Namasté

«L’incenso bruciava, mescolandosi all’umido ricordo degli allievi di total body delle tredici. La classe di yoga stava per cominciare. Anziane signore in leggins e calzettoni antiscivolo si alternavano per spiegare all’insegnante l’invalidità del giorno. Filippo ascoltava tutte e rendeva tutte felici, chiamandole per nome e ricordandosi degli acciacchi della settimana precedente…»


IN COPERTINA: La ruota del samsara

di Carla Frontenddu

L’incenso bruciava, mescolandosi all’umido ricordo degli allievi di total body delle tredici. La classe di yoga stava per cominciare. Anziane signore in leggins e calzettoni antiscivolo si alternavano per spiegare all’insegnante l’invalidità del giorno. Filippo ascoltava tutte e rendeva tutte felici, chiamandole per nome e ricordandosi degli acciacchi della settimana precedente. Nel frattempo, avevano cominciato a riempire l’aula un paio di uomini silenziosi e un gruppetto di amiche che dovendo scegliere tra il corso di yoga e quello di total-body non aveva avuto dubbi: 

Ho letto che Gisele si tiene in forma con lo yoga.

Anche Madonna.

Vabbè ma lei la photoshoppano di brutto.

Si ma anche senza Photoshop io ci metterei la firma ad arrivare così alla sua età.

A pochi minuti dall’inizio si erano presentate anche Claudia e Beatrice che, indirizzate da una comune conoscente, avevano deciso di fare una lezione di prova. Erano entrate arricciando il naso per l’aria densa di incenso, sudore e gomma.

Non mi dire che fanno tutti i corsi nella stessa stanza.

Temo proprio di sì, e a giudicare dall’odore prima di noi devono aver sudato parecchio.

Alle tredici e cinquantotto Denise si era fermata sulla soglia dell’aula, appoggiandosi allo stipite con la cannuccia della bevanda energetica a un angolo della bocca, aveva reclinato la testa lasciando scivolare i capelli neri lungo la schiena e puntando gli occhi su Filippo, aveva pronunciato un lento, profondo, esotico ciao. Un ciao che aveva raggiunto le orecchie dei presenti, distogliendoli da sé stessi e dai loro esercizi di riscaldamento.

Ciao Denise. Ti unisci a noi? – le aveva chiesto Filippo, moderando l’entusiasmo per non offendere nessuna delle presenti.

No, lo sai che io ho bisogno di sudare – con tre sss – ti volevo fare un salutino – due ss. Poi, lasciando l’aula, si era voltata indietro, sicura di ritrovare gli occhi di Filippo incollati su di lei e aveva aggiunto: ci vediamo dopo – senza punto interrogativo.

Bene, adesso stendiamo i tappetini e mettiamoci nella posizione del coccodrillo.

Srotolando il proprio tappetino, la ragazza aggiornata sulla vita di Gisele aveva bisbigliato all’amica: Che zoccola.

Sentendola, Claudia non aveva resistito: Come hai detto?

Mica dicevo a te- aveva replicato quella, infastidita per l’intromissione.

Davvero, perché hai usato quel termine?

Le fu restituito uno sguardo torvo: Sei il suo avvocato?

No, ma vorrei farti notare che hai usato un’espressione sessista.

Che vuoi? Aveva quasi ringhiato l’altra.

Vorrei che capissi che la parola che hai…

Senti, perché invece di fare la lezioncina a me non ti fai i cazzi tuoi? – e per non lasciare dubbi sul fatto che quelle sarebbero state le ultime, definitive parole si era voltata verso l’amica, che per solidarietà aveva commentato: Ma guarda che rompicoglioni.

Le premesse giuste per una lezione di yoga – aveva provato a sdrammatizzare Beatrice. Tuttavia, vedendo l’amica scossa per l’aggressività della sua interlocutrice, aveva proposto di andarsene e l’aveva accompagnata fuori dall’aula circondandole le spalle con un braccio, come se la stesse conducendo fuori da un edificio in fiamme.

Claudia era rimasta in silenzio per almeno mezz’ora, non aveva aperto bocca nello spogliatoio, dove si era affrettata a cambiarsi, e non aveva proferito parola in strada, mentre Beatrice la guidava in direzione del bistrot, improvvisando un j’accuse contro le cattive maniere, la violenza latente della nostra società, la scuola che aveva abdicato al suo ruolo e Paola, che le aveva indirizzate in quel posto per “sfigati e cafoni”.

Volevo solo aiutarla – aveva detto quando finalmente erano al sicuro, davanti a un consolatorio piatto di spaghetti.

Se ti può far stare meglio, non credo che abbia sentito. Era già uscita quando quella iena l’ha insultata.

Non mi riferivo a lei. Intendevo l’altra, quella che le ha dato della zoccola.

Uhm, non credo che lei l’abbia interpretata in questi termini.

Beh, no. Ma se mi avesse lasciato parlare…

Claudia, via, la gente non ama farsi fare ramanzine in pubblico. Certo, lei ha esagerato ad aggredirti in quel modo.

Volevo solo farla riflettere.

Mm – Beatrice si era distratta davanti al piatto di carboidrati che si concedeva solo una volta a settimana, chiedendosi se non fossero andati sprecati in quell’occasione.

Volevo aprirle gli occhi insomma. Mi segui? Volevo farle capire che una donna non dovrebbe usare mai quel linguaggio, mi capisci?

Stai parlando di solidarietà femminile?

Esatto.

Capisco. Comunque, dovresti saperlo che le donne sono le peggiori nemiche di sé stesse.

É quello che avrà pensato di me, che sono una sua nemica. Avrei dovuto aspettare la fine della lezione e parlarle in privato.

Per come la vedo io, nello spogliatoio rischiavi due unghiate in faccia

Adesso però smetti di fasciarti la testa, ok? Era solo una poveraccia!

Appunto. Avrei dovuto scegliere altre parole con una così, darle il tempo di capire, di farmi domande magari.

Forse… ma in questo caso non sarebbe stato neppure necessario; è evidente che quell’insulto nasceva da un rigurgito d’invidia. 

Ah, su questo non posso darti torto.

Ci vuole del coraggio a mettere i leggins bianchi con quelle cosce.

Non me lo ricordare. Che immagine…

In questi casi non ti resta che contare su un buon carattere, invece quella era aggressiva come un cane rabbioso.

Davvero…

E tu che le volevi spiegare l’etimologia sessista di zoccola, quando sarebbe bastato dirle: mangia meno tesoro e forse l’istruttore guarderà anche te.

Hai ragione. A volte mi batto proprio per delle cause perse. 

È che sei troppo buona – aveva detto Beatrice, posando con aria comprensiva, una mano sul braccio dell’amica. Claudia le aveva restituito un sorriso di gratitudine ed entrambe si erano sentite finalmente riconciliate con sé stesse e con l’universo.


CarLA FRONTEDDU (1984) INSEGNA STUDI DI GENERE A SYRACUSE UNIVERSITY E CEA. PER NON ANDARE FUORI TEMA, SI OCCUPA INSIEME A UN ETEROGENEO GRUPPO DI ATTIVISTE DI FIESOLANA2B, L’ASSOCIAZIONE CHE HA RACCOLTO L’EREDITÀ DELLA LIBRERIA DELLE DONNE DI FIRENZE, PER CONTINUARE A OFFRIRE UNO SPAZIO DI ELABORAZIONE FEMMINISTA E AUTODETERMINAZIONE IN CITTÀ.

1 comment on “Namasté

  1. Giovanni de Girolamo

    Surreale: tra senile lessico giovanilistico e cartilagine al polistirolo.

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