L’Amore. Non tutto l’amore, ovviamente, ma alcuni aspetti politici, sociologici e narrativi che lo attraversano. E che oggi, nell’epoca della più accesa disillusione, sembrano riaffiorare in una forma alterata e pervasiva.
di Tommaso Guariento
“Perché non ci sia più l’amore
ancella di matrimoni
di lascivia
e d’un pezzo di pane.
Maledicendo i letti,
balzando giù dal materasso,
si espanda l’amore in tutto l’universo”
Vladimir Majakovskij, estratto da Di Questo
“Il tipo ideale di amore romantico afferma la radicale unicità dell’oggetto amato, l’impossibilità di sostituire l’oggetto d’amore con un altro, l’incommensurabilità dell’oggetto, il rifiuto (o l’impossibilità) di sottomettere le emozioni a calcoli e ad una conoscenza razionale, il totale abbandono di sé nei confronti della persona amata, e la possibilità (o, al limite, la potenzialità) dell’auto-distruzione e del sacrificio a beneficio dell’altro […] questa visione quasi-religiosa dell’amore ha conosciuto diverse variazioni culturali e, forse proprio a causa di ciò, è rimasta costante nel corso della storia”
Eva Illouz, Why love hurts
1.
Un tema leggero, inessenziale, qualcosa di cui si parla a mezza voce. Eppure è un tema centrale, universale, “che strappa i cuori e le menti”, per parafrasare il terzo coro dell’Antigone. Questo tema indiscreto e totalizzante è sempre stato produttore d’infiniti dialoghi, narrazioni, dispiaceri, estasi e struggimenti. Il tema di cui si parlerà in questo articolo è: l’Amore. Ovviamente, non tutto l’amore, ché infatti non si può dire, ma alcuni aspetti politici, sociologici, e narrativi che lo attraversano e che oggi, nell’epoca della più accesa disillusione, sembrano riaffiorare in una forma alterata e pervasiva.
Prendendo spunto da alcuni studi sociologici più o meno recenti (Eva Illouz e Moira Weigel), e da alcuni articoli di teoria femminista pubblicati negli ultimi mesi (Carlotta Cossutta, Laure Penny, Alexandra Schwartz), si prenderà in esame una singolare declinazione dei discorsi sull’amore. La particolare situazione che si vuol delineare è al tempo stesso descrivibile nei termini nella più astratta filosofia contemporanea e nei prodotti più comuni dell’industria culturale. Non solo: ancora più pervasivo di un romanzo rosa o dell’ultima love story di stampo hollywoodiano, l’amore è qualcosa che si infiltra in ciò che di più personale possediamo, ovvero la nostra psiche, la nostra persona.
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2.
Non si parlerà dell’amore in quanto sentimento astorico ed antropologicamente indifferente, ma di ciò che si vive, si pensa e si dice a proposito dell’amore nell’epoca post-moderna avanzata, ovvero dopo che la concezione greca, cristiana, romantica e mercantilistica di questo sentimento sono state, per così dire, acquisite e conservate. Dire eros e philia non è la stessa cosa di dire agàpe o amor dei, così come l’amore romantico e distruttivo del Werther e di Cime Tempestose non è lo stesso dei romanzi di Austen o della vita affettiva delle protagoniste di Sex and the city. Più che ad una storia dell’idea d’amore, bisogna rivolgersi ad una sociologia e ad una storia concettuale dei sentimenti, come quelle di Illouz e Weigel, che descrivono le mutazioni delle tecniche di corteggiamento e dei rituali di innamoramento dal ‘700 ad oggi senza presuppore una scena originaria d’amore che invece permane nel senso comune, ma anche nelle menti individuali, come qualcosa di eterno ed inalterabile. Il contenuto mitologico di questa scena è esposto, com’è noto, nel Simposio di Platone, e implica la fede nell’unità originaria di due corpi, l’intuizione irrazionale della propria “seconda metà” come oggetto di una visione del corpo dell’altro, l’istantaneità del momento epifanico di questa rivelazione e l’estensione eterna nel tempo di questo istante.
L’amore non è quindi (solo) un sentimento che lega e slega i corpi e le anime, ma una forza pervasiva “che tutto move”. Nonostante questa architettura sapiente sia oggi praticamente dimenticata, idee comunemente accettate come quelle di “colpo di fulmine”, “eternità dell’amore”, “anima gemella” fanno riferimento a quella tradizione.
Certamente questo mito fondatore conosce molteplici varianti, e la più interessante è quella introdotta nella poesia dell’amor cortese, che, al di là dei meriti linguistici e letterari, getta le basi di una vera e propria ontologia dell’amore, non solo come sentimento di unione perfetta di due corpi e di due anime, ma come elevazione di questo sentimento ad un entità trascendente, in questo caso il dio cristiano, così come si evince nel passaggio dalla Vita Nova alla Commedia di Dante. L’amore non è quindi (solo) un sentimento che lega e slega i corpi e le anime, ma una forza pervasiva “che tutto move”. Nonostante questa architettura sapiente sia oggi praticamente dimenticata, idee comunemente accettate come quelle di “colpo di fulmine”, “eternità dell’amore”, “anima gemella” fanno riferimento a quella tradizione – che, ricordiamolo, è una produzione culturale, politica e storica. Ma si tratta soprattutto di una tradizione narrativa e filosofica, che non corrisponde ad un sentimento interno, proprio perché, come sostiene Illouz, quando parliamo di innamoramento come forza che attrae due persone e che rivela loro un’unione destinale sconosciuta, facciamo in realtà ampio uso di concetti psicologizzanti e di script letterari. In effetti, nei romanzi di Austen, come ricorda Raffale Alberto Ventura, l’amore non è un sentimento irragionevole, ma qualcosa che media fra una scelta del partner totalmente irrazionale, romantica e distruttiva ed una logica mercantilistica ed interessata solo alle macchinazioni sociali, molto vicina alle teorie economiche del libero mercato di Adam Smith.
3.
Illouz prende sul serio la questione dei rapporti fra teorie economiche e relazioni sentimentali, affermando che la “scena primaria” dell’amore romantico distruttivo, la fusione completa di due corpi e di due anime contro il mondo, sia stata intaccata dalla razionalizzazione dei sentimenti psicanalitica (prima), evoluzionistica e neuroscientifica (poi); dalla deregulation delle tecniche di corteggiamento ed infine dagli attuali dispostivi algoritmici di ricerca del partner. Questa triplice trasformazione comporta un certo “malessere della civiltà” ed un disincanto sempre più frequente nei confronti della possibilità di una relazione amorosa costante e duratura.
Ciò contro cui l’ideale romantico si scontra risiede nel passaggio da un regime performativo dell’espressione dei sentimenti (quello che compare nei romanzi di Austen, per intenderci) ad un regime di autenticità delle emozioni, che ha la sua piena espressione nella rivoluzione sessuale degli anni ’60. Mentre nel ‘700 c’erano chiare norme di fidanzamento, legate ad una codifica delle classi sociali, dei tempi e dei luoghi in cui doveva avvenire la dichiarazione – il tutto esibito pubblicamente agli occhi delle famiglie e della società intera; a partire dai primi del ‘900 e via via proseguendo fino agli anni ’60 e ’70, queste norme vengono abbandonate in favore di un’espressione privata dei sentimenti, di una scelta personale del partner e di una mobilità relazionale accresciuta, favorita anche dalle leggi sul divorzio.
Si presuppone che in un mondo dominato dal patriarcato la donna, in quanto attore sociale, debba poter aumentare il suo “prezzo di mercato”, trasformandosi in un bene di lusso.
La deregulation della scelta del partner comporta una competizione di attori provenienti da tutte le classi, la libertà della scelta, e l’interesse per i parametri di bellezza, ricchezza e gusto che caratterizzano un attore in gioco nel campo amoroso. Questa descrizione sociologica serve a comprendere un fatto fondamentale: la disfunzionalità della coppia borghese è un prodotto della razionalizzazione delle teorie psicologiche e di una individualizzazione delle scelte. Questo significa che la scelta del partner avviene sulla base di un calcolo economico di vari parametri, e che identifica una strategia diversa nell’operare maschile e femminile. Mentre per l’uomo, che domina il campo amoroso è più conveniente l’accumulazione delle esperienze, per la donna, che gioca in un campo regolato dal patriarcato, la strategia più efficace è quella della produzione di una scarsità fittizia. È questo il tema di molti manuali di self-help femminili, che dagli anni ’20 sino ad oggi consigliano alla donne di mostrare una costante indisponibilità nei confronti delle richieste di committment. Questo perché si presuppone che in un mondo dominato dal patriarcato la donna, in quanto attore sociale, debba poter aumentare il suo “prezzo di mercato”, trasformandosi in un bene di lusso.
4.
Tuttavia questo quadro descrittivo corrisponde più alla società degli anni ’50 che alla nostra, perché i vari apporti della teoria e della pratica femminista, uniti al cambiamento della situazione economico-politica globale, hanno condotto ad uno stato di parziale confusione. L’amore romantico, i codici di comportamento cavallereschi, le aggressioni sessiste (materiali e simboliche) sono denunciati dalla critica femminista come strumenti di oppressione da parte del patriarcato. A questo punto però, non bisogna pensare che non esistano più norme condivise di organizzazione della vita sentimentale. Queste norme ci sono, ma si sono trasformate in un insieme di campi separati: dalla psicanalisi alle terapie di coppia, dai manuali di self-help alla consultazione dei forum e blog su internet. L’attuale disillusione nei confronti dell’amore che singolarmente molti esperiscono nelle loro vite private deve essere letta con un più ampio fenomeno di natura sociologica ed immaginaria. In effetti ciò che non abbiamo ancora chiaramente delineato in questo discorso è il ruolo delle narrazioni (romanzi, serie, film, pubblicità) nella dinamica delle relazioni contemporanee.
La realtà affettiva che viviamo è altamente individualizzata, tecnicizzata e competitiva. Le narrazioni che introiettiamo invece, hanno il carattere immutabile, eterno, antico e perfettamente armonico che poteva appartenere alla letteratura ottocentesca o alla poesia provenzale.
La scena originaria dell’amore romantico (colpo di fulmine, unione destinale delle anime, natura irrazionale della scelta, etc.) è dilagante nelle produzioni dell’industria culturale contemporanea. Anche laddove non serve, come nel caso di una narrazione d’avventura o fantascientifica, la storia d’amore è il coronamento ed il filo conduttore di moltissime sceneggiature, immagini o testi che incontriamo quotidianamente. Questa scena madre ha alcune caratteristiche importanti: 1) Si deve imparare. Questo che lo ci insegna Madame Bovary, la quale conduce una vita di sogni disillusi proprio a causa dei romanzi avidamente letti in gioventù; 2) È chiusa in sé stessa: mentre nella vita reale le persone che incontriamo e le dinamiche delle situazioni sono mutevoli, nelle narrazioni tutto risulta racchiuso da un ordine immaginario bloccato. Il bacio romantico alla fine di un film d’avventura imprime nella nostra mente un’idea di conclusione ed eternità che la realtà non possiede; 3) Istituisce un confronto continuo fra ciò che immaginiamo e ciò che esperiamo. La realtà affettiva che viviamo è altamente individualizzata (la colpa del cattivo esito di una relazione è quasi sempre personale), tecnicizzata (è possibile ricercare il partner mediante applicazioni per smartphone, sistemi di geo-localizzazione, algoritmi che calcolano la compatibilità di due persone in base a parametri e gusti) e competitiva (così come avviene con la merce digitale, anche le relazioni sono soggette ad un’obsolescenza accelerata). Le narrazioni che introiettiamo invece, hanno il carattere immutabile, eterno, antico e perfettamente armonico che poteva appartenere alla letteratura ottocentesca o alla poesia provenzale. L’amore come forza armonizzante che sorpassa qualsiasi altra forma di attività o legame sociale – anche quando si rivela distruttivo – continua ad essere un modello narrativo eroico ed illusorio che confrontiamo inconsapevolmente con la prosaicità, la quotidianità e la mutevolezza delle nostre relazioni affettive.

5.
A questo punto, si potrebbe aggiungere qualche osservazione in rapporto alla filosofia, e in particolare alla filosofia politica. Non è un caso che autori come Michel Hardt ed Alain Badiou, abbiano dedicato – seppure in forme minori – degli scritti dedicati all’amore come dispositivo politico. Semplificando, si potrebbe dire che in entrambi i casi non si parla dell’amore romantico unificante, ma di un amore rivoluzionario premente: una sorta di energia che investe tutto il campo sociale e che non si cristallizza in una persona o in una singola situazione. Quello che convince poco di queste descrizioni è però la totale assenza di una riflessione sociologica: come se l’amore fosse oggetto di studio di una filosofia prima, non inquinata dalle criticità delle scienze sociali. E questo è un grave errore, che istituisce una sorta di ontologia dell’amore come fattore politico che altro non è se non un’ulteriore forma di resto metafisico. Parlare di amore in termini di Evento, di interruzione del tempo, di entrata della necessità nella contingenza, assimilare l’innamoramento ad una rivoluzione politica suona un po’ come un discorso puerile e patriarcale.
Il fatto è che i concetti stesso di persona, sentimento privato, intimità, risultano essere dei prodotti vagamente psicologistici, che proiettiamo retrospettivamente per comprendere delle situazioni storiche a noi lontane
Innanzitutto, dal punto di vista antropologico, una relazione come quella d’amore – l’intimità e la cura privilegiata fra due attori sociali – è prerogativa di un insieme di pratiche e teorie che risalgono al XII ed al XIII secolo europeo. Ciò detto, non si può nemmeno affermare che lo studio di testi poetici e teorici sull’amore ci possa dare delle informazioni sui sentimenti più intimi di personaggi storici che conosciamo solo attraverso quello che hanno scritto. Il fatto è che i concetti stesso di persona, sentimento privato, intimità, risultano essere dei prodotti vagamente psicologistici, che proiettiamo retrospettivamente per comprendere delle situazioni storiche a noi lontane. Volendo fare un esempio contemporaneo: la lettura dell’epistolario fra il poeta russo Majakovskij e Lili Brick ci dice qualcosa sul sentimento che legava queste due persone, o sui codici dell’espressione letteraria di questo?

6.
Dopo che la fine delle grandi narrazioni ha spazzato vita le ultime fortificazioni dell’antico discorso metafisico, una molteplicità di micro-narrazioni ne ha preso il posto, insinuandosi un po’ ovunque, negli interstizi dell’industria culturale, del populismo mediatico e nelle forme di vita comuni. L’ipotesi qui presentata è che l’amore sia riattivato oggi in più campi come una micro-narrazione che conserva un resto metafisico. Questo perché, nonostante la medicalizzazione, la psicologizzazione e l’algoritmizzazione dei rapporti umani, continuano a permanere delle filosofie e delle narrazioni che pongono l’amore come centro e perno delle esistenze altrimenti disarticolate delle società tardo-capitalistiche. Se, come affermava Ernesto Laclau, “la società non esiste”, ma esistono solo degli significanti fluttuanti che ne consentono la sutura e che impediscono la sua esplosione in una guerra civile permanente, l’amore – inteso come micro-narrazione – si configura oggi come una forza irrazionale che si oppone alla disgregazione della societas civilis. Per parafrasare Clastres, si tratta dell’amore contro lo stato: laddove il welfare state è in costante disgregazione, l’amore sopperisce ed integra le lacune istituzionali.
7.
Per concludere: il significato di questo articolo non è l’affermazione nichilistica della falsità dei sentimenti, dell’impossibilità dell’amore, e della natura culturalmente costruita di questo. Piuttosto è interessante comprendere che ruolo potesse avere in alcuni discorsi filosofici e nella maggior parte delle produzioni dell’industria culturale la riattivazione di una certa narrazione dell’amore (una narrazione romantica, assoluta ed onnicomprensiva). Con questo non si vuol affermare che l’unica posizione corretta sia quella di uno scetticismo edonista nei confronti dell’amore, cosa che lo ridurrebbe ad una concezione liberale e capitalista dei sentimenti. Ma non si può nemmeno continuare a pensare ed immaginare l’amore come quella forza che armonizza e protegge le vite, e sulla quale concordano filosofi politici radicali ed industria culturale. Forse la parola più corretta da utilizzare in questo caso è dubbio, intesa come spazio di oscillazione fra la fede accecante dell’ardore romantico e lo scetticismo calcolatore dell’abulia affettiva. Un concetto ben espresso dal un breve testo di Judith Butler, Doubting love, che descrive un’ipotetica praxis e una morale provvisoria da mettere in atto nei pensieri e nelle azioni dell’amore:
“[…] dubitare del proprio amore è dubitare in modo fondamentale, è mettere in discussione le più importanti questioni, e non lasciare assunzioni indiscusse. Si tratta, in un certo senso, di diventare filosofici in rapporto alle proprie passioni. E questo non significa smettere di vivere [queste passioni], o ucciderle riportandole a terra. Al contrario, bisogna viverle, e cercare di conoscerle, ma solo portando le proprie domande nella pratica stessa dell’amore. Non posso pretendere di conoscermi nel momento dell’amore, ma non possono nemmeno pretendere di avere una piena conoscenza di me stessa. Non devo invocare la conoscenza che posseggo – la conoscenza, dopo tutto, che mi renderà una migliore amante – e non posso essere colei che conosce tutto in anticipo – cosa che mi renderebbe orgogliosa ed infine amabile. L’amore sempre ci restituisce ciò che sappiamo e ciò che non sappiamo. Non abbiamo altra scelta che quella di lasciarci scuotere dal dubbio, persistendo con ciò che possiamo sapere quando lo possiamo sapere”
[…] non so come mai. E allora, per chi avesse tempo (e un po’ di coraggio) c’è anche una lunga trattazione a proposito di questi temi, scritta sul blog “L’Indiscreto”, che propone una serie di spunti e riflessioni […]