L’importanza del cane

Un grande umanista, Teodoro Gaza, scrisse il suo “Elogio del cane”, che oggi, cinque secoli dopo, viene ripubblicato. Il punto è che qualità come la fedeltà, l’intelligenza, la natura amorevole e affettuosa, oggi sono più importanti che mai, e ci spingono a domandarci il perché il cane sia ancora, dopo millenni di storia, l’animale prediletto dall’uomo.


In copertina: UGO CAPOCCHINI, “GIUDIZIO UNIVERSALE” all’Asta da pananti casa d’aste

di Andrea Tagliaferri

“Come motivazione, la speranza che a te questo supplemento farà non meno piacere della cosa reale, o piuttosto che lo considererai reale allo stesso modo e che apprezzerai più l’aggiunta del dono.”
Teodoro di Gaza, Canis laudatio

Ho un bel rapporto con i miei cani e l’abitudine di parlare con loro di tutto, credo perfino che mi capiscano. Talvolta la comunicazione è così efficace che mi sembra di percepire una risposta nei loro movimenti. So d’ingannarmi, perché il linguaggio animale non ha niente a che fare con quello umano. Anche a livello terminologico, per gli animali si preferisce parlare di “sistemi informativi” o di “attività di segnalazione”. Ma la mia domanda è questa: che differenza c’è tra il mio linguaggio e quello dei miei cani? Il dibattito tra gli studiosi è tutt’altro che chiuso. In sintesi può essere ricondotto ai due paradigmi del continuismo e del discontinuismo. Maria Fusco, nel saggio “Il linguaggio degli animali nel pensiero antico”, scrive che: nel primo caso le capacità linguistico cognitive degli animali vengono identificate come momenti di un continuum semiotico, differenti da quelle dell’uomo solo secondo un grado di minore o di maggiore complessità; nel secondo caso, l’accento è posto sulla differenza qualitativa, con la conseguenza di individuare nel linguaggio un (se non il) tratto specie-specifico dell’animale umano. 

Si fanno quindi i conti con l’antica questione della specificità dell’uomo. Se sia realmente mero pensiero, se si identifica nel logos, se è vero che possiede un’anima, se gli appartiene la coscienza nella stessa misura dell’incoscienza. O, come sostiene Feuerbach ne Il mistero del sacrificio, rendendo felici nutrizionisti e dietologi, l’uomo è ciò che mangia – appunto è fatto della stessa sostanza di cui si nutre. Aristotele sostiene che l’essere umano è un animale che vive nel logos e per il logos, e che l’animalità umana è tutta permeata di logicità e razionalità. Questo lo distingue dagli esseri privi di logos, che non sono in grado di argomentare e non parlano in senso stretto. In molti passi di opere in cui si è interessato alla questione, emerge la complessità relativa alla differenza tra il linguaggio umano e quello animale. Scrive nella Politica: “la natura, come diciamo, non fa niente senza scopo e l’uomo, solo tra gli animali, ha la parola (il logos): la voce indica quel che è doloroso e gioioso e pertanto l’hanno anche gli altri animali (e, in effetti, fin qui giunge la loro natura, di avere la sensazione di quanto è doloroso e gioioso, e di indicarselo a vicenda), ma la parola (il logos) è fatta per esprimere ciò che è giovevole e ciò che è nocivo e, di conseguenza, il giusto e l’ingiusto: questo è, infatti proprio dell’uomo rispetto agli altri animali, di avere, egli solo, la percezione del bene e del male, del giusto e dell’ingiusto e degli altri valori.”

Il logos dunque, pensiero e linguaggio, è il tratto specifico dell’uomo. L’uomo condivide con gli animali la voce, ovvero un suono che significa qualcosa, identificabile con il possesso di una certa immagine, cioè una rappresentazione mentale. L’immaginazione, a cui è attribuito il compito di richiamare alla mente oggetti assenti o sensazioni indipendentemente dalla loro presenza fisica, è una facoltà condivisa da uomo e animale, con la differenza che gli animali possiedono solo uno dei due tipi di immaginazione: la rappresentazione sensibile, mentre gli uomini possiedono anche rappresentazioni che possono essere espresse a parole. 

Ugo Capocchini, “Giudizio Universale” all’Asta da pananti casa d’aste

La posizione aristotelica espressa nella Politica è discontinuista e arriva fino a Cartesio, il quale, nella quinta parte del Discorso sul metodo, estremizzando Aristotele, sostiene che tra mondo animale e mondo umano la differenza è qualitativa: gli animali sono privi di linguaggio in quanto privi della ragione, il loro apparato fonatorio è adatto alla riproduzione del linguaggio ma le loro emissioni sonore non sono accompagnate dall’attività cognitiva. Gli animali operano secondo leggi innate e sono quindi simili alle macchine. 

Aristotele riflette sul legame tra il linguaggio e le caratteristiche dell’apparato fonatorio nelle sue opere di biologia. Nella Storia degli animali estende la riflessione sul linguaggio al mondo animale e sembra abbracciare una linea continuista, non traccia una linea di demarcazione netta nel possesso di una determinata funzione, ma una semplice distinzione di grado: descrive una scala naturale tra le varie specie animali rispecchiata da una gradazione che è possibile individuare nello strumento comunicativo. Individua così tre momenti del processo comunicativo e scrive: la voce e il suono sono due cose distinte, e una terza è la voce articolata. La voce non può venir emessa da nessuna altra parte se non dalla laringe; perciò quegli animali che sono privi di polmoni neppure possono emettere la voce. La voce articolata è l’articolazione della voce mediante la lingua. Dunque le vocali sono emesse dalla voce, cioè dalla laringe, mentre le consonanti dalla lingua e dalle labbra: e di queste consta la voce articolata. Perciò quegli animali che non hanno lingua o non l’hanno sciolta, non possono emettere una voce articolata. È emettere suoni anche con altre parti. 

In sintesi: la voce è emessa dalla laringe ed è legata a requisiti fisiologici e cognitivi (ne sono provvisti uomo e animale con la differenza espressa sopra); il suono può essere emesso con ogni parte del corpo (come nel caso delle api e delle mosche che sbattono le ali) ed è da considerarsi suono a condizione che ci sia un oggetto che colpisce, un corpo colpito e un mezzo attraverso cui tale fenomeno si produce (acqua o aria che sia). La voce articolata è invece la somma delle due funzioni precedenti ed è l’articolazione della voce mediante la lingua e le labbra. 

L’umanista greco Teodoro di Gaza, (nato a Salonicco nel 1410) si trovava in Italia nel 1440 in seguito alle incursioni dei turchi ottomani e qui si guadagnò da vivere insegnando greco e traducendo molte opere ospite in diverse corti (Mantova, Ferrara, Roma e Napoli). Scrisse anche la propria Grammatica della lingua greca, che fu stampata a Venezia da Aldo Manuzio e sarà utilizzata fino ai tempi moderni, ma soprattutto tradusse per il papa Sisto IV l’opera di Aristotele La storia degli animali.  Un libro che credo vada chiamato in causa perché dà una risposta alla domanda che mi sono posto nelle prime righe di questo articolo.

Teodoro ha scritto una gemmula dal titolo Elogio del cane, presentata per la prima volta in una edizione moderna da Leo S. Olschki, curata da Lucio Coco e in ristampa quest’anno. Il testo è un esercizio retorico scritto probabilmente in occasione del dono di una cagnolina a un illustre signore. Nel libro, composto da nove brevi capitoli, sono esaltate le doti del cane. Il cane assomma in sé le doti di tutti gli altri animali; la caccia (praticata anticamente da uomini e dei, greci e barbarie) deriva il suo nome proprio dal cane (Kyon-cane e hègesis-atto) ed è un esercizio formativo. Costringe ad alzarsi presto, sopportare le intemperie, non indietreggiare di fronte alle difficoltà. Il cane durante la caccia è unito all’uomo, “combatte insieme a noi e per noi.”  Il cane, prosegue Gaza, è fedele ed è l’animale più adatto a custodire e proteggere. A tal proposito, nel sesto capitolo, è chiamato in causa Platone, che, nella Repubblica, nel definire la figura del guardiano della sua città, trova il modello nella natura del cane. Sensi acuti, velocità, forza, un’indole mansueta con il padrone e animosa con gli sconosciuti.

Quest’ultima dote appare a Platone estremamente preziosa e porta Gaza a scrivere: “[Platone] vuole che il guardiano sia simile non al cavallo, al bue, all’elefante ma al cane. Il cane è un ottimo custode, tale, dice sia il guardiano della mia città. Il cane è filosofo nell’indole. Sia simile a lui il mio guardiano.” Il cane è un animale amorevole e affettuoso e “nei tempi antichi degli uomini, che godevano presso i loro contemporanei di una grande stima per la filosofia, non giudicarono indegno l’appellativo di cani; anzi ne approfittarono e lo fecero loro e non vollero essere chiamati in modo diverso che Cinici.” Furono chiamati cani i migliori tra gli uomini “e anche la stella più luminosa di tutte che si leva nel colmo dell’estate” , il riferimento è a Sirio, la stella più luminosa della costellazione del Cane, visibile tra luglio e agosto. E anche tra gli egizi il cane era un dio, Anubi, guardiano delle necropoli e del regno dei morti.

Riguardo a quanto il cane sia amorevole e affettuoso, scrive: quando il padrone è a casa, resta a casa; quando esce, esce anche lui e non c’è strada per quanto lunga, non c’è terreno accidentato, né sete né caldo, né freddo che gli impedisca di seguirlo ovunque. Lo accompagna ora precedendolo, ora tornando da lui, ora giocando e scodinzolando e facendo assolutamente di tutto per procurare al padrone divertimento e piacere. Il padrone lo chiama, viene: lo minaccia, si fa alquanto sottomesso. Lo colpisce, non si adira

Nell’ultimo capitolo, sono elencati i cani famosi dell’antichità: cani che morirono insieme al proprio padrone, altri che ne vendicarono la morte, uno che sorresse il corpo del padrone gettato nel Tevere. 

Per rispondere alla domanda con cui ho iniziato, dobbiamo andare nella prima parte del testo di Teodoro di Gaza, alla dedica, in cui scrive: la speranza che a te questo supplemento farà non meno piacere della cosa reale, o piuttosto che lo considererai reale allo stesso modo e che apprezzerai più l’aggiunta del dono.

Il supplemento è il libretto, un supplemento linguistico, un’aggiunta a parole, un cane di parole. Come a dire: il cane ha tanti pregi, gli manca solo la parola! 


Andrea tagliaferri (1988) È LAUREATO IN FILOSOFIA E VIVE IN MUGELLO. HA UN BLOG DAL 2011 DA CUI È NATO UN TESTO SPERIMENTALE DAL TITOLO L’ASTRONAUTA
PERDUTO (ECLETTICA EDIZIONI 2018). HA pubblicato RACCONTI SU VARIE RIVISTE, AMA LEGGERE E PESCARE.

1 comment on “L’importanza del cane

  1. Isabella Becherucci

    Mi sembra una bella presentazione di un libro intelligentemente riesumato. Isabella Becherucci

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