coesione del continuo (questi termini vanno intesi qui in senso puramente intuitivo e non tecnico). Si può concludere, in un senso cantorianamente transiente, che il “reale” non è costruibile mediante algoritmo.

Ma se il continuo doveva restare misterioso per quanto riguarda il nesso tra la sua potenza e la teoria ordinale del transfinito, Cantor riuscì tuttavia a espugnarne altri enigmi. Nella sistemazione definitiva della teoria contenuta nei Contributi per la fondazione di una teoria degli insiemi transfiniti [Beiträge zur Begründung der transfiniten Mengenlehre, 1895-97] Cantor definisce esaustivamente il tipo ordinale del continuo inteso come insieme lineare di punti. Per Bertrand Russell si tratta della più straordinaria conquista di Cantor. E non si può non essere d’accordo di fronte a questa meraviglia della ragione.

Se ω è il tipo d’ordine della progressione transfinita numerabile (discreta) ed η quello dell’intervallo denso numerabile, Cantor chiamerà θ il tipo d’ordine del continuo. Lo definirà come tipo d’ordine di un insieme di punti perfetto e connesso (che sono caratteristiche ordinali e topologiche), e ne individuerà la struttura sulla base di considerazioni puramente ordinali, ossia intrinseche, che non necessitano cioè di alcun rimando a un substrato metrico di riferimento. 

A distanza di secoli dalle prime riflessioni sulla continuità, sulla paradossalità di un continuo numerico o puntuale, sulla pensabilità (o meno) di una estensione continua costituita da elementi privi di dimensione, grazie a Cantor scopriamo che l’intima natura della continuità, il suo segreto, si cela nelle relazioni d’ordine, e non nelle misure, nelle distanze, nelle ampiezze, in una parola, nella metrica. Se per Aristotele gli elementi (estesi e indefinitamente divisibili) di una sequenza possono porsi, secondo una “coesione” crescente, come consecutivi, contigui o continui, anche dalla tipologia ordinale di Cantor (ove gli “elementi” sono ovviamente inestesi e indivisibili) emerge una triplicità che, seppure di natura differente, possiamo vedere come altrettanto “archetipale”. Nella classica polarità tra discrezione (tipo d’ordine ω) e continuità (tipo d’ordine θ) si situa un grado intermedio, la densità (tipo d’ordine η), che possiamo vedere come una qualità “anfibia” che caratterizza gli insiemi ordinati ove, per esprimersi intuitivamente, l’aspetto razionale della enumerabilità degli elementi convive con l’irrazionalità del loro ordine naturale (nessun elemento ha immediato predecessore né successore).

Quando nel maggio 1884 si manifesta la prima crisi di quella sindrome (maniaco-depressiva, secondo la diagnosi della Nervenklinik di Halle) che di lì in poi avrebbe segnato il resto della sua vita, Cantor ha appena ultimato di pubblicare nei “Mathematische Annalen” il ciclo di saggi Über unendliche, lineare Punktmannigfaltigkeiten (Sulle molteplicità infinite lineari di punti). Partendo dall’indagine degli insiemi infiniti di punti e delle loro caratteristiche ordinali (punti di accumulazione, derivate, numerabilità, densità, continuità ecc.), Cantor arrivava infine alla consapevolezza che per proseguire la ricerca si rendeva necessario ampliare la matematica all’oltrefinito inteso come dominio determinato e attuale, ossia al transfinito. L’impiego del simbolo ω in luogo del classico ∞ sanciva questo passaggio.

Nei mesi successivi Cantor si sottopose a sforzi estenuanti nel tentativo di dimostrare l’ipotesi del continuo, che era il principale nodo insoluto nonché agognato coronamento della teoria degli insiemi transfiniti. Sempre nel 1884, dopo che Cantor aveva invano sperato di essere chiamato a insegnare alla “sua” Università di Berlino, si intensifica l’opposizione del potente Leopold Kronecker contro la teoria del transfinito, con un livore che sconfina nell’attacco personale.

Nell’autunno 1884, un Cantor stanco, sfiduciato e in rotta con l’ambiente matematico, chiede di essere trasferito alla cattedra di Filosofia; gli verrà accordato di tenere un seminario su Leibniz, che però, nella piccola e provinciale Università di Halle, non sarà portato a termine per il progressivo defilarsi degli studenti.

In questo periodo hanno inizio gli studi filosofici sulle differenti posizioni che i più importanti pensatori, dall’antichità classica, attraverso la scolastica, fino all’età moderna, hanno sostenuto di fronte al tema dell’infinito, dal punto di vista matematico, metafisico e teologico. La competenza che in breve tempo Cantor acquisisce, sia nelle fonti principali che nella letteratura secondaria, è sorprendente. Come testimoniano i suoi saggi e la sua intensa corrispondenza con filosofi, teologi e autorità religiose, Cantor è in grado di elaborare argomentazioni raffinatissime, supportate da documentazione ampia e puntuale, a dimostrazione della necessità di aprire la matematica all’infinito attuale e determinato, e anche di confutare puntualmente gli oppositori di ogni epoca all’ingresso dell’infinitum actu nel dominio della ragione scientifica.

Per quanto riguarda la produzione matematica, tra la fine del 1884 e l’inizio del 1885 Cantor concepisce il lavoro forse più originale e rilevante di tutto il periodo compreso tra le Grundlagen e i Beiträge: i Principi di una teoria dei tipi d’ordine. Prima comunicazione [Principien einer Theorie der Ordnungstypen. Erste Mitteilung], una “comunicazione” articolata in otto paragrafi redatti in due fasi ravvicinate. Pur trattandosi di una ricerca di carattere essenzialmente matematico, essa è ricca di allusioni transdisciplinari e metafisiche, e in questo senso del tutto inserita nel clima biografico di questi anni. Cantor introduce e sviluppa un’aritmetica dei tipi d’ordine, ossia dei tipi degli insiemi transfiniti ordinati, ma non necessariamente ben-ordinati, quali sono ad esempio i tipi ω ed η sopra menzionati. Si tratta certo di enti peculiarmente matematici, ma ciò che sembra stare più a cuore a Cantor è la loro valenza archetipale di “cifre simboliche” delle manifestazioni del transfinito.

Sono questi i simboli che Cantor identifica come i veri e propri numeri ideali, gli arithmoi noetoi o eidetikoi della tradizione pitagorico-platonica, della quale egli si riconosce legittimo erede e prosecutore.

Vediamo nella corrispondenza un Cantor rinvigorito ed entusiasta di fronte a questa nuova frontiera, oltre la quale si estende un dominio popolato da enti e relazioni di altissimo rango ideale, che egli sente di poter esplorare e dotare di un linguaggio simbolico e operativo. La teoria dei tipi ordinali ha infatti, nella prospettiva cantoriana, una forte valenza transiente (che oltrepassa cioè l’apoditticità immanente della matematica pura) o metafisica (ove con metafisica Cantor intende l’insieme delle discipline matematiche applicate al reale). Cantor vede questa teoria, e lo dichiara esplicitamente, come un potentissimo strumento per discipline quali la fisica e le scienze naturali in genere; in particolare, la teoria dei tipi ordinali si potrà rivelare, ritiene Cantor, il vero strumento per l’indagine razionale dell’organicità, della natura vivente.

I primi sei paragrafi della Erste Mitteilung (in realtà non vi sarà una seconda comunicazione sui tipi d’ordine) vengono anticipati all’amico matematico e giornalista svedese Gösta Mittag-Leffler, che da qualche anno aveva fondato la rivista “Acta Mathematica”, periodico che aveva già promosso una certa diffusione in Europa degli scritti di Cantor. Il 21 febbraio 1885 Cantor invia anche gli ultimi due paragrafi, ma a questo punto Mittag-Leffler, del tutto inaspettatamente, declina la richiesta di Cantor di pubblicare i Principien, sostenendo di volere con ciò proteggere l’Autore stesso. Quest’opera, scrive Mittag-Leffler, sarebbe infatti “avanti” di almeno duecento anni rispetto ai tempi, e non potrebbe essere recepita dalla comunità matematica, ma avrebbe anzi, con ogni probabilità, generato ulteriore diffidenza verso la sua già controversa figura di matematico.

Nella corrispondenza Cantor reagisce con dolore e stizza a questo diniego; l’episodio raffredderà a lungo anche questo importante rapporto, secondo solo a quello con Richard Dedekind sotto l’aspetto dello scambio culturale e dell’amicizia personale, e gli rafforzerà la sensazione di isolamento rispetto alla comunità matematica.

La teoria dei tipi ordinali, che nei suoi otto paragrafi originali sarà pubblicata solo nel 1970, non verrà più proseguita da Cantor con l’ampiezza di intenti e con l’entusiasmo della sua prima concezione, ma solo parzialmente ripresa e sistemata nella definitiva formulazione dei Beiträge (1895-97).

La controversia infinito potenziale-infinito attuale non mostra più, oggi, alcun carattere di urgenza. Pare ormai tacitamente consolidata la concezione di Cantor secondo cui l’infinito variabile, indefinito, potenziale, il “cattivo infinito”, è al più un concetto “ausiliario”, in sé privo di autonomia logica. È apoditticamente evidente (potremmo dire un apriori fenomenologico) che la variabilità potenziale di una qualsivoglia grandezza, per essere pensabile, debba necessariamente presupporre una attualità-substrato nella quale la variazione possa contestualizzarsi.

La scoperta dell’irrazionale ha decretato già, a suo tempo, l’ingresso dell’infinito attuale nella storia della matematica e del pensiero, che lo si voglia riconoscere oppure no. Ciascun irrazionale, anzi, ciascun reale, è una infinità attuale. Come il “genio” della lingua matematica porta a espressione all’interno del suo recinto disciplinare, più in generale si può affermare, in un senso transiente, che il reale è irrazionale: l’individuo reale concreto, quale hic et nunc contingente e irripetibile, non può essere esaustivamente definito mediante una serie finita di determinazioni.

La topologia post-cantoriana utilizza correntemente i concetti di infinità numerabile e più-che-numerabile, senza porsi alcun problema di principio. Passata la grande stagione delle dispute sui fondamenti, la matematica contemporanea si mostra assai poco interessata ai temi teoretici, e la sua ricerca sembra dirigersi essenzialmente nella direzione delle strutture astratte, della computabilità e degli algoritmi.

Le raffinate e profonde argomentazioni di Cantor ci fanno però respirare le altezze della filosofia perenne. Il transfinito, come Cantor amò chiamare il territorio che si estende oltre i limiti del finito, che fino a ieri sembrava dominio inespugnabile dell’indistinzione e del paradosso, ci rivela oggi la sua mirabile gerarchia di ordini e di potenze. Ed è difficile immaginare che questo “paradiso”, come ebbe a chiamarlo David Hilbert nella sua celebre prolusione del 1900, sarebbe potuto venire alla luce se Cantor non avesse dimorato in tali altezze.

Gli scritti raccolti in questo volume si propongono di restituire una testimonianza di quel particolare periodo della vita di Georg Cantor che possiamo forse vedere come prevalentemente speculativo, e che, a partire dalla prima manifestazione della patologia psichiatrica della primavera del 1884 fino a tutto il 1888, mostra una certa omogeneità per quanto riguarda l’orientamento culturale e scientifico.

Un arco biografico da non considerarsi affatto involutivo, benché funestato dal manifestarsi della malattia e meno ricco di nuovi esiti matematici rispetto all’eccezionale decennio precedente.

In questi anni vediamo Cantor maturare e consolidare le conquiste matematiche e concettuali della stagione precedente, ed evidenziarne le potenzialità transdisciplinari, sia all’interno della matematica stessa che nell’ambito delle matematiche applicate.

Contestualmente con l’intensa attività di confronto con il pensiero teologico e filosofico, Cantor sembra inoltre sempre più consapevole della rilevanza che la teoria del transfinito rappresenta per il progresso della matematica, del pensiero scientifico e della cultura in generale.

E dalle altezze cui questi scritti ci elevano, sentiamo di poter scorgere, come in un solo sguardo, il fluire e il dipanarsi di temi archetipali del pensiero occidentale, dalle loro sorgenti pitagoriche e platoniche fino alla contemporaneità.


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