“I capelli ci ricadevano dietro il fondoschiena con una spinta che partiva dal collo, i fari delle automobili sfrecciavano sull’asfalto causando una sensazione di vertigine. Via dalle aule, dai bagni mucidi con le scritte sui muri, dai libri gonfi in alto a destra per le tante orecchiette fatte alle pagine”.
IN COPERTINA: Young Dutch woman, di Moise Kisling
Questo racconto è apparso sulla rivista Frankenstein 6.1, che ringraziamo
di Yasmin Incretolli
I capelli ci ricadevano dietro il fondoschiena con una spinta che partiva dal collo, i fari delle automobili sfrecciavano sull’asfalto causando una sensazione di vertigine. Via dalle aule, dai bagni mucidi con le scritte sui muri, dai libri gonfi in alto a destra per le tante orecchiette fatte alle pagine. Dove il brillìo che percorreva una catenina intorpidiva la trasparenza sullo sfondo, come se lo spazio si riassumesse in quella lucente striscia di non platino, perdendo fuoco, quadricromia, diventando lontano, avevamo un nome: le minorenni. E in quel contesto ciò evocava qualcosa di preciso. Iniziare un cambio sesso prima della pubertà. Scampare ai cicli fisiologici della crescita. Anche se la crescita non smetteva davvero. Lo shock chimico dirigeva il potenziale metamorfico altrove. Le pillole anticoncezionali disperdevano i minerali delle ossa. Scrollavano gradualmente lo scheletro dalla carne comportando quella tipica corporeità esotica e violentizzante, assorta da ogni ricordo o considerazione, che catturava l’impulso erotico negli uomini e quello irritato nelle donne. L’osteoporosi contribuiva alla depressione. Le difficoltà connesse alla gestione di un umore vuoto spesso precipitano in abuso di alcol. Purtroppo queste sono cose che le sanno solo chi le vive.
Ho conosciuto prima Sissi di Nicole, perché andavamo nella stessa scuola e in fondo a ogni corridoio incrociavamo le braccia mandando bacini. La sento attaccata addosso come un capello. Nei miei pensieri la nostra amicizia si trova come amarene sopra le bobine di una slot. Un’elaborazione cintata alla notte, prima di muoversi. Profumi, rumori, colori, vibrazioni, cinestesia. Quando un momento con lei torna a essere pensato rivela l’amarezza del luogo dov’è stato custodito. Forse alterato. L’antimemoria rilegge il ricordo continuamente. Lo approfondisce globalmente e per paragrafi. Spossa e manipola il suo spessore, i soggetti trascurati a vantaggio di uno sono enfatizzati. Sissi bionda bionda. Con occhi blu oltremare, immobili come lentine colorate, palline di natale o in una foto. La punta del naso all’insù e macchiata con un po’ di finta nutella. La sé del passato l’ha chiamata così perché in televisione c’era Silvia Burgio che partecipava al Grande Fratello. La sé del passato ignorava che nel gergo americano questa parola vuol dire “il ragazzo deriso dai ragazzi perché è debole e interessato alle cose che di solito piacciono alle ragazze”. Insieme abbiamo gli anni che le donne vanitose non cominciano più a dire. Distinti invece abbiamo gli anni per non poter fare un tatuaggio. Di una festa in pigiama. Di cuori incisi sull’albero del muretto con le chiavi. Gli anni di avere le chiavi di casa. Gli anni di sapere allacciare la scarpe da soli. Gli anni dei patti di sangue. Mettevo il poggiatesta sotto al mento per vedere dal lunotto il cielo ruotare, prima che la macchina sterzasse un’ultima volta e la misura delle minorenni invocasse tutte le altre dentro sé. Eravamo un canone da seguire fino all’ultima goccia d’acido ialuronico. Fino all’ultimo punto di sutura. Fino all’ultima rata di una mastoplastica. Non potevano vederci. Se fossimo state un disegno ci avrebbero fatto i baffi e le ciglia aggrottate. Volevano essere come noi.
Cominciavano dai capelli. Se li rapavano con una lametta e mandavano ordine in India di un toupée per coprire i cerotti lungo la fronte. Avevo lo sguardo forgiato dalla schiavitù sessuale delle mie ave da parte degli invasori barbari. I fianchi tutti dentro il pugno di uno in ginnasio. Ero minuscola. Bambolina costosa. Puttana imputtanabile perché ritorcibile. Yasmin. Non come la principessa Disney. Yasmin come una di quelle bambole che ha fatto mangiare la polvere alla Barbie. Come il nome che a un certo punto tutte danno alla ragazza della loro invidia femmina.
Contro l’invidia, Nicole aveva un rimedio. Bruciava foglie nel portacipria. Ci portava con la luna piena nelle pianure romane, volteggiavamo intorno alle castagne. Se ci ripenso accade a rallentatore. Sulla mia faccia si stagliano le loro ombre, proiettate dalla luce di camino che ha la pelle quando non è stata ancora affondata da nessun canino. Avevo conosciuto Nicole per Sissi. Perché i miei occhi erano occhi che non pensavano a nessuno. Occhi che non guardavano. Non riconoscevo quelle come me neppure a un palmo. Forse perché le mammelle di Nicole versavano nello stato di muscolo. Quelle mie e di Sissi nel nettare. Da conficcarsi i denti nel labbro inferiore e vedere le nuvole prendere il colore del sangue. Di mattina andavamo a scuola. Forse a scuola non ci sono mai andata per davvero, ricordo solo che prendevo il pullman e andavo da qualche parte. E che andare da qualche parte mi piaceva. Tutto qua.
Lassù nelle pianure romane ci giungevano suoni che normalmente non si udivano: rantoli e strozzamenti alle quali facevamo festa, cellovidei che rivendevamo per pizzette e bacardi breezer. In noi hanno fermentato i prodromi della mercenarietà minorenne pariolinese. Ci vioelentavano ma lo capivamo solo quando venivamo viste. Mia madre comprò casa per averla di proprietà. Il nostro contatore dell’acqua era sigillato. La voltura del contratto non fu mai pagata. Mia madre si è sempre rifiutata, dubitava della crisi idrica. Dove abitavamo l’acqua non arrivava come dappertutto. Era fornita dai comuni vicini per quattro ore al giorno. C’era una gestione privata dietro. Usavamo quella della fontanella della piazza. Ci riempivamo un secchio e la travasavamo in bottiglie. Solo per lavarci le mani dovevamo essere due. Sono sempre più convinta che abbia permesso questa situazione di disagio per renderci assolutamente necessarie l’un l’altra. Ma l’ho perdonata.
Le minorenni perdonano. Loro sono agli angoli del mondo. Reggono la sua oscillazione su ossa veline. Le minorenni che ho conosciuto io non inizieranno mai un’altra settimana dall’inizio della prima, hanno percepito la loro voce provenire dall’altra parte di un muro e sono state perse in sé stesse. Ma io le ho trovate. Le ho scritte. Hanno chiamato il nome che per un essere non minorenne è proibito, al quale mi è stata data possibilità di rispondere. Mi è stata data possibilità di rispondere perché sono la minorenne assoluta. Il coriandolo che non è caduto nel fondale della festa. Ritorna albero. Dai miei rami cadrà un nuovo raccolto di giovani. Esse avranno il mondo nelle loro mani. Nelle loro mani mi pregheranno.
bellissimo. Senza fiato senza parole solo ammirazione per la scrittura potente lisergica intensa. Ogni immagine è un antidoto contro la malasorte la paura di non farcela il corpo contratto in una morsa.