Pentiment: un manoscritto che diventa videogioco



Pentiment non è un semplice gioco sulla storia del 1500, non si limita a sfruttarla come scenografia o ambientazione. È in un certo senso la traduzione videoludica di ciò che un manoscritto poteva essere all’epoca, e sfrutta l’idea stessa del manoscritto come suo principale mezzo comunicativo – non un semplice vezzo estetico, dunque, ma un espediente che racchiude e muove la trama.


In copertina: Antonio Corpora, Voise de la couleur – signes du silence (1972), Asta Pananti in corso

di Andrea Cassini

Andreas Maler, promettente artista di Norimberga, è stato convocato presso l’abbazia benedettina di Kiersau, nel remoto paesino bavarese di Tassing, per lavorare alle illustrazioni di un manoscritto miniato. I progressi, però, faticano a farsi vedere. Andreas è un uomo che vive nei libri, in senso piuttosto letterale. “Le parole trovano facilmente posto nella mia memoria. Non so perché”, questa è una delle frasi con cui si presenta. Ma nonostante questo Andreas non si sente all’altezza del compito, non trova l’ispirazione, la data di consegna del manoscritto si avvicina e nello scriptorium di Kiersau la tensione cresce. Sarà Padre Piero, il suo miglior amico e mentore all’interno dell’abbazia, a trovare le parole giuste per spronarlo. Quelle immagini su cui si sta scervellando, deve smetterle di considerarle come un lavoro: deve farle sue – nel bene e nel male. “L’arte è illusione, è una forma di racconto, ma nella loro forma più sublime, queste immagini formano un sentiero verso la verità.”

Andreas, da buon illustratore stipendiato, risponde che la gente non lo paga per dire la verità, ma Piero riesce infine a convincerlo, sostenendo che l’arte dovrebbe sempre riflettere la realtà del proprio tempo, e contiene sempre di conseguenza un nucleo di verità, individuale e collettiva.

Andreas segue il consiglio. La sua arte ne guadagna, ma a spese della sua stabilità mentale. Le immagini lo inghiottiscono, lo intrappolano in un labirinto che lo perseguita in sogno, alludendo a traumi passati, irrisolti, e a misteri che lo aspettano dietro l’angolo – mentre la verità, in tutto questo, ancora sfugge.

Chi è Andreas Maler? Potrebbe sembrare il personaggio di un libro di storia, incentrato magari sull’Alta Baviera del 1518, e invece è il protagonista di un videogioco, Pentiment, avventura grafica sviluppata da Obdisian Entertainment per Xbox Game Studios e uscita nel novembre 2022. Chi è Andreas Maler, in definitiva, lo decidiamo noi. Sia perché il videogioco ci chiede, com’è tipico del mezzo narrativo, di manovrarlo come un nostro avatar all’interno del gioco, compiendo una serie di scelte critiche, alcune ovvie e altre più sottili, sia perché, proprio in apertura, possiamo personalizzare il suo background (studi, interessi, carattere, esperienze all’estero) influenzando così i dialoghi del gioco. Tutto questo definisce, in definitiva, il modo in cui entriamo nel labirinto. Ma Pentiment è un labirinto a tutti gli effetti, fatto di pareti e punti cardinali che non cambiano, così come il suo centro – ed è a questo centro, anziché all’uscito, che Andreas e il giocatore si trovano a puntare, in una brillante analogia con il concetto stesso di interattività nei videogiochi. Il videogioco costruisce una realtà altra, inquadrata nei confini predisposti dagli sviluppatori e confezionati dal codice (per quanto il giocatore possa talvolta uscirne con azioni dette appunto emergenti), ma l’avventura non si risolve in una fuga, bensì in un’esperienza di valore esistenziale, concreto, che progredisce fino al centro della storia, il suo fulcro narrativo e meccanico. 

Pentiment non è un semplice gioco sulla storia del 1500, non si limita a sfruttarla come scenografia o ambientazione. È un gioco intriso di storia del 1500, è in un certo senso la traduzione videoludica di ciò che un manoscritto poteva essere all’epoca, e sfrutta l’idea stessa del manoscritto (nella forma e nella sostanza) come suo principale mezzo comunicativo – non un semplice vezzo estetico, dunque, ma un espediente che racchiude e muove la trama. Le intenzioni dell’autore Josh Sawyer sono evidenti fin dall’inizio, con l’intera storia veicolata da un volume e la veste grafica che rimanda esplicitamente, e con grande gusto, alle miniature dell’epoca, per poi svelarsi ulteriormente di dettaglio in dettaglio. I personaggi parlano tramite balloon di stampo fumettistico, e ogni nuvoletta è una finestra aperta sul manoscritto. Sentiamo il fruscio della penna sul foglio, vediamo le lettere comparire una per volta, e ogni personaggio si esprime con una scrittura diversa a seconda di provenienza ed estrazione sociale: sono sei font realizzati a mano dagli sviluppatori del gioco e ispirati alle grafie autentiche dell’epoca (gotica, umanistica, cancelleresca, e così via) e che nel gioco si chiamano popolare, notarile (scribe), umanistica, monastica, a stampa. Si tratta, anche qui, di un espediente tutt’altro che banale: certi punti critici della trama saranno proprio segnati da un cambiamento di scrittura, come una maschera che cade all’improvviso, lasciando intravedere il segreto sottostante. E poi, la mano del copista che sta trascrivendo la storia di Pentiment è una mano umana, e perciò fallace. I dialoghi presentano tutti i generi di errori tanto familiari ai filologi, come l’inversione tra lettere vicine, prontamente cancellati e corretti, ma mai nascosti. Ed è proprio da questo dettaglio che comincia a emergere un altro tema chiave di Pentiment: la storia umana è come un palinsesto, un foglio da grattare per scriverci sopra cose nuove, che tuttavia non cancellano quelle vecchie. Si limitano a costruirvi sopra un nuovo strato, ma ne mantengono i solchi, come una città edificata sopra rovine antiche. 

La vicenda del gioco si muove nella medesima direzione. La fonte di ispirazione più immediata dell’autore Josh Sawyer è Il nome della rosa di Umberto Eco; lo capiamo quando la pacifica abbazia di Kiersau si trasforma nel palcoscenico di un misterioso omicidio e Andreas Maler, un po’ per caso e un po’ per la volontà di difendere i suoi cari, comincia a investigare sull’accaduto. Le indagini lo porteranno a prendere scelte difficili, talvolta impossibili, quando per salvare qualcuno sarà necessario incolpare qualcun altro, mentre la verità, ancora una volta, si ostina a sfuggire, nascondendosi tra le ambigue pagine di un libro. Ma soprattutto, le indagini lo porteranno a conoscere in profondità il villaggio di Tassing e i suoi abitanti, ed è qui che la vicenda di Pentiment si sgancia dalla sua illustre fonte di ispirazione per acquistare vita propria. I dialoghi di Andreas con i paesani creano uno spaccato avvincente e preciso della storia europea di inizio 1500, e capiamo come Sawyer abbia ben appreso la lezione dei testi che lo hanno tanto ispirato, quando afferma che la storia è fatta da persone ordinarie e vicende strane. “L’ingiustizia della legge non è un fatto immateriale agli occhi di chi ne soffre le conseguenze”, così dice Beatrice, quella Beatrice, ad Andreas in sogno. Tra le fonti di Sawyer, da lui citate in un’apposita bibliografia, troviamo le visioni e le idee teologiche di un contadino, il resoconto di viaggio di un artista itinerante, il diario di un boia, le avventure di un ragazzo misteriosamente scomparso e riapparso con una nuova identità. Tutte vicende che trovano il loro spazio in Pentiment, e che, come un mosaico o il murale a cui la protagonista della seconda sezione del gioco, Magdalene, figlia dello stampatore Claus, sta dedicando tutte le sue energie, compongono un quadro complessivo che parla dei grandi conflitti dell’epoca, ritratti dal vivo, in corso d’opera. La Riforma protestante; le rivolte dei contadini e le frizioni tra popolo, nobili e religiosi; la distanza tra campagna e città, un po’ meno incolmabile che in passato; la costante presenza del retaggio romano e, talvolta, di un sostrato ancora più antico, pagano, con le sue tradizioni e superstizioni; l’arroganza dei potenti e la combattività dei poveri; soprattutto, la modernità che avanza quasi come una macchina che procede di sua volontà, mietendo vittime innocenti lungo il suo percorso, e la sua testa d’ariete è l’invenzione della stampa. 

A un certo punto del gioco, la storia compie un time jump di alcuni anni, e il primo segnale di cambiamento è proprio la stampa. Come accennavamo, sale in cattedra un nuovo personaggio, la giovane figlia dello stampatore Claus, e il mistero intorno a cui ruota Pentiment si accende di una tensione nuova, contrastante. Da un lato c’è la spinta verso il futuro, rappresentata dalla stampa, ma dall’altro c’è la necessità di scavare sempre più in profondità nel passato, per scoprire infine la verità sull’omicidio – come a significare che le due cose devono andare a braccetto, che lanciandosi verso il futuro senza un punto di ancoraggio, il nostro aquilone si perderà nel cielo, ed è proprio a questo equilibrio che mira l’affresco di Magdalene, la cui scelta dei temi è significativamente affidata al giocatore. 

Scavare nel passato, per Andreas e Magdalene, significa addentrarsi letteralmente negli strati sovrapposti che costituiscono la cittadina di Tassing, riportandone alla luce il passato romano e quello pagano, e comprendendo come il primo si sia sovrascritto sul secondo, inglobandolo anziché cancellarlo. Si comportano come due filologi che esaminano un palinsesto con una lampada di Wood, sfruttando i raggi ultravioletti per leggere, tramite raschiature e ombre, gli strati di testo grattati e riscritti, fino a rinvenire un oracolo sibillino: “Non c’è sempre stata una Signora a vegliare sul labirinto. Ma c’è sempre stato un labirinto.”

È significativo che la verità sul mistero di Kiersau risieda qui, in un materiale così cedevole (le macerie sotterranee di una città antica) e mutevole (le pagine ammuffite di un manoscritto), anziché nella limpida autorevolezza di un testo stampato. Ci fa comprendere che un manoscritto, come sa ogni filologo, è un oggetto vivo: negli errori e nelle lacune del copista, dicevamo, ma anche nelle sue scelte più o meno coscienti di omettere o modificare qualcosa; nelle zampate di un gatto rimaste impresse nell’inchiostro, nei margini bruciacchiati da una candela troppo vicina o consumati da qualche fungo. Il manoscritto, in questo senso, non è così diverso dalla comunicazione orale. Contiene e trasmette una forma di verità, proprio come sosteneva Padre Piero: più individuale, forse, ma non per questo meno vera. Diventa più vera, anzi, proprio tramite interpretazione e mutamento.

La stampa, sembra affermare Pentiment, rappresenta qualcosa di molto diverso; è una differenza che inquadra la distanza tra secolare e temporale. Un’invenzione utilissima, ma anche pericolosa. Fornisce un testo fisso, ma che nel suo essere immutabile fallisce nell’interagire con il tempo, con il luogo, con le idee e le esperienze delle persone. È una verità imposta dall’alto, diversa da quella di Pentiment, che si costruisce dal basso, di strato in strato. Non è un caso che tra i primi, più celebri e influenti testi a stampa si trovino proprio la Bibbia di Gutenberg e le tesi riformiste di Lutero. “Potremo anche essere uniti in Cristo, ma non siamo uguali in questo mondo”, riflette amaramente Andreas a un certo punto della vicenda. Josh Sawyer dimostra di avere le idee molto chiare su cosa vuole comunicare al giocatore, su questo proposito, quando cita una frase della scrittrice storica Hilary Mantel: “I fatti non sono la verità, nonostante siano parte di essa: l’informazione non è conoscenza. E la storia non è il passato, è il metodo che abbiamo sviluppato per organizzare la nostra ignoranza sul passato. È la registrazione di ciò che è scritto nei registri”. 

Le indagini di Andreas Maler lo accompagnano in un percorso parallelo all’interno del suo labirinto personale, quello della sua mente, contorta come la storia di Tassing, Vi si era rifugiato, spronato dal consiglio di Padre Piero, e aveva finito per usarlo come una via di fuga, un luogo astratto dove nascondere i dolori e i traumi del suo passato dietro il velo del sogno; non li rivela nemmeno a noi, i giocatori che saremmo il suo avatar, e questo significa che li sta nascondendo persino a sé stesso. 

Le mente umana, come l’arte e la storia, è spesso una faccenda di geometrie: ecco un’altra nozione che Andreas ha appreso da Padre Piero. Vengono in mente le linee nette delle vetrate istoriate delle chiese medievali; il labirinto dipinto sul pavimento della cattedrale di Amiens; o la bizzarra teoria del mugnaio Menocchio, uno tra i protagonisti de Il formaggio e i vermi di Carlo Ginzburg, altro testo citato in bibliografia da Sawyer, strenuamente convinto che il mondo sia una grande forma di formaggio, e Dio un verme che vi striscia dentro. Vengono in mente anche gli androidi di Westworld, che interpretavano il labirinto in cui il loro creatore li aveva ingabbiati come una spirale, un movimento circolare che può portare a una via di fuga, all’evasione dall’eterno ritorno dell’uguale – nel loro caso, raggiungere il centro del labirinto e scoperchiarne il segreto significava sfuggire al ciclo di reincarnazioni, rompere il vincolo karmico, non diversamente da un videogiocatore che, raggiunta la fine del gioco, o il centro del labirinto, si volta e si accorge che il labirinto non era mai esistito. Esiste un insieme di regole e confini disegnati dallo sviluppatore tramite un codice, come dei solchi inscritti sulla terra, linee su una mappa, che noi percorriamo come binari, ma non per questo rendono le nostre scelte, le nostre esperienze, meno significative. Dentro le pareti del labirinto, come dentro al codice di un videogioco o nel dedalo della nostra mente, noi siamo liberi, comprende infine Andreas Maler e con lui forse il videogiocatore, perché corridoi e mura possono ruotare, dandoci l’illusione del disorientamento, ma il centro resta sempre al suo posto.

Quando Tassing collassa intorno alle sue antiche rovine, anche il labirinto mentale di Andreas si racchiude intorno al suo centro, e lui rispolvera i traumi e i dolori sepolti, accettando la sofferenza e la verità – le molteplici verità – del mondo reale. 

“Sarà mai possibile ricordare chiaramente il volto di qualcuno che ami / o che odi?”, si domanda, in quello che è forse l’apice emotivo del videogioco.

Andreas smette di vivere nei libri, di nascondersi tra le pagine e mimetizzarsi tra i personaggi delle miniature, ed ecco che il manoscritto torna al suo ruolo più bello e antico: una metafora vivente, composta da mani umane, una barca su cui viaggiare attraverso luoghi ed epoche.


Andrea Cassini, classe 1988, filologo medievale di formazione, è giornalista, traduttore e consulente editoriale. Scrive di sport per FIBA, L’Ultimo Uomo, Play.it USA e altre testate. Ha pubblicato racconti su riviste letterarie e nelle antologie “Prisma Vol. 1” (Moscabianca Edizioni) e “Forme d’Autore – Cinque racconti di arte contemporanea” (L’Eco del Nulla – Associazione Essere). “Non tutto il male” (Effequ) è il suo primo romanzo

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