Pavel Florenskij, alla ricerca dell’unità



Non è facile rendere conto dell’importanza dell’opera di Florenskij. Ma si può partire da un dato: ebbe il coraggio di dichiarare, sotto Stalin, che la geometria dei numeri previsti dalla Teoria della relatività descriveva “il Regno di Dio”.


In copertina: Mario Schifano, Senza titolo, Smalto su tela, Asta Pananti in corso

 

di Adriano Ercolani

Non è facile introdurre la figura di Pavel Aleksandrovič Florenskij (1882-1943) senza apparire enfatico, tanto è straordinario il valore del suo pensiero, la vastità della sua opera e il nitore spirituale della sua esistenza.

D’altro canto, a una conoscenza anche superficiale della sua produzione, non appaiono eccessive le definizioni di  “Pascal russo” (dovuta al suo controverso allievo Vasilij Rozanov) o di “Leonardo Da Vinci della Russia” (condivisa in patria con lo scienziato e linguista Michail Lomonosov) che da sempre lo accompagnano; siamo al cospetto di un intellettuale dal respiro, diremmo oggi, rinascimentale,anche se lui avrebbe preferito dire medievale, per profondità di conoscenza e molteplicità di interessi: fu matematico, fisico, filosofo, ingegnere elettrotecnico, semiologo, studioso di storia dell’arte, critico letterario, monaco, teologo e mistico.

Una mente enciclopedica, alla costante ricerca della possibile sintesi tra indagine scientifica e sapienza spirituale, il cui lascito è un’opera molto vasta, nonostante la tragica e prematura scomparsa, avvenuta a cinquantadue anni, dopo un lungo periodo di detenzione nei gulag.

Sulle circostanze della sua morte,avvenuta per molti l’8 dicembre del 1937 e non, come inizialmente dichiarato dalle autorità sovietiche, il 15 dicembre del 1943, si incontrano diverse versioni.a più suggestiva, probabilmente leggendaria, è quella che vedrebbe il pensatore imprigionato talmente assorto nelle sue riflessioni da varcare senza accorgersene il confine del proprio campo di “rieducazione”, venendo fucilato all’istante da una guardia.

Ma cosa rimane del pensiero di Pavel Florenskij oggi, oltre l’odore di santità, l’alone di martirio, la facile etichetta di “genio” e il fascino archetipico della sua figura di sapiente ucciso da un regime crudele?

Rimane un’opera imponente, sia per mole che per valore.

La sua prolificità è oggettivamente impressionante (si parla di oltre mille titoli in originale), ma appare ancor più prodigiosa se si pensa alla scomparsa tragicamente precoce e, non secondariamente, alle condizioni penose di prigionia in cui è stato costretto a vivere negli ultimi anni della sua esistenza.

All’interno questa sterminata produzione, ci limiteremo a dare dei brevi cenni su alcune opere, ciascuna delle quali meriterebbe un lungo approfondimento, selezionate all’interno di un’ampia bibliografia , dando risalto soprattutto alle nuove uscite in italiano.

L’Italia, infatti, è tra i paesi più sensibili al genio florenskijano, anche perché può vantare il pregio di aver pubblicato la prima traduzione mondiale delle sue opere, grazie a Elémire Zolla e Pietro Modesto. I due studiosi nel 1974 curarono per Rusconi l’edizione di quella che è considerata l’opera chiave della riflessione florenskijana, ovvero La colonna e il fondamento della Verità. Saggio di teodicea ortodossa in dodici lettere, “un vero capolavoro del pensiero cristiano contemporaneo” secondo Ryszard Przybylski.

Si tratta di una profonda decostruzione dei principi della logica aristotelica (per Florenskij la verità è un’antinomia, un’esperienza mistica da esprimere per via apofatica), i cui limiti razionali non consentono di esplorare il significato dell’esistenza nella sua profondità.

Erede della tradizione della Filocalia (“Verità, bene e bellezza: questa triade metafisica è un unico principio, è un’unica vita spirituale esaminata sotto vari punti di vista.”), Florenskij compie una sintesi solida dell’idealismo platonico e della visione cristiana ortodossa: “Esistono due mondi e questo nostro mondo si cruccia nelle contraddizioni se non vive delle energie dell’altro mondo.”.

Nel 1977, sempre con la cura di Zolla, venne tradotto Le porte regali (Adelphi), non solo uno dei saggi fondamentali per la comprensione dell’arte sacra ortodossa, ma un testo le cui riflessioni sul rapporto tra etica ed estetica hanno valore ben oltre i limiti dell’iconologia.

Segnaliamo come il testo sia reperibile anche in una diversa traduzione, aggiornata, con il titolo Iconostasi. Saggio sull’icona, a cura di Giuseppina Giuliano per le edizioni Medusa.

Non è un caso che un regista come Andrej Tarkovskij nella sua visione sacra dell’estetica (esposta nel testo teorico Scolpire il tempo) si rifaccia esplicitamente a Florenskij, autore prediletto anche dal padre Arsenij Tarkovskij, celebrato poeta.

La desecretazione degli archivi del KGB nel 1991 ha rivelato ulteriori “tesori nascosti” della produzione florenskijana, destando a livello internazionale un rinnovato interesse della critica e moltiplicando la pubblicazione di numerosi saggi, articoli, trascrizioni di lezioni, ormai disponibili in diverse edizioni.

Recentemente, ad esempio, Edizioni degli Animali ha pubblicato il saggio inedito Antonio del romanzo e Antonio della tradizione, una brillante riflessione sull’opera di Gustave Flaubert, in particolare su La tentazione di Sant’Antonio (già parodiata abilmente da Chesterton), in cui vengono sostanzialmente mosse le stesse critiche rivolte alla musica del pur “spirituale” Skrjabin e di Tchaikovsky: per Florenskij si tratta di arte che conduce all’illusione e non alla “conoscenza della verità”. Un’accusa che, altrove, rivolgerà anche alle opere rinascimentali.

Questa visione profondamente ieratica ispira La filosofia del culto, a cura di Natalino Valentini per SanPaolo, che raccoglie un ciclo di lezioni svolte a Mosca nel 1918, in cui l’autore, pochi mesi dopo la Rivoluzione d’Ottobre, sanciva come “ormai luogo comune l’idea che la religione sia il grembo materno della filosofia”. 

Non solo, per Florenskij la liturgia rappresentava il vertice e la sintesi dell’esperienza estetica, come affermato nel breve saggio, dal titolo altamente significativo, Il rito ortodosso come sintesi delle arti (pubblicato nella raccolta La prospettiva rovesciata e altri scritti per i tipi di Gangemi editore), in cui possiamo leggere un appassionato confronto concettuale tra Museo e Monastero.

Nel primo caso a leggere le parole di Florenskij sovvengono i versi di Dylan in Visions of Johanna, (“Inside the museums, infinity goes up on trial/Voices echo this is what salvation must be like after a while”) “L’opera d’arte è viva e richiede particolari condizioni di vita, soprattutto – una particolare agiatezza al di fuori della quale, se viene assunta astrattamente dalle condizioni concrete della sua propria natura artistica, – specificamente artistica essa muore, o perlomeno passa allo stato di anabiosi, cessa d’essere compresa, e a volte anche di esistere come opera d’arte. Però scopo del Museo è proprio quello di portare via l’opera d’arte intesa, erroneamente, come una certa «cosa» che si può rimuovere, e trasportare dove si vuole, e collocare come si vuole. Scopo del Museo è, al limite, l’annullamento dell’oggetto artistico come cosa viva.”; al contrario, per il geniale monaco, “il Monastero appare come una specie di «stazione sperimentale» e di laboratorio per lo studio dei problemi basilari dell’estetica contemporanea, in parte simile, ad esempio, ad una Atene contemporanea, dove la discussione teorica dei problemi dell’arte religiosa non proceda in modo astratto dalla effettiva realizzazione di finalità artistiche di questo tipo, ma in presenza di un fenomeno estetico che controlli e alimenti delle discussioni teoriche. “.

Questa convinzione radicata in una stoica fermezza intellettuale, purtroppo causa della sua persecuzione, mise in difficoltà, in un celebre aneddoto, perfino Lev Trotskj: nei primi anni venti, il commissario del popolo,confidando nella sua grande intelligenza scientifica, lo aveva invitato a Mosca per lavorare sul piano di Stato dell’elettrificazione della Russia, ritrovandoselo in abito talare alle riunioni con i vertici del Partito.

Parliamo di un pensatore che sotto Stalin, ebbe il coraggio di dichiarare, in un commento alla Teoria della Relatività di Einstein, che la geometria dei numeri immaginari da essa previsti, di fatto, descriveva il Regno di Dio.

La dialettica tra fede e scienza, che attraversa drammaticamente la storia del pensiero cristiano, venne affrontata dall’autore (che ricordiamo era uno scienziato) con toni ardentemente profetici, fin da un saggio del 1906 Sul misticismo di M.M. Speranskij: “Migliaia di mistici di tutti i tempi hanno bussato con forze decuplicate alle finestre e alle porte del palazzo della scienza, e se non li lasceranno entrare con le buone, essi entreranno con le cattive, sfondando porte preziose sul loro cammino.”.

Florenskij per primo era consapevole di questa doppia anima da conciliare nella comunicazione esterna della sua visione unitaria del reale.

Nelle commoventi e bellissime lettere dal gulag raccolte in Non dimenticatemi (Mondadori) spiegherà alla famiglia che”Mi pareva sconveniente e ingenuo spiegare il mondo agli altri tramite la magia […]. Dunque io parevo uno “scienziato”, mentre interiormente ero un “mago”. ” e ancora: “tutte le idee scientifiche che mi stanno a cuore, scaturiscono dal mio sentimento per il mistero […]. Tutto ciò che mi viene suggerito da questo, rimane vivo nel mio pensiero e diventa, prima o poi, oggetto di uno sforzo scientifico”.

Del resto, per l’autore russo l’esperienza mistica era la forma più alta di conoscenza, superiore agli altri livelli di possibile approccio cognitivo al mondo, ovvero la conoscenza logica, gnoseologica e ontologica. Questo perché, come scritto da Lubomir Zak nella sua introduzione al volume di Domenico Burzo La conversione di un uomo moderno. Pavel Florenskij e il sentiero dell’esperienza religiosa (Mimesis), “mentre le verità scientifiche sono limitate, temporanee, soggettive, quelle religiose sono un asse saldo nella storia, mai attaccato dai vortici dei tempi, perché il loro contenuto è attuale in eterno”.

Consapevole di ciò, Florenskij ha però cercato per tutta la sua breve e tormentata esistenza di cercare un filo coerente che legasse questi diversi livelli di conoscenza.

Come affermò, in un appassionato tributo in sua memoria, il grande teologo Sergej Bulgakov, suo amico (celebre la rappresentazione di una loro conversazione durante una passeggiata immortalata dal pittore Nesterov col titolo I due filosofi), in Florenskij “si sono incontrate e, a suo modo unite, la cultura e la Chiesa, Atene e Gerusalemme”.

Questo ruolo di ponte culturale fra apparenti antitesi Florenskij lo ha incarnato anche nel dialogo fra Oriente e Occidente.

A differenza del campione dell’ortodossia a lui contemporanea Georgij Florovski, che lo rimproverava per questo, Florenskij ha sempre guardato con rispetto e interesse alla cultura occidentale.

Nonostante attribuisse, proprio nel citato saggio su La prospettiva rovesciata, in generale, all’Occidente uno sguardo sul mondo antitetico a quello meditativo che ispira la grande arte orientale: “In definitiva, ci sono solo due esperienze del mondo: l’esperienza umana in senso lato e l’esperienza ‘scientifica’, cioè ‘kantiana’, come ci sono solo due tipi di rapporto con la vita: quello interiore e quello esteriore, come ci sono due tipi di cultura: contemplativo-creativa e rapace-meccanica.”. 

Difficile dargli torto sulla definizione della cultura occidentale moderna come rapace e meccanica.

Ma, come accennato, allo stesso modo il Nostro si accostava con rispetto e profondità alla genesi del pensiero razionale occidentale, in particolare a Platone, come testimonia il volume Primi passi della Filosofia. Lezioni sull’origine della filosofia occidentale (sempre per Mimesis che ha meritoriamente lanciato la collana Eredità di Pavel A. Florenskij. Opere e Studi diretta da Silvano Tagliagambe), raccolta delle lezioni tenute tra il 1908 e il 1909 all’Accademia Teologica di Mosca. Florenskij identifica l’origine della filosofia con il culto di Poseidone, poiché, sostiene, la filosofia discende dalla mitologia, Per questo, la scienza europea ha la sua origine e il suo destino nella figura di Poseidone, al termine di una dialettica, ripresa da Ivanov, di fasi notturne e diurne della civiltà. Si tratta di riflessioni vertiginose che spalancano avventurosi sentieri di ulteriore riflessione, come riassunto nella sua introduzione da Andrea Dezi: “Nella visione di Florenskij, la nascita della filosofia è tensione antinomica fra i due momenti”, eppure, come sempre, questa tensione è volta all’unità, al disvelamento dell’illusione della separazione, come spiegato dal curatore: “Nel corso delle sue lezioni, Florenskij lascia intravvedere la possibilità di un altro destino per la filosofia occidentale, un destino consistente nel superamento del Destino stesso, e dell’antico terrore che ne discende”.

Mario Schifano, Senza titolo,, Smalto su tela

Un testo di grande rilevanza di cui torneremo a parlare in una riflessione ad hoc.

Allo stesso tempo, da grande fautore dell’unità tra arte, filosofia e mistica, non poteva non sentire una profonda consonanza con la grande visione unitaria medievale espressa nel poema dantesco.

Col peculiare acume del suo genio, Florenskij studierà Dante proprio come esempio di incarnazione di questo superamento delle distinzioni disciplinari nella conoscenza ultima, in un dialogo fra menti supreme a distanza di secoli.

Sempre Mimesis ha recentemente pubblicato Gli immaginari in geometria. Estensione del dominio delle immagini bidimensionali nella geometria, saggio talmente complesso da necessitare di un altro saggio esplicativo, il prezioso Il Dante di Florenskij. Tra poesia e scienza (Lindau) sempre di Natalino Valentini.

Un saggio bellissimo in cui troviamo una perfetta definizione: “L’intera opera di Florenskij nella sua variegata molteplicità tematica e pluralità di forme è una perfetta composizione polifonica in grado di orchestrare i suoi temi in una visione organica unitaria e integrale del mondo”.

Ed è chiaramente, continua Valentini, questo il punto di incontro fra il genio italiano e quello russo: “L’attrazione di Florenskij per Dante nasce anzitutto dall’incontro con l’integrità della visione culturale e spirituale dell’opera del grande poeta, ma soprattutto dalla scoperta dell’elaborazione spaziale e cosmologica in essa presente, intrisa da una permanente tensione verso l’infinito, generata non solo dalla sua geniale creazione, ma anche come eredità ricevuta in dono da un’epoca che la cultura europea non raggiungerà mai più come tale, spesso provocatoriamente contrapposta all’evo rinascimentale. La Weltanschaaung della cultura tardomedievale incarnata da Dante, una visione integrata del mondo nella quale si condensa un tale cosmo di senso, unificato e integro, nel quale la poesia diventa mirabile luogo di sintesi, accogliendo in sé la politica, la teologia, la filosofia, le scienze, la storia, le diverse forme della creatività umana, è proprio ciò cui Florenskij ambisce e che maggiormente corrisponde alla sua forma mentis, tanto più di fronte alla crescente frammentazione della conoscenza e al progressivo specialismo settoriale che impedisce all’uomo del XX secolo di << vedere l’unità>>”.

Con lo stesso rispetto con cui si accosta ai giganti della cultura occidentale, spesso negli scritti di Florenskij troviamo accostamenti illuminanti tra l’iconologia ortodossa e l’estetica sacra buddista, riferimenti etimologici alle lingue indoeuropee.

In alcuni casi, sembra esattamente di leggere un maestro dell’Advaita Vedanta: “«L’uomo è parte del mondo, ma allo stesso tempo l’uomo è complesso quanto lo è il mondo. Il mondo è parte dell’uomo, ma anche il mondo è complesso quanto lo è l’uomo” (nel saggio Macrocosmo e microcosmo raccolto nel volume Il simbolo e la forma di Bollati & Boringhieri)

Questo superamento del dualismo culturale è solo specchio del superamento del dualismo trascendentale nell’unitarietà dell’esperienza metafisica, cuore della sua filosofia.

Centrale, infatti, è in Florenskij il tema del simbolo come ponte tra le due dimensioni, “porta regale” verso l’Assoluto: nelle lettere raccolte in Ai miei figli. Memorie di giorni passati (Mondadori), rivela come la sua ricerca filosofica sia stata volta “al rapporto tra fenomeno e noumeno, al rinvenimento del noumeno nei fenomeni, alla sua manifestazione, alla sua incarnazione. Sto parlando del simbolo. E per tutta la vita ho riflettuto su un solo problema, il problema del simbolo”.

Nella postfazione de Il significato dell’idealismo (SE), saggio filosofico del 1914, Valentini scrive parole pressoché definitive sul fondamento del pensiero di Florenskij:  “Tutto in Florenskij è orientato verso l’unità sostanziale, l’unisostanzialità; tutto è teso a modellare una Weltanschauung integrale, definita nelle sue varie accezioni (“medievale”, “ecclesiale”, “trinitaria”) come antidoto alla “malattia mortale del secolo”, che si manifesta nelle diverse forme di specialismo, nella frammentarietà dell’esistenza e della cultura.”.

Questo tema portante dell’unità si ritrova, con accenti quasi da mistico orientale, nelle lettere dal gulag (raccolte da Mondadori nel volume Non dimenticatemi).

In quelle pagine, tra recensioni letterarie, teorie scientifiche e consigli spirituali, affiorano brani commoventi per la serenità sapienziale che emanano nonostante le condizioni tragiche in cui furono scritti: “Osservate più spesso le stelle. Quando avrete un peso nell’animo, guardate le stelle e l’azzurro del cielo. Quando vi sentirete tristi, quando vi offenderanno, quando qualcosa non vi riuscirà, quando la tempesta si scatenerà nel vostro animo, uscite all’aria aperta e intrattenetevi da soli col cielo. Allora la vostra anima troverà la quiete.”.

Come nota il più volte citato Natalino Valentini nell’accenno finale di questo passaggio c’è una spontanea allusione all’esicasmo, la “quiete dell’anima”, la forma di preghiera dei Padri del Deserto, resa celebre a metà ‘800 dai Racconti di un pellegrino russo e tuttora praticata dai monaci del Monte Athos, affine nella sincronia di ripetizione mantrica e respirazione ad alcune tecniche yogiche (e una delle accezioni etimologiche della parola “yoga” è proprio “unione”).

Forse, il segreto della sapienza florenskijana è proprio in questa irriducibile innocenza, fedele al precetto evangelico di Matteo 10, 16: “siate dunque prudenti come i serpenti e semplici come le colombe.”.

Florenskij indicava proprio nell’infanzia la dimensione ideale dell’esperienza mistica: “Il bambino possiede formule metafisiche precisissime su qualsivoglia trascendenza, e quanto più forte è il suo senso dell’Eden, tanto più determinata è la sua conoscenza di tali formule. Quanto a me, posso dire che la mia vita successiva non mi ha rivelato nulla di nuovo”.

Il grande pioniere degli studi florenskijani Elémire Zolla chiosa infatti ne Lo stupore infantile (Marsilio): “Ma chi come Pavel Florenskij seppe addentrarsi nell’enigma dell’universo infantile? Egli narrò di come vivesse da fanciullo in una famiglia mite e distante, distaccata dal passato, incurante del futuro. Un dì gli accadde di scorgere nel cortile della casa un arrotino all’opera e di colpo fu atterrito dall’archetipo: gli apparvero le ruote di Ezechiele, il vortice ardente di Anassimandro, il ricircolare dell’eternità, l’essenza del fuoco; gli stettero dinanzi svelate le Madri di Goethe, il non-fondo di Böhme, l’abissalità. Capì allora la temibile unità che congiunge ogni cosa.”.

Temibile unità, testimoniata da Dante, proclamata dall’Advaita Vedanta, la cui nostalgia anima il desiderio di ogni cercatore di verità, e che si cela nell’etimo anche di “simbolo” e “religione”, due ambiti sacri a cui Florenskij ha dedicato la sua vita, come sancito nelle seguenti mirabili parole scritte alla famiglia: “Che cosa ho fatto per tutta la vita? Ho contemplato il mondo come un insieme, come un quadro e una realtà unica, ma in ogni istante o, più precisamente, in ogni fase della mia vita, da un determinato angolo di osservazione. Ho esaminato i rapporti universali in un certo spaccato del mondo […]. I piani di questo spaccato mutano, tuttavia un piano non annulla l’altro, ma lo arricchisce, cambiando: ossia con una continua dialettica del pensiero (il cambio dei piani in esame, con la costante dell’orientamento verso il mondo come un insieme)”.

Un esempio luminoso di sapienza in questi tempi infestati dai demoni del caos.


Adriano Ercolani (Roma, 1979) Si occupa da oltre vent’anni dei rapporti tra cultura occidentale e orientale, esplorandone le diverse manifestazioni artistiche. Tra i fondatori deI movimento internazionale Inner Peace, collabora al progetto filosofico Tlon e pubblica regolarmente interventi e approfondimenti su numerose testate (tra cui Linus, Blog del Fatto Quotidiano, minima& moralia).

 


 

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