Le specie intenzionali

Né realtà né soggetto: dove abitano le sensazioni? Il filosofo Emanuele Coccia riprende l’antica idea delle “specie intenzionali”.


In copertina e lungo il testo un’opera di Andrew Wyeth

Questo testo è estratto da “La vita sensibile” di Emanuele Coccia, ringraziamo l’autore e l’editore Il Mulino.

di Emanuele Coccia

Un curioso destino pesa sulla vita sensibile sin dalle prime ore della modernità. Contro di essa non si sono armate solo il potere politico e la teologia – come nel mondo tardo-antico era successo per le icone. Anche la filosofia ha emesso un vero e proprio bando nei suoi confronti: il sensibile – così suona il verdetto – non ha né potrà mai avere unesistenza separata o separabile dal soggetto che attraverso di esso conosce la realtà circostante. La vita sensibile è cioè un accidente interno dello psichismo, esiste solo nel soggetto e mai fuori di esso, e rappresenta lo stadio inferiore, privato e incomunicabile, dellatto conoscitivo autentico, che si consuma nelle camere superiori dellintelletto o dello spirito. 

La sentenza che rifiuta di riconoscere al sensibile qualsiasi autonomia ontologica, non è solo uno degli innumerevoli miti fondatori che la modernità ha prima confezionato e poi distrattamente tramandato. Nel gesto, apparentemente insignificante, con cui Cartesio ha liberato «lo spirito da tutte quelle piccole immagini volteggianti per laria, dette specie intenzionali, che tanto affaticano limmaginazione dei filosofi», si gioca, infatti, la battaglia decisiva della nuova filosofia contro il proprio passato. Per questo, la crociata contro unopinione che Hobbes definirà «peggio che lontana dal senso comune, perché di fatto impossibile», ha coinvolto la quasi totalità dei pensatori riconosciutisi sotto la bandiera del moderno. Non a caso, ciascuno di costoro dovrà inaugurare la propria teoria della verità affermando che «non c’è alcuna verosimiglianza nel fatto che gli oggetti inviino delle immagini o delle specie che somiglino loro», come Malebranche nella sua Recherche de la verité

Le ragioni di questa unanimità non sono difficili da comprendere. Attraverso la definizione di quello che può sembrare un semplice dettaglio gnoseologico, diventa possibile pensare un soggetto realmente autonomo dal mondo e dalle cose che lo circondano. Ripudiate le specie intenzionali un soggetto coinciderà con il pensiero (e il pensato) in tutte le sue forme. Nelle parole di Cartesio, pensiero e vita intellettiva, sensazione e vita sensitiva possono spiegarsi solo a partire dal soggetto: non solo «non v’è alcun bisogno di supporre fra gli oggetti e i nostri occhi un effettivo passaggio di qualcosa di materiale, perché ci sia possibile vedere i colori e la luce», ma non v’è nemmeno bisogno «che vi sia in quegli oggetti qualcosa di simile alle idee o alle sensazioni che ne abbiamo». Lesistenza delluomo basta di per sé a spiegare lesistenza e il funzionamento della sensazione. «Dai corpi percepiti da un cieco non esce nulla che debba passare lungo il bastone fino alla mano e la resistenza o il movimento di tali corpi, sola causa di tutte le sensazioni che ha non è in alcun modo simile alle idee che se ne forma». Agli occhi dei moderni la specie intenzionale si presentava come uninutile ostacolo che impedisce di pensare la percezione soggettiva iuxta propria principia: lesistenza del sensibile, in quanto contemporaneamente separata dal soggetto e dalloggetto, rende in effetti impossibile ogni riduzione della teoria della conoscenza a psicologia, a teoria del soggetto. Ogni teoria delle immagini diventa una branca accidentale della teoria dello psichismo. Viceversa, solo estromettendo da ogni atto spirituale linfluenza e la realtà di queste «immagini» si può considerare la riflessione del soggetto su di sé come forma, sostanza e materia di ogni atto di pensiero o di percezione. 

La verità e la consistenza del trilemma cartesiano sono minacciate dallesistenza delle specie intenzionali. Unintenzione è una scheggia di oggettualità infiltrata nel soggetto che impedisce di passare dal cogito al sum res cogitans senza un salto ontologico. Viceversa, essa esprime il soggetto in quanto proiettato verso loggetto e la realtà esteriore, non psichica (alla lettera teso verso di esse). Se è grazie a queste species che possiamo sentire e pensare, ogni sensazione e ogni atto di pensiero dimostreranno non la verità del soggetto né la sua natura, ma, appunto lesistenza di uno spazio in cui soggetto e oggetto improvvisamente si confondono. 

Per quanto assurda possa apparire a chi è stato abituato per secoli a considerarla come una primitiva fantasmagoria sul nostro modo di conoscere, la dottrina delle specie intenzionali muoveva da evidenze «fenomenologiche». Riesaminare ora le ragioni e le evidenze di una teoria che «ha tanto affaticano limmaginazione dei filosofi» non significa promuovere un ritorno nostalgico a un passato sepolto tra macerie. Si tratta piuttosto di sospendere per un attimo il sonno dogmatico che rifiuta cittadinanza filosofica a idee di cui non si è nemmeno più capaci di riconoscere la necessità. Si tratta di porsi per una volta dinanzi alle immagini e alla loro esistenza con occhi liberi dai pregiudizi, un popiù aperti e perspicaci di quelli del cieco di cui parlava Cartesio. 

 

Fisica del possibile

 

Il sensibile, lessere dellimmagine, non ha consistenza solamente psichica o mentale: se fosse così basterebbe chiudere gli occhi per vedere, sentire, gustare il mondo. Non avremmo bisogno dei suoni per poter udire, né dovremmo davvero gettarci pelle a pelle tra gli oggetti per poterne percepire la superficie; non servirebbe appoggiare il cibo sulla nostra lingua per avvertirne il gusto. Il colore delle cose non è la luce che esiste al fondo del nostro occhio, né il bagliore che avvertiamo ogni volta che ci addormentiamo ad illuminare il mondo. Quella luce ha unaltra natura, e proviene da fuori di noi. 

Lesistenza del sensibile non coincide nemmeno con la nuda esistenza del mondo e delle cose. Se gli interminabili dibattiti sulla possibilità di dedurre lesistenza del reale a partire dalla sensazione hanno occupato la filosofia così a lungo è perché le cose non sono di per sé percepibili. Hanno bisogno di diventarlo: non perché sono nascoste e inconoscibili ma perché divengono percettibili solo attraverso un certo processo (e non grazie al semplice fatto di esistere), e perché lo divengono solo fuori di sé, anche se prima di entrare negli organi di senso degli uomini. 

Il sensibile cioè non coincide con il reale, perché il mondo in quanto tale non è di per sé sensibile, ha bisogno di diventare sensibile fuori di sé. È un facile esperimento a dimostrarlo, che già Aristotele aveva suggerito. «Se qualcuno appoggia loggetto colorato sullocchio», scriveva nel suo De anima, «non riuscirà a vedere nulla» [419 a 1213]. Non basta far interagire un oggetto col soggetto per produrre percezione. Se un oggetto fosse essenzialmente visibile, e visibile in se stesso, basterebbe avvicinarlo il più possibile al soggetto per rendere più intensa la visione. Eppure succede sempre il contrario: lasciando agire loggetto immediatamente sullocchio non si vede più nulla. E non si tratta di un principio valido solo per la vista, come si potrebbe obiettare a causa dellesistenza della luce, ma, spiega Aristotele, «anche per il suono o lodorato. Nessuno dei loro oggetti produce sensazione, quando tocca lorgano percettivo. […] Se si pone sullorgano loggetto che suona o che odora, nessuna percezione avrebbe luogo». È necessario innanzitutto che loggetto reale, il mondo, la Cosa divenga fenomeno, e che il fenomeno – esterno alla cosa stessa – incontri i nostri organi percettivi. 

In un linguaggio più tecnico si potrebbe dire che le cose, i frammenti di mondo in quanto oggetti realmente esistenti, sono geneticamente distinte dalle cose in quanto fenomeni, il mondo in quanto sensibile, esperibile, immagine. Il processo per cui le cose diventano sensibili è cioè diverso nel tempo e nellessere da quello per cui esse esistono. Lo è allo stesso modo in cui è distinto e separato nel tempo e nellessere dal movimento attraverso cui, per cui, esse sono percepite da un soggetto conoscente. La genesi dellimmagine, il divenir sensibile delle cose, non coincide cioè né con la genesi delle cose stesse né con la genesi della sensazione e dello psichismo, o dei contenuti mentali di un soggetto. Il sensibile, cioè lessere delle immagini, è geneticamente differente dagli oggetti conosciuti così come dai soggetti conoscenti. Nelle parole di Aristotele si dirà che ha una natura diversa dalla psiche così come dai corpi. Natura (physis), infatti, non è che il modo in cui le cose nascono e assieme la forza che rende possibile la nascita delle cose; o come recita un celebre adagio vichiano «natura è nascimento di cosa». Aristotele ha chiamato fisica – o scienza naturale – la scienza che studia il modo in cui le cose si generano, e che deduce da questo la loro stessa essenza. La nascita o genesi di ogni cosa è la forma estrema di movimento o di divenire di cui essa è capace: il luogo in cui il movimento non è semplice accidente esterno o periferico, ma tocca e dà forma allessere, è immediatamente responsabile di ciò che un oggetto è e del fatto stesso che esso è. Una cosa ha natura solo perché e nel grado in cui il suo essere è un effetto del movimento di cui è capace e nel cui seno esso esiste, si genera, si distrugge e fa tutto ciò che può. La fisica è cioè una sorta di genetica trascendentale: un sapere che lascia coincidere lessenza di qualcosa con il modo in cui essa nasce: lidentità di ogni oggetto coincide perfettamente senza resto con la forza che gli ha permesso di costituirsi. Insomma, dimmi come nasci, e ti dirò chi sei

Per questo la fisica del sensibile – la scienza naturale delle immagini – non può coincidere con la psicologia, che invece precede e fonda; ma non può nemmeno ridursi alla scienza delle cose, alla fisica propriamente detta. Il sensibile non coincide infatti perfettamente con la cosa nella sua nuda esistenza, per la stessa ragione per cui il mondo non è di per sé cosa evidente. Tra realtà e fenomeno c’è una differenza che non può essere soppressa. Ed è solamente osservando come le immagini si generano che si arriverà a definire la loro natura. Per afferrare la genesi delle immagini non bisogna aspettare che la loro forma si sia già costituita. Bisogna invece capire dove questa nascita avrà luogo e quindi appostarsi, spiare il loro parto fuori dalle cose, e comprendere attraverso cosa, a partire da cosa essere riescono a nascere in questo mondo.


Emanuele Coccia è professore all’École des Hautes Études en Sciences Sociales (EHESS) di Parigi. Con il Mulino ha pubblicato «Il bene nelle cose. La pubblicità come discorso morale (2014) e «La vita delle piante. Metafisica della mescolanza» (2018).

0 comments on “Le specie intenzionali

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *