Duemila anni fa alcune sette mediorientali sostenevano di essere depositarie di un insegnamento esoterico segreto, impartito da Gesù stesso ad alcuni eletti come Maria Maddalena, Giacomo, Tommaso e Giuda: nacquero così i vangeli gnostici, che rivoluzionavano radicalmente le dottrine del cristianesimo ufficiale. Il simbolo di questo movimento non era la croce, bensì il serpente, mitico portatore della Conoscenza.
In copertina e lungo il testo un’opera di M. C. Escher
Questo testo è tratto da Il serpente e la croce, di Paolo Riberi. Ringraziamo Lindau per la gentile concessione.
di Paolo Riberi
Per raccontare la storia millenaria dello gnosticismo bisogna anzitutto comprendere quali fossero, duemila anni fa, i suoi tratti caratteristici.
Gnosis – lo si è detto – significa «conoscenza». In greco antico esistevano vari altri termini per esprimere il medesimo concetto, ciascuno caratterizzato da una differente sfumatura di significato:
– pistis: una nozione creduta vera per fede o per opinione comune;
– episteme: un sapere esatto, scientificamente preciso e verificabile;
– sophia: una conoscenza intellettuale alta, per saggi e filosofi.
La gnosis, invece, era la conoscenza esoterica: non si trattava di informazioni che potevano essere acquisite con lo studio o dedotte mediante la logica, bensì di una rivelazione cosmica, concessa all’uomo dalla divinità. Soltanto pochi iniziati erano degni di ricevere questo dono, che rappresentava il punto di arrivo di un lungo percorso di auto-perfezionamento interiore.
La conoscenza segreta consisteva in uno sguardo sul mondo ultraterreno, e non serviva soltanto a soddisfare una curiosità intellettuale: al contrario, era l’unico mezzo con cui l’uomo poteva raggiungere la salvezza eterna, liberandosi definitivamente dalle sofferenze del mondo terreno.
Secondo gli gnostici, ogni uomo viene al mondo in una condizione di profonda inconsapevolezza: soltanto gettando il suo sguardo al di là del mondo materiale, in cui è immerso fin dalla nascita, può risvegliarsi dal torpore e ricordare quale sia la strada per giungere alla felicità immortale.
-->Per comprendere meglio questo concetto, bisogna constatare come l’universo descritto da Gesù nei vangeli gnostici sia profondamente dualistico. Due, anzitutto, sono i mondi che formano il cosmo. Uno è quello terreno che ci circonda, formato di materia e caratterizzato dalla legge del continuo cambiamento: si tratta di un regno lugubre, corrotto e decadente, dove ogni cosa è soggetta al dolore e alla mortalità. L’altro è il mondo ultraterreno: una dimensione incorporea di puro Spirito, caratterizzata da eternità e perfezione.
Due sono anche i sovrani che governano questi mondi. Da un lato c’è il vero Dio dello Spirito, che regna con saggezza e bontà sul reame ultraterreno. All’opposto, il mondo terreno inferiore è il dominio di un demone pazzo e malvagio che, mosso da invidia nei confronti del sovrano dello Spirito, crede di essere anch’egli una divinità. Questo falso dio della materia viene variamente denominato Demiurgo, o Primo Arconte.
Due, infine, sono anche le nature dell’essere umano. All’esterno c’è il corpo, un guscio di materia grezza plasmata dal malvagio Demiurgo, proprio come ogni altro oggetto presente nel mondo terreno: da qui provengono gli istinti primordiali, il dolore, le malattie e la mortalità. All’interno si cela una scintilla di puro Spirito, misteriosamente precipitata sulla terra dal mondo superiore. La scintilla è un frammento di Dio stesso rimasto ingabbiato nella materia, che conferisce all’uomo l’autocoscienza, l’intelletto e la razionalità. Il «terreno intermedio» tra questi due poli contrapposti è rappresentato dall’anima individuale, dimora dei sentimenti.
Secondo gli gnostici, però, non tutti gli uomini sono in possesso di una scintilla di Spirito. Ci sono individui ilici (hylé, in greco, è la materia) formati soltanto da un corpo, che nella loro vita vengono mossi esclusivamente dai piaceri della carne. Ci sono uomini psichici (psyché, in greco, è l’anima), che possiedono un guscio di carne mortale e un’anima dotata di sentimenti e intenzioni: costoro possono degradarsi come gli individui ilici, oppure seguire norme etiche di buon comportamento, nutrire la propria anima e fare del bene a sé e agli altri, pur senza mai giungere alla perfezione. Tra gli psichici, gli gnostici includevano anche i seguaci della nascente religione cristiana. Infine esistono alcuni prescelti – gli uomini spirituali – che possiedono anche la scintilla divina.
Peraltro, neppure costoro sono consapevoli dell’esistenza di un regno dello Spirito al di là dei confini del mondo inferiore: nel momento in cui è entrata in contatto con la materia, la scintilla divina ha infatti perso tutti i propri ricordi pregressi.
Di conseguenza, ogni individuo viene al mondo in una condizione di inconsapevolezza, e la ricerca della Conoscenza segreta consiste di fatto nel riuscire un poco alla volta a ricordare la propria origine divina. Dentro ogni iniziato c’è Dio stesso, che brama di ricongiungersi agli altri frammenti di sé e ritornare nel regno dello Spirito.
Per raggiungere questo risultato, l’iniziato gnostico deve dedicare tutta la propria vita all’auto-perfezionamento spirituale. Così facendo, quando giungerà la morte e la scintilla di Spirito si separerà dal corpo materiale, la sua coscienza riuscirà a sfuggire alle trappole del malvagio Demiurgo e dei suoi demoniaci servitori che regnano sulle sette sfere celesti intermedie, e attraverserà questi passaggi di confine per ritornare finalmente nel regno ultraterreno. Secondo i vangeli gnostici, la salvezza deve essere conquistata attivamente, attraverso un processo di crescita interiore. Da parte loro, il Demiurgo e i suoi mostruosi seguaci – gli Arconti – si nutrono dei dolori dell’umanità e la mantengono rinchiusa a sua insaputa nel reame terreno. Il loro unico desiderio è quello di poter tenere in gabbia le scintille divine, dalle quali sono morbosamente attratti. Il regno della materia, insomma, non è soltanto una dimensione corrotta e illusoria, ma rappresenta anche e soprattutto una prigione virtuale in cui l’uomo è condannato a ripetere ciclicamente le proprie esperienze, senza trarne alcun beneficio.
Quello terreno, secondo i vangeli gnostici, è un mondo in cui non c’è traccia del libero arbitrio, e vige la legge inesorabile del Fato (Heimarmène): non c’è alcuna possibilità di miglioramento o di progresso, dal momento che tutto è destinato a ripetersi ciclicamente. Chi non ha intrapreso e portato a termine la via della gnosi, è destinato a reincarnarsi in un nuovo corpo: così facendo, la sua scintilla di Spirito – e la sua esistenza – permangono a oltranza nel mondo terreno, sotto il tirannico dominio del Demiurgo e dei suoi Arconti.
L’unica via di scampo consiste nel dedicare la propria vita al nutrimento della scintilla, ossia della frazione di Spirito che dimora nell’anima dell’iniziato, alimentandola con la gnosis, ossia la Conoscenza segreta.
Diversamente da quanto si potrebbe pensare, ciò tuttavia non comportava necessariamente una vita di rinunce e di mortificazioni corporali. A differenza dagli altri tre grandi monoteismi, la gnosi non dà particolare importanza all’etica né alle regole di condotta quotidiana, limitandosi a disprezzare il corpo e i suoi bisogni materiali. L’esigenza è quella di liberare la propria anima dai bisogni della carne, ma la soluzione può passare indifferentemente dalla completa privazione o dalla loro piena soddisfazione.
Per questo, sia a livello alimentare che sessuale, le fonti storiche parlano di sette gnostiche rigorosamente ascetiche che predicavano la completa astinenza dagli istinti terreni, e di altre comunità «libertine» nelle quali la soddisfazione dei piaceri della carne veniva addirittura trasformata in un rito:
Dopo essersi salutati cominciano subito a banchettare, e preparano la tavola con porzioni sontuose, mangiando carne e bevendo vino anche se sono poveri. […]
Uomini e donne viziano i propri corpi giorno e notte, ungendosi, facendo il bagno, banchettando e trascorrendo il loro tempo nella prostituzione e nell’ubriachezza. E maledicono chiunque digiuni, dicendo: «Digiunare è sbagliato. Il digiuno appartiene all’Arconte che ha fatto questo mondo. Dobbiamo nutrirci in modo da rendere forti i nostri corpi, e idonei a dar frutto a suo tempo.
I seguaci di Carpocrate pensano che le mogli dovrebbero essere condivise, e per mezzo di essi la peggiore calunnia è diventata comune contro l’identità dei Cristiani. […]. Costoro, dicono, e anche altre persone inclini alla stessa debolezza, si riuniscono insieme per i banchetti, uomini e donne insieme. E dopo aver saziato i propri appetiti essi spengono le lampade […] e quindi consumano rapporti con chi vogliono e dove vogliono.
In entrambi i casi l’obiettivo era giungere alla completa rottura di ogni vincolo col proprio corpo, così da poter dedicare tutte le energie alla cura dello Spirito. L’unico divieto tassativo, anche per le comunità libertine, era rivolto alla procreazione: nell’ottica del mito gnostico, generare un nuovo individuo avrebbe significato condannare una nuova scintilla di Spirito a dimorare nel corpo del nascituro, e a rimanere prigioniera nel mondo terreno per tutta la durata della sua vita: «Nonostante giacciano insieme, costoro rinunciano alla riproduzione. È per puro piacere, e non per la riproduzione, che si dedicano alla seduzione» .
Nel Dialogo del Salvatore – uno dei vangeli gnostici ritrovati nel 1945 a Nag Hammadi – è Gesù stesso a trasmettere ai discepoli questo comandamento: «Distruggi le opere del grembo: non perché ci sia altra maniera di nascere, ma [proprio] perché così esse smetteranno di far nascere». L’obiettivo finale dell’iniziato era riuscire, al termine della propria vita terrena, a liberare il proprio io spirituale da ogni legame con il mondo terreno, sfuggendo così al Demiurgo, agli Arconti e al ciclo della reincarnazione, per ricongiungersi con Dio nel regno dello Spirito.
Vari scritti gnostici affrontano l’argomento in dettaglio: nei due Libri di Jeu, Gesù trasmette ai suoi discepoli numerose formule magiche – variamente denominate «tesori», «sigilli» e «parole d’ordine» – con le quali potranno superare i demoniaci servitori del falso dio che dimorano nelle sfere celesti e ascendere fino a riunirsi con Jeu, Signore dello Spirito.
Nella Parafrasi di Sēem, un’apocalisse gnostica ritrovata a Nag Hammadi, il protagonista apprende una litania segreta dall’emissario divino Derdekeas: al momento della sua morte, recita queste parole dopo essersi separato dal corpo, riuscendo così ad ascendere oltre i quattro strati di vapore che formano il regno inferiore della natura.
In un altro testo sacro ritrovato in Egitto, l’Apocalisse di Paolo (NHC V,2), questo processo viene descritto ancora più in dettaglio. Proprio come nel Paradiso di Dante, il protagonista viaggia attraverso i cieli, fermo restando che, trattandosi di uno scritto gnostico, lo scenario da lui incontrato nelle varie sfere ricorda piuttosto quello dell’Inferno. Nei vari cieli Paolo si imbatte negli Arconti «fustigatori di anime», che torturano gli individui dopo la morte e, dopo aver cancellato i loro ricordi, li costringono alla reincarnazione:
Guardai nel quarto cielo […] e vidi degli angeli che somigliavano a dèi. Questi angeli portavano fuori un’anima dalla terra dei morti: la posero dinanzi alla porta del quarto cielo, e la frustarono. […] Nel quinto cielo vidi un grande angelo che stringeva nella sua mano un bastone di ferro. Con lui c’erano altri tre angeli: io osservavo il loro viso. In mano tenevano delle fruste, e rivaleggiavano tra loro nello spingere le anime verso il giudizio.
Il protagonista, che ben conosce i segreti gnostici, riesce però a impartire ordini a questi carcerieri demoniaci, e ad aprirsi la strada fino al settimo cielo: «Parlai all’Esattore che era nel sesto cielo, e gli dissi: “Aprimi!”. E lo Spirito era davanti a me. Ed egli mi aprì». Nell’ultimo cielo, prima di uscire dal regno della materia, incontra anche il falso dio, che gli appare sotto forma di un vecchio dalle candide vesti: tuttavia, essendo un vero gnostico, Paolo ben conosce gli inganni del Demiurgo. Grazie alla Conoscenza esoterica acquisita durante la sua vita – qui rappresentata da un segno magico – il protagonista riesce a raggiungere l’Ogdoade, ossia il reame ultraterreno dello Spirito:
Allora salimmo al settimo cielo. Ed io vidi un vegliardo la cui luce faceva risplendere i suoi abiti bianchi. Il suo trono, nel settimo cielo, era sette volte più splendente del sole. Il vegliardo parlò dicendomi: «Dove vai, tu, Paolo? O benedetto che fosti posto da parte fin dal grembo di tua madre». […] Allora io risposi al vegliardo: «Sto andando verso il luogo dal quale sono venuto [il regno dello Spirito]». […] Il vegliardo mi replicò: «Come potrai tu sfuggirmi? Guarda! Osserva gli Arconti e le Potenze!». Rispose lo Spirito e mi disse: «Dagli il Segno che possiedi, ed egli ti aprirà». Allora gli diedi il Segno. Egli volse lo sguardo verso il basso, alla sua creazione e alle sue Potenze. Si aprì allora il settimo cielo e noi salimmo all’Ogdoade. Allora vidi i Dodici Apostoli: essi mi salutarono.
La setta gnostica degli ofiti (o adoratori del serpente) utilizzava addirittura una vera e propria mappa geografica per preparare i propri adepti a orientarsi nel loro viaggio tra le sfere celesti. Una descrizione di questo antico cosmogramma, il Diagramma degli ofiti, ci perviene indirettamente dagli scritti del filosofo cristiano Origene.
In definitiva – come ben sintetizza lo storico Augusto Cosentino – nello gnosticismo,
l’idea dell’ascensione è legata alla liberazione dai vizi, le «appendici» che si sono aggregate attorno allo Spirito durante la sua discesa nella materia attraverso i cieli. L’altro aspetto è il superamento delle barriere poste dagli Arconti, che può avvenire con l’aiuto dei sacramenti (che «corazzano» o rendono addirittura invisibile l’anima) e con quello delle parole magiche e dei nomi segreti.
Conoscenze esoteriche che, a quanto pare, Gesù avrebbe trasmesso in segreto soltanto ad alcuni discepoli particolarmente meritevoli.
La Bibbia al rovescio
La visione del mondo delineata nel paragrafo precedente è molto differente da quella cristiana. Eppure, a mettere lo gnosticismo in rotta di collisione con la Chiesa delle origini furono soprattutto le conseguenze che queste teorie ebbero sulla lettura del testo sacro per eccellenza: la Bibbia ebraica.
Ciò che per i cristiani va sotto il nome di Antico Testamento è un complesso aggregato di opere e tradizioni di epoche e origini differenti: in alcuni passaggi il quadro risulta decisamente eterogeneo, se non addirittura incoerente. Le difficoltà aumentano ulteriormente qualora si cerchi di conciliarlo con il Nuovo Testamento, o più in generale con l’insegnamento di Gesù.
Nel primo capitolo della Genesi – ad esempio – si apprende che, prima della creazione, «la terra era informe e deserta, le tenebre ricoprivano l’abisso e lo Spirito di Dio aleggiava sulle acque». Quella descritta nei versetti successivi pertanto non sarebbe un’autentica creazione dal nulla, bensì una semplice riorganizzazione di questa caotica materia grezza, antica quanto Dio stesso. Successivamente Dio parla persino al plurale («facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza»), come se si stesse rivolgendo ad altre misteriose entità presenti al suo fianco.
Nel secondo capitolo si apprende che il Creatore ha plasmato l’uomo dall’argilla, lavorando con le proprie mani – come un artigiano – per dare forma al corpo umano: immagine, questa, decisamente estranea alle concezioni filosofiche in auge al tempo di Gesù.
Nel terzo capitolo, Yahweh ha addirittura tratti umanoidi: «cammina» rumorosamente nel giardino dell’Eden, si assenta momentaneamente e al suo ritorno non è in grado di capire cosa sia successo, finché Adamo, Eva e il serpente non confessano il loro misfatto… Con buona pace del Dio perfetto e onnisciente del cristianesimo!
L’elenco degli episodi problematici potrebbe proseguire a lungo, passando per il crudele Diluvio universale, la stipula di un patto con l’umanità in cui Yahweh si impegna a non ripetere più questo tipo di sterminio e la successiva decisione di scagliare comunque, al tempo di Abramo, un analogo cataclisma contro le città di Sodoma e Gomorra. Particolarmente controversa è anche la figura di Sabaoth, signore degli eserciti, identità guerriera che il Dio di Israele assume durante le molte peripezie del popolo ebraico. Si tratta di una divinità spesso collerica e vendicativa, che sul monte Sinai ordina a Mosè e agli Israeliti di non avere «altro dio all’infuori di lui» 16. Quasi a sottintendere che, in realtà, un’altra figura divina possa effettivamente esistere.
Com’è evidente, si tratta di aspetti difficilmente conciliabili con il ritratto del Padre buono e misericordioso tracciato da Gesù. La chiave di lettura cristiana tende ad appianare gli elementi problematici della Bibbia ebraica osservati in precedenza, razionalizzandoli quanto più possibile. I vangeli gnostici, al contrario, fanno esplodere queste contraddizioni, proponendo una rilettura rivoluzionaria del testo sacro, così da rovesciarne sistematicamente l’interpretazione.
Rinunciando alla ricerca di un equilibrio, i seguaci della gnosi identificano il collerico Yahweh-Sabaoth dell’Antico Testamento con il Demiurgo, ossia con il demoniaco falso dio della materia di cui si è parlato nel paragrafo precedente. Adamo, Noè, Abramo e gli altri patriarchi avrebbero insomma venerato un malvagio impostore, autoproclamatosi sovrano del mondo terreno e Dio di Israele. Gli gnostici lo denominano Yaldabaoth, deformando i due nomi divini utilizzati nella Bibbia ebraica, e lo descrivono come un tiranno pazzo e crudele dalle sembianze animalesche. Al contrario, colui che Gesù chiama Padre è il vero Dio dello Spirito, benevolo e misericordioso signore del reame ultraterreno situato oltre le sette sfere celesti intermedie.
Partendo da questo presupposto, nei vari scritti apocrifi ritrovati a Nag Hammadi incontriamo una vera e propria «versione rovesciata» del racconto della Bibbia ebraica.
Per quanto riguarda lo «Spirito di Dio che aleggiava sulle acque», la Parafrasi di Sēem descrive l’universo prima della creazione e traccia una netta separazione tra lo Spirito luminoso e l’abisso della Tenebra, formato da informe materia grezza. Si tratta di principi eterni, esistenti da sempre, al di sopra dei quali risplende la Luce divina. Uno scenario analogo ricorre anche nei miti gnostici riferiti da Ireneo di Lione, nonché in numerosi altri vangeli di Nag Hammadi. A un tratto, per via di un incidente cosmico, lo Spirito e la materia entrano in contatto, e alcuni frammenti luminosi rimangono intrappolati nell’abisso inferiore.
Tutto ciò che segue nel racconto della Genesi – ossia la separazione dei cieli e la nascita dei regni minerale, vegetale e animale – sarebbe ambientato in una fase successiva. Dall’incidente cosmico avrebbe infatti preso vita il falso dio della materia, che ora procede a organizzare il proprio dominio. Il dilemma della mancata «creazione dal nulla» è così risolto: in effetti il malvagio Demiurgo non è in grado di creare alcunché, e nella sua ignoranza si limita a plasmare e modellare l’abisso di materia informe che lo circonda, ignaro del fatto che al suo interno si celino anche dei frammenti di Spirito divino. Demiurgòs, del resto, in greco antico significa proprio «artigiano»: già Platone, cinque secoli prima degli gnostici, aveva immaginato che le imperfezioni di questo mondo non potessero che derivare dall’operato rudimentale di un dio-demiurgòs.
La creazione dell’uomo dal fango, sostanza impura per eccellenza, rappresenta il culmine dell’operato grottesco di Yaldabaoth: la vicenda è narrata, tra gli altri, nell’Ipostasi degli Arconti e nell’origine del mondo, due scritti gemelli ritrovati a Nag Hammadi.
Un altro vangelo gnostico, l’Apocrifo di Giovanni, ripercorre l’episodio soffermandosi in particolare su alcune espressioni utilizzate da Yahweh nell’Antico Testamento, qui invece attribuite al malvagio Yaldabaoth e ai suoi demoniaci servitori, gli Arconti:
Guardando alla creazione che lo circondava e alla moltitudine di angeli [gli Arconti] intorno a lui, quelli che sono stati tratti all’essere da lui, disse: «Io, io sono un dio geloso e non c’è alcuno sopra di me». Ma, dicendo ciò, egli diceva agli angeli che stavano con lui che c’era un altro dio. Se infatti non ci fosse stato un altro, di chi sarebbe stato geloso? […]
E disse agli Arconti che erano con lui: «Andiamo, creiamo un uomo a immagine di Dio, e a nostra somiglianza».
Come mai, allora, il secondo capitolo della Genesi racconta che Yahweh ha soffiato lo Spirito immortale dentro il corpo di Adamo? All’interno del Demiurgo Yaldabaoth – spiega l’Apocrifo di Giovanni – era presente un residuo di luce spirituale a seguito dell’incidente cosmico. Si trattava di una componente estranea, che fortunatamente Yaldabaoth non sapeva di possedere. Con l’inganno, le forze del Bene lo hanno indotto a soffiarla nel corpo di Adamo, così da privarsene e indebolire sé stesso: «[Le Luci] dissero a Yaldabaoth: “Soffia sul suo volto il tuo Spirito, e il suo corpo si alzerà”. Ed egli soffiò su di lui il suo Spirito […]. Non lo sapeva, perché viveva nell’ignoranza […]. Il corpo si mosse, e diventò potente e luminoso».
Giungiamo così all’episodio dell’Eden, di cui già si è parlato: il malvagio Demiurgo si rende conto che Adamo ed Eva ora possiedono una scintilla di spirito divino. Deciso a riprendersela, cerca di impedire loro l’accesso alla gnosis, la Conoscenza: recuperando i ricordi della scintilla divina, i due potrebbero fuggire dalla prigione terrena. Il serpente, emissario del vero Dio dello Spirito, manda però a monte i piani di Yaldabaoth, convincendo la donna a trasgredire il divieto. Per gli gnostici Eva non è la causa del peccato originale, ma diviene anzi un’eroina positiva. Nell’Apocalisse di Adamo, il protagonista rivela al figlio Seth che: «[Tua madre Eva] mi fece conoscere una parola di Conoscenza riguardo al Dio eterno ed al fatto che eravamo simili ai Grandi Angeli eterni. Noi infatti eravamo superiori al dio che ci aveva plasmati ed alle potenze che stanno insieme a lui».
Questo rovesciamento di prospettiva ebbe conseguenze macroscopiche sul ruolo sociale della donna: nelle sette gnostiche vi erano profetesse, sacerdotesse e autorità di sesso femminile 24, aspetto che suscitava l’indignazione dell’ala più patriarcale e tradizionalista della Chiesa delle origini: «Le stesse donne eretiche, come sono sfrontate! Osano insegnare, disputare, compiere esorcismi, promettere guarigioni, forse persino battezzare».
Nel paragrafo precedente si è già descritto il mito delle tre stirpi in cui sarebbe suddivisa l’umanità: gli individui ilici, formati da pura materia; gli psichici, dotati di un corpo e un’anima; gli spirituali, prescelti in possesso di una scintilla divina. Secondo alcune versioni del mito gnostico, la tripartizione nascerebbe con i figli di Adamo ed Eva: Abele, Caino e Seth. Quest’ultimo, lasciato in secondo piano dalla Genesi, è l’unico a ereditare la scintilla di Spirito e la conoscenza segreta, portando avanti la ribellione contro il Demiurgo. Per molti gnostici, Seth diventa pertanto un capostipite mitico da cui far discendere le proprie origini. Possedendo la gnosis, il figlio di Adamo sarebbe stato il primo uomo a elevarsi a entità divina, sfuggendo ai limiti del mondo terreno. Secondo il Vangelo di Giuda, lo stesso Gesù Cristo non sarebbe altri che Seth, tornato sulla terra per salvare definitivamente l’umanità.
L’Apocalisse di Adamo e la Parafrasi di Sēem proseguono poi il racconto biblico, ripercorrendo anche le vicende del Diluvio universale e della distruzione di Sodoma e Gomorra. A scatenare i cataclismi è sempre il malvagio Yaldabaoth, deciso ad annientare l’umanità per recuperare la scintilla di Spirito che si cela nel cuore dei prescelti.
Ogni volta, però, gli gnostici sopravvivono agli assalti del signore della materia, protetti dall’intervento ultraterreno delle forze della Luce. Al contrario, Noè e Abramo scelgono di sottomettersi a Yaldabaoth, diffondendo il suo culto: secondo la Parafrasi di Sēem, i due patriarchi sarebbero addirittura dei demoni dalle sembianze umane.
La svolta finale giunge con Gesù di Nazareth, che per gli gnostici è un’emanazione luminosa del Signore dello Spirito venuta sulla terra per smascherare una volta per tutte gli inganni del Demiurgo e rivelare la vera identità di Dio Padre.
Non stupisce che la predicazione di Gesù si discosti dalle dottrine dell’Antico Testamento: l’idea di accorpare le due divinità sarebbe anzi il frutto dell’incapacità di Pietro e degli altri apostoli di comprendere il vero messaggio di Gesù.
Si è già detto come, per gli gnostici, la crocifissione non sia altro che una messinscena senza valore, che coinvolge un corpo vuoto dai tratti addirittura demoniaci: la salvezza non giunge all’uomo passivamente, per effetto del sacrificio di Gesù, ma deve essere conquistata dagli iniziati con l’apprendimento delle sue rivelazioni segrete. Solo mettendo in pratica i suoi insegnamenti l’umanità cesserà di riprodursi e di alimentare il ciclo delle reincarnazioni, dedicando invece le proprie energie al perfezionamento spirituale e alla fuga dalla prigionia in questo mondo-prigione.
Da ultimo, i vangeli gnostici si soffermano anche sulla sorte dell’umanità alla fine dei tempi: le forze del Seme dello Spirito combatteranno contro la Potenza della materia, e la annienteranno: «Allora il Seme combatterà contro la potenza […] ed una nube di tenebra verrà sopra di loro […]. Allora grideranno a gran voce i popoli, che diranno: “[…] Abbiamo riconosciuto che le nostre anime periranno nella morte!”».
Il Demiurgo, il mondo terreno e ogni oggetto corporeo, inclusi i corpi degli uomini, si dissolveranno nel nulla. La vita di quanti hanno seguito gli istinti della materia finirà così – senza alcun inferno – in un oblio eterno. Le scintille di Spirito divino, ossia i singoli «io» degli gnostici, ascenderanno invece al regno ultraterreno e si uniranno a Dio, raggiungendo la perfezione eterna. Di fatto, al termine della propria esistenza, l’adepto gnostico «diventerà Dio» a tutti gli effetti. Sulla soglia del regno divino verranno infine ospitate le anime degli uomini psichici che hanno vissuto rettamente: costoro parteciperanno a distanza alla gioia celeste, senza però mai unirsi al Padre.
L’intera storia del mondo rappresenta così un complesso disegno messo in atto da Dio stesso per accrescere la propria perfezione, tramite la temporanea prigionia e maturazione delle sue scintille sulla terra.
Cronache di un incidente cosmico
Diversamente da quanto accade nella Bibbia ebraica, nei vangeli apocrifi l’uomo non crea il Male con le sue scelte, ma al contrario ne è vittima. Secondo gli gnostici, il Male è una forza primordiale che scaturisce dalla materia stessa che permea il nostro mondo: è di qui che provengono la violenza e l’ingiustizia, ma anche la degenerazione fisica, la sofferenza e il dolore. In altri termini, il Male è un compagno di viaggio indesiderato, di cui l’uomo non può fare a meno.
La domanda sorge spontanea: come mai dei frammenti di Spirito divino si trovano imprigionati in questa triste realtà? In altre parole, come mai l’uomo è dotato di autocoscienza esattamente come Dio, ma al tempo stesso è afflitto da una vita breve, ingiusta e dolorosa?
Come si è accennato nel capitolo precedente, secondo gli gnostici tutto ha avuto inizio ben prima della creazione di Adamo ed Eva. In principio «la terra era informe e deserta, le tenebre ricoprivano l’abisso e lo Spirito di Dio aleggiava sulle acque». Poi, secondo i vangeli di Nag Hammadi, ci sarebbe stato un incidente cosmico, e il mondo divino dello Spirito sarebbe entrato in contatto con l’abisso inerte della materia grezza. Da questo «Big Bang gnostico» avrebbe avuto origine il mostruoso Demiurgo, un demone pazzo e malvagio, dotato di una scintilla di immortalità divina e di una mente materiale, corrotta e volubile. Al tempo stesso, nel mondo terreno sarebbero rimasti imprigionati insieme al Demiurgo anche alcuni frammenti di Spirito divino, destinati poi a dare vita all’umanità.
Qual è la causa di questo incidente cosmico primordiale? Non esistendo un unico «dogma gnostico», disponiamo di varie versioni del mito. Al netto delle differenze nei vari racconti, è possibile individuare uno schema di fondo comune.
Una versione particolarmente diffusa era quella adottata dalla setta gnostica di Valentino, tramandataci dal vescovo Ireneo di Lione. In un primo momento, Dio si manifesta nel Regno dello Spirito sotto forma di trenta persone divine, organizzate in quindici coppie maschili-femminili. Queste entità, dette eoni, sono paragonabili alle varie persone della Trinità cristiana. Complessivamente formano il Pleroma, che in greco antico significa «pienezza»: la perfezione divina. In questa versione del mito, il Dio gnostico è sia maschile che femminile e ha molteplici identità: tra gli Eoni divini compare anche «Uomo», modello ideale e perfetto del futuro essere umano terreno:
[Gli gnostici valentiniani] dicono che esisteva, nelle altezze invisibili ed innominabili, un Eone perfetto, che esisteva prima di tutto. Questo Eone essi lo chiamano pro-principio, pro-padre e Abisso. Era invisibile, e nessuna cosa lo poteva contenere. Per il fatto che non poteva essere contenuto da nessun altro, e per il fatto che era invisibile, era stato in profondo riposo e tranquillità per una infinità di secoli. Con lui c’era anche Pensiero, che chiamano pure «Grazia» e «Silenzio». Ora un bel giorno questo Abisso volle emettere, a partire da se stesso, un abisso che fosse principio di tutte le cose; volle mandar fuori questa emissione come un seme, e la depose nel seno della sua compagna Silenzio. Ella ricevette questo seme, e resa incinta, generò Intelletto: simile e uguale a colui che l’aveva emesso, il solo capace di comprendere la grandezza del Padre. Questo Intelletto lo chiamano anche Monogeno, Padre e Principio di tutte le cose. Con lui fu emessa Verità. È questa la primitiva e fondamentale Tetrade pitagorica, che essi dicono radice di tutte le cose. Ricapitolando: Abisso e Silenzio, e poi Intelletto e Verità. Ora questo Monogeno, avendo preso coscienza del fatto di essere stato emesso, emise a sua volta Logos e Vita, padre di tutti coloro che verranno dopo di lui, principio e formazione di tutto il Pleroma. Da Logos e Vita furono emessi a loro volta, in coppia, Uomo e Chiesa. Ed ecco la prima Ogdoade, radice e sostanza di tutte le cose, che è chiamata presso di loro in quattro modi: Abisso, Intelletto, Logos, Uomo. Ciascuno di questi è in effetti maschio-femmina: in principio il Pro-Padre si è accoppiato e unito in coppia con il suo Pensiero, che chiamano anche Grazia e Silenzio; quindi il Monogeno – cioè l’Intelletto – con la Verità, poi il Logos con la Vita; infine l’Uomo con la Chiesa. Ora tutti questi Eoni, emessi per la gloria del Padre, volendo a loro volta glorificare il Padre con qualcosa di proprio, emisero delle emanazioni in coppia: Logos e Vita, dopo aver emanato Uomo e Chiesa, emisero altri dieci Eoni, dei quali i nomi sono Abissale e Confusione, Sempre-giovane e Unicità, Autoprodotto e Piacere, Immobile e Mescolanza, Unigenito e Felicità. Sono questi – dicono – i dieci Eoni emessi da Logos e Vita. Anche l’Uomo, con la Chiesa, emise dodici eoni, ai quali danno questi nomi: Paraclito e Fede, Paterno e Speranza, Materno e Carità, Eterno e Comprensione, Ecclesiastico e Beatitudine, Desiderato e Sophia.
Questi sono i trenta Eoni […]. Questo è il Pleroma invisibile e spirituale, in base alle loro teorie, diviso in tre parti: l’Ogdoade, la Decade e la Dodecade.
A causare l’incidente cosmico primordiale è proprio l’ultima di queste manifestazioni divine, Sophia. In altre parole, è Dio stesso a commettere un «errore di gioventù», provocando la nascita del mondo terreno e la prigionia del genere umano nella materia.
Sophia, in greco, significa conoscenza. Non a caso, ciò che spinge Sophia a causare il famigerato incidente cosmico è proprio il suo insaziabile desiderio di saperne di più. Spinta dalla curiosità, prende un’iniziativa avventata senza agire insieme alla propria metà maschile, Desiderato:
L’ultimo e più giovane Eone della Dodecade che era stata emessa dall’Uomo e dalla Chiesa, cioè Sophia, fu colpito da violenta passione, senza accoppiamento con il compagno Desiderato […]. Questa passione consisteva nella ricerca del Padre: infatti Sophia voleva – come essi dicono – conoscere la grandezza di questo Padre. Ma giacché non ci riusciva, accadeva che si mettesse a fare una cosa impossibile, per cui si trovò in un grande combattimento a causa della grandezza dell’Abisso e per il fatto che il Padre è inaccessibile […]. Protendendosi sempre più avanti, stava infine per essere inghiottita dalla dolcezza del Padre e dissolversi.
Sophia desidera vedere il Padre-Abisso e comprendere come abbia fatto a emanare la vita: trattandosi però di un potere inesplorabile, quando lo osserva rischia di esserne distrutta. Esposta alla potenza creatrice del Padre-Abisso, Sophia viene ingravidata per errore e dà vita a un abominio informe, un bambino creato da lei sola, senza la controparte maschile: «Avendo intrapreso un’azione impossibile e incomprensibile, Sophia partorì la sostanza informe, una natura quale poteva partorire una donna. Essendosene accorta, dapprima si rattristò per il carattere incompiuto del frutto che aveva generato».
Resasi conto dell’errore appena commesso, Sophia proietta al di fuori del regno divino una copia materiale di sé stessa. Fatto ciò, trasferisce il feto deforme nel grembo della nuova entità, liberando così il mondo dello Spirito da questo abominio. Nasce così il Demiurgo, creatura mostruosa, orfana ed emarginata, che viene relegata nel mondo inferiore della materia. Abbandonato a sé stesso e invidioso del Vero Dio, darà vita alla prigione terrena e ad Adamo ed Eva.
In un’altra versione del mito, Sophia non ascende verso l’alto per assistere alla creazione dell’universo, ma al contrario si dirige verso il basso e si immerge nelle acque informi della materia primordiale per esplorarle:
Scendendo semplicemente nelle acque, che erano immobili, le mosse, agitandole sfacciatamente fino agli abissi, e assunse da quelle un corpo. Infatti tutte le cose accorsero verso l’umidità della sua luce, e, dicono, aderirono ad essa e la circondarono. Legata con un corpo che proveniva dalla materia, e del tutto appesantita da esso, ad un certo punto rinsavì, cercando di sottrarsi alle acque e risalire alla Madre. Non ci riuscì, per la pesantezza del corpo che la circondava.
La distesa di materia grezza e oscura, risvegliata dalla luce spirituale di Sophia, cerca di inglobare l’incauta esploratrice e la trascina in profondità. Assalita dalle acque, Sophia viene violentata e ingravidata. Lottando per risalire verso il mondo dello Spirito, lascia dietro di sé un feto informe: il Demiurgo.
Il vangelo gnostico Pistis Sophia presenta una soluzione intermedia: all’inizio dei tempi, Sophia desidera vedere il DioPadre e carpire il segreto della creazione. Scorgendone il riflesso nelle acque primordiali del caos, scende nella materia primordiale e viene assalita dal perfido signore della materia, l’Arrogante:
[Sophia] dunque guardò in basso, e nelle parti inferiori vide la forza luminosa di costui: ignorava che questa apparteneva al dotato di triplice forza, l’Arrogante, e pensava che provenisse dalla Luce che si era vista in alto all’inizio dei tempi, che provenisse dal velo del tesoro della Luce. Pensava: voglio andare in quel luogo senza il mio compagno, prendere la Luce e crearmi degli Eoni luminosi.
A prescindere dalle varie versioni, è evidente che Sophia commette un peccato di conoscenza. In altri termini, il «giovane Dio» agisce d’impulso, esplora le acque inferiori e viene contaminato dalla materia. Il contagio viene poi espulso dal regno divino e isolato in quello terreno, originando così un falso dio, il Demiurgo.
Nella Parafrasi di Sēem, uno scritto gnostico più tardo composto nella prima metà del III secolo, la prospettiva è ribaltata. La narrazione ha inizio nelle oscure profondità della materia: è qui che un’entità primordiale – l’occhio della Mente – decide di alzare il proprio sguardo e iniziare a esplorare lo Spirito divino che lo sovrasta. Animato da curiosità e da una primitiva forma di ragione, l’occhio è però incapace di afferrare la grandezza di ciò che sta vedendo. Con la sua sete sfrenata di conoscenza, commette lo stesso peccato di Sophia, seppure «dal basso».
Lo Spirito divino, mosso a compassione, dona alla Mente una scintilla della propria luce, così che possa sopravvivere alla visione della divinità senza restarne accecata. In questo modo, però, una parte della luce dello Spirito rimane così bloccata nel regno inferiore. Inizia così una lotta millenaria tra Dio e la materia per liberare l’occhio e le scintille di luce: alla fine dei tempi, anche la Mente andrà ad arricchire il regno divino.
Gli eredi di Gesù?
Nei vangeli ritrovati a Nag Hammadi, gli gnostici mettono apertamente in discussione il ruolo di Simon Pietro come unico successore di Gesù.
Sebbene esista un’Apocalisse di Pietro (NHC VII,3) nella quale il fondatore della Chiesa figura come un seguace della gnosi, nella maggior parte dei casi il leader dei primi cristiani viene descritto come un discepolo ottuso, che non riesce mai a comprendere il messaggio di Gesù. In più circostanze ne fraintende gli insegnamenti, si ferma al significato letterale, è condizionato dai pregiudizi e coltiva invidia nei confronti dei compagni: l’intenzione, neppure troppo velata, è quella di estendere il ritratto caricaturale anche ai primi cristiani.
In particolare, gli gnostici sostengono che il passo evangelico in cui Gesù designa Pietro quale proprio successore sia frutto di una mistificazione, inserendosi così in una vivace polemica che già animava dall’interno il mondo cristiano delle origini.
Inizialmente, infatti, molte comunità non avevano riconosciuto l’autorità di Pietro, bensì quella di Giacomo il Giusto, fratello di Gesù: a lui faceva capo l’area della Chiesa primitiva più vicina alla tradizione ebraica, da cui provenivano alcuni scritti destinati a rimare esclusi dal canone biblico, come il Vangelo dei nazorei, il Vangelo degli ebioniti e il Vangelo degli ebrei .
Secondo queste fonti, dopo la sua resurrezione Gesù sarebbe apparso proprio a Giacomo, conferendogli il ruolo carismatico di testimone del Risorto. Curiosamente, l’episodio è riportato anche da Paolo nella sua Prima Lettera ai Corinzi, dove però viene accuratamente subordinato a una sua precedente apparizione a Pietro e ai dodici apostoli, onde evitare di riconoscere a Giacomo uno scomodo primato.
Gli stessi Atti degli Apostoli ci confermano tuttavia come fu proprio il fratello di Gesù, dapprima insieme a Pietro e Giovanni e successivamente da solo, a guidare la prima comunità cristiana della Palestina. Proprio per via della sua vicinanza al mondo giudaico, pare che Giacomo sia entrato più volte in conflitto – forse anche fisicamente – con Paolo, convinto sostenitore di un’apertura al mondo pagano, oltre i confini del mondo ebraico. A quanto pare fu solo dopo la morte violenta del fratello di Gesù, probabilmente avvenuta durante le rivolte che precedettero la prima guerra giudaica contro Roma, che Pietro ottenne la guida della Chiesa delle origini e Paolo vide riconosciuta la propria linea.
Al di là di questi piccoli indizi, nel Nuovo Testamento la figura di Giacomo il Giusto viene relegata nell’ombra: in ambito ecclesiastico è addirittura conosciuto con l’appellativo di «Giacomo il minore», pur essendo stato, di fatto, il primo pontefice della storia!
Da parte loro, gli gnostici non lasciarono cadere nell’oblio la figura dello scomodo «fratello del Signore». Al contrario, nel Vangelo di tommaso (NHC II,2) Gesù lo proclama espressamente quale suo successore: «I discepoli dissero a Gesù: “Sappiamo che stai per lasciarci. Chi sarà la nostra guida?”. Gesù disse loro: “Dovunque siate, dovete andare da Giacomo il Giusto, per amore del quale vennero all’esistenza il cielo e la terra”».
Non a caso, tra gli scritti ritrovati a Nag Hammadi sono presenti anche due apocalissi che lo vedono protagonista. La Prima Apocalisse di Giacomo (NHC V,3), in particolare, si focalizza sul suo percorso di formazione e di crescita, dalla morte di Gesù fino al martirio finale. Durante questo cammino, il fratello del Messia riceve dal Risorto la Conoscenza segreta e si trasforma progressivamente da discepolo impaurito in primo Maestro della gnosi:
Giacomo aveva paura e piangeva: era molto rattristato. Sedettero su una pietra. Il Signore gli disse: «Giacomo, così accoglierai queste sofferenze! Ma non essere triste: la carne infatti è debole: essa riceverà ciò che le è stato destinato. Tu, però, non essere angustiato, non avere paura». Il Signore tacque. Giacomo asciugò le lacrime dai suoi occhi, e restò molto amareggiato a causa della [propria] pusillanimità. Il Signore allora gli disse: «Giacomo, ora io ti rivelerò la tua salvezza […]».
[…] Allora Giacomo se ne andò dopo aver rimproverato i Dodici [apostoli], infuso in essi la gioia della Gnosi e consolidato il loro pensiero.
Il martirio del protagonista, avvenuto durante l’assedio di Gerusalemme, spezzerà però il ciclo virtuoso di diffusione dello gnosticismo. Successivamente il testo si interrompe: nelle pagine seguenti, con ogni probabilità, Giacomo sarebbe dovuto ascendere oltre le sfere celesti, libero dai vincoli del corpo, mentre gli apostoli avrebbero dovuto abbandonare le loro cattive abitudini sotto la nuova guida di Pietro. Secondo questa versione, Giacomo sarebbe il capostipite della gnosi, in contrapposizione ai Dodici, fondatori del cristianesimo.
Altra figura di spicco nei testi sacri gnostici è quella dell’apostolo Tommaso – detto Didimo – figura minore che, nel Vangelo di Giovanni, è protagonista del celebre episodio di incredulità nei confronti della risurrezione corporea di Gesù:
Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dissero allora gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò».
Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, si fermò in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano, e mettila nel mio costato; e non essere più incredulo ma credente!». Rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno!».
Completamente diversa è la posizione degli gnostici, per i quali Tommaso è il discepolo più brillante e intuitivo:
Gesù disse ai suoi discepoli: «Paragonatemi a qualcuno e ditemi come sono». Simon Pietro gli disse: «Sei come un messaggero giusto». Matteo gli disse: «Sei come un filosofo saggio». Tommaso gli disse: «Maestro, la mia bocca non è assolutamente in grado di dire a cosa sei simile». Gesù disse: «Non sono [più] il tuo maestro. Hai bevuto e ti sei inebriato dell’acqua viva che ti ho offerto».
In questo caso non siamo di fronte a un leader, come nel caso di Giacomo il Giusto, bensì a un iniziato esemplare, che comprende le parole di Gesù e ne decifra il significato nascosto andando in profondità. Tommaso è un modello di comportamento per tutti i lettori dei vangeli gnostici: se Giacomo è il successore «politico» di Cristo, Tommaso è invece il successore spirituale.
Accanto a questi due discepoli secondari, la gnosi eleva al rango di erede di Cristo anche Maria Maddalena, figura femminile relegata dal Nuovo Testamento al ruolo di personaggio silente. Il racconto lascia intuire un ruolo di spicco nella cerchia di Gesù, e la vede protagonista del ritrovamento della tomba vuota: eppure, i quattro vangeli canonici non riportano alcun suo discorso diretto, e nel racconto degli Atti degli Apostoli la donna di Magdala scompare del tutto dalla scena.
Nei vangeli gnostici, al contrario di quanto vorrebbero le romanzesche suggestioni del Codice da Vinci, Maria non è l’amante o la consorte di Gesù. Secondo Dan Brown – e vari autori di saggistica – in un passo particolarmente frammentario e accidentato del Vangelo di Filippo si potrebbe leggere quanto segue: «La compagna del Salvatore è Maria Maddalena. Cristo la amava più di tutti gli altri discepoli e soleva spesso baciarla sulla bocca. Gli altri discepoli ne furono offesi ed espressero disapprovazione. Gli dissero: “Perché la ami più di tutti noi?”».
A causa del forte danneggiamento del papiro, il testo a nostra disposizione è in realtà quello qui riportato: «E la compagna del [ ] Maria Maddalena [ ] amava [ ] più dei discepoli e [soleva?] spesso baciarla su [ ]. Gli altri discepoli [ ]. Essi gli dissero: “Perché la ami più di tutti noi?”».
Al netto delle lacune, il brano deve essere opportunamente contestualizzato. Nel manoscritto copto ritrovato a Nag Hammadi, il termine «compagna» è espresso dalla parola koinonos. Si tratta di un prestito linguistico dal greco antico, riportato nel testo senza traduzione. Tutto lascia pensare che il copista si sia trovato di fronte a un concetto complesso, di difficile resa in lingua copta, e abbia deciso pertanto di mantenerlo nella forma originale. Fermo restando che, altrove, lo stesso Vangelo di Filippo utilizza il termine copto shime, «moglie», per indicare il rapporto coniugale.
Con ogni probabilità, il termine koinonos significa qualcos’altro: secondo vari storici e linguisti, la radice koinon-, adoperata in quest’occasione, indica piuttosto un legame di natura magico-spirituale. Certo, è senz’altro possibile che il termine porti anche con sé una sfumatura di natura sessuale, ma il rapporto di fondo non è quello che accomuna due «innamorati», bensì due iniziati. In altri termini, compagni sono coloro che condividono una comune appartenenza a un gruppo esoterico. Secondo gli gnostici, l’Uomo divino era originariamente androgino, e ogni individuo doveva riunirsi alla propria metà mancante per ricomporre la Sizigia, una coppia perfetta maschile-femminile che caratterizza il Regno dello Spirito. In questi termini, secondo il Vangelo di Filippo Maria è la metà spirituale di Gesù, la persona che lo completa e gli consente di raggiungere la perfezione.
Analogo è il significato del bacio iniziatico sulla bocca, che per gli gnostici rappresentava un gesto simbolico di riconoscimento e di trasmissione della Conoscenza riservato ai soli adepti. Il Logos, ossia il Verbo salvifico divino, passava da una bocca all’altra, garantendo la trasmissione della scintilla di Spirito. A spiegarlo, peraltro, è lo stesso Vangelo di Filippo, qualche pagina prima del passo in questione: «Il Logos esce di lì; sarebbe stato nutrito dalla bocca e sarebbe diventato perfetto. I perfetti sono concepiti e vengono alla luce per mezzo di un bacio. Per questo noi stessi siamo spinti a baciarci reciprocamente, e riceviamo reciprocamente fecondazione dalla grazia che è in noi».
Insomma tra Gesù e Maria Maddalena vi sarebbe stata una comunione spirituale molto speciale, che la rendeva una discepola prediletta e attirava le invidie dei dodici apostoli («Perché la ami più di tutti noi?»). Atteggiamento di invidia collettiva peraltro difficilmente giustificabili nel caso di una semplice relazione coniugale.
Che la Maria Maddalena dei vangeli gnostici non sia una «moglie segreta di Gesù», ma piuttosto la sua discepola prediletta e la sua erede spirituale, lo si intuisce anche dallo stesso Vangelo gnostico di Maria, in cui si racconta il conflitto tra lei e Pietro all’indomani della dipartita di Gesù:
Dopo aver detto queste cose, [Gesù] se ne andò; ma essi erano afflitti. Piansero molto, e dissero: «Come potremo andare dai gentili e predicare il vangelo del Regno del vero Figlio dell’Uomo? Se non hanno risparmiato lui, risparmieranno forse noi?». Allora Maria si alzò, li abbracciò tutti, e disse ai suoi fratelli: «Non piangete, non affliggetevi e non siate indecisi, perché la sua Grazia sarà completamente con voi e vi proteggerà. Ma piuttosto preghiamo la sua grandezza, perché ci ha riuniti insieme e ci ha resi esseri umani». Dicendo questo, Maria rivolse i loro cuori verso il bene ed essi iniziarono a discutere le parole del [Salvatore]. Pietro disse a Maria: «Sorella, noi sappiamo che il Signore ti amava più del resto delle altre donne. Dicci le parole del Signore che tu ricordi e conosci e che noi non abbiamo sentito». […]
Dopo che ebbe detto ciò, Maria tacque, perché era fino a questo punto che il Signore le aveva parlato. Ma Andrea rispose, e le disse: «Dite pure quel che volete, riguardo a quel che ha detto. Quanto a me, io non credo che il Salvatore abbia detto ciò. Perché questi insegnamenti sono chiaramente dei principi strani». Riguardo alle stesse cose rispose e parlò anche Pietro, e li interrogò riguardo al Salvatore: «Davvero Egli ha parlato in segreto a una donna, non apertamente e senza che noi lo sapessimo? Ci dobbiamo ricredere tutti e ascoltare lei? Forse Egli l’ha anteposta a noi?». Allora Maria pianse e disse a Pietro: «Pietro, fratello mio, che cosa credi? Pensi che io abbia inventato questo nel mio cuore? O che io menta riguardo al Salvatore?».
Levi replicò a Pietro dicendo: «Tu sei sempre irruente, Pietro! Ora, io vedo che ti scagli contro la donna come fanno gli Avversari. Se il Salvatore l’ha resa degna, chi sei tu che la respingi? Non v’è dubbio, il Salvatore la conosce bene. Per questo amava lei più di noi. Vergogniamoci, piuttosto, rivestiamoci dell’uomo perfetto, e formiamoci come Egli ci ha comandato. Preghiamo il vangelo e non creiamo altre norme o altre leggi oltre a quel che il Signore ha detto». Detto ciò, Levi se ne andò [con Maria] ad annunciare e predicare il vangelo.
Ancora una volta il fondatore della Chiesa cristiana viene presentato come un usurpatore, che fraintende il messaggio di Gesù e sottrae la leadership all’erede designata. Dietro il brano si cela anche la violenta polemica tra gnostici e cristiani sul ruolo sociale della donna, polemica che deriva da un’opposta concezione della figura mitica di Eva, come si è visto nel paragrafo precedente.
Nei vangeli apocrifi, Maria Maddalena diventa così una maestra spirituale e una profetessa, a testimonianza di quanto effettivamente avveniva in queste comunità. Anzi, secondo un passo controverso della Prima Apocalisse di Giacomo, sarebbe stata proprio la Maddalena a istruire il fratello di Gesù nel suo percorso di crescita spirituale:
Getta lontano da te il calice, ossia l’amarezza. Poiché alcuni di essi si ergono contro di te per il fatto che tu hai iniziato a comprendere le loro radici, dall’inizio alla fine. Getta lontano da te ogni iniquità, e fai attenzione affinché non siano invidiosi. Mentre dici queste Parole di Percezione, lasciati persuadere [da quelle] […] di Maria.
Cosa c’è di vero alla base di questi racconti? Giacomo il Giusto, Tommaso, Maria Maddalena e Filippo ebbero davvero qualcosa a che fare con le origini dello gnosticismo? Gesù trasmise realmente loro un messaggio segreto destinato a competere per secoli con quello cristiano?
Alla luce delle poche testimonianze storiche in nostro possesso, è impossibile saperlo con certezza. I quattro vangeli canonici utilizzati dai cristiani sono sicuramente antichissimi, ma tre di essi (Marco, Matteo e Luca) dipendono dalla stessa fonte.
Da parte sua, la gnosi vanta alcune testimonianze risalenti pressappoco allo stesso periodo storico, come l’Apocalisse di Adamo e una fonte interna al Vangelo di tommaso, che sembrano entrambe risalire alla fine del I secolo d.C. Inoltre l’antichità della gnosi trova conferma negli stessi Atti degli Apostoli, dove viene introdotta la figura di Simon Mago, esponente e caposcuola del movimento.
Una delle poche certezze di cui disponiamo è che nei primi cento anni dopo la morte di Cristo andò in scena una dura contesa tra questi due gruppi religiosi in merito a quale fosse il vero messaggio del Messia. Dal momento che Gesù non aveva lasciato testimonianze scritte, i cristiani rivendicavano l’autenticità del proprio messaggio, facendolo discendere dai resoconti di Pietro e degli apostoli principali, testimoni diretti degli eventi. Da parte loro, gli gnostici sostenevano di discendere da figure minori, lasciate in ombra dalla narrazione della Chiesa: attribuendo i propri scritti sacri a figure come Giacomo il Giusto, Tommaso, Filippo e Maria di Magdala, i seguaci della Conoscenza vantavano a loro volta fonti dirette altrettanto autorevoli, e sostenevano che Pietro fosse un usurpatore. Ciò non toglie che, a prescindere dall’autenticità o meno delle tesi accampate dalle due fazioni, lo scenario risulta quanto mai affascinante e controverso.
Salve, ho letto con interesse l’articolo, tuttavia anche tra altri scritti mi pare di ravvisare sempre il messaggio per cui “l’uomo debba abdicare al regno sulla materia”, fuggendo da esso, cosa che paradossalmente sarebbe molto propizio ad un “usurpatore”. Consiglio la lettura di “Not in his Image” di John Lamb Lash che invece svela un’altra versione del mito di Sofia, nel caso fatemi sapere cosa ne pensate
Una domanda per l’autore del testo .. a un certo punto si parla del percorso di perfezionamento spirituale e si dice che la salvezza deve essere “conquistata attivamente” (tra l’altro, questa cosa mi ha fatto pensare alla contesa sulla questione – interna al cristianesimo – della predestinazione e della salvezza).
Poco dopo si dice che “Quello terreno, secondo i vangeli gnostici, è un mondo in cui non c’è traccia del libero arbitrio, e vige la legge inesorabile del Fato (Heimarmène): non c’è alcuna possibilità di miglioramento o di progresso, dal momento che tutto è destinato a ripetersi ciclicamente”. Come si concilia “l’attivismo” per la salvezza con la cosmologia fatalistica? Forse che l’individuo che percorre il sentiero della gnosi è l’unico capace di sottrarsi al Fato ed esercitare il libero arbitrio?
Molto interessante. Sto svolgendo anche io ricerche personali intorno alla figura e storia di Gesu’ . Mi farebbe piacere avere una biblografia dettagliata delke ricerche di questo autore. Cordiali saluti
Dr. Paolo Teobaldelli
Ph. D. in linguistica e scienze della comunicazione.