La filosofia sessuale di Simone de Beauvoir



La filosofa francese è tra le prime a prendere in considerazione la sessualità femminile senza renderla subalterna rispetto a quella maschile.


In copertina e nel testo Op-Erotica, 1971, Ivan Serpa

Questo testo è tratto da Il piacere rimosso di Catherine Malabou. Ringraziamo Mimesis per la gentile concessione.


di Catherine Malabou

Con Il secondo sesso, la vulva fa per la prima volta il suo ingresso in filosofia. La sessualità aveva appena acquisito la dignità di categoria di pensiero: in L’essere e il nulla, pubblicato nel 1943, Sartre aveva messo in risalto il rapporto tra sessualità ed esistenza che nessuno aveva ancora esplorato: 

I filosofi esistenzialisti non si sono preoccupati della sessualità. Heidegger, in particolare, non vi fa la minima allusione nella sua analitica esistenziale, di modo che il suo «Dasein» ci appare senza sesso. E senza dubbio possiamo in effetti considerare che è contingente per la «realtà umana» di specificarsi come «maschile» o «femminile»; senza dubbio si può dire che il problema della differenziazione sessuale non ha niente a che fare con quello dell’esistenza (Existenz), perché l’uomo come la donna «esistono» né più né meno. Ma queste ragioni non sono del tutto convincenti.

Sartre dedica lunghe pagine al desiderio, menzionando di sfuggita «l’erezione del pene e della clitoride» e affermando che la sessualità, lungi dall’essere un «accidente contingente», è «una struttura necessaria dell’essere-per-sé per altro».

Se Beauvoir elogia i notevoli progressi compiuti da queste analisi, non manca tuttavia di individuare un grande problema: come evitare che questa concettualizzazione della sessualità porti nonostante tutto a una disincarnazione? Prova ne è il fatto che la sessualità è per Sartre una nuova versione della dialettica hegeliana servo-padrone. Un sospetto che la lettura di Merleau-Ponty non fa che rafforzare; in Fenomenologia della percezione la sessualità s’inscrive nella lotta e a proposito della nudità nell’atto sessuale scrive: «Il pudore e l’impudore rientrano dunque in una dialettica dell’io e dell’altro che è quella del servo e del padrone».

Come intendere questa posizione? Pur affermando l’importanza della sessualità, i filosofi esistenzialisti vi scorgono un dilemma. Il dilemma della libertà e del desiderio: «L’uomo non può essere a volte libero a volte schiavo: è tutto intero, e sempre libero o non lo è affatto» scrive Sartre. Il problema è che il desiderio reintroduce la necessità nella libertà assoluta dell’esistenza. Il desiderio, come ha mostrato Hegel, è necessariamente alienante. Tende sempre all’appropriazione dell’altro, alla sua trasformazione in cosa, al suo consumo, al suo annientamento. «Non basta, infatti, che il turbamento faccia nascere l’incarnazione dell’altro: il desiderio è desiderio di impadronirsi della coscienza incarnata. Si prolunga, quindi, naturalmente, non con carezze, ma con atti di possesso e di penetrazione».

Beauvoir capisce presto che anche se l’Altro, in teoria, riguarda entrambi i sessi, la donna è più spesso schiava che padrona in questo gioco del desiderio. Una schiava che per di più suscita disgusto e terrore. Sartre sostiene che

l’oscenità del sesso femminile è quella di ogni cosa spalancata: è un richiamo di essere, come d’altra parte tutti i buchi; in-sé la donna richiama una carne estranea che la trasformi in pienezza di essere, per penetrazione e diluizione. E inversamente la donna sente la sua condizione come un «richiamo», proprio perché è «bucata».

In netta opposizione a tali affermazioni, Beauvoir compie una mossa decisiva che consiste nello spostare lo studio fenomenologico-esistenziale della sessualità – quello di Sartre e di Merleau-Ponty – verso una «filosofia dell’esistenza sessuale», una filosofia della sessualità vissuta, che rivaluta in profondità la questione del corpo desiderante. Beauvoir non abbandona ma trasforma la fenomenologia, questa descrizione rigorosa degli esseri e delle cose non come sono ma come appaiono. Non possiamo capire che cos’è la sessualità se prima non vediamo che è anche un fenomeno, una manifestazione. La sessuazione, ciò che oggi chiameremmo la formazione del genere, non avviene tutta in una volta ma si svolge nell’arco di una vita in una serie di apparizioni successive del corpo a se stesso e agli altri. Non c’è il corpo sessuato, c’è l’incorporazione del sesso. 

Questo non avviene allo stesso modo per i due sessi, ma ciò non implica affatto una lotta all’ultimo sangue. Beauvoir non decostruisce certo il binarismo di genere ma ne fa uno strumento di resistenza – resistenza al concetto di un Altro ancora troppo uniformemente maschile. 

Abbiamo già detto che l’uomo non si pensa mai se non pensando l’Altro; egli coglie il mondo sotto il segno della dualità […]; però, per la sua diversità dall’uomo, che si pone come l’identico, la donna è collocata nella categoria dell’Alterità; l’Alterità imprigiona la donna. 

Tutto lo sforzo di Secondo sesso consiste nel liberare la donna dal peso di un’alterità che cancella la sua singolarità. 

Il libro sviluppa la genesi dell’incorporazione sessuale della donna e associa la sua morfologia con il suo divenire-soggetto. Il famoso «non si nasce donna, lo si diventa» è una risposta a ciò che Sartre concepisce come un fatto senza storia: l’anatomia femminile sarebbe vuota, manchevole, incompleta. No, il corpo della donna ha la sua pienezza poiché appare a se stesso al ritmo della variazione delle sue forme. Il suo sesso è una figura che si precisa attraverso una serie di abbozzi in cui lo specchio è complice. Gli abbozzi della bambina, della ragazza, della donna matura, della donna anziana, non sono dei semplici fatti ma modi di esistere. Si «ha» la propria età ma si «è» giovani o meno giovani, e questo «essere» coincide con il modo in cui il corpo parla al mondo e a cui il mondo risponde. «Essere bucata», al contrario, non appartiene a nessun mondo, non esiste, molto semplicemente. E il desiderio non è fondamentalmente omicida o alienante. È il riverbero, il luccichio della costituzione di un corpo. Beauvoir ha fatto quel che bisognava fare: scivolare impercettibilmente dalla sessualità all’erotismo. E riconoscere in questo movimento il luogo della grande dimenticata, la clitoride. 

Questa erotica esistenziale comporta necessariamente anche una critica a Freud: «Non si è molto preoccupato del destino della donna; è chiaro che ne ha ricalcato la descrizione su quella del destino maschile, limitandosi a modificare alcuni tratti». Freud dichiara anche che «la libido ha in modo costante e regolare un’essenza maschile, sia che appaia nell’uomo o nella donna», questo significa che «rifiuta di considerare la libido femminile nella sua originalità». Secondo Freud, come più avanti per Sartre, la donna è un uomo mutilato. Per loro la clitoride non è altro che un piccolo pene. Ridotto, tagliato, castrato. 

Beauvoir ovviamente si oppone a queste affermazioni. A suo modo critica le etichette «vaginale» o «clitoridea»: «È impossibile racchiudere una donna concreta nelle categorie “clitoridea” e “vaginale” o nelle categorie “borghese” e “proletaria”». Eppure Il secondo sesso inciampa ancora nel carattere bifronte del piacere femminile: «Uno dei grandi problemi femminili consiste nell’isolarsi del piacere clitorideo: solo verso la pubertà, insieme all’erotismo vaginale, si destano nel corpo della donna molte zone erotogene». Se il piacere clitorideo non deve scomparire, se è una manifestazione inevitabile, irriducibile, dell’incorporazione, allora fiorisce veramente solo in relazione al piacere vaginale, al quale deve in definitiva concedere la supremazia. 

Il secondo sesso deve molto a Psicologia della donna (1944-1945) di Helene Deutsch, una psicoanalista freudiana ortodossa polacca emigrata negli Stati Uniti. Beauvoir, che si riferisce alla sua opera 

in diverse occasioni, condivide con Deutsch l’idea che la complessità della sessualità femminile dipenda dalla relazione tra i suoi due organi. Per Beauvoir come per Deutsch – e così anche per Freud – questa relazione non può che essere di progresso. Deutsch riprende l’idea di complesso di castrazione femminile dovuto all’«assenza di un organo». Di conseguenza, nella bambina «si ha l’inibizione dell’attività e l’orientamento verso la passività», la clitoride, che è l’organo attivo, deve accettare il dominio paradossale dell’organo passivo, la vagina. Da qui la definizione di «donna femminile»: una vera donna non frigida è quella che riesce a stabilire la funzione materna della vagina e ad abbandonare le pretese della clitoride. 

La deflorazione, osserva Beauvoir, non porta sempre il piacere atteso. «E qui si tocca il problema centrale dell’erotismo femminile»: l’inizio della vita erotica è necessariamente clitorideo, in attesa del futuro vaginale, un piacere che dovrebbe rivelarsi con la penetrazione. Tuttavia, 

[…] abbiamo visto che la deflorazione non è il porto felice in cui riposa l’erotismo giovanile; al contrario, è un fenomeno insolito; il piacere vaginale non nasce subito; secondo le statistiche di Stekel – confermate da un gran numero di sessuologi e di psicoanalisti – appena il 4% delle donne hanno piacere dal primo coito; il 50% non raggiunge il piacere vaginale prima di settimane, di mesi, perfino di anni. I fattori psichici giocano qui una parte essenziale. 

E «l’atteggiamento dell’uomo ha dunque una estrema importanza». Se è violento o troppo brutale nel suo desiderio non ci sarà l’orgasmo vaginale. E «il rancore è l’origine più abituale della frigidità femminile». Nonostante tutto, si capisce, se tutto va bene, se l’uomo si mostra paziente e comprensivo, il passaggio di potere tra i due organi andrà per il meglio… 

Sarebbe ingiusto, tuttavia, assimilare l’analisi di Beauvoir a quella di Deutsch. Beauvoir pensa la relazione tra clitoride e vagina come una relazione politica, l’espressione di una disuguaglianza tra un soggetto che possiede due organi e un soggetto che ne ha solo uno. Nelle società patriarcali averne uno solo è un privilegio. Ecco perché la donna è portata ad abbandonarne uno. La critica di questa situazione è inequivocabile. Ma in Beauvoir c’è un divario tra il progresso politico del suo discorso e la sua visione dell’anatomia femminile. Clitoride e vagina continuano a svolgere i loro ruoli tradizionali anche se la riflessione critica li trasgredisce. 

Come si può superare la divisione tra attività clitoridea e passività vaginale, tra piacere e riproduzione? Come si distribuisce, tra pensiero e sessualità, il rapporto tra comando e obbedienza? 

Beauvoir non ha forse reintrodotto, all’interno dell’intimità femminile, la relazione tra servo e padrone che voleva escludere dalla sessualità? 

Filosofia e psicoanalisi sono allo stesso tempo una risorsa e un ostacolo. Non c’è femminismo che non abbia dovuto e non debba ancora farsi strada con e contro di loro. Con un’intelligenza ineguagliata, Il secondo sesso testimonia dell’aridità di una tale prova. 


Catherine Malabou docente presso il Centre for Research in Modern European Philosophy (CRMEP) della Kingston University. La sua ricerca, di portata molto ampia, spazia dalle neuroscienze alla filosofia, dalla psicanalisi al femminismo.

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