Nella cultura contemporanea del nostro Paese la presenza di Leopardi è una vera e propria costante. Costanza D’Elia l’ha definita la “Linea Leopardi”. Per esempio, qual era il rapporto tra Gadda e Leopardi?
IN COPERTINA e nel testo “paesaggio montano”, di artista anonimo. oggi l’opera è all’asta da pananti casa d’aste.
Questo testo è un estratto da Linea Leopardi di Costanza D’Elia. Ringraziamo Olschki Editore per la gentile concessione.
di Costanza D’Elia
Cercare le tracce di Leopardi in un autore che è caratterizzato dalla propensione al pastiche (e che, da ‘gran lombardo’, nelle geografie letterarie italiane intrattiene un rapporto stretto con Manzoni, Parini, Virgilio), significa prelevare i numerosi echi testuali contando sulla fortuna del rabdomante. Due dimensioni extraletterarie però possiamo cogliere nella relazione di Gadda con Leopardi: quella della legittimazione autobiografica, nei forti paralleli fra le rispettive tristissime situazioni familiari, che consentono a Gadda di trovare ‘le parole per dirlo’ superando la vergogna; e quella del confronto fra le posizioni filosofiche, accomunate dal rifiuto di ogni metafisica in nome di una presa d’atto della realtà a partire dall’io. Su questo piano possiamo cercare una ‘funzione Leopardi’ all’interno della ‘funzione Gadda’, utilizzare Leopardi come reagente teoretico sulla base della comune centralità della speculazione filosofica. Di fronte a Leopardi, come vedremo, Gadda rivela la radicalità del proprio nichilismo. Nessuno meno di Gadda fu incline all’autobiografia, spregiatore – ossessivo, come in tante sue cose – del ritratto e dell’autoritratto («l’io, io!.. il più lurido di tutti i pronomi!»); nessuno più di Gadda ha parlato di sé e del suo sé nascosto in maniera così diretta, spietata, e piena di scrupoli, usando la letteratura come un confessionale della disperazione, dove ci si accusa degli atti più indicibili perché totale sia il perdono, ma al tempo stesso non si nutre per sé e per il mondo alcuna speranza di salvezza.
Io ci aggiunsi, all’eredità biologica ricevuta, l’orrore delle immagini e dei dipinti che dipingono il non dipingibile: in modo particolare l’orrore della mia immagine, iconoclasta o almeno autoiconoclasta assoluto, teoretico e pratico.
Questo rifiuto dell’autobiografia, che include la negazione della sua possibilità, è il punto focale di una intervista mai pubblicata (destinata un giornale di larga diffusione, «Oggi»), dedicata al Ricordo di mia madre. Contiene, anzi esibisce un paradosso questa affermazione che contraddice se stessa: l’indicibilità di sé produce la necessità di dirsi; si tratta di una inconfessabilità che richiede un tipo particolare di scrittura, sperimentata a partire dalla Cognizione del dolore. Qui Gadda, che non esitava a comporre racconti con personaggi che hanno il suo nome, produce una galleria di figure indicate con termini spagnoleggianti sullo scenario di una geografia fantastica e di una toponomastica sudamericana e insieme manzoniana. Sotto le mentite spoglie di Gonzalo, Gadda consegna uno scritto totalmente autobiografico, tanto più vero quanto più mette in atto non solo gli eventi della vita ma le nevrosi e quelli che con termine tecnico si chiamano ‘pensieri coatti’, fantasie tormentose insorgenti contro la volontà del soggetto. Gadda infatti si blocca quando deve arrivare alla scena culminante, quella dell’assassinio della vecchia madre da parte del figlio, che nella versione finale (infiniti i suoi rimaneggiamenti, incompiuti i testi) è solo allusa. Ma intanto dei pensieri coatti conosce anche il termine, e ne chiarisce con precisione l’eziologia nella nevrosi e nella colpevolizzazione, nello inconfessabile «strazio della miserevole biografia», usando, in più di un passo della Cognizione, l’espressione «male oscuro» che avrebbe conosciuto una seconda vita nel fortunato romanzo di Giuseppe Berto:
Un sentimento non pio, e si sarebbe detto un rancore profondo, lontanissimo, s’era andato ingigantendo nell’animo del figliolo: quel solo che ancora le appariva, talvolta, all’incontro, sorridendole […] questa perturbazione dolorosa, più forte di ogni istanza moderatrice del volere, pareva riuscire alle occasioni e ai pretesti di una zona profonda, inespiabile, di celate verità: da uno strazio senza confessione.
Era il male oscuro di cui le storie e le leggi e le universe discipline delle gran cattedre persistono a dover ignorare la causa, i modi: e lo si porta dentro di sé per tutto il fulgorato scoscendere d’una vita, più greve ogni giorno, immedicato. Forse il ‘male invisibile’ di cui parla Saverio Lopez […] egli non poteva aver ragione del suo delirio. […] A certe ore pareva malato nel volere. “Un po’ di buona volontà”, gli diceva la mamma, sorridendogli […] / “La volontà…”, rispondeva, “che è indispensabile agli assassini…” […] Era molto probabile che la guerra lo avesse mutato, e, più, l’annuncio che il fratello non ne tornerebbe. […] Il figlio pareva aver dimenticato al di là d’ogni immagine lo strazio di quegli anni, la incenerita giovinezza. Il suo rancore veniva da una lontananza più tetra, come se fra lui e la mamma ci fosse qualcosa di irreparabile, di più atroce d’ogni guerra: e d’ogni spaventosa morte.
-->In questo brano, che sintetizza il tema dell’opera, Leopardi è presente: su un piano lessicale (viene ripreso il termine «immedicato», da «immedicati affanni» dell’Inno ai Patriarchi), e non solo. Anche la pseudocitazione dotta riferita a Saverio Lopez e ai suoi Mirabilia Maragdagali, che ritorna due volte nel romanzo, contiene a nostro avviso, oltre al loop autobiografico (per il libro Le meraviglie d’Italia, progettato insieme alla Cognizione, che in embrione doveva esserne una parte, pubblicato poi nel 1939, con una dedica alla madre scomparsa), un riferimento a Leopardi: a Paolo Savj-Lopez, che cura l’edizione delle Operette morali usata da Gadda nei suoi studi, e che è poi l’autore del Romanticismo antiromantico, una brillante messa a punto del rapporto di Leopardi con il romanticismo. Fra il 1923 e il 1929 l’ingegner Gadda vive la sua seconda esperienza universitaria, iscrivendosi alla Facoltà di Lettere di Milano; sosterrà un esame di Letteratura italiana con Michele Scherillo, con un programma su Leopardi, e frequenterà il filosofo Piero Martinetti, la relazione più importante in quest’ambito, al quale chiederà la tesi. Il fortunato saggio di Paolo Savj-Lopez (certamente noto a Scherillo, che potrebbe averlo proposto ai suoi allievi) dimostra la tesi di una coerente posizione antiromantica di Leopardi, connessa a una altrettanto coerente fedeltà a Petrarca e alla poesia classica nel privilegiare la natura (accennata, ‘indefinita’, comunque oggettiva) come occasione per l’espressione del sentimento. Il saggio si chiude, rilevando una desanctisiana filosofia del paradosso, con «un luogo pochissimo conosciuto» dei Pensieri:
Ragionando nell’ottobre 1820 sul sentimento del Nulla, il poeta osservava che se questo sentimento è vivo, l’anima riceve vita sia pur passeggiera dalla stessa forza con cui sente la morte delle cose e la sua propria. L’insensibilità è rimossa dalla lettura di un’opera di genio che anche descrivendo il vano delle illusioni sia capace d’ingrandire l’anima del lettore, d’innalzarlo allo spettacolo della nullità universale e di farlo quasi contento della propria disperazione.
Qualche pagina dopo nel romanzo Gadda parlerà della «gran luce del nulla».
Inoltre, Savj-Lopez traduce Il mondo come volontà e rappresentazione di Schopenhauer, portando a compimento fra 1914 e 1916 la prima parte dell’opera, quella data alle stampe nel 1819; il lavoro verrà poi completato, e pubblicato nel 1929, da Giuseppe De Lorenzo con l’appendice Critica della filosofia kantiana e il secondo volume di aggiunte, apparso nel 1844 (per inciso: De Lorenzo è autore di un saggio su Leopardi e Schopenhauer). La densità di riferimenti che a strati si depositano nel passo citato (tutta la Cognizione del dolore è intessuta dei materiali ricavati dai suoi studi universitari) potrebbe portarci in molte direzioni e a molte ipotesi; un approdo sicuro è Leopardi.
Nella sua sofferenza insostenibile, Gadda cerca vie d’uscita che permettano una qualche espressione; in questa prospettiva viene praticata una contorta identificazione con Leopardi, che mescola la critica di alcune posizioni teoretiche con una intima adesione autobiografica. Questa proiezione è molto forte nella Cognizione del dolore, che, ricca di elementi leopardiani (a cominciare dal titolo leopardiano-schopenhaueriano), nasconde sotto il romanzo l’autobiografia, e sotto l’autobiografia una radicale riflessione filosofica. In Gadda l’autobiografia è nascosta ma esplicita e fedele al dato fino alla precisione matematica e all’autolesionismo, come capita ai penitenti scrupolosi nel confessionale, capaci di accusarsi di peccati inesistenti. Cosa che poi richiede innumerevoli e imbarazzate scuse, facendo finta di fare finta di niente, come nella fasulla prefazione dell’editore nella Cognizione. In Gadda, che non fece mai male a una mosca, è continua l’ammissione della colpa, della inadeguatezza a vivere, la scusa goffa che richiede altra scusa e altra goffaggine. Colpa di cosa? Di un duplice omicidio.
Il crudele aprile è il mese della morte di Enrico, il brillante fratello minore, nel 1918, e, diciotto anni dopo, della madre, nella villa di Longone Lukones, che è al centro della Cognizione. Nel romanzo, necessariamente incompiuto come ogni dolorosa terapia, gli eventi – intervallati da lunghe digressioni – precipitano verso l’assassinio della madre, di cui non viene rivelato il colpevole, anche se gli indizi, e la voce del popolo, puntano al Gonzalo misteriosamente scomparso. L’originaria pulsione di morte è diretta verso la madre e quel fratello minore più amato e brillante, eroico aviatore. Al primogenito, che nelle foto di guerra appare sempre torvo accanto a un Enrico sorridente, elegante, sicuro di sé, era toccato l’appellativo di Bastardo, derivante dalle contrastate seconde nozze di Francesco Gadda, vedovo e padre di una figlia, la sorellastra Emilia, con Adele Lehr. Nella Cognizione riemerge questo dato nel riferimento a Martin Guerre, a «Martin Vedovo», che rimanda, come viene anche chiarito in nota, al caso Bruneri Canella (1927-1931), ampiamente pubblicizzato sui rotocalchi; mentre nel fatto di cronaca era la vedova a ospitare lo sconosciuto in casa e nel talamo nuziale, qui, all’inverso, accoglie una nuova donna il vedovo: Francesco Gadda.
La Cognizione contiene, nel suo carattere di confessione terapeutica, una molteplicità di livelli temporali sovrapposti e intrecciati. Intorno alla villa di Lukones e alla sua storia – un «romanzo nel romanzo» – si dipana la ‘tragedia dell’infanzia’ di Gadda. Il punto finale della narrazione, la morte della madre e la scomparsa del figlio, si ricongiunge all’origine: la generazione già colpevole del Colpevole, da parte del padre e del «sadismo materno». La catena di omicidi passa poi per la morte (desiderata) del fratello minore caduto in guerra; il fratello maggiore se la assume insieme alla successiva morte della madre che lo preferiva. La possibilità di raccontare questa indicibile efferatezza si amplia quando il trionfo collettivo del Thanatos rappresentato dalla guerra ridimensiona la portata dell’aggressività privata. Il rapporto con la propria biografia è condizionato e alleviato da letture freudiane, che offrono delle chiavi di interpretazione e di giustificazione delle voragini interiori, scoperte con sollievo (a sua volta vergogna non rivelabile) come gli abissi di tutti. Lo sdoganamento dell’inconfessabile avviene quindi sul piano intellettuale e personale, attraverso lo studio di alcune opere freudiane, e sul piano fattuale e collettivo, nell’impatto con le atrocità di una nuova guerra. Ma anche Leopardi entra nel passaggio dall’indicibile al dicibile, attraverso il meccanismo dell’identificazione, produttiva della sopravvivenza morale. Nella Cognizione Leopardi è una presenza costante, in molti punti dove emerge un tono lirico che mescola con disinvoltura echi virgiliani, manzoniani, leopardiani, come accade del resto nella strana chiusa poetica del libro. Davanti a Leopardi il romanzo diventa colloquio terapeutico.
«Disperato per il freddo»
Di fronte a questo bisogno di giustificazione, in un uomo attanagliato dai sensi di colpa, l’incontro con Leopardi offre importanti strumenti di legittimazione, attraverso un gioco di rispecchiamenti, che va oltre la consonanza solo parziale con il suo pensiero (Gadda gli rimprovera il pessimismo, ma esprime un nichilismo assai più radicale, come vedremo). Il rapporto di Gadda con Leopardi si dipana quindi a partire dagli anni universitari e ha due dimensioni: quella dello studio e della critica al sistema speculativo, e quella dei parallelismi biografici. La sovrapposizione della figura del poeta alla propria è dimostrata dagli Appunti leopardiani, scritti in questa sua seconda esperienza di studio, decisiva sul piano della sua formazione e della sua vocazione intellettuale; la conoscenza di Leopardi passa attraverso la sua iscrizione alla Facoltà di Lettere con l’intento di laurearsi in filosofia, in ripresa della sua antica vocazione, interrotta a causa delle necessità materiali proprie e della famiglia, costante ombra nella vita di Gadda. Fra 1923 e 1929 Gadda ridiventa quindi studente; dà tutti gli esami e lavora alla tesi su La teoria della conoscenza nei ‘nuovi Saggi’ di G.W. von Leibniz, relatore la luminosa figura di Piero Martinetti, ma, ennesimo atto incompiuto della sua vita, non giungerà mai a laurearsi. Se il suo apprendistato filosofico non si traduce in risultati originali secondo i canoni della disciplina, questo aspetto è in fondo poco rilevante: le letture di quegli anni gli danno molti materiali letterari e numerosi appigli speculativi, di cui troviamo tracce, a volte ben nascoste, nelle sue opere.
È dedicato a Leopardi il programma del corso di Letteratura italiana tenuto da Michele Scherillo, allievo del D’Ovidio, ma per molti aspetti vi(di cui conservava una edizione appartenuta al fratello Enrico), legge per la prima volta le Operette morali, affronta lo Zibaldone e l’Epistolario; usa testi di De Sanctis e compila diligentemente una schematica vita di Leopardi, dove si rivelano le consonanze autobiografiche, trasparenti alla luce della Cognizione e di tanti altri testi gaddiani. Il mimetismo è per molti aspetti nelle cose, a cominciare da una serie di singolari coincidenze, soprattutto nella costellazione familiare: un padre con due matrimoni alle spalle (anche se nel caso di Monaldo si trattava solo di una promessa: ma, infranta, causò grossi danni finanziari, che poi Adelaide si assunse il lungo compito di riparare); i quadretti dell’infanzia con i giochi tra fratelli che il primogenito guida con inventiva teatrale, escogitando geografie e ruoli; la coppia genitoriale formata da una madre austera e bigotta (da notare l’omonimia Adelaide – Adele) e da un padre spendaccione; il disprezzo, ricambiato, per il luogo natio.
Guardando gli Appunti di Gadda, i punti dolenti sono soprattutto due: la figura della madre; le privazioni materiali. Ma anche il parallelo Francesco Monaldo e le vicende di un matrimonio osteggiato dalle rispettive famiglie vengono evidenziate: «le nozze con Adelaide Antici. I parenti contrarî». Parecchie righe sono dedicate all’«Angustia di cuore e di mente della madre»: «fredde» sono le «letterine» fra novembre 1822 e gennaio 1823; si parla più in generale di «freddezza materna», poi «rigidità precettistica, divenuta manìa», di «rigidezza religiosa». Rigore morale, gelo materiale: il tema del freddo patito da Leopardi nel suo peregrinare di città in città è accentuato in questi Appunti. A inizio 1826 Giacomo scrive a Monaldo e «lo informa della infermità e del freddo»; nel 1825 a Bologna Leopardi accetta la proposta di una cattedra di eloquenza greca e latina «disperato per il freddo».
Gli Appunti leopardiani sono senza dubbio una premessa della Cognizione, il primo romanzo di Gadda e il più ferocemente autobiografico, in cui confluisce il suo diario intimo, rielaborato alla luce della formazione intellettuale più recente. La Cognizione indica bene come Gadda usi più strumenti per affrontare ed esprimere il magma di una personalità piena di tormenti e di nevrosi: sono strumenti culturali, anzi libreschi (Gadda aveva con i libri un rapporto molto stretto, fisico; sono note le vicende dei suoi acquisti). Il tema del freddo patito da bambino e adolescente è ricorrente nelle dure notazioni della Cognizione, come quello della spietata devozione della madre, che sacrifica le risorse necessarie al benessere dei figli per acquistare le campane alla chiesa locale:
ignoriamo… il soggetto di ogni proposizione possibile… […] È inutile ch’io lo nòmini invano.. Quello che ha appena finito di venir fuori di là… […] dalla matrice di quelle mènadi scaravoltate a pancia all’aria… col batacchio per aria… Bestie pazze! Per cui ho patito la fame da bimbo, la fame! […] con la maglia rattoppata… i geloni ai diti… i piedi bagnati nelle scarpe… i castighi! Perché i diti gelati non potevano stringer la penna… col mal di gola sul Fedro… con sei gradi di amor paterno addosso… un fumo da far inverdire le meningi… perché il caro batacchio venisse buono… buono agli inni e alla gloria.
Lo stesso tono blasfemo e osceno del brano è una aggressione alla figura materna.
Le coincidenze vengono rafforzate dalla caratterizzazione dei personaggi: Gonzalo è l’equivalente spagnolo di Consalvo, chiaro riferimento alla poesia leopardiana. Possiamo immaginare in questa scelta un trasporto dello scrittore verso Dina Ardigò (abbreviazione di Adelaide: torna il nome delle due madri), cugina dell’amico di lunga data Gianfranco Contini, da tutti chiamata Elvira come la protagonista dell’idillio? È una ipotesi di lavoro, che richiama l’estate del 1941. Gadda stesso poi, in Eros e Priapo, indirettamente conferma il parallelo:
Credomi dunque aver mostro, co’ sanissimi argumenti istorici e mia, che son pur quelli della constatazione di fatto, quo modo la saggezza del carpe diem la si tramuta nell’angoscia del carpe mentulam. Coraggio! Ché il mal è di passaggio. E ogni più bel mùgine seco. “Non vissi indarno!” e’ suspirava morituro, il Consalvo. E ora lo può suspirar la Elvira di lui, del Consalvo o Gonzalo di passaggio: “Non vissi indarno!”.
L’adesione al modello anche in questo caso corrisponde a un ricco affioramento di indizi, in primo luogo sul piano lessicale. Per restare alla Cognizione, numerosissimi sono gli echi leopardiani, come abbiamo accennato, a cominciare dalla poesia Autunno che chiude il testo e, in mancanza di conclusione possibile, ne è il suggello provvisorio, per quanto scritta numerosi anni prima. È una poesia quasi adolescenziale, nella quale l’omaggio a Leopardi si ibrida come in tutto il testo di numerosi altri lacerti e riferimenti testuali, in un pastiche personalissimo, in cui non sempre è facile distinguere tutti i frammenti e contorni.
A trent’anni Gadda decide quindi di prendere una seconda laurea e di assecondare una preesistente e forte vocazione umanistica (come Leopardi per necessità materiale è costretto ad accettare impieghi non graditi, così lo scrittore deve diventare ingegnere per mantenere la famiglia). Viene così a trovarsi in un ambiente per molti versi favorevole al contatto con Leopardi, non solo per la presenza di Scherillo, ma per la stessa formazione di Martinetti, che è allievo anche di Graf, a sua volta allievo di De Sanctis e convinto leopardiano. Nella Introduzione alla metafisica (1904) Martinetti attribuisce una fondamentale intuizione metafisica, avvalorandone così la portata speculativa, a Leopardi (insieme ad altri ‘poeti filosofi’), uno degli autori più citati nel Breviario spirituale. Il filosofo recensirà poi molto favorevolmente il libro del cattolico Tilgher su La filosofia di Leopardi, pronunciandosi nell’occasione sulla questione del suo valore teoretico, e consuonando quasi d’ufficio con Croce, ma con minore asprezza. Infatti Martinetti altrove vi si riferisce parlando di «poesia filosofica», con terminologia desanctisiana, ed emerge una costellazione – nella ‘scuola milanese’ del periodo fra le due guerre – con forte presenza di Leopardi. Accanto a Martinetti troviamo lo scettico Rensi (appassionato difensore del Leopardi filosofo, di fronte a Croce e Gentile), Banfi, Capitini.
Il 14 novembre del 1925, giorno del suo trentaduesimo compleanno, Gadda sostiene l’esame di Letteratura italiana con Scherillo, riportando 29. Per preparare l’esame Gadda legge per la prima volta le Operette morali, che nei suoi quaderni chioserà senza alcuna deferenza. Percorrendo la vita di Leopardi attraverso la monografia desanctisiana, l’immedesimazione è immediata, attiva commozione e compassione, e soprattutto pena per sé. Leggendo invece lo Zibaldone e le Operette, la consonanza con singole posizioni leopardiane (soprattutto per quanto riguarda il giudizio di alcuni usi sociali) si inscrive in un disaccordo di fondo. Di Leopardi non condivide la posizione edonista-sensista, rivendicando, con riferimento al dialogo fra Plotino e Porfirio, un primato dell’etica (e difendendo su questa linea persino Platone).
Ma il Leopardi è chiuso nella sua idea di una astratta, statica, immobile felicità (di cui l’avaro destino ci fa avere poche gocce) e non sa uscirne. Egli considera la felicità come i socialisti la ricchezza. E il risultato è una vana bestemmia.
E aggiungerà, questa volta a propositi di Parini, o della gloria:
Il dialogo non ha valore filosofico speculativo: il Leop. arriva sempre “ante portas” della speculazione, ma non fa mai il passo fatale. Ha invece un ricchissimo senso storico e sociologico. […] Il Leopardi è condotto dal suo pessimismo e dal desiderio di maledire tutto, a considerazioni relativistiche che noi accettiamo interamente, mentre non accettiamo affatto il pessimismo. […] Morale espressiva per uno scrittore: il cap. 12°., confrontato con le barocche storie di Giove e del Centro-africa e della Terra che parla alla luna e con le stupidaggini di Atlante ed Ercole, insegna quanto i simboli umani, vivi (Parini e suo scolaro, vivo perché ci ricorda l’Imbonati o il Febo d’Adda, cioè giovani veri e non bestialità mitologiche) il cap. 12° dimostra che la “nostra” vivente intuizione è materia d’arte soltanto. E che la spazzatura e risciacquatura dei popoli morti non serve. […] Si può uscire dal campo umani e fare della poesia siderale, ma secondo le nostre odierne conoscenze (vere o false che siano per essere): Con Newton, con Einstein, con Schiaparelli. Ma le personificazioni e percezioni greche sono ormai per noi della cenere. Possono essere storia del pensiero, ma non pensiero; storia della poesia, ma non poesia. Noi dobbiamo essere noi: non possiamo dimenticare le distanze celesti, la gravitazione, la velocità della luce, le teorie sull’energia, ecc.
Gli anni universitari, indipendentemente dal conseguimento di una laurea che pure gli sembrava indispensabile (nella prospettiva di essere assunto al Gabinetto Vieusseux!), sono un passaggio importantissimo. Al posto della tesi Gadda stende la Meditazione milanese, un saggio di taglio filosofico; con le scritture successive si compie il passaggio dalla pagina filosofica alla ‘pagina letteraria’. Si tratta di conquistare gli strumenti adatti a gettare luce sul «pasticcio della mia personalità» e a poterne parlare: questa la posta in gioco. Gadda scrittore nasce dall’incontro del vissuto con i materiali offerti per lo più dagli studi universitari – non necessariamente accolti e condivisi, ma raccolti come strumentario di concetti disparati, il cui ordine dipende poi dalla personale posizione di Gadda. Qui troviamo molto Martinetti e i filosofi che il maestro privilegia, da Platone (respinto implicitamente anche nella Cognizione) e gli eleatici a Kant e Schopenhauer, troviamo Freud (ma l’approccio di Gadda è più autonomo), troviamo Leopardi.
Le parole di Martinetti su Leopardi potrebbero essere riferite anche a Gadda, che si iscrive a Lettere animato da un interesse speculativo ancor più che letterario. La scelta di quest’ultimo registro non implica in alcun modo la rinuncia alla riflessione filosofica, solo una sua diversa espressione (fatto salvo appunto il testo, di pubblicazione postuma, della Meditazione milanese). La stretta connessione del dato filosofico e della forma letteraria è una forte consonanza oggettiva fra Leopardi e Gadda, al di là dello stesso meccanismo dei rispecchiamenti e del suo uso consapevole. Si può notare ancora, di passaggio, l’interesse di entrambi per le scienze naturali e l’atteggiamento materialista. Ma la scarsa sintonia di Gadda con il ‘pessimismo’ leopardiano e la sua critica alle mode sociali e culturali, se rivela il tenace fondo positivistico della visione dell’ingegnere, confluisce paradossalmente in un nichilismo ancora più profondo.
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