Non mi piace fare testa o croce per prendere una decisione; nonostante questo a volte lo faccio, ma non guardo il risultato, perché nel momento in cui lancio la moneta capisco sempre cosa voglio.
Diciamo che il “capriccio dell’insicuro” sta proprio nel guardare il risultato per rassicurarsi. Il capriccio dell’ancor più insicuro, invece, sta nel dire: «Vediamo se davvero è così: rifacciamolo!» e il capriccio dell’insicuro totale, infine, in: «Facciamo tre su cinque».
Immaginiamo adesso un insicuro totale, che, oltre ad essere ossessivo, è anche immortale. Bene, ora offriamogli un caffè e chiediamogli se ci vuole lo zucchero: ovviamente non sa cosa rispondere. Gli proponiamo un testa o croce, ma lui non sa se affidarsi a quel testa o croce, così gli proponiamo un testa o croce sul fare testa o croce. Il nostro non sa ancora cosa rispondere, così gli suggeriamo di fare testa o croce sul fare testa o croce sul fare testa o croce. E via dicendo, per un numero infinito di testa o croce. La domanda è: come lo berrà il caffè? Freddo, ok, ma con o senza zucchero?
Supponiamo che si abbia “testa” per zuccherato e “croce” per non zuccherato. E che si abbia “testa” per fare testa o croce, e “croce” per non farlo. Per far bere al nostro immortale indeciso un caffè zuccherato, si dovrebbe ottenere sempre e solo testa, infinite volte. Qual è la probabilità che ciò avvenga?
Possiamo scegliere di ignorare la questione e dire che semplicemente non succederà: in fondo buon senso vuole che, prima o poi in infiniti lanci, uscirà croce. Ciò significa che il nostro amico a un certo punto non farà testa o croce per decidere se fare testa o croce per decidere se fare testa o croce, e, dato che non può decidere, il caffè lo beviamo noi, che in effetti potevamo proporgli un altro metodo.
Ma qui sorge una domanda: davvero prima o poi uscirà croce? Vediamo.
Se lancio una moneta, ho pari possibilità di ottenere testa (T) o croce (C).
-->Se faccio due lanci, le possibilità di avere solo testa sono una su quattro, perché ho quattro opzioni (TT, TC, CT, CC).
Con tre lanci ho una possibilità su otto, con quattro una su sedici e così via… insomma, le probabilità di avere solo T diminuiscono sempre più man mano che aumento il numero di lanci. Quindi, prendendo infiniti lanci, la probabilità diventa zero.

Le probabilità di avere solo testa diminuiscono sempre più man mano che aumento il numero di lanci. Quindi, prendendo infiniti lanci, la probabilità diventa zero.
La questione è molto sottile, e la matematica risponde così: la probabilità che esca almeno una volta croce su infiniti lanci è uno su uno, che escano infinite testa e zero croci è zero. Alla matematica non piacciono i demoni dalle infinite teste, anzi solleva la sua croce con probabilità uno su uno. Ma c’è di più: con probabilità uno, dice lei, usciranno infinite teste. E naturalmente anche infinite croci.
Il che, se ci si pensa, ha un suo senso: con infiniti lanci, una probabilità 50 e 50 mi darà infinite teste e infinite croci con probabilità uno su uno. Ovvero il cento per cento dei casi.
Ma il demone dalle infinite teste insiste: «Niente vieta che al primo lancio esca testa», dice la prima testa. «E al secondo», aggiunge la seconda. «E al terzo», rimarca la terza. «E al milionesimo», si sente da lontano. «E al googolplexesimo» si ode in estremissima lontananza. Quindi perché la matematica dice che ci sono zero probabilità?

Al che lei, regina delle scienze, bara con eleganza matematica e risponde, con dissimulato disagio:
Perché “con probabilità uno” non vuol dire “certamente”. E perché “con probabilità zero” non vuol dire “mai”.
La spocchiosa regina delle scienze vuol dire che l’esistenza, pur teoricamente possibile, di una sequenza infinita di “solo testa”, è talmente improbabile che la probabilità che accada è praticamente uguale a zero. Sarebbe come se tutte le molecole d’aria nella stanza si mettessero nell’angolino destro del soffitto lasciandoci a boccheggiare come pesci: teoricamente possibile, ma talmente improbabile che siamo fermamente sicuri della pratica impossibilità dell’evento. Per quello non andiamo a giro con la bombola d’ossigeno con scritto Just in case.
Sarebbe come se tutte le molecole d’aria nella stanza si mettessero nell’angolino destro del soffitto lasciandoci a boccheggiare come pesci
Il trucco qui sta nel fatto che esistono diversi tipi di infinito. Ad esempio, i numeri naturali sono infiniti e i numeri pari sono infiniti. I numeri naturali, pari e dispari insieme, si direbbe che siano più dei numeri pari da soli, ma attenzione! Se si potesse fare in modo di associare ad ogni elemento di un insieme uno dell’altro, né meno né più, si potrebbe dire che i due insiemi abbiano lo stesso numero di elementi. Cosa facilissima da fare con i numeri pari e i numeri naturali, basta moltiplicare ogni numero naturale per due. Quindi i numeri pari sono tanto infiniti quanto i numeri naturali.
Ma allora chi c’è dietro quel meraviglioso infinito più infinito dell’infinito meno infinito di lui? I numeri reali. Quelli con la virgola, tipo √2 o π, per intendersi. Sono loro che sono “più infiniti” dei numeri naturali, talmente tanto che solo tra zero e uno ci sono molti più numeri reali che tutti i numeri naturali. Questa infinita paranoia fu dimostrata da Georg Cantor, da dove si può addirittura dimostrare che esistono infiniti infiniti infinitamente più grandi l’uno dell’altro. Fatto quasi inevitabile: Cantor morì in manicomio, nell’Epifania del 1918.
La matematica è molto brava a trasformare i suoi “non lo so” in “facciamo come dico io”. Le probabilità, l’infinito, l’insieme di tutti gli insiemi, l’assioma della scelta… sono tanti i paradossi che potrebbero rendere alcune verità matematiche quantomeno contingenti, contestualizzate, non più assolute. Le verità sono dunque un mito, come gli dei di Omero? Van Quine sarebbe d’accordo, e anche io, che a scanso di infiniti prendo il caffè amaro.
di Giulio Bertoli
E’ noto l’episodio del Cardinale Franzelin del Sant’Uffizio (domenicano tosto) che chiamò Cantor quando seppe che questi pensava ad un infinito assoluto (insieme di infiniti) concetto che solitamente pertiene a Dio nella teologia classica e pertanto questa idea alla Chiesa piaceva poco perché rimandava ad un concetto matematico dell’idea di Dio. Cantor si ritirò in meditazione per un lungo periodo di tempo e poi sollevato di spirito (temeva un pochino i domenicani) tornò dal Cardinale e affermò che aveva trovato.. che l’esistenza di un infinito o di un insieme infinito di infiniti è contraddittorio nella matematica degli insiemi. Molti matematici oggi accettano più livelli di infinito ma ciò fa parte della matematica contraddittoria. Morale epaistemica: la verità va filosoficamente ridiscussa in quanto tale e dobbiamo accontentarci di “verità” che siano non contraddittorie o coerenti qualunque strumento matematico o logico si voglia adottare. Logiche non formali sono altrettanto valide di quella aristotelica. Godel con i suoi due teoremi e Tarski hanno fatto un lavoro geniale. Si tratta ora di andare avanti a dimostrare le limitazioni deil linguaggio e le limitazioni di incoerenza della logica formale ad altre logiche non formali e ad altri linguaggi.
e.c. Bourbaki
Quindi più che di un vero e proprio paradosso trattasi di una regressione all’infinito….
Concordo su “l’atteggiamento” Bourbaky del mondo matematico…. tant’è.
Cordialmente, A.Porta
Faccio il pedante: i numeri tipo radice di due (ovvero i numeri algebrici) sono ancora tanti quanto i numeri naturali
Giustissimo. I numeri algebrici (come ovviamente gli interi e i razionali) sono un sottoinsieme numerabile di R, il quale non è numerabile. I numeri che contribuiscono alla “non-numerabilità” di R sono i cosiddetti numeri trascendenti; π è uno di questi. Grazie per la nota!