La filosofia di Stranger Things: il Sottosopra

Cosa rappresenta “il Sottosopra” nella celebre serie Netflix?


in copertina : JosÈ Ortega, Senza titolo, Litografia a colori, courtesy Pananti

questo testo è un estratto da Filosofia di Stranger Things, di Selena Pastorino. Ringraziamo il Melangolo per la gentile concessione.


di Selena Pastorino

Il Sottosopra è l’oscurità in cui possiamo essere trascinati, che ci preda e si insinua in noi, che ci precede e ci attende quando di noi non sarà che un nulla al mondo, che ci minaccia eppure, in qualche modo, ci sostanzia. Come si intuisce, è l’elemento narrativo con maggiore densità filosofica di tutta Stranger Things, trattandosi di una dimensione che è in relazione con la nostra, pur senza poter essere ridotta a questa, e da cui originano avvenimenti significativi per l’evoluzione tanto del racconto quanto dei suoi personaggi. Sarebbe semplicistico parlarne in termini oppositivi rispetto alla nostra realtà, come se fosse soltanto il suo contrario, il suo lato oscuro e quindi qualcosa come la sede del male assoluto: la narrazione di Stranger Things ci ha abituati, piuttosto, a considerare la complessità di cui tutto si compone, mutando senza tregua, insegnandoci così una consapevolezza, del tutto filosofica, che ci impedisce di definire il Sottosopra con una facile formula e che, proprio per questo, ci permette di pensarlo. E così di pensare meglio ciò che chiamiamo realtà e ciò che quindi siamo.

Sin dalla prima stagione sappiamo che il Sottosopra è in contatto con il nostro mondo. Non solo esistono dei varchi dimensionali, ma la stessa struttura di (almeno una parte di) questo reale rende possibile orientarsi in essa e quindi stabilire una specie di comunicazione con la realtà, come già Will dimostra lanciando segnali a sua madre. Questo ponte comunicativo trova una sua spiegazione nella quarta stagione che ci rivela, insieme, come si possa sfruttare la luce per parlare con la nostra realtà, quanto complessa sia la geografia del Sottosopra e come i suoi legami con la realtà passino per compresenze e riassemblamenti, disordini cronologici e scenari della mente, gerarchie animali e violenze umane.

Ciò che del Sottosopra assomiglia al nostro mondo giustifica il suo nome. Non si tratta infatti di una realtà trascendente, distaccata, rispetto alla nostra, bensì di quello che si potrebbe definire il suo rovescio, in un senso organico, viscerale, del termine. Il Sottosopra è il mondo rovesciato su se stesso come un guanto, esposto nel brulicare pulsante della sua vita allo stato intimo, carnale, impensabile e per ciò anche terrificante, marcescente, potentissimo. È l’inaddomesticabile di tutto il reale che eccede qualsiasi brama di controllo o dominio, che scansa le categorie con cui già falliamo nel descrivere la nostra realtà, che ribalta lo stesso nostro pensiero, costringendolo a guardare l’origine ben più che irrazionale di tutto ciò che è.

Quando Uno precipita in questa dimensione trova uno scenario di vita, spaventoso sì, ma solo nella misura in cui esiste senza essere parte del mondo che conosciamo. Non è propriamente un aldilà rispetto alla nostra realtà perché è accessibile in molti modi e solo la morte impedisce di percorrere i diversi varchi nelle due direzioni, facendo cioè anche ritorno al mondo. Il Sottosopra non coincide neanche solo con quella versione fantasmatica e perturbante della realtà che compare nella prima stagione, né con le viscere della terra che Will riesce a mappare nella seconda. Non è nemmeno soltanto l’habitat di creature mostruose, ma neanche solo quell’oscurità psichica in cui, come dimostra Undici, ogni persona può essere raggiunta.

Si può allora provare a pensare il Sottosopra come al mondo prima del mondo, non nel senso della sua origine, ma come quella dimensione che sempre e da sempre precede ciò che riusciamo a nominare e dominare, ciò che per noi ha un ordine riconoscibile, che letteralmente è cosmo. Nonostante questa parola significhi, appunto, anche un insieme ordinato, il Sottosopra non è davvero il suo contrario, il disordine inteso come scombinato riposizionamento di elementi che dovrebbero stare altrove, bensì piuttosto quel magma disorientante che precede l’ordine in qualsiasi sua forma. Le leggi che vigono qui ci sono ignote, non perché manchino, ma perché non rispettano né soltanto contraddicono quelle del nostro mondo. Nella prospettiva umana assomigliano piuttosto alla dimensione onirica, in cui compare tutto e più di tutto, come se noi non fossimo più l’unico centro del mondo quale siamo nella vita di veglia, come se la nostra forza di organizzare la realtà, rivolgendola verso di noi e rendendola così sia comprensibile che maneggiabile, nulla potesse rispetto alla dimensione interiore da cui, in qualche modo, proveniamo.

È proprio in virtù di questi oscuri, complessi e profondi legami con la nostra realtà che possiamo considerare la nostra incapacità di definirlo come la migliore opportunità per pensarlo – e pensarci. In una certa maniera è come se il Sottosopra consentisse di accedere a una dimensione costitutiva della nostra realtà, che si nasconde nell’ombra eppure è essenziale. Qualcosa che potremmo quasi chiamare verità. Se finora si è usato questo termine per lo più nel suo significato relazionale, per cui vero è il modo in cui si abita un rapporto di amicizia e vi si costruisce una comunicazione efficace, è proprio in questo relazionarsi che si scopre qualcosa di se stessi, che ci si avvicina alla verità di ciò che siamo nell’atto in cui si contribuisce a realizzarla: diventiamo ciò che siamo nella relazione comunicativa con gli altri, a patto di metterci in gioco del tutto, anche con ciò che di noi non conosciamo e che, forse, solo così potrà esserci, in qualche modo, accessibile.

Con il Sottosopra accade qualcosa del genere. Questa dimensione costituisce il termine di una relazione cui si è costretti a partecipare, con tutto ciò che si è, perché tutto ciò che siamo si trova messo in gioco. È il rapporto con il Sottosopra a mostrarci la verità pulsante della nostra realtà: che questa è il sottosopra del Sottosopra. Non il suo contrario, ma il suo rovescio. Se noi stessi siamo fatti della sostanza di questo incubo, più concreto delle nostre illusioni, più potente delle nostre speranze, più reale della nostra realtà, l’unica differenza tra qui e lì può darsi nel mondo in cui attraversiamo la soglia che li separa unendoli, con quale intento la percorriamo, con quale consapevolezza. E quanto tempo ci servirà per comprendere che non esiste rimedio per chiudere ogni varco d’accesso, per cui occorrerà imparare a fare i conti con questo indomabile, senza cedere alla tentazione di servirsene. Una lezione che, nella serie, solo una persona sembra avere la forza di poter apprendere e insegnarci.


Selena Pastorino è Dottoressa di ricerca in Filosofia e docente di Filosofia e Storia presso il Liceo Mazzini di Genova. È membro del Seminario Permanente Nietzscheano e collabora con diverse testate online. Si occupa del pensiero di Friedrich Nietzsche (Prospettive dell’interpretazione, ETS, 2017; Per la dottrina dello stile e Da quali stelle siamo caduti?, Il melangolo, 2018), di pop-filosofia (Black Mirror, con Fausto Lammoglia, Mimesis, 2019) e di filosofia del corpo (Filosofia della danza, Il melangolo, 2020; Filosofia della maternità, Il melangolo, 2021).

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