Uno spettro si aggira per l’Europa, e dice le parolacce.
di Enrico Pitzianti
Dopo soli 28 giorni la vittoria di Donald Trump è una metafora perfetta per troppe cose: dall’affermazione dell’era della post-verità all’ascesa del populismo in occidente, fino al ritorno del voto di protesta e la rabbia della classe media bianca e declassata, quella che Raffaele Alberto Ventura ha definito l’America Breaking Bad. Eppure bisognerebbe andarci coi piedi di piombo, perché l’impresentabile The Donald ha vinto, ma ha preso meno voti della sua avversaria. Ad essere precisi Hillary, nonostante abbia perso voti rispetto a quelli ottenuti da Obama, ha avuto un vantaggio di oltre 2 milioni e mezzo di voti sul Presidente eletto: +1,9% (48,2 a 46,3). Insomma, la vittoria di Donald Trump è un fenomeno politico, quindi complesso, dipeso sicuramente da diversi fattori economici e sociali. Eppure una cosa la si può dire con certezza: la vittoria di Donald Trump, come quella della Brexit e di fenomeni analoghi, è anche la vittoria del politicamente scorretto.
Pol.Scorr. <3 populismi
La questione della scorrettezza politica ha radici antiche, anche se, dopo questi risultati in occidente il dibattito si arricchisce di spunti e riflessioni nuove. Ad esempio, sarebbe utile misurare quanto questa tendenza retorica stia influendo sull’ascesa populista, visto il caos mediatico che sono state capaci di scatenare le battaglie del politicamente scorretto – a detta di molti l’arma più potente in mano all’alt-right, la destra “alternativa” che, con personaggi come Milo Yiannopoulos, potrebbe aver avuto un ruolo fondamentale nell’elezione di The Donald e che esisterebbe anche in italia.
Il politicamente scorretto è una vecchia questione non necessariamente attinente al campo delle istituzioni. Le provocazioni verbali, comprese quelle più insolenti, sono materia secolare di comici e artisti. Prassi culturale, proprio come le bestemmie e i restanti tabù linguistici che semanticamente si nutrono proprio del loro essere proibite e del potere di scandalizzare che ne deriva.
Il politicamente scorretto però non è solo la via più breve per autoproclamarsi anti-casta e il più lontani possibile da ogni establishment, il politicamente scorretto è anche il linguaggio più consono a un periodo di comunicazione diretta, non-mediata, graffiante e acchiappa-like.
Oggi però le provocazioni verbali hanno una veste nuova, legata al crescente consenso di cui godono realtà politiche come il M5S di Beppe Grillo e le nuove destre, così come i vari Nigel Farage e Boris Johnson. Sono consensi che crescono velocemente, tanto da far vincere referendum anti-europeisti ed eleggere Donald Trump a presidente degli Stati Uniti. La cattiva reputazione che affligge l’informazione tradizionale non è l’unica responsabile: non si è politicamente scorretti solo per rispondere ai “buonisti”. Un ruolo importante lo ha la tendenza verso l’informale in retorica, una delle poche cose che accomuna Obama e Trump: il saper apparire come degli outsider, “innovatori” che creano uno stacco con la politica che li ha preceduti, candidati che parlano semplice e che “dicono le cose come stanno”.
La sfiducia nel sistema informativo ha radici nella più generale diffidenza verso le istituzioni causata dalla crisi economica. Beppe Grillo, in un’intervista concessa dopo il risultato elettorale deludente delle scorse europee, disse: “Il M5S non cresce in Trentino? Ma in Trentino la disoccupazione è al 6%!”. Ammise così pubblicamente che il successo del suo partito era legato soprattutto alla disoccupazione. E se lo ha potuto ammettere pubblicamente è perché la classe media declassata, più che in cerca di verità e di ragioni, è in cerca di sfoghi per la propria rabbia.
Il politicamente scorretto però non è solo la via più breve per autoproclamarsi anti-casta e il più lontani possibile da ogni establishment, il politicamente scorretto è anche il linguaggio più consono a un periodo di comunicazione diretta, non-mediata, graffiante e acchiappa-like che se anche fosse nata per via dei social network e della rete ha ormai strabordato, invadendo la totalità della comunicazione pubblica. Tra un vaffanculo grillo-trumpiano e un discorso più elaborato quale prenderebbe più like? Quale dei due sarebbe più facilmente riassumibile in 140 caratteri? Ma anche: quale diventerebbe più facilmente virale? La risposta è sempre la stessa, vincerebbe il vaffanculo grillo-trumpiano ed è, banalmente, quello che sta accadendo.
-->La sfida tra politicamente corretto e politicamente scorretto ha il punteggio già scritto; sperare in una vittoria dei corretti equivale a rifiutare la realtà. La difesa della “correttezza politica” è difficilissima proprio perché equivale a remare controcorrente. Sembra più verosimile che un argine all’ascesa dei Trump, dei Salvini e dei Grillo sia quello di un populismo di sinistra.
“grab her by the pussy”? Sempre meglio che Jay-Z
Donald Trump nella sua surreale campagna elettorale ha insultato tutti: minoranze etniche, presidente in carica, disabili, donne, fino a prendersela col suo stesso partito. Sulle donne però l’attenzione mediatica si è concentrata più spesso ed è proprio qui che ci sono stati i match comunicativi più accesi tra il Pol.Corr. e il Pol.Scorr. Una delle uscite più discusse del presidente eletto dalla capigliatura bizzarra è stata quella dove in un vecchio fuorionda raccontava orgoglioso di poter fare qualsiasi cosa alle donne in quanto personaggio famoso: “grab her by the pussy” è stata la frase simbolo del dibattito. Letteralmente: “acchiapparla per la fica”. In una frase del genere c’è tutto ciò che serve a scandalizzare: la reificazione del corpo femminile, l’insopportabile sudditanza al potere, il prostituirsi con il vecchio riccone, il ricattare giovani ragazze e non ultimo il fatto che il diretto interessato se ne vantasse fuori onda: un atteggiamento sbruffone e “viscido” per eccellenza. Questi punti negli States come in Italia li si è dibattuti a lungo e il risultato è stata tanta, ovvia, indignazione. Ed effettivamente la frase incriminata dice tanto di un personaggio che è davvero spaccone, maschilista, retrogrado, ricchissimo e di un’ignoranza provinciale, diremmo “gentista”.
Ma a dispetto di una differenza morale evidente tra i due candidati, Clinton ha perso comunque e se è successo è anche per via del politicamente scorretto. Infatti è bastato che la candidata democratica ricevesse l’endorsement di Jay-Z perché tutta la differenza svanisse.
Hillary Clinton ha fatto ciò che avrebbe fatto chiunque al suo posto: ha approfittato dello scandalo suscitato dalla frase oscena per scopi propagandistici. E lo ha fatto bene, sottolineando l’enorme divario tra lei e il suo avversario, tra chi si poneva l’obiettivo di rompere il “soffitto di cristallo” portando per la prima volta una donna a ricoprire il ruolo più importante al mondo e chi invece è un maschilista reazionario.
Ma a dispetto di una differenza morale evidente tra i due candidati, Clinton ha perso comunque e se è successo è anche per via del politicamente scorretto. Infatti è bastato che la candidata democratica ricevesse l’endorsement di Jay-Z perché tutta la differenza svanisse. Quello di Jay-Z è stato un endorsement importante, coronato da un discorso del rapper newyorkese e della sua influentissima compagna, Beyoncé Knowles. Ma è pur sempre un endorsement da parte di chi in “Big Pimpin” diceva: “Let em play with the dick in the truck” e “Hoe get yo’ ass in and let’s RI-I-I-I-I-IDE”.
Il supporter di Trump non ha avuto dubbi: a entrambi non importa nulla del linguaggio maschilista, ma Trump, al contrario della sua avversaria, lo esterna, lo rivendica, è sincero.
È bastato perché Donald Trump potesse rispondere:
“I actually like Jay Z, but you know the language last night […]”. “Can you imagine if I said that?”
Ecco ribaltata la prospettiva sullo scandalo: Trump ha detto quelle cose perché sono vere, l’ha fatto con spontaneità, perché sono fatti che qualunque miliardario conosce bene. La Clinton l’endorsement dal rapper l’ha invece studiato, programmato. Il supporter di Trump non ha avuto dubbi: a entrambi non importa nulla del linguaggio maschilista, ma Trump, al contrario della sua avversaria, lo esterna, lo rivendica, è sincero. Ed è questo il problema del politicamente corretto: sembra falso, opportunista, furbetto nei modi.
Da questa prospettiva la Clinton non è rimasta davvero sorpresa dal “grab her by the pussy”, semmai lo ha usato cinicamente per soffiare sulla fiamma delle accuse di maschilismo rivolte da un’ampia fetta di media al suo avversario. L’ha fatto per scongiurare “un’improbabile” elezione del suo avversario. Ecco però il risultato paradossale: i simpatizzanti di Trump non hanno riflettuto sulla misoginia del loro candidato, al contrario hanno avuto una riprova della sincerità e genuinità di Trump e della falsità cinica e costruita della sua avversaria.
Se la risposta al politicamente corretto è Trump, c’è una sola certezza: la domanda era sbagliata. Ma sbaglieremmo anche a concludere che “i buoni” sono i difensori del politicamente corretto, o che il politicamente corretto non esiste o, se esiste, è il linguaggio che ha almeno mantenuto un po’ di decenza. Il politicamente corretto è tale perché mantiene un aspetto costruito e artificioso, caratteristiche che però lo sanzionano come falso e costruito, poco spontaneo.
Non sono le ragioni o gli argomenti a essere l’oro comunicativo dei nostri tempi, bensì la mera apparenza di genuinità.
Questo è un punto essenziale nella percezione della realtà politica contemporanea: un’incoerenza come quella della Clinton che critica il linguaggio di Trump e poi accetta l’endorsement di un rapper come Jay-Z è considerata come “indegna di fiducia”. Anche se questa incoerenza è fisiologica nel contesto politico, se è l’insieme di semplice compostezza e formalità che si deve a un ruolo politico.
In altre parole: il cittadino che non ha informazioni sufficienti a scegliere razionalmente in materia politica argina la sua ignoranza applicando i suoi schemi culturali: cercando cioè di scovare chi gli pare più “vero” da contrapporre a chi è “falso”.
Un meme ormai diffusissimo fa il verso all’ignorante che prendendosela con un conoscente lo definisce “perzona falza”. Ecco, in un’espressione del genere c’è la riprova che non sono le ragioni o gli argomenti a essere l’oro comunicativo dei nostri tempi, bensì la mera apparenza di genuinità. L’essere diretto, maleducato, sessista e impresentabile di Trump in questo senso è un pregio, ci ricorda la genuina rozzezza delle “persone comuni”, simpatica perché sembra esprimersi come vorremmo far tutti – mica per cattiveria eh, così, per scherzo; perché a volte capita di chiamare i neri con quella parola e gli omosessuali con quell’altra.
[…] mi preoccupa francamente di più, visto che sarebbe il mio mestiere…). Potete leggere il post qui, per intero, e ne varrà la pena, anche in giorni di caotici dibattiti come sono […]