L’importanza del corvo

Perché il corvo è al centro di così tante mitologie antiche e moderne? Che cos’ha che lo rende famoso in così tante epoche e luoghi e culture diversi? Perché occupa un ruolo cruciale?


In copertina e lungo il testo. The Crow, Damien Hirst, 2009

Questo testo è estratto da “I dieci uccelli che hanno cambiato il mondo” di Stephen Moss, ringraziamo l’autore e Aboca Edizioni.

di Stephen Moss

“Noè […] fece uscire un corvo per vedere se le acque si fossero ritirate. Esso uscì andando e tornando finché si prosciugarono le acque sulla Terra.”

Genesi 8, 6-7

Al tramonto di una giornata d’inizio autunno, una donna stava lavorando fuori casa nel Boulder Canyon, sul fiume Colorado. Tuttavia, aveva difficoltà a concentrarsi, perché nelle vicinanze un grosso uccello nero gracchiava in modo continuo ed energico.

Si trattava di un esemplare noto, un corvo per la precisione, ma quel pomeriggio la donna trovò molto strano il suo comportamento. Più ignorava il corvo, più i suoi richiami si facevano forti e insistenti. Come lei stessa affermò in seguito, “si dimenava come un matto”.

Esasperata, guardò il corvo volarle sopra la testa per andare a posarsi su una sporgenza lì vicino. Solo allora comprese la ragione del curioso comportamento del pennuto.

Tra le rocce, ad appena sei metri di distanza, c’era un animale accovacciato: un coguaro la stava fissando con i suoi penetranti occhi gialli. La bestia, che pesava più di cinquanta chili, ovvero più della donna, si apprestava a balzarle addosso. Essendo alta circa un metro e mezzo, la donna aveva le dimensioni e il peso di un cervo, la preda abituale del coguaro. Quindi, se l’avesse attaccata, l’avrebbe come minimo ferita gravemente e, nel peggiore dei casi, uccisa.

La donna scappò di corsa, gridando a squarciagola. Il marito sentì le sue urla terrorizzate e la raggiunse, spaventando il coguaro.

Dopo essersi ripresa dallo shock, la donna raccontò la sua disavventura. Non ebbe dubbi su ciò che era successo: “Quel corvo mi ha salvato la vita”. I media dichiararono che era sopravvissuta per miracolo.

Facciamo un passo indietro e concentriamoci non sui pensieri e i sentimenti della donna, ma sugli istinti e le motivazioni dell’uccello. Perché mai il corvo avrebbe dovuto metterla in guardia da quell’attacco potenzialmente fatale? E se non riusciamo a rispondere a questa domanda in modo esauriente, che cosa è davvero capitato?

Fin dalla preistoria, lupi e corvi lavorano in simbiosi quando vanno a caccia di cibo; a volte cooperano con noi umani, altre con i predatori di mammiferi. I corvi sono troppo piccoli per uccidere delle prede grandi come un cervo, perciò si affidano ai lupi, ai coguari o agli esseri umani.

D’altro canto, questi grandi mammiferi terrestri sono svantaggiati dal fatto di non poter volare. Solo il corvo è in grado di perlustrare un’ampia zona del terreno, individuare una potenziale preda e poi tornare indietro per condurre il cacciatore fino all’obiettivo. Se il predatore riesce a uccidere, si ciba dell’animale, lasciando però abbastanza carne attaccata alle ossa da garantire ai corvi un pasto abbondante.

Quindi, anche se la donna ha interpretato il gracchiare del corvo come un segnale benigno, è più plausibile che fosse l’esatto opposto. Non ha forse più senso che il corvo abbia intenzionalmente guidato il coguaro fino alla donna nella speranza che riuscisse a ucciderla? Così, sia il coguaro sia il corvo avrebbero potuto banchettare in piena libertà. Come osserva l’eminente ornitologo Bernd Heinrich, che ha riportato questa storia nel suo libro La mente del corvo, “la mia conoscenza dei corvi, così come la tradizione popolare, sembrano coerenti con l’idea che i corvi non solo comunichino tra di loro, ma anche con i cacciatori per poterne condividere il bottino”.

Questo aneddoto esemplifica magistralmente quanto spesso fraintendiamo le motivazioni e le azioni degli uccelli. E ci insegna una lezione importante: in fatto di creature selvatiche, dobbiamo fare attenzione a non dare per scontato che siano in qualche modo “dalla nostra parte”. Potrebbero esserlo, ma soltanto nel caso in cui intravedano un reale vantaggio nell’allearsi temporaneamente con noi.

La cruda verità è che, come tutti gli altri volatili descritti in questo libro, i corvi pensano semplicemente a se stessi e alla propria sopravvivenza. È una verità che faremmo bene a tenere a mente.

Se si esamina l’origine del nome di questo uccello, risulta evidente che gli esseri umani e i corvi abbiano una lunga storia alle loro spalle. La parola “corvo” è tra le più antiche, essendo entrata in uso molto prima della nascita di Cristo.

Lo sappiamo perché, alla stregua di pochi altri nomi di uccelli, come rondine e cigno, la parola “corvo” è più o meno presente in tutte le lingue scandinave e germaniche. Pertanto possiamo dedurre con una certa ragionevolezza che derivi dalla stessa radice, che palesemente ricorda il richiamo dell’uccello. In islandese, corvo si dice hrafn (la F va pronunciata come una V), molto simile all’inglese raven. È probabile che, mentre osservavano il cielo freddo e grigio, i nostri antenati preistorici abbiano cercato d’imitare il suono di questo straordinario uccello.

Di norma i corvi seguono gli umani, così come gli altri grandi mammiferi, per nutrirsi dei resti della caccia, ma non si tratta di un rapporto puramente unidirezionale. In cambio, come abbiamo visto, i corvi segnalano all’uomo e ad altri predatori la presenza di potenziali vittime.

Questa relazione atavica e semi simbiotica con l’uomo spiega come mai i corvi siano presenti nelle mitologie di molte culture antiche. In effetti il corvo, più di ogni altro volatile, è al centro delle narrazioni sull’origine dei popoli. In tutto l’emisfero settentrionale, dall’Alaska al Giappone, passando per la Gran Bretagna, l’Irlanda, la Scandinavia, la Siberia e il Medio Oriente, il corvo non è solo un uccello leggendario, ma è, nella maggior parte delle civiltà, il primo uccello a essere stato mitizzato.

Molti altri uccelli occupano un posto significativo nella mitologia mondiale. Tra questi spiccano i gufi, noti per la loro presunta saggezza; le gru e i pavoni, ammirati per le loro intricate danze di corteggiamento, soprattutto in alcune zone dell’Asia; l’ibis sacro, legato alle religioni dell’antico Egitto; le aquile, che rappresentano forza e potere (vedi il capitolo 8); e lo splendido quetzal, uno degli uccelli più belli e ricercati al mondo, onnipresente nelle culture precolombiane dell’America centrale. Ma per quanto tutti questi uccelli siano significativi, nessuno possiede l’importanza, la portata geografica o la longevità storica del corvo.

I corvi vantano anche una lunga e illustre storia come portentosi messaggeri. Nell’Antica Grecia, Apollo (il dio delle profezie) li usava per inviare dei messaggi, anche se, come vedremo più avanti, non erano molto affidabili. Una delle leggende più note afferma che, se mai i corvi abbandoneranno la Torre di Londra, il Regno Unito e la monarchia cadranno.

E se pensate che al giorno d’oggi il corvo non abbia più una tale influenza sulle nostre credenze e culture, considerate questo. Quando l’autore della serie di romanzi Il trono di spade, l’americano George R.R. Martin, ha dovuto inserire nella trama un uccello che simboleggiasse il potere delle profezie e portasse messaggi come un piccione viaggiatore, non ha avuto dubbi: ha scelto il corvo.

Ma perché questo particolare esemplare della famiglia dei corvidi è al centro di così tante mitologie antiche e moderne? Che cos’ha che lo rende famoso in così tante epoche e luoghi e culture diversi? Perché occupa un ruolo cruciale? Come per altri uccelli che hanno dato origine a storie, miti e leggende, è per via del suo carattere, delle sue abitudini, del suo comportamento e, soprattutto, della sua intelligenza.

Ingegnoso, pieno di risorse, adattabile, astuto, opportunista. Sono solo cinque delle tante definizioni che si addicono in modo perfetto al corvo, e anche naturalmente a noi. Come gli esseri umani, accanto ai quali vivono da decine di migliaia di anni, i corvi sono in grado di modificare il loro comportamento in base alle diverse circostanze. Come gli esseri umani, sono in grado di risolvere i problemi, d’imparare dalle loro esperienze e persino di variare le loro azioni in seguito a una battuta d’arresto, in modo da avere più successo la volta successiva. E, proprio come gli esseri umani, suscitano un’ampia gamma di reazioni: dal profondo disgusto al rispetto, all’ammirazione e persino all’amore.

Ma c’è un altro aspetto del carattere del corvo che lo rende il soggetto ideale per la mitologia: la sua indipendenza di spirito. Questa sua caratteristica viene descritta nel libro della Genesi dell’Antico Testamento. È il primo uccello in assoluto a essere menzionato nella Bibbia, più precisamente all’interno del racconto del Grande Diluvio.

Dopo quaranta giorni, Noè è alla disperata ricerca di terre emerse dove fare approdare l’Arca. Decide di liberare due uccelli, un corvo e una colomba, ma manda fuori per primo il corvo. La colomba lo segue a ruota ma, non riuscendo a trovare un terreno asciutto, rientra all’Arca. Il corvo invece non viene più visto.

L’indipendenza, la riluttanza a piegarsi alla volontà delle sue controparti umane, è un tema ricorrente in tutte le storie sui corvi, siano esse un prodotto di ambienti altolocati o popolani, dall’antichità ai giorni nostri. Le tre grandi religioni abramitiche (ebraismo, cristianesimo e islam) condividono la convinzione che l’uomo sia superiore a ogni altra creatura (ad esempio, nel primo capitolo della Bibbia gli viene attribuito il dominio su di esse). Il corvo, tuttavia, si oppone a un tale ordine delle cose, rifiutandosi ostinatamente di essere trattato in modo diverso da un partner alla pari, quasi come se si considerasse un altro essere umano.

Ed è proprio così che molti studiosi percepiscono i corvi. L’ornitologo scozzese del XIX secolo, William MacGillivray, non era certo noto per il suo sentimentalismo; nella sua epica opera in cinque volumi, A History of British Birds (Storia degli uccelli inglesi), si discosta raramente dall’ambito puramente scientifico e descrittivo. Tuttavia, quando parla del corvo, anche lui non riesce a resistere al richiamo dell’antropomorfismo, ovvero l’attribuzione di caratteristiche umane a una specie non umana: “Non conosco nessun uccello britannico dotato di qualità più apprezzabili del corvo. La sua costituzione è tale da consentirgli di sfidare la furia delle tempeste più violente e di sopravvivere in mezzo al freddo più intenso; è abbastanza forte da respingere qualsiasi uccello della sua stessa taglia e il suo spirito è tale da indurlo ad attaccare persino l’aquila […] e, in sagacia, non è secondo a nessun’altra specie”.

La descrizione colma di ammirazione di MacGillivray sembra più adatta a un essere umano, magari a un eroe di guerra o a un esploratore, piuttosto che a un uccello. L’attribuzione al corvo dei nostri migliori, e talvolta i peggiori, tratti è anche alla base di tanti miti ambigui e leggende su questo uccello. I corvi possono essere buoni o cattivi; dei potenti alleati o dei temuti avversari; degli immondi spazzini o un prezioso aiuto per mantenere pulite le strade delle città. Però, da qualunque parte li si guardi e per quanto si cerchi d’inquadrarli, restano un enigma.

Sono proprio queste qualità umane che, come scopriremo, di solito derivano dal comportamento dell’uccello stesso, a rendere duraturo nel tempo il nostro rapporto con il corvo. E, rafforzando il posto centrale occupato dagli uccelli nelle nostre culture, il corvo ha modificato il nostro modo di vedere il mondo.

Che dire del corvo stesso? Della versione biologica, piuttosto che di quella culturale, storica e mitologica?

Il corvo imperiale è (insieme al corvo beccogrosso presente solo nel Corno d’Africa) il più grande membro della famiglia dei corvidi (Corvidae). Questi sono di gran lunga i più grandi esemplari dell’ordine dei passeriformi (Passeriformes) che comprende 140 famiglie e circa 6.500 specie, ben oltre la metà degli uccelli presenti su questo pianeta.

Come qualsiasi altro corvide, ciascun corvo ha dimensioni e peso diversi. Sono anche incredibilmente longevi, soprattutto se paragonati ad altri passeriformi, che di solito sopravvivono solo per due o tre anni (o addirittura meno se pensiamo alle tante specie più piccole). Infatti, i corvi possono arrivare a ventitré anni, anche se l’aspettativa media di vita è tra i dieci e i quindici anni.

Quando si cerca una descrizione concisa ed evocativa del corvo, la migliore in assoluto è la seguente tratta dall’autorevole monografia dell’ornitologo Derek Ratcliffe: “All’apparenza è una creatura sorprendente […] con un resistente becco incurvato a uncino. Il piumaggio nero assume da vicino una lucida iridescenza viola, blu e verde. In volo dimostra di possedere ali simili a quelle dell’aquila con estremità digitate e una coda larga e cuneiforme”. Ratcliffe, che ha all’attivo molti giorni trascorsi a osservare e a studiare i corvi, descrive anche il loro caratteristico modo di volare e richiamo: “Quando è in uno stato d’animo più tranquillo, il corvo […] indulge spesso in curiose gesta aeree, volando a pancia in su o in picchiata verso terra per poi invertire la rotta. E, per avvertire tutti della sua presenza, emette un profondo e risonante gracchiare che si propaga in lontananza”.

Nel corvo, è difficile discernere gli aspetti biologici da quelli culturali, ma quando Ratcliffe lo descrive come “lo spirito delle terre selvagge” ingloba sia le caratteristiche fisiche sia quelle metaforiche di questo volatile. Per comprendere veramente il carattere del corvo, è necessario osservarlo e udirlo dal vivo. Dopo un incontro ravvicinato con una simile affascinante creatura, vi sarà impossibile scambiare un corvo imperiale con una comune cornacchia.

Proprio come gli esseri umani, i corvi hanno un’ampia diffusione: si possono ammirare in tutto l’emisfero settentrionale, compresi i vasti territori dell’Europa e dell’Asia, e anche in gran parte del Nord America, dal momento che hanno attraversato il lembo di terra tra il Vecchio e il Nuovo Mondo diversi milioni di anni fa. Di conseguenza, il corvo si è espanso più di tutti gli oltre centotrenta membri della famiglia dei corvidi. Ciò gli è stato possibile anche grazie al fatto che è in grado di adattarsi a un’ampia varietà di condizioni climatiche, habitat e altitudini diverse. L’ornitologo Karel Voous ha osservato che soltanto il falco pellegrino è riuscito a insediarsi in una maggiore varietà di ambienti, mentre i curatori di un’opera sugli uccelli del Paleartico occidentale (Europa, Nord Africa e Medio Oriente) sostengono che il corvo sia talmente duttile che, nel suo caso, non si possa applicare il concetto di habitat. I corvi riescono a vivere oltre il circolo polare artico e nei deserti del Nord Africa, su colline e montagne, lungo le coste, nelle foreste, nei terreni agricoli e ai margini delle città, in gran parte del monte Everest e nelle isole piatte del Pacifico settentrionale. In tutti questi luoghi, hanno sviluppato uno stretto legame con gli esseri umani, anche se a volte piuttosto scomodo. Tale rapporto risale a migliaia di anni fa, molto prima dello sviluppo della civiltà moderna.

Come afferma Derek Ratcliffe: “Il corvo è […] forse più intimamente legato alla vita culturale dei popoli antichi di qualsiasi altro uccello”. Come vedremo, questa relazione si rivela in modi insoliti e spesso sorprendenti, alcuni dei quali stiamo iniziando a comprendere soltanto ora.

Il 2 settembre 2009, Tommy Olesen, un archeologo dilettante, stava scavando in un sito vicino al villaggio di Lejre, nella Danimarca orientale, quando si è imbattuto in una minuscola statuetta d’argento alta solo 18 millimetri e del peso di appena 9 grammi. Due mesi dopo, la statuetta è stata rivelata alla stampa e al pubblico riunitosi al vicino Museo di Roskilde, dov’è tuttora esposta.

Il manufatto, che risale all’incirca al 900 d.C., raffigura una forma umana su un trono contornata da due uccelli, uno per ogni lato. L’identità della “statuetta di Lejre” è tuttora oggetto di controversia, ma la maggior parte degli esperti ritiene che riproduca il dio norreno Odino, affiancato dai suoi due fedeli corvi, Huginn e Muninn.

Secondo solo a Thor (la cui fama è stata recentemente accresciuta dalla sua apparizione nel franchise cinematografico del Marvel Cinematic Universe), Odino è uno dei personaggi più noti della mitologia norrena. Dotato di un occhio solo e di una folta barba, è il “padre degli dei” celebrato per la sua saggezza, una qualità ottenuta grazie allo stretto legame con la coppia di corvi. Huginn significa “pensiero” e Muninn “memoria” o “mente”.

Stando alla leggenda, ogni mattina questi due uccelli fanno il giro del mondo per poi posarsi sulle spalle di Odino e sussurrargli tutto ciò che hanno visto. È per questo che Odino è soprannominato Ravneguden, il dio Corvo.

Gli studiosi hanno a lungo dibattuto sul significato simbolico dei corvi di Odino. Secondo alcuni, la capacità che possiedono di comunicare con il pensiero si rifà allo sciamanesimo, in cui l’uomo si connette con il mondo degli spiriti, entrando in uno stato di trance. I due corvi, però, potrebbero anche ricollegarsi a un concetto della mitologia norrena noto come fylgja, che racchiude in sé il cambiamento di forma da essere umano ad animale, la fortuna e lo spirito guida.

È ovvio che, ne Il trono di spade, l’autore si sia ispirato a entrambe queste idee, dal momento che Bran, rimasto paralizzato, entra regolarmente in trance e “diventa” il Corvo con Tre Occhi, riuscendo così a vedere il passato, il presente e (grazie al terzo occhio) il futuro.

George R.R. Martin ha confermato di avere avuto in mente Odino e i suoi corvi, quando ha inserito questi uccelli nella sua storia. Li descrive come “impavidi, curiosi, abili volatori […] e abbastanza grandi e feroci da far sì che anche il falco più possente ci pensi due volte prima di attaccarli”. Sottolinea anche la loro suprema intelligenza, concludendo: “Non c’è da stupirsi che i maestri li usino come messaggeri tra i Sette Regni”.

Odino viene spesso raffigurato anche con due lupi, Geri e Freki. Di nuovo, la loro simbologia e significato sono stati oggetto di speculazioni, ma, secondo alcuni, la loro presenza ha radici nel mondo reale. Bernd Heinrich suggerisce una spiegazione comportamentale piuttosto che simbolica per il legame tra Odino, lupo e corvo.

Lo studioso propone che sia il riflesso del rapporto esistente tra queste tre specie, un primo esempio di simbiosi o cooperazione mutualistica tra un cacciatore umano e due creature selvatiche. Come sottolinea Heinrich, “in una simbiosi biologica, un organismo supplisce alle debolezze o carenze altrui”. Essendo guercio, Odino ha bisogno di aiuto per vedere; è anche incline alla smemoratezza; da qui la presenza dei due corvi come suoi aiutanti. “Ha anche due lupi accanto a sé; e l’associazione uomo/dio-corvo-lupo è come un unico organismo in cui i corvi rappresentano gli occhi, il pensiero e la memoria, mentre i lupi si occupano del cibo”.

Heinrich prosegue a sviscerare le origini di questa relazione e il modo in cui essa simboleggia la nostra disconnessione dal mondo naturale. Il mito di Odino racchiude in sé la relazione tra esseri umani e due altre creature, in quella che egli definisce “una potente alleanza di caccia”.

Tuttavia, con il passare del tempo e l’avanzare della civiltà, il legame tra uomo, lupo e corvo ha iniziato a sciogliersi. Quando i nostri antenati hanno abbandonato il nomadismo e la caccia a favore di una vita stanziale da agricoltori, hanno mutato la relazione uomo-corvo: da amico e alleato, questo uccello è diventato un nemico e rivale.

Questo cambiamento è stato solo il primo di una lunga serie che, negli ultimi mille anni, ha modificato le sorti del corvo: da eroe a cattivo e viceversa.

Quasi dall’altra parte del mondo rispetto alla Scandinavia, il corvo appare anche nella cultura e nella mitologia della regione del Pacifico nordoccidentale. Come le loro controparti europee, i popoli indigeni dell’odierno Canada hanno instaurato un rapporto stretto e simbiotico con questi uccelli utili per reperire il cibo. Da lì a incorporarli nei propri miti di origine il passo è stato breve.

Nelle culture autoctone del Nord America, il corvo è considerato il creatore del mondo e dell’universo, compresi il sole e la luna. Le varie leggende hanno molti altri temi in comune: i corvi possono cambiare forma, custodiscono segreti e insegnano delle lezioni preziose agli uomini. Ma, soprattutto, i corvi rimangono ferocemente indipendenti, sempre spinti dal desiderio di soddisfare i propri bisogni piuttosto che quelli degli altri. Questo, come vedremo, è una caratteristica fondamentale nella storia del rapporto tra esseri umani e corvi.

Un altro elemento che si ripete spesso è il fuoco. Infatti, il piumaggio originariamente bianco del corvo si sarebbe annerito per colpa del fumo di un tizzone ardente. Tuttavia, il simbolismo dell’uccello rimane equivoco: se da un lato rappresenta la creazione del mondo, dall’altro è anche un giocoso imbroglione, qualità che di solito non associamo a una divinità onnipotente.

Ritroviamo dei miti della creazione con il corvo come protagonista anche oltre lo stretto di Bering, in Kamchatka, Russia. Qui, come in Nord America, il corvo è spesso rappresentato come un imbroglione. Questa similitudine tra le due culture non deve stupire, dato che gli antenati delle popolazioni indigene del Nord America sono originari dell’Asia nordorientale (sono emigrati verso est nelle Americhe circa 20.000-14.000 anni fa).

Altrove, il corvo (o uno dei suoi parenti stretti) fa parte della cultura e della mitologia dell’Antica Grecia, di Roma, delle civiltà celtiche, di Cina, Giappone, India, Australia e Medio Oriente. Non solo nella Bibbia, ma anche nel Corano, è un corvo a mostrare a Caino dove seppellire suo fratello Abele.

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