Manoscritto trovato in una pastiglia



Un racconto – che è una lettera di addio tanto affezionata quanto concentrata sul distacco – scritto da Dario De Marco.


In copertina e nel testo un dipinto del 1508 di Luca Signorelli

Questo articolo è un estratto dalla raccolta di racconti “Fanta-Scienza 2” , a cura di Marco Passarello


di Dario De Marco

 

Ma l’impresa eccezionale, dammi retta, è essere normale
(Lucio Dalla)

 

Cara,

Se questo messaggio chimico ti è arrivato, significa che è andato tutto male. Perché se va tutto bene, in un senso o nell’altro, starò vicino a te, a raccontarti queste stesse cose a voce. Anche se ho il sospetto (la paranoia? Ahahah no scherzo, non è Paranoia la mia categoria, lo sai) che il mio male sia il tuo bene, e viceversa: che cioè tu forse preferiresti, arrivati a questo punto, un messaggio rassicurante ma a distanza di sicurezza, che ti faccia sapere che io ci sono ancora, e magari anche che ci sono per te, ma fuori dalla portata di baci e carezze. Beh sappi che non è possibile, non più oramai. Allora, potrei dire: se stai assimilando questo messaggio, è andato tutto male non a livello privato bensì a livello politico (ma il privato non era politico? ah, il fascino dei vecchi slogan, tanto più suadenti quanto falsi e ingannatori), dato che difficilmente quello che ho scoperto negli ultimi giorni potrà non trapelare. Ma anche qui: il male, il bene… dipende dai punti di vista. Qualcuno sarà poco contento di ciò che viene fuori, e lo stesso qualcuno sarà molto contento di ciò che sta per capitarmi.

Ti ricordi tutti i nostri discorsi sulla normalità? Discorsi a mezza voce, sia perché fatti in un’intimità mai più ritrovata, e inframmezzati da quei nonsense e giochi di parole che piacevano tanto a tutt’e due, nonostante le nostre diverse appartenenze, sia perché insomma, non volevamo farci sgamare, non si sa mai. D’altra parte, la normalità non esiste, come recita il payoff della nostra Carta Costituzionale, e chi siamo noi per mettere in dubbio i fondamenti della nostra bella società. Eppure, è proprio quello che sta succedendo.

A volte vorrei, ti giuro, tornare all’ingenuo entusiasmo, alla serenità di prima. Ma è irreversibile ormai, una volta acquisita la consapevolezza non si torna più indietro (e no, non fare facili battute, non ho smesso di prendere le mie pillole, come se fosse possibile poi ahahah). Vorrei tornare allo stato mentale in cui ci credevo, come tutti. Era bello recitare le frasi del Libro dello Storytelling: “Superate tutte le false credenze e le odiose discriminazioni che avevano caratterizzato il Secondo Medioevo – razza, etnia, genere, sesso, religione e disabilità fisica – restava un solo grande scoglio che ostruiva la navigazione dell’umanità verso un futuro felice: la neurodivergenza. Fu solo con un grande sforzo creativo, quello che ci portò definitivamente al di fuori della Nuova Era Oscura, che anche l’ultimo ostacolo fu superato, e così fu fondata una società davvero di liberi e diversi”.

Luca Signorelli
1508
34 x 26,6 cm

Diceva proprio così? Sto citando a memoria, e già temo di sbagliare, già dubito delle mie stesse parole, perché dubito della Verità che c’è dietro. Cadute le false credenze… ah no ecco quella frase apparteneva a un altro salmo: “cadute le false credenze e i rozzi miti primitivi come l’inconscio, periti i movimenti oscurantisti e a-scientifici come la psicanalisi e l’antipsichiatria, scansato l’imbocco di strade distopiche e derive totalitarie come quelle prefigurate dal cosiddetto Rinascimento psichedelico…”. Eppure, se ti ricordi, fu proprio verso la fine del Secondo Medioevo che saltò fuori quell’invenzione aberrante che però spalancò le porte della nuova modernità: la pillola per l’autismo. Vedi, non riesco neppure a dirla l’espressione esatta, tanto è ancora forte il condizionamento, il divieto di citare cose e concetti sbagliati, anche solo per criticarli: “la pillola per curare l’autismo” – mettiamolo tra le virgolette d’ordinanza – come se l’autismo fosse una cosa da curare, poi, una malattia di cui vergognarsi e da reprimere, assimilare, ricondurre alla neurotipicità. Fu quella però la chiave che aprì l’accesso alle pillole di nuova generazione, quelle grazie alle quali è stata sviluppata la prassi della neurodivergenza funzionale, il principio attivo della nostra società. Molecole che non pretendono di rendere le persone normali (la normalità non esiste!) ma di far funzionare ogni differenza nel modo ottimale per la collettività: la depressione maggiore, ad esempio, o la schizofrenia, non sono certo condizioni che possono essere lasciate a loro stesse; ma non sono neanche caratteristiche che possano essere semplicemente abolite, ne andrebbe dell’identità stessa delle persone (questo è l’errore che si faceva nei tempi bui: quanti depressi sono sprofondati nel loro malessere o si sono tolti la vita perché rifiutavano di curarsi… E che cosa dicevano: con le pillole non sono più depresso, ma non sono più io. Oggi sappiamo, tristemente, che avevano ragione). Possono essere però smussate, ammorbidite, indirizzate, così da rendere la vita possibile e degna per le persone, e utile per la società. Ci volle un grande lavoro da parte della comunità scientifica, ma lo sforzo più grande fu culturale, di mentalità: tutti dovemmo – dovettero, ché noi non c’eravamo ancora – accettare una semplice verità. Che tutti siamo neurodivergenti, che tutti abbiamo una – come le chiamavano i vecchi manuali secondomedievali – patologia. Mentre si tratta solo, letteralmente, di fisiologia.

Inutile ripetere cose che sappiamo a memoria, che insegnano ai bambini alle scuole elementari. Forse lo faccio perché, dopo quello che è successo, rimpiango la fanciullesca innocenza: te la ricordi la parabola del Setto Nasale? Ce la raccontavano a Catechismo, proprio per farci familiarizzare con i concetti base tramite un semplice, pratico esempio: peccato che proprio grazie a quella storia, come un bug nel sistema, io credo di aver scoperto l’inganno. Un uomo va dall’otorinolaringoiatra, dice la parabola, per un raffreddore, una sinusite, un altro banale malanno. E scopre, tra le varie cause del suo stato di salute, di avere il setto nasale leggermente deviato: questo non consente un’adeguata respirazione e ciò insieme ai muchi, a causa del freddo eccetera eccetera. Qualche tempo dopo, l’uomo accompagna la moglie dallo stesso specialista, per un fastidio diverso ma simile, e simile è anche la sentenza: varie infiammazioni e problematiche, acuite dal setto nasale deviato. E ancora, in seguito, la stessa cosa capita con il figlio. L’uomo inizia a insospettirsi, a fare ricerche, e scopre che chiunque sia andato da un medico ha avuto la stessa risposta: lei ha il setto nasale deviato. Ma, ragiona l’uomo, un setto nasale deviato dovrebbe essere un’anomalia, una deviazione fisica prima ancora che statistica rispetto alla norma di un setto nasale dritto. E però, se non esiste una sola persona al mondo con il setto nasale dritto, di cosa stiamo parlando? Di una normalità immaginaria, inventata, ingannevole. Così la parabola, cristallina come una pillola.

Poi, negli studi superiori, ci insegnavano l’assetto istituzionale della nostra società, con dovizia di particolari tecnici. A partire dai principali articoli della Costituzione: il Primo Emendamento (claim), “Tutte le neurodivergenze sono uguali davanti alla legge”, e il Secondo Emendamento (headline), “Ogni persona è neurodivergente a modo suo”. Per finire con la divisione in categorie – guai a parlare di classi, o caste, orribili discriminazioni appartenenti ad epoche passate – o più propriamente “tipologie neurofisiologiche”: depressioni, spettro autistico, down, bipolarismo, sociopatia, e così via, in una classificazione innovativa e rivoluzionaria rispetto ai DSM medievali, che ancora distinguevano sindromi psichiatrico-neurologiche da vaghi e indefinibili disturbi “mentali”. Non sapevano, poverini, che tutto è fisiologia, genetica, chimica. Poi, chi ha studiato Legge come me, ha approfondito il perché e il percome, pardon la logica sottesa all’assegnazione delle varie cariche dello Stato: come modelli sono stati usati quelli di alcune società multirazziali o multireligiose del tardo Secondo Medioevo, in cui per esempio il Presidente della Repubblica era un cristiano e il Capo del Governo un musulmano (come se fossero delle differenze reali). E quindi ogni carica o ministero è appannaggio di una categoria, secondo una logica funzionale ma non priva di ironia: per i down la Presidenza di Garanzia, agli autistici il Capo di Gabinetto mentre la categoria Depressione deve esprimere il Segretario Generale; di chi ha un deficit dell’attenzione ovviamente è appannaggio il Ministero della Difesa, un bipolare per forza deve avere il dicastero dell’Economia, un paranoico gli Affari Interni; fino ai disturbi alimentari (ad anni alterni anoressia e bulimia) cui va l’Agricoltura, mentre per le persone soggette ad attacchi di panico o agorafobia naturalmente c’è il ministero del Turismo.  

Cara. Ho paura anche a chiamarti, non voglio perderti solo per aver pronunciato il tuo nome: quel tuo nome luminoso, che significa e realizza il sorgere del sole – opposto al mio, che prefigura e giustifica malvagità, guerra, fine. Ecco mi parte la poesia, il romanticismo, per fortuna a tutte le emozioni c’è un rimedio biochimico. Fu così, infatti, che una volta compresi i vantaggi delle pillole, si cominciò a usarle per tutto, per gli stati d’animo come per le esigenze pratiche, per le caratteristiche genetiche e per le sensazioni transitorie. Per dormire quando è ora e stare belli adrenalinici quando serve, per farsi venire fame a ora di pranzo e farsela passare se non è il momento, ovviamente per controllare e sfruttare a fin di bene la divergenza di ognuno, ma anche per non innamorarsi quando si frequenta una persona incompatibile, per esempio. È stato proprio questo il mio errore, con te: pensavo di essere superiore, di essere immune dal pericolo. Era tanto tempo che non mi prendevo una scuffia, non dico dall’adolescenza quando mi capitava ogni settimana per una ragazza diversa, ma da anni, comunque. E dire che all’inizio manco mi piacevi – che vergogna e che sollievo, confessartelo adesso, che tutto è perduto, o che almeno sei perduta tu per me, il che è lo stesso – e non ti sembri un atto d’accusa, ma ricordo bene che sei stata tu ad avvicinarmi, a lusingarmi con dei complimenti fisici addirittura, io che non ho mai avuto niente a che fare con la bellezza, a fare allusioni e doppi sensi, a darmi a intendere che potevi essere non solo un’amica. Ci ho messo poco, poi, a cascarci, e proprio perché non lo credevo possibile, non ho preso precauzioni. Lo sappiamo, la nostra società è aperta e liberale, non siamo mica sottoposti a una dittatura o a un moralismo bacchettone, la libertà sessuale è una conquista addirittura tardomedievale, chiunque può andare con chiunque, basta che non s’innamori. O meglio, basta che non si metta in testa di dar vita a una famiglia: per quello ci sono le leggi, leggi giuste e fondate sulla scienza: ve li immaginate, ci dicevano al liceo nell’ora di Educazione Biocivica, due sociopatici insieme? O due ADHD? Un Down e un depresso? Un disastro. Solo che appunto, il modo migliore per evitare che si formino delle coppie fisse al di fuori delle poche compatibilità biologicamente testate e giuridicamente approvate, è evitare che ci si innamori. Con una semplice pillola: una delle tante ormai, che ci vengono fornite ogni giorno con la sola indicazione dell’ora in cui prenderle, e perché mai dovremmo interessarci al loro contenuto e funzione? A ciascuno il suo mestiere.

Perché ti ripeto queste cose? Non lo so, forse perché solo fingendo di spiegare i pilastri della nostra società come si farebbe con un alieno, solo facendo tabula rasa di ciò che diamo per scontato, possiamo renderci conto di quanto tutto sia assurdo, del punto estremo a cui siamo arrivati: per noi ormai ogni cosa è naturale, come l’acqua per i pesci, se ci fossero ancora i pesci. Ma è un’acqua avvelenata! Perché ti dico questo? Per raccontarti quello che ho scoperto, devo prepararti in qualche modo con un effetto di straniamento. Perché so, o sospetto, o spero, che ci sia una sintonia tra noi, una comunanza di idee oltre che (o forse: se non) di sentimenti. Che al di là delle divergenze neurofisiologiche che rendono obiettivamente difficile il nostro rapporto, ci sia qualcosa. Lo dico perché ti conosco, o magari anche questo è un inganno: come diceva il romanziere secondomedievale K., “l’amore crea sempre la falsa illusione della conoscenza”. Proprio come le pillole, aggiungo io.

Qualche giorno fa ero in un Museo di scienze naturali a vedere le mummie. Allegria, dirai tu, ma sai che nel programma di aggiornamento professionale e formazione permanente ci sono queste attività un po’ memento mori, ed è giusto così. Poi siamo in una società libera, per cui ognuno si sceglie le modalità e i luoghi che vuole: chi un film, chi l’ennesima pillola, io una rassegna di cadaveri. Bene, uno di questi corpi, perfettamente conservati con tecniche che ormai non hanno niente a che fare con le vecchie imbalsamazioni o mummificazioni, mostrava le cartilagini ossee, quei tessuti connettivi formati da collagene che hanno una funzione simile alle ossa, e che però essendo composti di materiale deperibile non si conservano in un semplice scheletro: le orecchie, i gomiti, i menischi. E il setto nasale, appunto. Il quale, nell’esemplare che avevo di fronte, era perfetto. Dritto, perpendicolare al terreno come una squadra, come un filo a piombo. In preda alla meraviglia, ho cercato altri esemplari nel vasto e polveroso museo: ce n’erano quanti ne volevo, e tutti, o quasi, erano così dritti da sembrare finti. O quasi, ho detto: e infatti ho controllato, perché se non ci fossero state eccezioni mi sarebbe venuto il sospetto, che i nasi fossero stati in qualche maniera raddrizzati, aggiustati dalle mani del plastinatore. Invece i setti nasali deviati c’erano, ma erano una minoranza, in proporzione più o meno di tre ogni dieci. Un lampo ha illuminato la mia mente a quel punto, un lampo simile a quello che provai da giovane quando presi una pillola illegale (ormai non ho più nulla da perdere, sono reati minori rispetto a ciò di cui potrebbero accusarmi) contenente qualche goccia di LSD. E se le neurodivergenze che tutti abbiamo, o almeno la maggior parte di loro, fossero illusorie?

Ho fatto delle indagini, ho mosso pedine pericolose, ho fatto le domande giuste nei posti sbagliati, e viceversa. Ma non potevo più resistere senza sapere, senza capire. Le mie conclusioni sono imprecise, ma univoche: mancano alcuni dettagli, alcune specificazioni nella storia che ho ricostruito, ma il risultato è netto, indiscutibile. All’epoca della Rivoluzione divergente successe qualcosa da qualche parte, qualcuno prese questa decisione in modo radicale e definitivo. “La normalità non esiste” non era una constatazione, non era neanche uno slogan. Era un programma politico: la normalità non deve esistere. E infatti, fu abolita con un colpo di mano, per decreto. Come fecero? Come fanno? Già, perché l’inevitabile corollario delle mie deduzioni è che se molte condizioni neurofisiologiche sono illusorie, esse sono anche indotte. Non credo siano completamente inventate ma – questa è la parte che mi manca, questo è ciò che non ho capito con precisione – suppongo si basino comunque su tendenze naturali, su predisposizioni dormienti. Ci dev’essere qualcosa che interviene a slatentizzare, in ognuno di noi, la patologia (e sì, è proprio il caso di riportare in auge il termine desueto, aborrito). All’inizio avevo pensato all’acqua, a un farmaco immesso nelle condutture pubbliche; o ancora più fantasiosamente all’aria. Ma questo presupporrebbe una super molecola in grado di funzionare in maniera polivalente a seconda delle inclinazioni di ognuno, di scatenare insomma a ciascuno un effetto diverso; e la scienza è andata avanti è vero, ma non così tanto. Ho un’ipotesi, che devo verificare: sto aspettando un’ultima conferma, il risultato di un’analisi che ho commissionato a una persona che sta rischiando più di me, e nel frattempo compongo questo messaggio. La mia ipotesi è che il farmaco, anzi i farmaci, siano contenuti nella pillola del buongiorno, la prima del blister multiplo quotidiano che ci viene consegnato: quella che ancora qualcuno, con un fondo di velata critica, chiama pillola-password, senza la quale non puoi letteralmente iniziare la giornata. Staremo a vedere. E poi?  

Succederà qualcosa, poi? Non lo so, devo pensarci. Il mio primo istinto è stato correre da te, informarti, aprirti il mio cuore e la mia mente. Ora potrei fare la stessa cosa con tutti, diffondere la notizia, una bella pillola di infelicità: sarebbe un gran terremoto. Ma poi mi chiedo: accadrebbe davvero? O non devo supporre, piuttosto, che in fin dei conti alla maggior parte delle persone stia bene così? Chiusi nella propria nicchia confortevole, tra pochi ristretti compatibili: non siamo come nei reparti di un manicomio, quelli da cui siamo usciti a fatica secoli fa?

Oh, è inutile che io mi profonda in spiegazioni dettagliate con questo tono da maestrina: quando tutte le informazioni che ho incapsulato in questa lettera biochimica esploderanno nel tuo cervello – quando ingoierai l’ennesima pillola, ma diversa da tutte le altre – ogni cosa troverà posto nella tua coscienza in maniera simultanea, non narrativa.

La cosa che fa più ridere, più rabbia e più tristezza, è che tutto questo io l’ho fatto per cosa? Per la giustizia, la patria, l’umanità? Ma no, macché: tutto questo l’ho fatto per te, per stare vicino a te anche se non fisicamente, per essere dentro di te almeno con il pensiero. E magari tu non mi stai pensando, come io sto pensando a te, e sicuramente non mi vuoi bene, almeno non nel modo in cui io voglio bene a te. Perché parliamoci chiaro, la vera sorpresa, la scoperta più dolorosa che ho fatto negli ultimi giorni non è stata la verità sulle pillole, l’architettura fasulla e malvagia su cui sono impalcate la nostra società e la nostra vita; no, ciò che mi ha fatto più male è stato capire che il motivo per cui non stiamo insieme non è politico, è privato. Non è l’Amministrazione che rema contro, non è l’apartheid, non è la Natura che ci ha voluto con due neurodivergenze così incompatibili, non siamo Romeo e Giulietta non siamo Amore e Psiche: sei tu, anzi sono io. Sono io a non essere degna del tuo amore, eppure sento che se avessi quello potrei sopportare tutto, anche un mondo insensato, frutto dell’allucinazione tardiva di un demiurgo schizofrenico. Viceversa so che pure se accanto a me in questo momento comparisse la Dea Madre, la Grande Chimica che regola l’ordine molecolare dell’universo, non sarei felice senza di te. Ed è per questa blasfemia che mi so perduta.

Buonanotte, anima mia.

 


Dario de marco Si occupa principalmente di letteratura fantastica e frittura sostenibile. Il suo ultimo libro è “Storie che si biforcano” (Wojtek, 2021) oppure “Alla ricerca della pizza perfetta” (66thand2nd, 2021)

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