Memoria, magia e mass media

Attraverso i secoli, le religioni più diverse e i grandi pensatori del passato, passa un filo conduttore tanto affascinante quanto difficile da capire per noi moderni: il legame tra immagini, magia e memoria.


IN COPERTINA, Un’Opera

di Stefano Jorio

 

Nello studio ormai classico L’arte della memoria, apparso in Inghilterra nel 1966, Frances Yates indagò la tradizione mnemotecnica occidentale dall’antichità greco-romana agli albori dell’età moderna, seguendone di epoca in epoca le metamorfosi e gli adattamenti. Che alcune immagini – opportunamente escogitate, poste in relazione e incamerate nella memoria – abbiano il potere di evocare nella corretta successione gli estremi di un caso giudiziario, centinaia di numeri, i punti principali di un discorso ascoltato o da tenere in pubblico, i nomi dei partecipanti a una riunione e la loro posizione nella stanza, venne insegnato nella Roma del primo secolo a.C. – quando avvocati e politici non disponevano di un ausilio scritto agevolmente trasportabile – da alcuni trattati di retorica destinati a una fortuna più che millenaria: la retorica Ad Herennium, di autore ignoto, il De inventione e il De oratore di Cicerone; nel primo secolo d.C. Quintiliano aggiunse ad essi, rivedendone in parte i precetti, l’Institutio oratoria. L’insegnamento che per millenni avrebbe accompagnato il sapere relativo al ricordare e la produzione dei discorsi nella prassi politica è che un’immagine anomala in quanto ridicola, orrenda o grottesca si imprime con forza particolare nella memoria: sarà dunque sufficiente creare immagini di questo tipo, collegate in modo diretto o indiretto a quanto si vuole ricordare, e collocarle mentalmente in una serie ordinata di luoghi come le stanze della propria casa o i diversi luoghi di un tempio ben noto (aggiungendo altre case e altri tempi a seconda della necessità). Con queste regole sarà possibile costruire un vasto deposito mentale, paragonabile a uno schedario contenente centinaia di casi legali o di discorsi, accessibile in ogni momento. Secondo l’autore della retorica Ad Herennium, al fine di ricordare un caso di omicidio per avvelenamento in cui il colpevole è accusato da alcuni testimoni di aver mirato a un’eredità, 

immagineremo l’uomo in questione [la vittima] che giace malato a letto, se lo conosciamo di persona. Se non lo conosciamo, prenderemo come malato qualcun altro ma non un uomo delle classi inferiori, in modo che possa venire subito in mente. E metteremo l’accusato accanto al letto, con una tazza nella mano destra, delle tavolette nella sinistra e dei testicoli di ariete sul quarto dito. In questo modo avremo nella memoria l’uomo avvelenato, i testimoni [per l’assonanza teste/testicolo] e l’eredità.

La nostra incredulità di moderni di fronte a questa tecnica (che sembra paradossalmente imporre un lavoro aggiuntivo alla memoria anziché aiutarla) è dovuta principalmente al fatto che per ricordare disponevamo ieri di supporti cartacei e oggi di intere banche-dati tascabili, capaci di sostituire la memoria personale in modo così occulto da farci dimenticare che, senza il loro ausilio, il lavoro da sostenere sarebbe tremendamente gravoso. 

dobbiamo dunque creare immagini che aderiscano a lungo nella memoria. Ci riusciremo stabilendo similitudini quanto più possibile straordinarie; creando […] immagini attive; conferendo loro eccezionale bellezza o bruttezza, ornandole di corone e vesti di porpora […] oppure sfigurandole con macchie di sangue o fango o imbrattandole di vernice rossa, o dotandole di un certo effetto comico. […] Ma questo sarà essenziale: passare ripetutamente in rassegna tutti i luoghi per rinfrescare le immagini. (Cicerone, De oratore)

 

la teoria non ha quasi nessun valore senza impegno, dedizione, fatica e cautela. Devi assicurarti di avere più posti possibili, e che siano conformi alle regole; devi esercitarti ogni giorno a collocare le immagini

(Ad Herennium)

Si aggiunga a questo che la scrittura, della quale diffidava già Platone, è insidiosa perché in realtà indebolisce la nostra autogena capacità di ricordare («fidandosi dello scritto richiameranno le cose alla mente non più dall’interno di se stessi, ma dal di fuori, attraverso segni estranei», dice Thamus nel Fedro). Menomati da quanto ci agevola, troviamo inverosimili non solo le regole classiche della mnemotecnica ma anche le prestazioni prodigiose che esse permettevano a una mente addestrata. Seneca il vecchio, maestro di retorica, era capace di ripetere a ritroso i duecento versi pronunciati in successione da una classe di duecento studenti; Agostino, addestrato alla retorica quattro secoli dopo Cicerone, racconta nel De anima di un amico che poteva recitare tutto Virgilio.

Alla caduta dell’Impero, con la fine dell’attività giuridica e politica, la mnemotecnica classica perse le sue finalità pratiche e cadde in disuso; la diffusione della carta sembrò renderla obsoleta per sempre. Dal momento però che Cicerone, elencando le parti della virtù (prudenza, giustizia, fortezza, temperanza), aveva posto la memoria come facoltà necessaria all’esercizio della prudenza, Alberto Magno e Tommaso d’Aquino – nella loro opera intesa a innestare sulla teologia cristiana il sapere aristotelico e quello ciceroniano – tornarono nel XIII secolo alla riflessione classica sulla memoria, che conoscevano bene per averla letta nei trattati romani e in Aristotele. Tommaso, pur nella sua diffidenza verso ogni metafora e attività poetica, concedette che alcune immagini possono ben valere quali «similitudini corporali» di «sottili intenzioni spirituali», destinate altrimenti a essere dimenticate dal volgo illetterato («humana cognitio potentior est circa sensibilia»); Alberto Magno notò che le immagini agenti – la cui azione si limitava in epoca classica all’attivazione quasi meccanica di un certo ricordo – contengono sempre una intentio: un’immagine opportunamente costruita per far ricordare la virtù conterrà di per sé l’intenzione di perseguirla, un’immagine scelta per far ricordare il vizio conterrà l’intenzione di fuggirlo, perché le immagini hanno un potere specifico «al livello animale della memoria» (la nostra lingua esprime ancora oggi questa intuizione di Alberto Magno chiamando «motivo» tanto ciò che ci spinge a una certa azione quanto un modello figurativo che si ripete nella storia dell’arte o nel design industriale). Se per i trattati tecnici dell’età greco-romana la memoria era stata uno strumento della classe dirigente, finalizzato all’attività politica, con la scolastica le imagines agentes migrano dalla retorica all’etica; ricordando costantemente ai fedeli i rischi della dannazione e il premio del paradiso, diventano strumento della direzione spirituale. La cura delle anime, che consisteva in epoca classica nel rapporto personale tra un membro dell’élite e un maestro, si è “democratizzata“ ed è diventata di massa.

Andrebbe oltre i propositi di questa breve riflessione seguire da vicino, nello studio di Yates, gli sviluppi della mnemotecnica classica in epoca rinascimentale, quando accanto alla diffidenza degli umanisti laici come Erasmo da Rotterdam (che si rallegravano del progresso tecnico rappresentato ai loro occhi dalla stampa e associavano la mnemotecnica alle arcaiche, sospette pratiche oscurantiste della Chiesa medioevale) sorse un rinnovato e multiforme interesse che animò l’attività di personalità diverse e in alcuni casi inconciliabili quali Marsilio Ficino e Pico della Mirandola, Giulio Camillo, Giordano Bruno e Pietro Ramo. Ciò che qui ci interessa è che il neoplatonismo rinascimentale riformulò l’intuizione di Alberto Magno – un’immagine contiene e promuove un’intenzione – nell’idea che certe immagini siano, come venne detto allora, «magiche»: che abbiano il potere di condizionare la mente, di orientarla in un certo modo e predisporla così ad accogliere la divinità in un’esperienza di riunificazione.

Il neoplatonismo cristiano rinascimentale si appoggia in parte al Timeo, il dialogo in cui Platone – riprendendo e sviluppando un’idea già avanzata da alcuni dei cosiddetti filosofi presocratici – sostenne che il mondo ha un’anima: è un ente razionale che nel suo movimento regolare e immutabile si conforma alle leggi divine, e dunque per questo (al pari del sole e dei pianeti) deve essere dotato di intelligenza. In parte innesta su questo insegnamento il sapere «occulto» trasmesso nella raccolta di scritti nota come Corpus Hermeticum, scoperta nel XV secolo e attribuita all’antico sacerdote egiziano Ermete Trismegisto. La filologia ha da tempo appurato che questa raccolta di diciassette trattati (in cui al neoplatonismo si mescolano elementi cristiani e antica filosofia egiziana) venne composto tra il II e il III secolo d.C. da alcuni ignoti teologi-filosofi che – parallelamente a quanto stava accadendo nella teologia cristiana – ne attribuirono la rivelazione al dio Hermes. I neoplatonici rinascimentali – in primis Marsilio Ficino, che tradusse in latino il Corpus Hermeticum – caddero dunque in un errore di attribuzione; ciò non toglie che la metafisica espressa da quei teologi di età imperiale si inserisce a pieno titolo nella storia della riflessione occidentale sull’essere. Il Corpus spiega Dio come Monade e Uno, «principio e radice di tutte le cose», «ciò che è invisibile e insieme ciò che è più visibile»; da Dio, che è Intelletto supremo e viene pensato tramite la metafora della luce, emanano il Logos che è figlio, un demiurgo consustanziale al Logos e l’uomo. La salvezza di quest’ultimo consiste nella liberazione dalla materia: dal momento che il suo intelletto è parte di Dio, con la disciplina mentale e la condotta di vita gli è possibile congiungersi estaticamente all’Intelletto divino.

Come è chiaro da questa breve rassegna, la dottrina del Corpus Hermeticum, oltre a contenere elementi di teologia platonica e cristiana, promuove la medesima ricerca che impegna ogni asceta buddista, sufi o induista, e che in ambito cristiano impegnò Teresa d’Avila e Angela da Foligno: la visione del Tutto come esperienza di superamento dell’io (Angela: «Io contemplo colui che è l’essere, e lo contemplo come l’essere di tutta la creazione»). Nonostante questo, la sensibilità dei moderni continua a diffidare del Corpus Hermeticum e di Ermete Trismegisto che venerava il Sole; e alla parola «ermetismo» condanna il ritorno in epoca premoderna, nell’imminenza della rivoluzione scientifica, di una mentalità primitiva, «magica» per l’appunto: dedita a pratiche irrazionali, dagli scopi illeciti e potenzialmente pericolosi. In questo senso è importante ricordare da un lato che nell’imminenza della rivoluzione scientifica gli stessi scienziati battevano sentieri oggi considerati inammissibili (introducendo l’ipotesi eliocentrica Copernico citò quanto si dice del Sole nel Corpus Hermeticum); dall’altro che negli esperimenti e negli scritti di Marsilio Ficino, volti a conciliare neoplatonismo e dottrina cristiana, la magia non era nulla di «magico» nel senso che siamo soliti dare alla parola:

Né si parla affatto di quella magia profana che si fonda sul culto dei demoni, ma della magia naturale che sfrutta i benefici celesti con mezzi naturali per la buona salute dei corpi. Facoltà che si deve concedere a chi la usa in modo legittimo così come giustamente si ammettono la medicina e l’agricoltura. […] E perché dunque hai tanta paura del nome di Mago? Nome caro all’Evangelo, e che non significa uomo malefico e venefico, ma sapiente e sacerdote. […] per la salute degli uomini connette le cose inferiori alle superiori.

(da Marsilio Ficino, Anima mundi, a cura di Raphael Ebgi, Einaudi, 2022)

Facendo uso di pietre, metalli, erbe e cantilene, la magia naturale di Ficino intendeva predisporre l’anima dell’uomo a ricevere gli influssi dei pianeti e ad assorbirne la vitalità allo stesso modo in cui «quando una cetra suona ne risuona anche un’altra», purché abbia una forma simile e le sue corde siano tese esattamente come nella prima. L’impiego di «talismani» – determinate immagini che ripetevano le figure dello zodiaco, ricevevano «un dono del cielo» e lo trasmettevano a chi si trovava nelle vicinanze – era diretto a condizionare l’immaginazione perché ricevesse le influenze celesti. Nei precetti che regolavano la produzione di tali immagini vediamo tornare la mnemotecnica classica:

La forma di Mercurio: un uomo seduto in trono, con in testa un galero con pennacchio, i piedi aquilini, che tiene nella sinistra un gallo o del fuoco, alato, talvolta sopra un pavone, che tiene nella destra una canna, con una veste variopinta.

Che tali forze celesti possano agire secondo Ficino «per simpatia» potrà essere ben compreso da chi, come noi, concepiva in passato la forza di gravità come attrazione reciproca e immateriale che ogni corpo del cosmo esercita su ogni altro corpo, e concepisce oggi che una massa enorme come quella del Sole incurvi lo spazio-tempo. Le ipotesi di spiegazione corpuscolare della forza di gravità come emissione e scambio di particelle elementari invisibili – i «gravitoni» – tra tutti i corpi dell’universo ricordano peraltro il tentativo dello stesso Ficino di introdurre una sostanza materiale sottilissima (lo «spirito») attraverso la quale l’anima del mondo agisce sui corpi.

Consapevole dei rischi legati alla propria ricerca, Ficino si tenne sempre prudentemente nell’alveo del dogma cristiano, o comunque dichiarò di volerlo fare («In tutte le cose che qui o altrove vengono trattate da me, voglio che si asserisca solo quanto approvato dalla Chiesa», premise al terzo libro del trattato magico De vita). Giordano Bruno – addestrato da giovane in un convento domenicano alla mnemotecnica classica, che lo dotò a detta dei contemporanei di una memoria prodigiosa – sviluppò invece con temeraria decisione l’elemento mistico del Corpus Hermeticum: l’unione con l’Uno, l’esperienza del solo e vero essere, alla quale la mente deve essere preparata con quello che oggi chiameremmo un «condizionamento» tramite immagini suggestive. Nella concezione neoplatonica di Bruno, la mente è divina e ha già conosciuto l’Essere: a partire da questa premessa egli accumulò, nelle sue oscure opere in latino, immagini magiche, formule, invocazioni, ruote del sapere universale che imprimendo nella mente una copia fedele del cosmo l’avrebbero attivata e fatta ascendere dal mondo alla sua immagine ideale, da questa alle idee ultramondane e infine all’Uno, all’esperienza della ricongiunzione. Che questo si accompagnasse alla negazione della Trinità e al profetizzato avvento di una nuova religione pagana spiega in parte per quale motivo – accanto forse al precetto platonico di escludere la massa ignorante – Bruno sviluppò insieme all’elemento mistico quello esoterico e «occulto»: sulle sue ruote concentriche occultò le immagini raccomandate dall’arte classica della memoria, migliaia di immagini «magiche» che combinate tra loro dovevano promuovere una riorganizzazione della psiche capace di metterla a contatto con l’essere cosmico. Le operazioni magiche vennero applicate all’arte classica della memoria usando come imagines agentes le immagini celesti: come aggiogando l’immaginazione alle stelle, o riproducendo visivamente, per ordinarlo e potenziarlo, il mondo celeste interiore. Le immagini del vero essere e delle sue emanazioni successive (in una scala gerarchica che dall’Uno scende alle stelle, ai pianeti, al vivente) sono in noi deboli e confuse a causa della caduta dell’anima nel corpo; la memoria magica le ordina e chiarifica, restituendo alla mente il suo divino potere di ascensione. A causa di tutto questo – per avere sviluppato dalla filosofia ermetica una nuova, non cristiana, segreta tecnica di ascesi e di esperienza mistica – Bruno fu e si considerò un Mago, un sacerdote-sapiente adoratore del Sole; è dunque ingenuo (se non interessato) celebrarlo illuministicamente come martire copernicano del libero pensiero, vittima dell’oscurantismo religioso.

La ricerca di Yates si arresta a quando, con Descartes e Leibnitz, il «metodo combinatorio universale» faticosamente cercato nel rinascimento non solo da Bruno, ma anche da un “razionalista“ come Pietro Ramo,  approdò alla simbolizzazione matematica – e con essa al calcolo infinitesimale – capace di unificare, seguendo la medesima aspirazione al Tutto, la molteplicità del sensibile (quanto andò perduto in questo passaggio, la consapevolezza inquieta che le forze naturali sono e la conseguente esigenza di problematizzare tanto l’Essere quanto le sue eventuali vie d’accesso, è parte della storia del nichilismo ed esula dagli scopi immediati della presente riflessione). È dunque probabile che agli occhi dell’autrice la convergenza tra pratiche magiche e arte classica della memoria sia venuta meno quando la scienza trovò la chiave universale preconizzata dal neoplatonismo rinascimentale. Ma a ben vedere, il nesso efficace che nel corso dei secoli ha legato le imagines agentes alla retorica, all’etica e alla magia è ancora oggi operante.

L‘atto di nascita dell’odierna comunicazione di massa è il libro di Gustave Le Bon Psychologie des foules, apparso in Francia nel 1895. In questo libro, anticipando con audacia teorica almeno due grandi discorsi paradigmatici del XX secolo (da un lato Freud e la Massenpsychologie, dall’altro Walter Lippmann e Edward Bernays che avviarono negli Stati Uniti la pratica della propaganda commerciale e politica), Le Bon riprese in considerazione, con lessico parzialmente mutato, questioni che abbiamo visto al centro degli interessi rinascimentali. Parlò di «anima» collettiva e comportamento irrazionale della massa, «contagio» di ordine ipnotico, «stato di fascinazione» in cui la volontà e il discernimento del singolo sono perduti.

In certe circostanze, e solo in tali circostanze, un agglomerato d’uomini possiede dei tratti nuovi, assai diversi da quelli dei singoli individui che lo compongono. Viene meno la personalità cosciente, i sentimenti e le idee di ogni unità sono orientati in una stessa direzione. Si forma un’anima collettiva, senza dubbio transitoria ma dai tratti assai nitidi.

 

simili o dissimili che siano i loro modi di vita, le loro occupazioni, il loro carattere o la loro intelligenza, per il solo fatto che sono diventati una folla, possiedono una sorta di anima collettiva che li fa sentire, pensare e agire in modo del tutto differente da quanto ciascuno di essi, preso isolatamente, sentirebbe, penserebbe e agirebbe. 

La constatazione della pericolosità del nuovo soggetto politico moderno, della potenziale convergenza tra massa e dittatura, del rischio costante che la democrazia si volga  in potere totalitario, permise a Le Bon di formulare un’inconsapevole profezia su quanto sarebbe accaduto in Europa di lì a pochi anni; lo indusse a perorare la necessità di guidare la massa («cercando ciò che può impressionarla e sedurla») senza peraltro fargli sospettare che la profetizzata convergenza tra massa e dittatura si sarebbe realizzata proprio quando – seducendo e  impressionando – le nuove tecnologie di comunicazione avrebbero creato uno stato di fascinazione e un contagio di ordine ipnotico. Ciò che però davvero importa ai fini della presente riflessione è che le idee suggerite alla massa si presentano secondo Le Bon «sotto l’aspetto di immagini e non sono accessibili alle masse che sotto questo aspetto»: sono, di nuovo, imagines agentes quelle di cui si occuparono Le Bon e poco più tardi la propaganda nazionalsocialista. Quando diciamo che le immagini dell’Untermensch «agirono» sull‘«inconscio» del popolo tedesco, stiamo ripetendo nella lingua psicoanalitica della nostra epoca che quelle immagini, sapientemente costruite, contenevano «l’intenzione» che Alberto Magno vide nel Medioevo, e che erano dotate di quanto il Rinascimento chiamò «potere magico»: un potere che agisce in modo immateriale (al di là della causalità meccanica) ma non per questo meno efficace.

«Magico» è per la metafisica della nostra epoca un potere erroneamente individuato dalle ingenue epoche del passato di fronte a fenomeni che esse non sapevano spiegare razionalmente: in questo senso contrapponiamo volentieri il pensiero razionale al pensiero magico, e riteniamo che quest’ultimo sia sbagliato perché attribuisce a certi eventi una causa “soprannaturale” (detto altrimenti, il pensiero magico è sbagliato perché non è scientifico; il pensiero non scientifico è sbagliato perché non è scientifico). Ma non era questo il senso delle «immagini magiche» rinascimentali. Del resto, se Ficino e Bruno erano meno «magici» di quel che crediamo, noi lo siamo di più. Nella formula del sacerdote o del funzionario comunale («vi dichiaro marito e moglie»), nella proclamazione del presidente della commissione di laurea («per l’autorità conferitami dal Magnifico Rettore la proclamo dottore in giurisprudenza»), nell’atto di passaggio di proprietà con cui il notaio cambia «ufficialmente» – validamente – la verità di una parte di mondo (alle cui caratteristiche si aggiunge ora l’«appartenere» a qualcuno) troviamo le tracce della magia come tecnica efficace, intesa a cambiare lo statuto ontologico del reale tramite l’uso di formule, spazi solenni e abiti inconsueti, idonei a impressionare. A condizione che ci credano tutti, quel medesimo uomo sarà d’ora in avanti, irreversibilmente, un «marito»; quella medesima donna, dotata dieci minuti fa delle medesime conoscenze giuridiche, diventa solo ora e per tutti una «dottoressa», verrà trattata con maggiore rispetto e assunta dagli studi legali. In questo senso la «crisi del matrimonio» testimonia innanzitutto la progressiva perdita della fede nel potere trasformativo, transustanziante, della parola religiosa tradizionale (illuminante, a questo proposito, è il libro di Giorgio Agamben Il sacramento del linguaggio).

Non è questa la sede per un esame approfondito del modo in cui, dal dopoguerra a oggi, le democrazie occidentali hanno perfezionato e reso capillare la pratica della persuasione occulta – nel marketing commerciale e nella propaganda governativa – rimuovendo al tempo stesso, in modo sistematico, ogni riflessione o presa di coscienza in proposito. Un sintomo di tale rimozione è il discorso pubblico sulle «fake news» (il cui sottinteso è che a creare e diffondere informazioni false, inesatte o tendenziose sia sempre un agente non statale oppure uno Stato estero che agisce con finalità eversive); un altro sintomo – che si configura in termini analitici come un caso di ritorno del contenuto rimosso – è l’insistenza del discorso pubblico sul neologismo «post-verità», spiegato dall’Oxford Dictionary come relating to or denoting circumstances in which objective facts are less influential in shaping public opinion than appeals to emotion and personal belief. Le ragioni della rimozione sono evidenti: l’idea che in una democrazia moderna lo Stato possa dirigere occultamente i cittadini è inaccettabile perché implica, con il venir meno del soggetto sovrano, quello della stessa democrazia (è il paradosso di ogni sincero democratico: rilevare l’esistenza della propaganda significa mettere in dubbio la democraticità della democrazia, sottacerla significa partecipare all’opera antidemocratica). 

È auspicabile che la democrazia – in sede politica, giuridica, etica e filosofica – si interroghi un giorno su tale rimozione; qui importa piuttosto rilevare che le gigantografie delle scarpe Adidas, le ubique foto del presidente ucraino Zelensky con la barba sfatta e la t-shirt verde militare, le foto – su Vogue – di sua moglie che si aggira in abiti di grido tra i soldati in uniforme suppongono, come scrisse Yates a proposito delle pratiche magiche di Giordano Bruno, l’esistenza di «leggi e forze che percorrono l’universo e che l’operatore può usare, sapendo come catturarle»: magico è oggi – nei suoi presupposti, nel suo funzionamento e nella sua efficacia – l’apparato mediatico globale, la direzione delle anime ottenuta con mezzi che un neoplatonico rinascimentale non avrebbe esitato a definire magici: da un lato le imagines agentes che si imprimono nella memoria, dall’altro il condizionamento della mente finalizzato a metterla in attività ricettiva rispetto alle forze (alle emozioni interpersonali) che non solo percorrono la società, ma sono – come accade per quella forza che relazionando ogni formica alle altre permette che un formicaio si costituisca anche come ente materiale – la sua stessa condizione di possibilità: la paura, il conformismo, la rabbia, il desiderio sessuale, l’amor proprio, l’invidia. Oggi come nel Medioevo, la democratizzazione si traduce in una direzione di massa delle anime; oggi come nel Rinascimento, un’immagine «incantatoria» agisce sull’anima per via «simpatica» (psicologica) e produce in essa un cambiamento ricco di conseguenze.  

     

Il nostro sapere, interamente biologico, accetta che uno «stato alterato di coscienza» possa essere indotto meccanicamente introducendo nell’organismo sostanze dotate di certe proprietà chimiche: ma uscire di casa con «l’intenzione» di comprare un paio di scarpe Adidas e la persuasione che possederle eserciterà un influsso benefico, approvare – com’è stata approvata plebiscitariamente in Germania – la decisione autarchica del cancelliere Scholz di raddoppiare le spese militari in vista di un «cambio epocale» nella politica estera, significa trovarsi in uno stato alterato di coscienza indotto dalle immagini. Allarmante per i teologi medioevali, questa influenza occulta ed efficace sulla coscienza è quanto i neoplatonici rinascimentali chiamarono «magia», Giordano Bruno «arte magica della memoria». Per questo, alla domanda di Yates

davvero il passaggio dalla creazione di similitudini corporali del mondo intellegibile al tentativo di afferrare il mondo intellegibile attraverso tremendi esercizi dell’immaginazione, come quelli ai quali Giordano Bruno dedicò la sua vita, stimolava la mente a una gamma di risultati immaginifici e creativi più vasta che mai?

si può rispondere che noi siamo sottoposti, magicamente e in massa, al più tremendo esercizio d’immaginazione mai concepito, che dall’economia e dalla politica arriva a connotare anche l’etica. Se la memoria – come parte della virtù della prudenza – aveva giustificato agli occhi dei teologi medioevali l’uso etico di immagini efficaci, virtuoso è oggi contribuire alla crescita del PIL sulla base del condizionamento del marketing, virtuosa è la stessa menzogna capillare, esplicita e istituzionalizzata che fa apparire unico un prodotto uguale agli altri. Virtuoso, infine, è il «consumo consapevole» (o «critico») che immette una proposizione etica nell’acquisto capitalista: da decenni le aziende legano il proprio prodotto alla tutela dell’ambiente o delle persone svantaggiate, alla salute, alla tolleranza, al senso di responsabilità, alla stessa democrazia: compraci, saremo insieme per il bene del mondo. All’indomani dell’attacco alle Twin Towers, il sindaco Rudolph Giuliani ricordò ai suoi concittadini che New York era open for business, e che potevano essere d’aiuto al proprio paese comprando il biglietto per uno degli spettacoli di Broadway.

Che perseguendo la sua religione di Amore, Arte, Magia e Matematica Bruno mirasse al ricongiungimento mistico con l’Essere, e che perseguendo Diritti Umani, Tecnologia, Marketing e Scienza la Weltdemokratie miri alla crescita del PIL, lascia misurare la portata del passaggio nichilista che – da tempo annunciato e dispiegatosi, da sempre apparentemente destinato al proprio compimento – ci riguarda tuttora e sembra non doversi concludere mai.


Stefano Jorio ha scritto di letteratura, cinema, politica e filosofia per l’Istituto Italiano Studi Filosofici, Micromega, Alfabeta2, l’Indiscreto, il Tascabile, Gli Imperdonabili, pagina 99 e Liberazione. Ha pubblicato nel 2010 con minimum fax il romanzo Radiazione. È stato traduttore e consulente di letteratura tedesca per Fazi e L’Orma. Vive da diversi anni a Berlino.

4 comments on “Memoria, magia e mass media

  1. Francesco

    Bellissimo articolo, l’autore sviluppa rifessioni molto interessanti supportate da solide quanto brillanti. Grazie per questo ottimo contributo

  2. Complimenti all’autore che ha saputo magistralmente unire a una disamina storica ricca e incisiva, una operazione di profondo scavo nella storia della civiltà occidentale, trovando illuminanti connessioni fra idee e forme apparentemente distanti. E complimenti a L’indiscreto per la sua linea editoriale, fra le poche ormai, ad ospitare un tipo di riflessione intellettuale coraggiosa e non asservita, di cui, in Italia, abbiamo in molti disperatamente bisogno.

  3. Molto interessante, dalla mnemotecnica alla magia alla persuasione occulta dei nostri giorni l’articolo mostra che il famoso progresso umano non è poi tanto grande. Anzi se nei secoli passati la ” magia” aiutava a unirsi all’Essere ed ora ad incrementare il Pil non mi sembra proprio un progresso. Qui siamo nell’ambito del pensiero occidentale ma il discorso magico c’è in tutte le culture, un mio amico di fb, Fabio Polese che vive in Thailandia pubblica molti post sulla magia Thai che si concretizza in tatuaggi, monili, figure, che non sono certo documenti di una cultura selvaggia, anzi di una civiltà spirituale su basi buddhiste molto evoluta. Mi pare che la crisi dell’occidente sia legata in qualche modo alla crisi del razionalismo che non riesce a dare risposte alle domande fondamentali

  4. Articolo semplicemente splendido, che collega diversi fili, che conoscevo, in un ordito e una trama davvero interessante e a cui non ero mai arrivato. Grazie DAVVERO!

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