Una domanda scomoda che ha spesso ricevuto risposte ingiuste o errate: ci sono diversità tra l’intelligenza maschile e femminile?
di Erik Boni
È passato più di un secolo da quando il giovane filosofo austriaco Otto Weininger teorizzò, nell’opera Sesso e carattere, l’inferiorità mentale della donna. Al successo prodigioso, benché postumo, che l’opera riscosse nella prima metà del Novecento è poi seguita una netta condanna delle tesi sessiste espresse, analoga alla condanna di quel razzismo e antisemitismo che nascevano dalla medesima temperie positivista; ovvero dalla cristallizzazione dei tratti e delle diversità comportamentali fatti discendere direttamente da “essenze” biologiche, dalla natura stessa dell’uomo e della donna (o dell’ebreo, o del nero). Diciamo che la combinazione fatale fra le premesse pseudoscientifiche e le politiche sciagurate che a volte venivano giustificate in base a quelle premesse ha determinato a lungo una proibizione di fatto ad affrontare certe questioni da un punto di vista naturalistico, e l’obbligo ad accostarle sul piano culturale, della critica alle istituzioni e alle convenzioni sociali.
Qualcosa è cambiato, pur con moltissime resistenze, durante agli anni ’70 del secolo scorso, quando gli scienziati che avevano accolto la sintesi neodarwiniana (la sintesi del classico evoluzionismo e la genetica mendeliana alla luce della scoperta del Dna) cominciarono a rivolgersi alle implicazioni delle loro teorie per quel che riguarda il comportamento umano. Potremmo considerare lo spartiacque fra il vecchio e il nuovo paradigma il libro di Edward O. Wilson Sociobiologia. Inizialmente considerata un’eresia, la sociobiologia ha poi finito per affermarsi come disciplina scientifica rispettabile anche se nel processo ha dovuto cambiare nome in “psicologia evoluzionistica”. Mentre ancora oggi gli psicologi evoluzionisti vengono talvolta accusati di riduzionismo (pare che in certi ambienti questa costituisca una gravissima offesa), almeno sembrano essere spariti gli episodi più sgradevoli di boicottaggio accademico (appelli di rinomati scienziati contro la libertà d’espressione dei loro colleghi, manifestazioni non sempre pacifiche, e una costante reductio ad hitlerum). Il che non esclude che alcuni argomenti rimangano molto scottanti e delicati. Uno di questi argomenti è l’eventuale specificità dell’intelletto rispetto ai generi sessuali, come ha scoperto recentemente Piergiorgio Odifreddi (il quale, a dire il vero, sembra andare a cercarsele).
Il 16 ottobre scorso Odifreddi ha infatti pubblicato un brevissimo articolo, sul giornale La Repubblica, che ha suscitato un certo scalpore. Prendendo le mosse dagli esempi di Ada Lovelace e Marie Curie Odifreddi faceva notare nel suo trafiletto che nonostante queste significative eccezioni le donne di genio continuano ad essere sottorappresentate nelle professioni scientifiche, cosa dimostrata anche dallo scarso numero dei premi Nobel vinti (quest’anno nessun premio è andato a una donna). Oltre a questo però sottolineava come, all’interno delle varie categorie del premio, ci fossero significative differenze quanto alla rappresentanza femminile. Fra tutti i premi Nobel vinti da donne, ce ne sono “16 nella pace, 15 in letteratura, 12 in medicina, 4 in chimica, 2 in fisica, 1 in economia” e in più aggiungeva 1 medaglia Fields (più o meno l’equivalente del Nobel per la matematica) e il fatto che nessuna donna sia mai riuscita a diventare campionessa mondiale di scacchi. A partire da questi dati, notando la progressione discendente, Odifreddi inferiva come “l’attitudine femminile sia direttamente proporzionale alla concretezza e inversamente proporzionale all’astrazione”.
L’articolo è stato subito accusato di sessismo, e ha prodotto alcune vivaci risposte e reazioni: c’è ad esempio una lettera del “Gruppo di Lavoro Pari Opportunità dell’Unione Matematica Italiana”, nella quale si oppone ai “commenti estremamente discutibili” di Odifreddi l’ipotesi (e anzi la certezza) che la scarsa presenza femminile nella ricerca scientifica non sia dovuta alla minore capacità di astrazione rispetto ai maschi, ma a “convenzioni sociali dure a morire”, come il fatto che “le ragazze non vengono sufficientemente indirizzate verso gli studi scientifici mentre si ritiene più naturale spingerle, ad esempio, verso studi umanistici ritenuti più consoni alle loro capacità. Per non dire che, per molte scienziate, la vita accademica e della ricerca entra spesso in conflitto con importanti scelte personali”. Nella lettera veniva poi richiamato – un po’ minacciosamente – il precedente di un rettore di Harvard (si tratta di Lawrence Summers) che era stato costretto a dare le dimissioni dopo aver espresso anche lui alcune ipotesi intorno ai fattori innati a monte della disparità fra i sessi nelle carriere scientifiche, concludendo che “dispiace constatare che opinioni trite, e ritenute inaccettabili […] vengano riproposte periodicamente”.
Se fosse vero che esistono grandi differenze nella rappresentanza femminile – fra le discipline scientifiche e ai livelli più alti – non potremmo ignorare il dato né come statisticamente insignificante né liquidarlo come effetto delle solite convenzioni.
Nella sua controreplica, assai poco diplomatica, Odifreddi si difendeva dalle accuse di sessismo e rispondeva che la critica era del tutto fuori bersaglio, basandosi su quello che gli appariva essere un fraintendimento radicale. Il discorso del matematico, infatti, non verteva sulle differenze intellettive fra uomini e donne come era stato quello di Summers (e sarebbe stato comunque un argomento legittimo), ma delle sole differenze all’interno dell’universo femminile. Dando per scontato, cioè, che le donne siano in grado di fare ricerca ad altissimi livelli (cosa che peraltro era dimostrata proprio dagli esempi fatti, come Ada Lovelace e Marie Curie), la domanda era “in che cosa sono più abili”? Esistono discipline scientifiche dove “l’attitudine femminile” (come la chiama Odifreddi, e qualunque cosa significhi) è più favorita che altrove?

Se fosse vero che esistono grandi differenze nella rappresentanza femminile – fra le discipline scientifiche e ai livelli più alti – non potremmo ignorare il dato né come statisticamente insignificante né liquidarlo come effetto delle solite convenzioni, perché, sostiene Odifreddi, quelle convenzioni non spiegano come mai molte più donne riescono ad eccellere, poniamo, nelle discipline biologiche rispetto a quelle matematiche. Parliamo, in altre parole, di persone che hanno già sfondato il famigerato soffitto di vetro, superando i limiti imposti dalla società patriarcale, ma ci siamo accorti che anche dopo averlo sfondato si sono raggruppate in modo non omogeneo. Il ragionamento di Odifreddi qui non è del tutto limpido, ma sembra suggerire che questo particolare insieme di donne eccezionali, nella loro eccezionalità, costituirebbe un esperimento naturale nel quale uno dei due insiemi di fattori che contribuiscono a plasmare la personalità – quelli innati e quelli forniti dall’educazione – è tenuto sotto controllo permettendo l’esaltazione dell’altro. Qualsiasi differenza sarebbe quindi imputabile solo all’insieme dei fattori innati.
Non ci sentiamo in grado di fare da arbitro in questa disputa, che riteniamo comunque interessante, ma crediamo si possa senz’altro dire che le argomentazioni di Odifreddi a sostegno della sua teoria siano traballanti, per più di un motivo. Il primo motivo è che la base empirica dalla quale egli è partito – l’elenco dal quale attinge – è insufficiente e inadeguata: si tratta di 50 premi Nobel distribuiti nell’arco di più di un secolo dei quali ben più della metà (31) riguardano la pace e la letteratura, che non sono nemmeno discipline scientifiche (e che potrebbero benissimo confermare la teoria per la quale le donne sono maggiormente incoraggiate a intraprendere gli studi umanistici). Per quanto riguarda i premi restanti (ai quali aggiungiamo la medaglia Fields) possiamo al massimo notare una certa prevalenza dei Nobel in medicina mentre le piccole differenze nelle restanti discipline potrebbero essere semplici fluttuazioni statistiche, o anche riflettere il capriccio (o i pregiudizi) degli accademici.
-->L’altro aspetto critico nel mini saggio di Odifreddi è che non si capisce bene in che modo divida la discipline scientifiche in base al grado di concretezza o astrattezza. Il punto sarebbe stato almeno meritevole di approfondimento: cosa vuol dire per una scienza essere astratta o concreta? Si intuisce abbastanza bene in che modo la matematica o la logica, che guarda caso sono anche le discipline in cui eccelle Odifreddi, possano essere considerate astratte, ma perché il gioco degli scacchi dovrebbe essere persino più astratto della matematica? Perché la chimica è più concreta della fisica? E l’economia, che è un Nobel fra i più penalizzanti per le donne, non è da piuttosto da considerarsi fra le scienze meno astratte? Si capisce che questo modo di parlare abbia fatto alzare più di un sopracciglio perché la distinzione nella sua vaghezza sembra richiamare davvero certi pregiudizi in base ai quali le donne dovrebbero dedicarsi ad “attività pratiche” piuttosto che alle fatiche del pensiero, ma noi che siamo garantisti non vogliamo condannare nessuno in base a semplici impressioni.
Un’altra questione, infine, è che l’argomento prima richiamato, per cui le donne che hanno successo nella carriera scientifica non subiscono l’influsso della cultura maschilista è tutt’altro che solido, e si potrebbero benissimo fornire altre spiegazioni per la distribuzione diseguale. Si potrebbe ipotizzare ad esempio una forte selezione in ingresso che non solo indirizzi verso le discipline umanistiche (già ritenute tradizionalmente femminili) ma che svolga il suo ruolo anche all’interno delle professioni scientifiche, per cui le donne potrebbero essere indirizzate maggiormente verso le scienze “concrete” e meno verso la matematica. Una minima verifica quindi consisterebbe nel controllare se la percentuale di donne iscritte alle varie facoltà scientifiche rispecchi la percentuale di donne di genio nelle stesse discipline (naturalmente si porrebbe poi la questione del perché le donne scelgano alcune facoltà piuttosto di altre).
Siccome riteniamo tutto sommato interessante lo spunto offerto da Odifreddi, come contributo alla ricerca sulle specificità dell’intelletto femminile, abbiamo provato a colmare noi stessi alcune delle lacune della sua “analisi”. Per quanto riguarda la base di partenza, abbiamo bisogno di un insieme omogeneo di donne di genio numericamente consistente divise in varie discipline scientifiche. Un simile insieme potrebbe essere offerto dai membri dell’Accademia Nazionale delle Scienze degli Stati Uniti d’America (la più importante associazione scientifica del mondo). La NAS è un’organizzazione che accetta fra i suoi membri (eletti a vita da chi ne fa già parte) solo gli scienziati ritenuti più importanti che hanno conseguito particolari e continui successi attraverso ricerche originali nel loro campo. Si tratta di una istituzione molto esclusiva, e farne parte conferisce quasi lo stesso prestigio di un Nobel (e d’altronde una buona percentuale di membri è premio Nobel).
Andando sul sito della NAS troviamo che i suoi membri possono essere ricercati, oltre che per cognome, anche in base alla disciplina scientifica (Section) che costituisce il loro maggiore interesse. Queste discipline sono 31, divise in 6 gruppi principali che possono così essere denominati: 1) Scienze matematiche e fisiche 2) Scienze biologiche 3) Scienze applicate e ingegneria 4) Medicina 5) Scienze sociali 6) Scienze ambientali. Purtroppo non esiste un filtro che separi gli uomini dalle donne (giustamente) quindi abbiamo dovuto procedere in questo modo: per ogni disciplina abbiamo contato a mano quante donne ne fanno parte, poi abbiamo ricavato la percentuale di donne sul totale dei membri in quella categoria (è possibile che abbiamo commesso piccoli errori ad esempio interpretando come maschile un nome di battesimo femminile o viceversa). Una nota metodologica importante: non abbiamo potuto, come fa Odifreddi, contare solo il numero assoluto di donne presenti in ogni disciplina, perché le varie sezioni hanno diverse consistenze numeriche. Il fatto di considerare la percentuale di donne sul totale (e quindi rispetto agli uomini) però non deve farci perdere di vista l’obiettivo principale, che non è quello di confrontare fra loro le performances di uomini e donne ma solo quelle delle donne.
I microbi infatti sono femminili quasi quanto le cellule (ma non quanto le piante), mentre l’oncologia e l’immunologia sono discipline temutissime, quasi allo stesso livello della matematica.
I risultati si trovano nella tabella qui sotto, divisi secondo i sei gruppi principali. L’ultimo numero in ciascuna riga indica la percentuale di donne presenti quella sezione. Abbiamo anche calcolato la percentuale di donne presenti in ciascuno dei gruppi principali.
Gruppo | Sezione | donne/totale | % |
Scienze fisiche e matematiche | Mathematics | 7/131 | 5,3% |
Astronomy | 16/98 | 16,3% | |
Physics | 10/194 | 5,1% | |
Chemistry | 19/209 | 9,1% | |
Geology | 15/99 | 15,2% | |
Geophysics | 13/89 | 14,6% | |
Totale gruppo | 80/820 | 9,8% | |
Scienze biologiche | Biochemistry | 24/146 | 16,4% |
Cellular and Developmental Biology | 20/110 | 18,2% | |
Physiology and Pharmacology | 6/51 | 11.8% | |
Cellular and Molecular Neuroscience | 13/76 | 17,1% | |
Plant Biology | 14/61 | 23% | |
Genetics | 34/114 | 29,8% | |
Evolutionary Biology | 11/60 | 18,3% | |
System Neurosciences | 8/55 | 14,5% | |
Biophysics and Computational Biology | 10/88 | 11,4% | |
Totale gruppo | 140/761 | 18,4% | |
Scienze applicate | Engineering Sciences | 7/89 | 7,9% |
Applied Mathematical Sciences | 9/69 | 13% | |
Applied Physical Sciences | 9/109 | 8,3% | |
Computer and Information Science | 6/53 | 11,3% | |
Totale gruppo | 31/320 | 9,7% | |
Scienze mediche | Medical Genetics, Hematology, and Oncology | 7/119 | 5,9% |
Medical Physiology and Metabolism | 7/66 | 10.6% | |
Immunology and Inflammation | 5/83 | 6% | |
Microbal Biology | 13/75 | 17,3% | |
Totale gruppo | 32/343 | 9,3% | |
Scienze sociali | Anthropology | 26/85 | 30,6% |
Psychology and Cognitive Sciences | 29/75 | 38,7% | |
Social and Political Sciences | 11/67 | 16,4% | |
Economic Sciences | 4/67 | 6% | |
Totale gruppo | 70/294 | 23,8% | |
Scienze ambientali | Animal, Nutritional, and Applied Microbial Sciences | 10/62 | 16,1% |
Plant, Soil, and Microbial Sciences | 10/66 | 15,2% | |
Environmental Sciences and Ecology | 14/75 | 18,7% | |
Human Environmental Sciences | 8/43 | 18,6% | |
Totale gruppo | 42/246 | 17,1% |
Al primo posto (con la percentuale del 38,7) troviamo quindi la psicologia e all’ultimo posto (5,1%) la fisica. Se cioè nella psicologia si è quasi raggiunta la parità fra i sessi e c’è una donna ogni 2,5 psicologi, all’altro estremo c’è una sola donna ogni 19,4 fisici. Per certi versi questi risultati sembrano confermare la teoria di Odifreddi mostrando differenze non solo significative ma in qualche caso enormi della percentuale di donne geniali nelle varie discipline. D’altra parte, però, non sembra facile inquadrare queste differenze in una semplice metrica “dal più concreto al più astratto” o anche solo dar loro un significato coerente, come mostrano anche le notevoli deviazioni presenti all’interno dei vari raggruppamenti.

Le scienze fisiche e matematiche risultano quelle più difficili per le donne, come previsto, ma con la notevole eccezione dell’astronomia (e anche della geologia). A sorpresa però la matematica si colloca seconda in difficoltà dopo la fisica (va detto che la differenza è piccola e potrebbe essere casuale). Le scienze sociali sono invece le più facili e anche questo sembrerebbe confermare il discorso odifreddiano, se non fosse che l’economia risulta invece fra le discipline meno apprezzate. Dopo le scienze sociali (ma con l’eccezione dell’economia) le discipline più apprezzate dalle donne sono quelle ambientali e biologiche, dove registriamo il sorprendente successo della genetica. Salta però la distinzione fra concretezza e astrattezza perché invece la medicina (che diremmo concreta) è pochissimo praticata, pur con delle notevoli differenze. I microbi infatti sono femminili quasi quanto le cellule (ma non quanto le piante), mentre l’oncologia e l’immunologia sono discipline temutissime, quasi allo stesso livello della matematica. La teoria di Odifreddi scricchiola anche se andiamo a osservare il gruppo delle scienze applicate, che dovremmo considerare “concrete” in quanto applicate, appunto, ma dove curiosamente troviamo che l’ingegneria è particolarmente avversata mentre la matematica applicata ottiene un punteggio discreto (abbastanza buono pure il punteggio dell’informatica, e anche qui contro Odifreddi).
Per un controllo ulteriore, e poiché ci è venuto il dubbio che possano esservi grosse differenze da paese a paese in base alle specifiche tradizioni culturali, abbiamo eseguito la stessa ricerca anche sull’Académie des Sciences di Francia, che però può contare su un numero di membri più ristretto. Come nel caso precedente abbiamo considerato sia i membri effettivi (viventi) che i soci stranieri assumendo che se vi è influenza culturale questa dovrebbe condizionare anche le modalità di elezione (questo fa sì che alcune persone siano presenti in entrambe le accademie, come la nostra Fabiola Gianotti, o la medaglia Fields Maryam Mirzakhani). I risultati per ciascuna categoria, sono questi:
Sezione | donne/totale | % |
Matematica | 3/45 | 6,7% |
Fisica | 4/52 | 7,7% |
Scienze meccaniche e informatiche | 5/48 | 10,4% |
Scienze dell’universo | 7/50 | 14% |
Chimica | 1/48 | 2,1% |
Biologia molecolare e cellulare, genomica | 8/54 | 14,8% |
Biologia integrativa | 6/47 | 12,7% |
Biologia umana e scienze mediche | 5/50 | 10% |
Scienze applicate | 2/33 | 6,1% |
In realtà qui la rappresentanza femminile è davvero troppo scarsa perché possiamo considerare come attendibile questo conteggio (si veda il punteggio della chimica, del tutto fuori scala) ma volendo giocare, e con l’eccezione appunto della chimica, i risultati sono simili a quelli americani (tenendo conto anche della diversa classificazione che mette insieme discipline che presso la NAS sono separate). Matematica e fisica cioè si confermano come le discipline più avversate dalle donne. Fra le scienze fisiche è particolarmente apprezzata l’astronomia. Le scienze biologiche sono invece apprezzate ma si conferma al loro interno la differenza fra lo studio delle cellule e dei geni (che piacciono) e le scienze mediche (che non piacciono).
Le spiegazioni possibili sembrano due: o l’ambiente accademico di certe discipline è particolarmente sessista e ostile alle donne, oppure è in atto una selezione nella quale via via che la competizione diventa più aspra le caratteristiche della psiche femminile si fanno più determinanti, penalizzando le donne in alcuni settori e premiandole in altri.
A questo punto non ci resta che verificare se e quanto queste percentuali, che rappresentano le donne che “ce l’hanno fatta” rispecchino le percentuali di donne che si iscrivono alle varie facoltà o piuttosto se ne discostino. Dalle statistiche presenti nel sito della National Scientific Foundation (NSF) possiamo ricavare la seguente tabella relativa alla percentuale di donne che hanno ottenuto rispettivamente il Bachelor of Arts, il Master of Arts e il PhD nelle varie discipline nel 1996. Naturalmente avremmo potuto scegliere un’altra data, e anzi sarebbe stato interessante seguire come le percentuali siano cambiate negli ultimi decenni (riflettendo, stavolta con un buon grado di certezza, i cambiamenti culturali intercorsi) ma abbiamo pensato che le donne premi Nobel di oggi sono le laureate di ieri, e che quindi per il confronto era più pertinente risalire indietro di almeno una ventina di anni.
Disciplina | Bachelor of Arts | Master of Arts | PhD |
Psychology | 73 | 71,9 | 65,7 |
Social Sciences | 50,8 | 48,7 | 37,7 |
Biosciences | 50,2 | 47,7 | 39,4 |
Physical Sciences | 36,2 | 32,2 | 23,1 |
Mathematics | 45,9 | 40,2 | 20,6 |
Engineering | 17,9 | 17,2 | 12,5 |
Computer Sciences | 27,6 | 26,9 | 14,5 |

Possiamo quindi notare che sì, esiste una certa sovrapposizione: le donne fin dall’inizio preferiscono (o sono indirizzate verso) la psicologia, le scienze sociali, o la biologia piuttosto che la fisica, l’ingegneria, o l’informatica. La matematica tuttavia sembra fare eccezione, visto che le donne che ottengono un Bachelor of Arts sono quasi la metà del totale. L’altra cosa piuttosto evidente è che più il titolo di studio è di grado elevato, più diminuisce la percentuale di donne che lo ottengono. Questo fatto riflette certamente la maggiore difficoltà che le donne hanno nel conciliare una carriera accademica con le scelte familiari e parentali, ma per il nostro scopo è importante soprattutto sottolineare la diversa velocità con cui la percentuale precipita nelle varie discipline. Se per quanto riguarda la psicologia, per esempio, la percentuale dal BA al PhD scende di 7,3 punti, in matematica assistiamo a una vera e propria strage, con un discesa di 25,3 punti percentuali equivalenti a un dimezzamento. La tendenza si confermerebbe se nell’ultima colonna di ogni riga mettessimo anche le percentuali relative alle donne che fanno parte della NAS, con la matematica che precipiterebbe, dall’iniziale 45,9% al 5,3%. La psicologia dall’iniziale 73% si arresterebbe invece al 38,7% (è un peccato che non si possa ottenere un confronto dettagliato con tutte le 31 sezioni della NAS).
Se non abbiamo difficoltà ad ammettere che le tradizioni culturali esistono, e che sono in parte responsabili del gap di genere, occorre riconoscere anche che è improbabile che donne e uomini, fisiologicamente diversi in pressoché ogni aspetto fisico debbano essere indistinguibili solo per quanto riguarda il loro cervello e la loro psiche.
Le spiegazioni possibili sembrano due: o l’ambiente accademico di certe discipline è particolarmente sessista e ostile alle donne, oppure è in atto una selezione nella quale via via che la competizione diventa più aspra le caratteristiche della psiche femminile si fanno più determinanti, penalizzando le donne in alcuni settori e premiandole in altri. Uno studio recente della University of Washington che affronta proprio il problema del gender gap nelle discipline scientifiche ne individua la causa appunto nel fatto che certi settori sarebbero maggiormente dominati da una cultura “mascolina” e vengono quindi ancora percepiti come maschili, facendo sentire le donne come delle estranee, non integrate nella cultura di quell’ambiente; una possibile soluzione, si suggerisce, potrebbe essere dipingere le pareti delle aule di rosa (non scherziamo). È interessante che l’ipotesi più semplice (non necessariamente quella corretta) non riesca nemmeno ad essere formulata: se certi settori sono percepiti come maschili forse è proprio per il motivo che lo sono, o meglio, sono percepiti come tali perché le donne non ci vanno, e non viceversa.
Un altro articolo recente apparso su The Atlantic, che si pone la domanda “perché ci sono così poche donne matematiche?” è caratterizzato da una identica elusione: dopo aver elencato alcuni fattori come la difficoltà nel conciliare il lavoro con le cure parentali, che però hanno il difetto di non essere specifici per la matematica, l’unica proposta che riguarda la disciplina in esame sarebbe un certo culto per l’oggettività che rende difficile ai matematici rendersi conto dei loro bias sessisti e rivedere i loro giudizi. Particolarmente buffo è il fatto che, mentre si denuncia come esempio di atteggiamento sessista l’insinuazione che una donna abbia ottenuto un riconoscimento importante solo per fungere da esemplare rappresentativo del suo sesso (tokenism), per combattere il pregiudizio si invita ad assegnare più riconoscimenti alle donne anche in funzione di simbolo, cioè a dare fondamento a quell’insinuazione.
Francamente, ci sembra poco convincente l’idea di una discriminazione sistematica nei confronti delle donne nell’ambiente universitario e accademico americano, quando sappiamo che quell’ambiente da qualche decennio è semmai attraversato da una crisi da eccesso di politically correct, quello che appunto ha costretto il rettore di Harvard a dimettersi per aver espresso in forma molto dubitativa delle opinioni non convenzionali sulle cause del gender gap. È vero che spesso vi è una grossa ipocrisia dietro il fenomeno del politically correct, per cui l’esasperata attenzione ai formalismi linguistici può nascondere sotto il tappeto comportamenti più gravi sul piano pratico, ma anche tenendo conto di questo ci sembra che l’onere della prova oggi come oggi spetti a chi sostiene l’esistenza di questi comportamenti. Se vi sono gravi discriminazioni verso le donne vanne denunciate e portate alla luce, non semplicemente postulate. Il problema principale, a nostro avviso, è che la teoria delle discriminazioni nascoste, sottili, invisibili, è ormai una classica ipotesi ad hoc sempre invocata per colmare la dissonanza fra ciò che crediamo e ciò che vediamo, e perciò infalsificabile. Se c’è una differenza fra uomini e donne è dovuta a una qualche forma di discriminazione, e se questa discriminazione non la vediamo è perché è nascosta ma c’è, altrimenti non ci sarebbero le differenze.
Se invece riflettiamo sul fenomeno da noi analizzato, delle diverse velocità con cui la rappresentanza femminile cala nelle varie discipline, questo sembra indicare una precisa direzione causale: le donne si iscrivono meno a matematica (o ad altre materie) che in biologia perché hanno meno possibilità di avere successo e devono massimizzare la loro utilità attesa. Se la differenza fra biologia e matematica fosse interamente dovuta ai condizionamenti culturali che influenzano le scelte delle donne allora dovremmo attenderci il fenomeno inverso: un gap in ingresso che si allarga sempre meno via via che diventa preponderante il fattore della sola capacità.
Gli uomini, allora, potrebbero avere diritto a lamentarsi quanto le donne perché in tal caso risulterebbe che sono meno abili in psicologia o biologia. Ma non è tutto, perché la teoria (sempre se valida) potrebbe essere compatibile addirittura con una maggiore capacità matematica delle donne rispetto agli uomini.
Proviamo a prevenire alcune obiezioni: abbiamo detto che tutto quanto il discorso si riferisce alle solo donne, e non alla differenza fra i due sessi. Ma non si tratta di una grossa ipocrisia? Questa differenza non è comunque implicata dall’ipotesi che stiamo vagliando? Ovvero, non stiamo dicendo che mediamente gli uomini sono più bravi delle donne in matematica? Intanto, e banalmente, se queste fossero le implicazioni allora pazienza, non è che in scienza possiamo gettare via i dati perché non ci piacciono le conclusioni che traiamo da essi. Ma se può consolare l’implicazione non è necessaria.
Francesco Totti per quanto ne sappiamo potrebbe essere un ottimo cameriere, migliore di tanti che esercitano la professione di cameriere, ma siccome gli è più redditizio giocare a calcio piuttosto che servire ai tavoli si è dedicato alla prima attività.
Intanto, ci rendiamo conto di come la sovra-rappresentazione maschile in tutte quante le discipline possa creare una falsa percezione degli uomini come più abili in tutto, ma qui in realtà nessuno mette in dubbio o nega gli ostacoli sociali e culturali che sono alla base di quel gap di genere, quindi è perfettamente plausibile che una volta rimossi quegli ostacoli le donne ottengano il predominio almeno nelle discipline nelle quali sembrano ottenere risultati migliori. Gli uomini, allora, potrebbero avere diritto a lamentarsi quanto le donne perché in tal caso risulterebbe che sono meno abili in psicologia o biologia. In realtà la differente distribuzione del genio maschile e femminile nella varie discipline può avere diverse spiegazioni alternative: a) le donne sono più abili in psicologia e biologia ma meno abili in matematica, gli uomini sono particolarmente abili in matematica ma meno abili in psicologia e biologia; b) le donne sono altrettanto abili in tutto, ma gli uomini sono particolarmente abili in matematica; c) gli uomini sono altrettanto abili in tutto, ma le donne sono particolarmente in psicologia e biologia. Ma non è tutto, perché la teoria (sempre se valida) potrebbe essere compatibile addirittura con una maggiore capacità matematica delle donne rispetto agli uomini.

In economia si intende per “vantaggio comparato” quel fenomeno per cui, nella divisione del lavoro, ciascuno ha interesse a specializzarsi in ciò che sa fare meglio. La sottigliezza da cogliere (e che in economia è importantissima) è che non è necessariamente vantaggioso specializzarsi in ciò che si sa fare meglio di qualcun altro, ma in ciò che sappiamo fare meglio fra le varie cose che possiamo fare. Per fare un esempio, Francesco Totti per quanto ne sappiamo potrebbe essere un ottimo cameriere, migliore di tanti che esercitano la professione di cameriere, ma siccome gli è più redditizio giocare a calcio piuttosto che servire ai tavoli si è dedicato alla prima attività, per la fortuna di almeno una persona che pur essendo un cameriere peggiore di Totti ha così trovato un posto lasciato libero fra i camerieri. Per tornare alle discipline scientifiche, è del tutto possibile che le donne siano più brave degli uomini in matematica, ma che il vantaggio comparato le spinga a occuparsi di altro che sanno fare ancora meglio, ad esempio di biologia.
Un’altra ipotesi ancora, che però potrebbe essere invocata per spiegare il gap di genere in pressoché tutti i campi, è quella della minore varianza dell’intelligenza femminile rispetto a quella maschile. Vorrebbe dire che mentre donne e uomini sono in media altrettanto capaci troviamo più uomini alle estremità della curva a campana, ovvero gli uomini più stupidi sono più stupidi delle donne ma gli uomini più intelligenti sono più intelligenti delle donne. Questa teoria è stata suggerita sia da Summers che da Odifreddi, e ci sarebbero anche alcuni studi sul QI che sembrerebbero confermarla, ma non ci convince proprio perché non ci sembra che offra una spiegazione delle diverse performances nelle diverse discipline. A meno che non si voglia sostenere che la varianza riguardi il solo “pensiero astratto”, con le già viste difficoltà nel comprendere cosa questo significhi esattamente.
Il raggiungimento di una quota femminile del 50% esatto in tutte le professioni non dovrebbe essere tra gli scopi di una politica inclusiva, pena il discriminare l’altra categoria o, ancora peggio, penalizzare proprio le donne che devono essere completamente libere di iscriversi a psicologia o biologia senza che nessuno corra a farle sentire in colpa spiegando loro che contribuiscono a perpetuare uno stereotipo di genere.
Concludendo, alla luce dei dati disponibili a noi sembra verosimile l’ipotesi che, per motivi biologici innati, le donne siano meno portate verso certe discipline, come la matematica e la fisica, e più in altre, come la biologia e le scienze sociali (mentre il viceversa varrebbe per gli uomini). Ma è giusto formulare certe ipotesi? Anche se fossero corrette, non rischiamo di perpetuare la disuguaglianza e la discriminazione attribuendo le cause della diversità a una natura astorica e immutabile? Non scoraggiamo di fatto il progresso in materia di diritto civili? Prima di tutto occorre essere chiari sul fatto che l’ipotesi non dovrebbe avere nessuna implicazione per quel che riguarda le politiche sociali e in materia di educazione. Sarebbe molto grave, infatti, discriminare particolari individui in base alle presunte caratteristiche dell’insieme cui appartengono: ci saranno anche poche Marie Curie ma sarebbe un grosso errore impedire a quelle poche di intraprendere degli studi scientifici.
Occorre tener conto, piuttosto, dei possibili danni di una politica che invece di limitarsi a concedere a tutti pari opportunità e pari diritti, introduce distorsioni arbitrarie nei meccanismi che regolano le scelte individuali andando alla ricerca di un perfetto equilibrio. Il raggiungimento di una quota femminile del 50% esatto in tutte le professioni non dovrebbe essere tra gli scopi di una politica inclusiva, pena il discriminare l’altra categoria o, ancora peggio, penalizzare proprio le donne che devono essere completamente libere di iscriversi a psicologia o biologia senza che nessuno corra a farle sentire in colpa spiegando loro che contribuiscono a perpetuare uno stereotipo di genere.
Inoltre, se non abbiamo difficoltà ad ammettere che le tradizioni culturali esistono, e che sono in parte responsabili del gap di genere, occorre riconoscere anche che è improbabile che donne e uomini, fisiologicamente diversi in pressoché ogni aspetto fisico debbano essere indistinguibili solo per quanto riguarda il loro cervello e la loro psiche. Si potrebbe anzi aggiungere: se la biologia è in gran parte responsabile delle preferenze sessuali come nessuno mette in dubbio, perché non dovrebbe essere responsabile di altre preferenze? Diamo quindi a Cesare ciò che è di Cesare e alla natura ciò che è della natura. Ma se questo è vero, ossia se il comportamento è determinato sia da fattori culturali sia da fattori biologici, come suggerisce il buon senso, occorre anche arrendersi a quella che dovrebbe essere una implicazione logicamente necessaria: qualsiasi sforzo che facciamo per ridurre ed eliminare le barriere culturali non farà che esaltare l’altra componente, quella innata e biologica. Per questo sarebbe insano continuare a vedere nelle differenze persistenti, al di là di ogni nostro sforzo per ridurre le disparità, la prova del nostro fallimento. In realtà potrebbero anche essere la dimostrazione del nostro successo di educatori progressisti e illuminati. Un successo che sarebbe un peccato andasse sprecato a causa di quelle buone intenzioni che lastricano tante strade pericolose.
L’articolo trascura l’argomento Potere, che è in realtà l’unico motivo per cui le donne non “scelgono” alcune carriere. Economia, Oncologia, Matematica, Fisica, Ingegneria sono tutte discipline che permettono effettivo esercizio di potere. Alle donne è impedito l’accesso al potere piuttosto che alla particolare disciplina, impedimento che ha radici in una violenza storica e non in una supposta propensione biologica.
La ringrazio professore. Il suo apprezzamento è tanto più gradito in quanto, come non avrà mancato di notare, ho formulato anche delle critiche al suo breve articolo, che ho comunque trovato stimolante (altrimenti non avrei scritto questo)
caro erik,
grazie per questo articolo, che mostra come si possano espandere suggestioni suggerite da un trafiletto di 20 righe (!) in una discussione informata e documentata. l’esatto contrario della maggior parte delle reazioni sollevate “in partibus fidelium” (perché di fede, in certi casi, appunto si tratta).
avendo già discusso queste reazioni altrove, mi permetto di segnalare soltanto la rassegna stampa relativa a questa piccola polemica:
http://www.piergiorgioodifreddi.it/in-evidenza/polemiche/le-donne-e-la-matematica-2016/