La radice politica della malinconia

La società globale è divisa in classi, oggi più che mai; Melanconia di classe di Cynthia Cruz racconta la storia di un ritorno, a volte riuscito a volte no, a questo granitico dato di realtà: non siamo tutti uguali, mai, anche se la società in cui viviamo non fa altro che ripetercelo. Ne parliamo con l’autrice.


IN COPERTINA e lungo il testo, Anonimo, XX sec. : Figure – Olio su tavola, Asta Pananti online

Di Tiziano Cancelli

La melanconia è uno dei mali del secolo: dalle valli svizzere di cui i soldati al fronte sentivano la mancanza, fino alla più semplice parvenza di un’identità riconoscibile sulla quale fare affidamento, questo strano sentimento di mancanza ha percorso una lunga strada guadagnando nel tempo velocità e dimensione, esattamente come una valanga nel suo precipitare. Se un tempo erano immagini nitide a generare questa particolare forma di nostalgia, desideri coscienti mossi da motivazioni forti, oggi lo spaesamento è talmente diffuso e radicato da avere l’inconsistenza di uno spettro ma la forza di un cataclisma naturale: una melanconia generata da tutto ciò che può dire alle persone chi sono quando si guardano allo specchio. 

Solo partendo da questo assunto è possibile parlare di questa particolare tonalità emotiva; se si dimentica il bisogno di riconoscimento, come singoli e come gruppo, non se ne può cogliere la portata né trarne le giuste conseguenze. È da qui che Cynthia Cruz, autrice di Melanconia di classe (Altantide), sviluppa la sua fenomenologia culturale del principio melanconico, aggiungendo un dato fondamentale a riunire le diverse esperienze che racconta tra le pagine: la classe sociale di appartenenza.

A scanso di equivoci il discorso è molto chiaro: la società globale è divisa in classi, oggi più che mai, il conflitto che contiene al suo interno tutte le altre forme di conflittualità è facile da individuare perché rispecchia un manicheismo senza uscita; ricchi contro poveri, noi contro loro. In più di duecento pagine Cruz racconta la storia di un ritorno, a volte riuscito a volte no, a questo granitico dato di realtà: non siamo tutti uguali, mai, anche se la società in cui viviamo non fa altro che ripetercelo in ogni momento. nel migliore dei casi dimenticare ciò equivale a smarrirsi e non capire più il proprio posto nel mondo, mentre nel peggiore questo profondo malinteso dà luogo a un tradimento delle proprie radici dal quale è impossibile tornare indietro.

Le storie degli artisti, musicisti e scrittori di cui parla Cruz hanno in comune questa esperienza di tradimento, a volte di sé stessi a volte della loro classe: se per alcuni è facile dimenticare che mentre il mondo brucia c’è chi gira in jet privato, per altri è un residuo ineliminabile, una verità pruriginosa che non scompare nemmeno sepolta da tutti i soldi del mondo e che se non riconosciuta può portare all’autodistruzione. 

Tornare alla classe per Cruz vuol dire tornare a guardare in faccia la realtà, non girarsi più dall’altra parte ma allo stesso tempo elaborare il lutto per tutto ciò che ci avevano promesso e non abbiamo avuto, per tutto ciò che avremmo potuto essere ma non saremo mai perché così era stato deciso sin dall’inizio. Il gioco era truccato ed è ora di far saltare il tavolo.

Ho avuto modo di interrogare l’autrice sui  temi dello sradicamento e della perdita, che sono molto presenti nelle sue opere; in Melanconia di Classe tuttavia c’è il passaggio ulteriore di politicizzare queste emozioni. Cruz mi ha risposto che finché non ha iniziato a lavorare al libro non ha avuto modo di capire la verità di questa connessione, sebbene a livello intuitivo avesse riconosciuto la radice comune, e quindi politica, di ciò che aveva provato nel corso della sua vita. D’altra parte la perdita e il nomadismo che descrive nel libro sono direttamente connessi al tema politico, al capitalismo e a come le classi sociali si interfacciano al suo interno. Sono gli stessi sentimenti che un lavoratore prova nel generare profitto per il padrone.

Per come ho letto Melanconia di Classe, si tratta anche di un viaggio attraverso diverse forme di resistenza all’ordine neoliberale: tutte le controculture descritte e la storia di chi ha tentato questo attraversamento senza riuscirci compongono un quadro molto chiaro che punta verso un bisogno quotidiano, fortissimo ma spesso dimenticato: quello di creare comunità, di creare uno spazio libero ma allo stesso tempo dai contorni definiti. Ho chiesto a Cruz cosa vuol dire oggi creare degli spazi nel quale ci si possa riconoscere e costruire un’opposizione all’ordine costituito e l’autrice mi ha confermato che nel libro ha parlato di una serie di storie di persone che, nel tentativo di scappare dalla cruda realtà del capitalismo, hanno provato a collocare sé stesse in uno spazio alternativo, diverso, una sorta di altrove al riparo da questa verità.  Questi spazi sono spesso necessari alla sopravvivenza ma allo stesso tempo non conducono a una vera liberazione, anzi, in realtà portano direttamente all’autodistruzione e alla morte. In più, tentativi di questo tipo sono doppiamente destinati allo scacco perché precludono una qualsiasi forma di liberazione collettiva. I loro tentativi, insomma, sono sempre falliti.

Chi scrive crede che il tema dell’identità sia un tema controverso: ci troviamo in un periodo storico nel quale qualsiasi forma di rivendicazione identitaria viene percepita come nefasta e Melanconia di Classe parte proprio da questa necessità di ritrovare una storia condivisa, una storia di oppressione ma anche di liberazione. Cruzperò non è del tutto d’accordo; per l’autrice ci troviamo a vivere in un tempo che si concentra unicamente sulle storie individuali, su di un’identità ripiegata su sé stessa che diviene così l’unica forma di narrazione possibile. Il concetto di comunità, per non parlare di quello di lotta collettiva, sembra scomparso. Che la maggior parte degli abitanti di questo pianeta non sia nelle condizioni di provvedere a sé stessa a causa del sistema di sfruttamento capitalista ci dice che questa non è la storia di una singola persona che soffre, né di una singola identità non riconosciuta, ma ha piuttosto a che fare con qualcosa di molto più grande e strutturale.

Per l’autrice inoltre, essendo il capitalismo ubiquo, il nostro conformarci alla società avviene senza che nemmeno ce ne rendiamo conto. Abbiamo accettato di abbandonare noi stessi e ciò in cui crediamo senza nemmeno averlo deciso coscientemente. Il suo libro, mi dice, è stato un tentativo di creare uno spazio fra il lettore e la struttura del capitalismo; questo spazio è cruciale. Senza di esso, siamo totalmente incapaci di capire contro cosa abbiamo a che fare, e non siamo in grado di compiere scelte consapevoli.

A conclusione della nostra conversazione, non ho resistito a chiedere a Cruz se, in questi anni di cambiamenti epocali, tra pandemia, ritorno della guerra in Europa, nuova guerra fredda abbia ancora senso parlare di Marx.  «Mi sento di dire che proprio in virtù dei recenti sviluppi e dei loro esiti catastrofici», ha detto senza mezzi termini, «sia il concetto di classe che in generale le teorie marxiste diventano cruciali. Ciò che è accaduto è il frutto più prossimo di un capitalismo ormai fuori controllo». 


Tiziano Cancelli è nato a Roma nel 1989. Laureato in Filosofia, si occupa per diverse testate di filosofia, politica e contemporaneità. È autore di How to accelerate: introduzione all’accelerazionismo.

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