Per liberare il discorso intorno alle mestruazioni è certo necessario renderlo esplicito e decostruire gli stereotipi che a lungo lo hanno caratterizzato, ma non basta. Dobbiamo accogliere l’idea che la vita di tutti e tutte sia caratterizzata dalla ciclicità.
in copertina, Sam Francis, Senza titolo (1978) – Acrilico su cartoncino – Asta Pananti in corso
Sono stata adolescente negli anni ’90 e, come la maggior parte delle coetanee, non ho ricevuto un’educazione alla sessualità. Nella mia famiglia la componente femminile era preponderante, considerando che l’unico maschio era mio padre, tuttavia di mestruazioni si parlava pochissimo. La tv trasmetteva pubblicità irrealistiche, fatte di flussi azzurri e donne che non si fermavano mai, neppure in “quei giorni”. Quando intorno ai 12 anni sono comparse anche a me, mia sorella me le ha presentate come una scocciatura che mi avrebbe accompagnato per una quarantina d’anni. Lì per li non credo di aver afferrato il senso della sua affermazione, ma so di averci pensato parecchio nei mesi e negli anni successivi, quando i crampi addominali, l’emicrania e la nausea, mi impedivano di avere una vita normale per almeno tre giorni al mese. Le assenze scolastiche venivano motivate da generiche “indisposizioni”, il dolore dissimulato, così come il pessimo umore che ne conseguiva, gli assorbenti passati sottobanco dalle amiche o nascosti nelle maniche delle felpe.
Ci nutriamo quotidianamente di immagini violente, nei film come al telegiornale, eppure il sangue mestruale è ancora un tabù. Nel 2015 la scrittrice e illustratrice Rupi Kaur pubblicò su Instagram un autoscatto che la ritraeva di spalle, sdraiata sul letto, con i pantaloni del pigiama e le lenzuola sporche di sangue. L’immagine faceva parte di un progetto più ampio, tutto dedicato alle mestruazioni, che Kaur stava portando avanti nell’ambito del suo percorso di studi. La foto fu segnalata come inappropriata e il social network la eliminò, per poi riammetterla con tanto di scuse in seguito al ricorso dell’artista. Nello stesso anno, la blogger Kiran Gandhi ha deciso di correre la maratona di Londra senza indossare l’assorbente in segno di protesta per le tantissime donne che ancora oggi non hanno accesso ai prodotti igienici, oltre che per puntare l’attenzione su un fenomeno fisiologico che di solito viene nascosto, obbligando l’intero genere femminile a comportarsi come se niente fosse.
Nel suo Questo è il mio sangue, la giornalista Élise Thiébaut indaga le radici del tabù che, in quasi tutte le culture, caratterizza il ciclo mestruale. Richiamando gli studi dell’antropologo Daniel de Coppet, la parola tabù sembra essere stata coniata a partire da due termini polinesiani che significano “marchiare” e “intensità”. Il termine rimanda quindi a un segnale, a un tratto distintivo che indica un pericolo. Thiebaut fa notare come sia un concetto ambivalente, «dato che designa sia ciò che è proibito e impuro sia ciò che è sacro, misterioso, investito da un potere divino».
Come la gran parte dei tabù anche quello delle mestruazioni può essere collegato alla sopravvivenza della specie, utile in questo caso a monitorare il ciclo riproduttivo. Nella preistoria, la nascita costituiva un evento complesso e difficile da gestire: la gestazione prolungata, il lungo travaglio, il parto (che spesso si concludeva con la morte) e le successive cure necessarie per proteggere un essere vivente che veniva al mondo parzialmente formato rappresentavano per i nostri antenati seri motivi di preoccupazione. «Bisogna immaginare – scrive l’autrice – l’interrogativo che doveva per forza suscitare questo strano flusso in generazioni e generazioni di Homo Sapiens e di Neandertaliani, che vedevano le donne sanguinare, restare incinte, partorire e mettere al mondo piccoli». Il sangue costituiva un segnale importante anche per i predatori, per questo molti antropologi sostengono che le donne abbiano imparato a isolarsi in un luogo protetto durante le mestruazioni per proteggere se stesse e le comunità di appartenenza. Attraverso il tabù sembra che i nostri antenati abbiano iniziato a considerare le mestruazioni come un segnale da guardare con circospezione e sospetto, associato alle competenze riproduttive della donna.
L’associazione tra sangue mestruale e capacità riproduttive è continuata anche in epoche più recenti. Per Aristotele, ad esempio, il sangue forniva quella materia passiva che, grazie alla componente attiva dello sperma, contribuiva a generare il nuovo essere vivente. Qualche secolo dopo anche il medico Galeno ha teorizzato qualcosa di simile, sostenendo che la carne si formasse in utero proprio a partire dal sangue mestruale. Secondo la sua “teoria dei quattro umori” il sanguinamento avveniva quando non vi era stato il concepimento e serviva pertanto a riequilibrare il corpo da un eccesso di sangue che doveva fuoriuscire per poter essere regolato agli stessi livelli degli altri componenti, ovvero la bile nera, la bile gialla e il flegma. Anche la medicina cinese ascriveva il flusso mensile a uno squilibrio del corpo. Nel suo volume Sesso, la studiosa Kate Lister ci ricorda che in oriente «i dottori consideravano la salute mestruale la chiave per la salute femminile in generale» e perciò prestavano molta attenzione ad esso, che doveva essere indagato per individuare possibili patologie.

Altri pensatori avevano attribuito al flusso mestruale un potere alchemico e magico. Per Plinio il Vecchio, il sangue aveva la facoltà di far inacidire il mosto, di uccidere gli alveari, di seccare il grano, di far appannare gli specchi. Esso veniva descritto come una sorta di sostanza magica che, nelle giuste dosi, poteva per guarire emorroidi e emicranie, favorire la fecondazione o l’aborto e aiutare chi soffriva di epilessia a rinvenire dopo una crisi. Possono sembrare ipotesi bizzarre, ma non dimentichiamoci che fino agli anni Settanta del secolo scorso si riteneva che le donne mestruate non dovessero impastare la farina perché il pane non sarebbe lievitato, o fare la maionese che altrimenti sarebbe impazzita; si riteneva che fosse meglio per loro non toccare le piante o lavarsi i capelli per evitare possibili emorragie (questa, a dire il vero, è stata detta anche a me in epoche ben più recenti).
Da queste affermazioni è passato molto tempo e alle mestruazioni oggi si dedicano libri, mostre fotografiche e copertine di riviste importanti; eppure dobbiamo riconoscere che lo stigma intorno alla loro narrazione persiste. Il modo in cui negli ultimi due secoli la medicina ha studiato il fenomeno, le parole e le superstizioni che ancora circolano intorno ad asse crea quello che Thiébaut definisce “diseguaglianza mestruale”: «siccome le donne hanno le mestruazioni e le mestruazioni sono oggetto di tabù, le donne subiscono una forma di oppressione che nessun uomo conoscerà mai».
-->Sulla lunga scia delle teorie aristoteliche, gli studi medici a cavallo tra Otto e Novecento hanno tentato di giustificare scientificamente l’inferiorità delle donne appellandosi proprio al loro funzionamento fisiologico e nello specifico al ciclo mestruale. Nel 1869 l’antropologo James McGrigor Allan tenne alla Anthropological Society di Londra un discorso volto a spiegare perché non si dovesse concedere il voto alle donne. Descrivendo il flusso mestruale come un fenomeno che le rendeva fragili e instabili, emotive e depresse, egli sostenne che le donne avessero una minor capacità di giudizio rispetto a quella dell’uomo «per l’ovvia ragione che la natura non interrompe periodicamente il suo pensiero e il suo impegno». Il tentativo di giustificare l’incapacità intellettuale, di giudizio e morale del genere femminile appellandosi alle mestruazioni ha cominciato a perdere di credibilità man mano che le donne hanno iniziato a svolgere la professione sanitaria. Il saggio con cui nel 1876 la medica Mary Putnam Jacobi ha vinto il Boylston Prize all’Università di Harvard, spiegando perché le donne non dovessero stare necessariamente a riposo durante il mestruo, ha dato inizio a una fase in cui la presenza di mediche e studiose, che sopportavano con altre prove il proprio punto di vista alternativo alla narrazione del ciclo mestruale, ha favorito la decostruzione di questi pregiudizi. Ciò nonostante, alcuni studi dimostrano come ancora oggi la medicina non sia immune da una narrazione stereotipata del ciclo femminile. Negli anni Novanta, l’antropologa Emily Martin ha dedicato a questo argomento un articolo in cui, analizzando i principali testi accademici, osservava come la scienza si approcciasse alla fecondazione e alle mestruazioni attraverso racconti basati su alcuni stereotipi di genere. Le parole per descrivere la produzione di ovociti o di sperma risentivano di alcuni luoghi comuni associati al comportamento che si riteneva adatto agli uomini o alle donne. Così, la spermatogenesi si caratterizza per la sua “strepitosa grandezza”, mentre l’ovogenesi “produce molto spreco”, un fatto che, per gli autori, risultava difficile da spiegare dato che l’intera fisiologia umana si fonda su un paradigma di efficienza. Inoltre, gli ovuli vengono descritti come passivi, trasportati dalla corrente attraverso le tube verso l’utero mentre lo sperma matura in modo prodigioso, è attivo e vitale. Un articolo apparso su Medical World News, nel 1984, si spinge fino a paragonare l’ovulo alla Bella addormentata, «una sposa dormiente in attesa del suo bacio magico, che le infonde lo spirito e le da la vita».
Di mestruazioni si è cominciato a parlare apertamente solo da pochi anni, eppure continuiamo a riferirci ad esse usando espressioni come “le regole”, “il marchese” o “le mie cose” contribuendo a mantenere nel silenzio un fenomeno fisiologico che non ha motivo di essere nascosto. L’assenza di comunicazione intorno all’argomento rende ancora oggi difficile ottenere informazioni adeguate per le ragazze che si approcciano a questo evento. A scuola si dedica al tema qualche pagina sui libri di scienze, ma senza un’educazione alla sessualità sarà difficile per bambine e ragazze ottenere risposte esaurienti. Negli anni Quaranta del secolo scorso, su richiesta dell’azienda Kotex che produceva assorbenti, Disney realizzò un breve corto animato per fare divulgazione attorno al ciclo mestruale. Al netto dell’approccio paternalista (la voce narrante invita le ragazze a non piangersi addosso e a mantenere un’“aria intelligente” anche durante le mestruazioni) esso rappresenta un primo rudimentale tentativo di educare le giovani alle funzioni del proprio corpo. Inoltre, come ricorda Lister, il documentario è celebre anche per essere il primo in cui si usa apertamente la parola “vagina”.
Se negli anni ‘40 Disney è riuscito a sdoganare persino tra le aule scolastiche una parola scomoda come “vagina”, oggi risulta ancora difficile parlare di mestruazioni includendo nel discorso anche la popolazione maschile. Una sana educazione sessuale, infatti, dovrebbe favorire la conoscenza circa le funzioni riproduttive e sessuali proprie di ciascun sesso, a prescindere dal fatto che ci riguardino in prima persona. Secondo la studiosa Anna Buzzoni, che si dedica da tempo allo studio dei cicli naturali, il fatto di liquidare le mestruazioni come una “faccenda da donne” può aver contribuito alla loro scarsa fama e al mantenimento di stereotipi e pregiudizi. Secondo l’autrice il ciclo femminile è stato progressivamente silenziato e ciò è un problema perché ogni essere vivente, indipendentemente dal genere o dalla specie di appartenenza, possiede un’intrinseca ciclicità: anche gli uomini pertanto sarebbero non sarebbero esclusi da un analogo funzionamento.
Nel suo volume Questo è il ciclo, l’autrice teorizza una “matrice”, cioè una ciclicità ricorrente non solo nella specie umana ma anche nella natura nel suo insieme. In questa ciclicità vi sono due fasi (la prima e la quarta) caratterizzate da tempi lunghi e altre due (cioè la seconda e la terza) in cui si raggiunge la massima espansione vitale, che pertanto risultano più in linea con una società che valorizza la performance. Secondo la studiosa, questi quattro momenti regolano il funzionamento della luce del sole, nell’arco delle ventiquattro ore o dei dodici mesi, ma anche le fasi lunari e quelle geologiche o il processo che permette la formazione delle rocce. Anche il nostro respiro segue la stessa organizzazione temporale e si struttura su quattro momenti che chi medita o fa mindfulness conosce bene: vuoto, inspirazione, pieno, espirazione.
«Come cambierebbe il tuo mondo se il ciclo mestruale fosse identico agli altri cicli che amiamo e rispettiamo?» si chiede Buzzoni, e a ragione. A differenza degli altri, infatti, il ciclo femminile ha subito in processo di svalutazione che, a suo dire, deriva da un cambio nella weltanschauung. Il pensiero ciclico, che era valorizzato nelle popolazioni antiche o “primitive”, è stato progressivamente sostituito da uno di stampo teleologico. Questo approccio considera positivamente solo quei momenti che fanno avanzare verso la meta, che ci portano in avanti. il momento della mestruazione però corrisponde alla fase uno, che, come abbiamo già detto, è per lo meno apparentemente statica: è quella in cui si chiude il ciclo precedente e si prepara l’inizio di quello che verrà. Si tratta di un momento, come sottolinea Buzzoni, in cui si manifesta una morte simbolica (quella in cui l’endometrio si sfalda, segno che nessun concepimento è avvenuto) mentre la vita si prepara a rifiorire, perciò non è caratterizzato da spinte all’azione ma al contrario da un’apparente immobilità, che non è vista di buon occhio dal pensiero lineare. Secondo la studiosa, la sostituzione del pensiero ciclico con quello lineare ha prodotto una frattura nel sistema. Il pensiero lineare smette di interessarsi a tutte le fasi di cui la matrice si compone per privilegiare solo quelle espansive, relegando quindi la fase mestruale tra quelle trascurabili.
Ancora oggi si impiega, erroneamente, il concetto di mestruazione come una sineddoche, per riferirci all’intero ciclo, e viceversa, usando espressioni come “ho il ciclo” per indicare lo specifico momento del sanguinamento. Ridurre l’intero ciclo a una sua fase – quella di scarto – ha contribuito a associare a questo momento, fisiologico, l’immagine del fallimento. Non è un caso se ancora oggi, da un punto di vista medico, le mestruazioni continuino a essere poste solo il relazione al concepimento e alla capacità generativa del corpo femminile, mentre vengono interpretate raramente come un segnale vitale. Le mestruazioni appartengono anche a chi non può o vuole generare prole e per chi è non binary o trans o per chi soffre di patologie dell’apparato sessuale, l’eccessiva enfasi sul potenziale riproduttivo implicito negli organi femminili allontana dalle visite ginecologiche e da accertamenti medici indispensabili per garantire una buona salute.
Liberare il discorso intorno alle mestruazioni passa attraverso diverse operazioni; di certo è necessario renderlo esplicito e decostruire gli stereotipi che a lungo lo hanno caratterizzato, ma non basta. Accogliere l’idea che la vita di tutti e tutte sia caratterizzata dalla ciclicità – di cui le mestruazioni rappresentano una fase – può contribuire a cambiare approccio, non solo nei confronti di questo sanguinamento mensile, ma della vita stessa, dando così valore anche ai momenti di vuoto e immobilità indispensabili affinché qualcosa di nuovo possa ripartire.
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