Dal multiverso matematico di Tegmark alla contingenza assoluta di Meillassoux, in fisica e filosofia ci si interroga spesso sulla natura del caso rispetto all’ordine apparente del nostro universo, ma dietro questi ragionamenti potrebbe nascondersi un errore
In copertina, Emilio Vedova, Senza titolo (1979) – Tecnica mista su faesite – Asta Pananti in corso
Penso, dunque sono. Nessun demone m’inganna. Vivo nel migliore dei mondi possibili. Lancio una moneta non truccata, a lungo andare so che potrebbe darmi come risultato per metà delle volte testa e per l’altra metà croce. Vivo nel secolo dei Lumi, l’universo è un meccanismo ben oliato, congegnato dall’orologiaio sapiente che è Dio.
Ma, eccomi proiettato nel XXI secolo: mi sorge un dubbio, sono io a pensare o è la mia copia simulata nel futuro da intelligenze artificiali che giocano a fare i bricoleurs con homo sapiens sapiens? Tutte queste creazioni procedurali: mondi virtuali, immagini, musiche, testi, ma non è che anche la vita ha avuto una simile origine?
Il dubbio procedurale che mi assale riguarda due fenomeni che non riesco a capire: la casualità e l’evoluzione. Descartes mi dice che io sono una sostanza pensante, copula di mente e materia, la quale può accedere a delle verità infalsificabili attraverso la potenza del pensiero che riesce a cogliere strutture matematiche. Leibniz mi assicura che, sebbene il mio universo presenti, localmente, dei caratteri d’imperfezione, nel complesso è perfetto poiché la perfezione divina ha voluto che questo fosse il mondo che contiene la massima varietà congiunta con il massimo ordine. Hume, invece, mi mette in guardia instillandomi il dubbio che le catene causali non conducano tutte a Dio, ma che siano così per contingenza.
Tuttavia, è possibile prendere una terza posizione, situata a metà strada fra necessità e contingenza, una posizione procedurale. Secondo questa posizione io devo poter prendere me stesso, l’universo in cui sono inserito e gli eventi che si svolgono al suo interno, da quelli fisici a quelli biologici, come campioni di una serie infinita di variazioni. È possibile sostenere questa ipotesi sulla base di alcune osservazioni introno alla casualità fatte dal fisico Max Tegmark ne suo libro L’Universo Matematico.
“La casualità non è altro che ciò che si prova a essere clonati: non potete prevedere cosa percepirete tra un secondo se oltre a voi ci sarà una vostra copia che percepisce qualcosa di diverso […] l’apparente arbitrarietà delle condizioni iniziali è causata dalla molteplicità degli universi, mentre l’apparente casualità è causata dalla molteplicità vostra. Se consideriamo gli universi paralleli contenenti una vostra copia soggettivamente indistinguibile dall’originale le due idee si fondono in una sola, facendo coesistere i molteplici universi e le molteplici copie di voi stessi. Quando misurerete le condizioni iniziali del vostro Universo, l’informazione ottenuta sembrerà casuale a tutte le vostre copie” (Max Tegmark, L’universo matematico)
Ora, l’ipotesi di Tegmark si basa su alcune assunzioni fisiche relative all’inflazione eterna, alla teoria delle stringhe e alla interpretazione dei molti mondi della meccanica quantistica, tutte teorie che sono oggetto di discussione e potrebbero essere falsificate. L’esperimento mentale di considerarsi come una copia di una serie di variazioni è invece indipendente dalla sua giustificazione fisica, e resta un interessante quesito filosofico. Trovo che la sua formulazione più chiara sia ricavabile da questa citazione:
“Le automobili sono create dalle fabbriche di automobili, i conigli sono creati da papà coniglio e mamma coniglia, e i sistemi solari sono creati dal collasso gravitazionale di nubi molecolari gigantesche. Perciò è abbastanza ragionevole assumere che il nostro Universo sia stato creato da qualche tipo di meccanismo di creazione di universi (potrebbe trattarsi dell’inflazione o di qualcosa di completamente diverso). Ecco l’idea di Guth: tutti i meccanismi citati producono naturalmente molte copie di ciò che creano. Un cosmo contenente solamente un’automobile, un coniglio e un sistema solare avrebbe un’aria un po’ artificiosa. In maniera analoga, è certamente più naturale assumere che il reale meccanismo all’origine di un universo, qualunque esso sia, ne crei un gran numero anziché limitarsi a quello in cui abitiamo” (Max Tegmark, L’universo matematico)
Per Tegmark il fenomeno della casualità, quantistico o classico, può essere spiegato attraverso esperimenti mentali che trattano la clonazione. Immaginiamo di essere stati addormentati e clonati. Noi e la nostra copia ci risvegliamo dentro una stanza numerata rispettivamente 0 e 1. Ripetendo l’esperimento più volte si cambia la stanza di risveglio dei cloni che penseranno che il numero della propria stanza sia casuale. Tuttavia, agli occhi degli sperimentatori non c’è nessuna casualità. In modo opposto, posso pensare che l’essere umano sia l’apice delle forme di vita e che ci sia una ragione per questo. Oppure, come faceva Leibniz, posso pensare che questo universo sia il più perfetto. Si tratta in entrambe i casi di errori di campionamento statistico: prendo per motivato qualcosa che è un caso singolare preso da una serie (totalità) di occorrenze.
L’esistenza di una molteplicità di forme di vita dipende da un processo casuale di evoluzione, così come l’esistenza di un universo determinato da certe leggi fisiche dipende dalla casualità della ramificazione originaria in una molteplicità di universi.
L’esperimento mentale di Tegmark implica una fase di copia e una fase di censura. Non avendo accesso alla totalità delle informazioni sul numero della mia stanza ipotizzo che sia casuale. Tuttavia, ciò che è casuale è l’effetto di un’ignoranza, o di una mancanza di informazioni circa la totalità del contesto nel quale sono inserito.
Quando ragiono controfattualmente sto immaginando possibilità virtuali che non hanno un’esistenza attuale. Passati, presenti o futuri alternativi. In questo ragionamento, se ad esempio penso ad un passato controfattuale, immagino che sia avvenuto qualcosa che era situato in una gamma di possibilità. Immagino quindi che la storia abbia avuto delle biforcazioni nelle quali il corso degli eventi è proceduto seguendo una strada piuttosto che un’altra.
Se tuttavia avessi accesso al generatore di strade della storia, avrei a disposizione una macchina che genera mondi possibili che non sono affatto casuali, ma creazioni determinate dalla manipolazione di alcuni parametri fisici, biologici o sociali.
Tegmark assume che la causalità non esiste perché, ammettendo un’infinità di universi e una struttura matematica soggiacente, fenomeni che mi appaiono casuali sono in realtà fenomeni di cui non ho un’informazione completa. Fenomeni come l’indeterminazione quantistica. In un altro esperimento mentale Tegmark ci chiede d’immaginare una carta quantistica truccata: per 2/3 delle volte cade mostrando una regina per 1/3 mostra il verso. Ora, se scommetto sulla regina, immaginando una situazione indeterministica à la Copenaghen, ci sarà un unico esito, ripartito secondo vari pianeti-copia che si sono originati per effetto dell’inflazione eterna (quello che Tegmark chiama multiverso di livello I): la funzione d’onda collasserà e in 2/3 dei pianeti avrò vinto, nel restante avrò perso. Se invece si segue l’interpretazione dei molti mondi (quello che Tegmark chiama multiverso di livello III), avrò degli universi paralleli-copia, la funzione d’onda non collasserà, ma, all’interno di ogni copia la percentuale di pianeti nel quali avrà vinto e quella nei quali avrò perso sarà preservata. Alla base di questi universi c’è una sottostruttura matematica, nella quale non ci sono probabilità. E questo significa che, a livello più profondo, in tutte le varie forme dei multiversi di Tegmark non esiste contingenza.
-->“Se la teoria dell’universo matematico è corretta, l’unico modo in cui la casualità e le probabilità possono apparire in fisica è attraverso la presenza di insiemi, come un modo per gli osservatori di quantificare la loro ignoranza riguardo all’insieme in cui si trovano. In particolare, tutti gli enunciati matematici sulla probabilità possono essere riformulati come teoria delle misure. Per esempio, se un osservatore ha usato un generatore simmetrico di numeri casuali quantistici per produrre una stringa di bit scritta come numero reale come “.011011011101…”, e se la meccanica quantistica è unitaria in modo che lo stato finale sia una sovrapposizione di osservatori che ottengono tutti i risultati, allora nel limite di un numero infinito di bit, quasi tutti gli osservatori troveranno che le loro stringhe di bit appaiono perfettamente casuali e concludere che le regole convenzionali della probabilità quantistica reggano. Questo perché, secondo il teorema di Borel sui numeri normali, quasi tutti (tutti tranne un insieme di misura zero di Borel) i numeri reali hanno decimali binari che superano i test standard di casualità. Una dimostrazione convincente dell’esistenza di una vera casualità nelle leggi della fisica (in contrapposizione ai semplici insiemi in cui cresce l’incertezza epistemologica) confuterebbe quindi la teoria dell’universo matematico” (Max Tegmark, The Mathematical Universe)
Ora, ciò che si deduce dalle speculazioni di Tegmark sui multiversi, è che il ragionamento condotto dal fisico svedese si basa su un modello sviluppato in ambito filosofico da Nick Bostrom, definita Ipotesi dell’autocampionamento, la quale afferma che un osservatore dovrebbe ragionare come se fosse selezionato dall’insieme di tutti gli attuali osservatori esistenti (presenti, passati e futuri), secondo la loro classe di riferimento. Nel caso di Tegmark, agli osservatori situati in questo universo è necessario aggiungere osservatori ipoteticamente collocati in altri universi. Il fatto che siano possibili una pluralità di universi inflazionistici, definiti di livello II, significa che quelle che nel nostro universo reputiamo essere leggi fondamentali potrebbero essere regolarità locali, variazioni randomiche su alcuni parametri fisici che potrebbero generare infinite variazioni. In alcune di queste variazioni ci sarà la vita, in altre non si svilupperanno molecole, in altre ancora ci saranno più o meno di quattro dimensioni spaziotemporali. Il “generatore di universi” descritto da Tegmark assomiglia molto a un algoritmo per la generazione procedurale. A questo punto tesi come il principio di ragion sufficiente, l’idea di un universo perfetto, o di un universo deterministico vengono riformulate in termini procedurali. Non c’è un universo perfetto né un disegno intelligente, ma non c’è nemmeno un caos completo. C’è piuttosto una complessità procedurale che rende comprensibile razionalmente: (1) la ragione per la quale le leggi fisiche sembrano accordarsi con l’origine della vita; (2) la ragione per la quale questo accordo ci sembra casuale. La tesi di Tegmark è che, così come un mondo virtuale procedurale esibisce complessità creata a partire da un algoritmo semplice e da un generatore di numeri casuali che determina i valori dei vari parametri, originando un’impressione di varietà, allo stesso modo il “nostro” universo non è che un token generato da una macchina “più o meno semplice” che produce innumerevoli atomi, galassie, pianeti e forme di vita a partire da un enorme processo combinatorio.
“Se viviamo in un universo casuale abitabile, è probabile che i numeri avranno sempre un aspetto casuale, ma dovranno ubbidire a una distribuzione di probabilità che favorisce l’abitabilità. Combinando le previsioni sulle modalità di variazione delle grandezze numeriche all’interno del multiverso con le caratteristiche più importanti di vari processi fisici tra cui la formazione delle galassie, possiamo formulare previsioni statistiche su ciò che ci aspettiamo di osservare” (Max Tegmark, L’universo matematico)
C’è però un aspetto ingenuo nella descrizione dei multiversi di Tegmark, ed è l’evidente sovrapposizione di un modello computazionale al funzionamento della fisica “standard”. Ci sono troppe premesse ipotetiche per trattare in modo serio le speculazioni di Tegmark: l’interpretazione dei molti mondi, la ramificazione dell’inflazione eterna, l’esistenza di un strutture matematiche che “sono” la realtà, un tipo di ragionamento “longtermista”. Va anche detto che il libro è scritto per un pubblico vasto, ma le stesse implicazioni sono spiegate in maniera più tecnica in un precedente articolo. Ora, una delle assunzioni più forti che Tegmark concerne la natura delle misurazioni fisiche. Com’è noto queste misurazioni si basano su modelli continui che fanno uso di numeri reali (del tipo 0, 3458393…), i quali, dal punto di vista della teoria dell’informazione, sembrano produrre strani paradossi fisici, come un punto misurato con precisione infinita che contiene informazione infinita. Ora, per Tegmark il continuo è solo un’approssimazione della natura discreta e granulare della realtà (ipotizzata dalla gravità quantistica) e, in ogni caso, le strutture matematiche che la compongono non possono contenere informazione infinita. E, tuttavia, questo significa liberarsi dei risultati matematici di Cantor e Chaitin, e di tutte quelle ramificazioni della matematica e della fisica nelle quali si fa uso dell’infinito e del continuo.
Ma che cosa significa avere una dimostrazione matematica della “vera” casualità delle leggi della fisica? “La casualità è l’imprevedibilità rispetto alla teoria e alla misurazione previste” affermano Cristian Calude e Giuseppe Longo. La casualità è relativa, quindi non ci può essere un test valido per individuare una “vera” casualità”. Ma perché? Prendiamo due sequenze binarie composte da 32 cifre.
10011001100110011001100110011001 e
01101000100110101101100110100101
Il numero di combinazioni possibili sarà quindi 232, ovvero 4294967296 stringhe diverse, e questi sono due casi possibili. Quale ci sembra la “più casuale”? La seconda è stata generata dal lancio di una moneta non truccata, mentre la prima sembra “più ordinata”. Dal punto di vista della definizione di casualità data come assenza di pattern, se prendo una sequenza scritta in numerazione binaria, sarà casuale quella sequenza le cui basi (1 e in base 1; 01 è in base 2, 0101 è in base 4), raggiungono, all’infinito, la loro distribuzione normale. Le basi definiscono quindi la lunghezza delle stringhe, mentre il loro contenuto sono le combinazioni degli elementi. Se prendo una base di lunghezza 1, una sequenza molto lunga sarà composta dal 50% di 0 e 1, mentre se prendo come base 2 avrò 25% di probabilità di trovare 10, 11, 01, 00. Ora, una sequenza può essere casuale in questo senso, come la prima, ma apparirci ordinata: perché? Perché la prima macro-sequenza è stata generata attraverso la ripetizione della micro-sequenza 1001. E qui bisogna inserire una seconda definizione di casualità, proveniente dalla teoria algoritmica dell’informazione, ovvero: casuale è una sequenza il cui programma in grado di descriverla/generarla ha approssimativamente la stessa lunghezza della sequenza. Ma abbiamo trovato la “vera” casualità? Calude sostiene che se l’universo manifesta, nelle sue leggi, una casualità che comprende entrambe queste definizioni, può essere definito ‘caotico’.
“L’Universo, in particolare la porzione extra-sistema solare, è, nel senso forte del verbo “essere”, una lunghissima sequenza di bit, l’output numerico prodotto da dispositivi che misurano le radiazioni elettromagnetiche provenienti da varie fonti. Queste misurazioni, passate, presenti e future, costituiscono una gigantesca sequenza di bit, cioè queste misure, nel loro insieme, formano i primi n bit dell’espansione infinita di un numero reale. Poiché tale sequenza è tipicamente un lessico, la conclusione è che l’Universo è privo di leggi”. Il semplice lancio di una moneta non truccata è tutto ciò che è necessario per produrre come risultato l’intero Universo” (Cristian Calude, Walter Meyerstein, Is the universe lawful?)
Un “lessico” nel senso di Calude è una sequenza casuale, ovvero una sequenza nella quale qualsiasi stringa di qualsiasi lunghezza può apparire infinite volte. Un universo che si comporta come un lessico assomiglia molto alla visione di Nietzsche e di Poincaré di un cosmo ciclico che contiene tutte le infinite combinazioni di atomi possibili. In universo caotico, secondo Calude, l’apparente ordinamento della sezione nella quale viviamo è data da una mancanza di prospettiva generale.
“Se l’Universo è un lessico, dato che ovviamente dobbiamo trovarci in una qualche sezione di esso, possiamo sempre sperare di vivere in una sezione finita parzialmente ordinata, che ci permetta di progredire nella sua esplorazione scientifica ancora per molti secoli […] Infatti, se l’Universo è un lessico, l’unico fatto che possiamo razionalmente assumere è che tutto può arrivare, in qualsiasi momento e in qualsiasi luogo, dobbiamo ammettere che in qualsiasi momento e in qualsiasi luogo l'”ordine” può improvvisamente, senza transizione, tornare alla pura casualità” (Cristian Calude, Walter Meyerstein, Is the universe lawful?)
Questo universo rende la matematica e la fisica inservibili? No, perché semplicemente contiene dell’informazione infinita globale, che non può essere compressa in un pacchetto di leggi o algoritmi, il cui sviluppo temporale coincide con l’avanzare della sequenza, ma questo non esclude che noi si sia situati in una peculiare sezione della sequenza che presenta regolarità. L’universo di Tegmark dovrebbe essere stabile perché i parametri fisici che possono essere alterati sono finiti, ovvero c’è un limite alla varietà delle combinazioni osservabili. Ma c’è di più: è possibile osservare che se in questo universo si è sviluppata la vita, ci dev’essere un certo grado di organizzazione, una complessità finita che rende possibile l’unificazione di atomi, molecole, cellule e organismi. Ciò che possiamo osservare, quindi, è che l’entropia, nella parte di universo in cui viviamo e pensiamo, non può essere infinita. Oppure, potrebbe voler dire che noi, in quanto esseri viventi e pensanti, ottimizzati per sopravvivere, percepiamo solamente ciò che è costante.
“Ciò che percepiamo come oggetti sono quegli aspetti del mondo che manifestano una certa permanenza. Nell’osservare l’oceano, ad esempio, percepiamo le onde in movimento come oggetti perché manifestano una certa permanenza, anche se l’acqua, di per sé, oscilla su e giù” (Max Tegmark, L’universo matematico)
“Come scriveva, negli anni Cinquanta, il filosofo Nelson Goodman, usando una bellissima espressione: “Un oggetto è un processo monotono”, un processo che si ripete uguale a se stesso per un po’. Un sasso è un vibrare di quanti che mantiene la sua struttura per un po’, come un’onda marina mantiene un’identità prima di sciogliersi di nuovo nel mare. Che cos’è un’onda, che cammina sull’acqua senza trasportare con sé nulla se non la propria storia? Un’onda non è un oggetto, nel senso che non è formata da materia che permane. E anche gli atomi del nostro corpo fluiscono via da noi. Noi, come le onde e come tutti gli oggetti, siamo un fluire di eventi, siamo processi che per un breve tempo sono monotoni” (Carlo Rovelli, La realtà non è come ci appare)

Per Calude non è possibile sapere se il nostro universo, nel complesso, è caotico o ordinato, nondimeno è evidente che non osservando variazioni continue nelle leggi fisiche possiamo sospettare che queste non siano caotiche. Dal punto di vista matematico, però, nulla ci assicura che questa apparente calma non sia un’isola di ordine in un oceano di contingenza. L’osservazione di Tegmark è invece che l’apparente casualità delle condizioni iniziali e l’apparente accordo delle leggi fisiche con l’emergenza della vita siano spiegabili non attraverso un disegno teleologico, ma attraverso la variabilità procedurale delle condizioni originarie, condizioni che dipendono da parametri che, all’inizio dell’inflazione eterna hanno generato tutti gli universi possibili, compresi quelli in cui la vita sarebbe impossibile. Questo tipo di ragionamento collega le speculazioni fisiche di Tegmark con quelle metafisiche del filosofo francese Quentin Meillassoux, il quale ha dissezionato il ragionamento statistico che sottende l’ipotesi di un universo parametrico.
“Costruisco mentalmente un “Universo-dado” che si identifica con un Universo degli universi, sottomesso globalmente solo al principio di non-contraddizione, ciascuna faccia del quale sarebbe un universo retto da un insieme determinato di leggi fisiche. Poi, per una situazione che si produce nell’esperienza, faccio idealmente ruotare questo Dado nella mia mente (penso alle conseguenze concepibili dell’evento): ma alla fine, vado a constatare che si produce sempre lo stesso risultato (date le stesse circostanze) […] L’improbabilità di questa stabilità del risultato sembra allora così aberrante che non mi soffermo neppure a considerare l’ipotesi che essa possa essere solo il frutto del caso” (Quentin Meillassoux, Dopo la finitudine)
Il ragionamento descritto da Meillassoux procede come segue: in una versione determinista e metafisica io osservo delle regolarità e deduco che a produrre le regolarità è un artefice. In una versione che denominiamo “procedurale” io nego l’esistenza di un unico artefice, ma ammetto l’esistenza di un “generatore di universi casuale”. Questo generatore, la cui forma è un calco delle nostre attuali conoscenze tecnologiche digitali e computazionali, produce gli innumerevoli universi a partire da un meccanismo parametrico che obbedisce a poche leggi universali che creano la varietà infinita delle molte leggi e fenomeni locali. Ed è qui che i teoremi di Cantor, Gödel e Turing entrano a scombinare le carte. Secondo la versione di Meillassoux il ragionamento procedurale deve ammettere l’esistenza di uno spazio delle fasi, o di un insieme-totalità dal quale si ricava la nostra situazione locale. Questa ‘totalizzazione’ come la chiama il filosofo francese, nella peculiare assiomatica di Cantor, è illegittima. Non esiste matematicamente un insieme che contiene tutti gli insiemi.
“Ma applicando il ragionamento probabilistico al nostro universo nella sua interezza, do per presupposto che sia legittimo – senza che nulla nell’esperienza possa indurmi a convalidarlo ipoteticamente – considerare anche il concepibile come costituente una totalità di casi. Sto formulando un’ipotesi matematica sul concepibile: ne faccio un insieme, per quanto immenso esso sia. Lo intendo come l’insieme dei mondi possibili, perché sto considerando a priori che sia legittimo pensare il possibile come un Tutto. Ma a questo punto, è proprio una tale totalizzazione del concepibile che non può più venire garantita a priori. Dopo la rivoluzione cantoriana dell’insiemistica, notoriamente, nulla ci permette di affermare che il concepibile sia necessariamente totalizzabile, dato che un elemento essenziale di questa rivoluzione consiste esattamente nella detotalizzazione del numero, detotalizzazione che ha preso anche il nome di transfinito” (Quentin Meillassoux, Dopo la finitudine)
C’è però un errore nel ragionamento del filosofo francese, e concerne la definizione di casualità. Non esiste una casualità ontologica, ma solamente una casualità relativa. È una proprietà relazionale. Un esempio di questa natura relativa della casualità può esserci dato dalla storia che narra di come Galileo scoprì la regolarità delle oscillazioni di un pendolo. Mentre stava assistendo ad una funzione religiosa presso la cattedrale di Pisa, lo scienziato si accorse che il numero dei battiti cardiaci era lo stesso delle oscillazioni di un candelabro. Scoprì così le oscillazioni di un pendolo hanno tutte la stessa durata e che attraverso questo stratagemma si potevano costruire orologi di precisione utili per le sue ricerche sulla velocità di caduta dei gravi. Ma come faceva in primo luogo ad assicurarsi che i battiti cardiaci fossero regolari? Servirebbe una terza unità di misura, e poi una quarta e così via, all’infinito. Questo perché, definire regolari o casuali le oscillazioni del pendolo e del battito cardiaco si può solamente a partire da una relazione fra i due fenomeni. Si presuppone che uno strumento di misura generi intervalli temporali uguali e, a partire dal confronto con un altro fenomeno, si cerca di capire se ci sono punti di contatto fra un fenomeno e l’altro. Ma la casualità o la regolarità degli intervalli dipende in primo luogo dal fatto che i fenomeni possano essere messi in corrispondenza e, in secondo luogo, che si stabilisca una soglia di precisione. E questo perché il concetto stesso di “legge fisica” ammette delle relazioni, relazioni che sussistono almeno fra due elementi. Per questo l’idea di poter completare il progetto di Meillassoux, deducendo matematicamente la ragione dell’aleatorietà delle leggi fisiche è destinato a sciogliersi nel nulla.
“Si tratterebbe di stabilire che i possibili di cui il Caos – che è il solo in sé – è effettivamente capace non sono misurabili da alcun numero, finito o infinito, e che questa sovra-immensità del virtuale caotico è ciò che consente l’impeccabile stabilità del mondo visibile. Ma questa derivazione, sospettiamo, non potrà che essere molto più complessa di quella della consistenza, più avventurosa, dato che stavolta si tratterebbe di fissare come condizione assoluta della contingenza un teorema matematico specifico, e non una regola generale del logos” (Quentin Meillassoux, Dopo la finitudine)
La confutazione della tesi di Meillassoux è facilmente deducibile da quella branca della matematica chiamata teoria di Ramsey che studia l’emergere di sottostrutture ordinate all’interno di macrostrutture finite o infinite. Applicazioni di questa teoria si hanno ad esempio nello studio dei grafi, strutture matematiche costituite da punti e connessioni fra questi. Ora, che non esista una “casualità” assoluta significa che ogni struttura matematica contiene dei pattern, dei legami e delle relazioni. Solamente una struttura matematica che non contiene relazioni potrebbe soddisfare la tesi di Meillassoux. Ma questa non sarebbe più una struttura matematica, poiché per essere tale, deve almeno definire qualcosa: punti, linee, simmetrie, gruppi, etc.
“Se un insieme contiene un numero abbastanza grande di oggetti e se tra ciascuna coppia di oggetti sussiste una e una sola relazione tra quelle considerate, allora esiste sempre un sottoinsieme contenente un certo numero di oggetti tra ogni coppia del quale sussiste la stessa relazione” (Ronald Graham, Joel Spencer, La teoria di Ramsey)
In ultima analisi, idee come quelle di determinismo, caos e proceduralità non sono validi argomenti per stabilire una definizione scientifica. Esse sono piuttosto espressioni di valori metafisici o predisposizioni personali che rivelano più su strutture sociali e psicologiche che sulle sottostanti tesi fisiche o matematiche messe in gioco.
“Le affermazioni fisiche sulla “casualità assoluta” – e, per le stesse ragioni, sul “determinismo assoluto” – devono essere accolte con il massimo scetticismo. Tali affermazioni possono servire come principio euristico, come segnale, ma non significano nulla al di là della visione del mondo contemporanea, molto probabilmente transitoria (qualcuno potrebbe anche dire spuria), e delle preferenze personali e soggettive dell’individuo che le emette. Come tutte le costruzioni della mente e della società, le teorie fisiche sono sospese nel pensiero libero, una sorta di camera dell’eco” (Kurt Svozil, Physical (a)causality)
L’unica definizione ragionevole di casualità dipende dal tipo di fenomeni osservati e dalla classe presa in considerazione. Dal punto di vista fisico, una misura della casualità può essere data dalla considerazione delle traiettorie compiute da una particella. Questa traiettoria, che parte da un punto determinato e viene misurata rispetto ad una quantità osservabile, è definibile come casuale quando i valori osservabili nello spazio equivalgono asintoticamente a quelli osservabili nel tempo. Una definizione di casualità biologica è diversa, perché “la dinamica evolutiva implica un cambiamento dello spazio stesso dei parametri e degli osservabili”.
“Un’analisi filogenetica non può essere basata sulla conoscenza fisica a priori, la cosiddetta condizione di possibilità per le teorie fisico-matematiche: lo spazio-tempo e l’osservabile pertinente, cioè lo spazio delle fasi. In altre parole, un percorso filogenetico non può essere analizzato in uno spazio di fase predeterminato, come in tutte le teorie fisiche, compresa la meccanica quantistica […] L’evoluzione, grazie alla complessa miscela di organismi ed ecosistemi, crea il proprio spazio di fase e lo fa in modo (altamente) imprevedibile. Pertanto, gli eventi casuali, in biologia, non si limitano a “modificare” i valori numerici di un’osservabile in uno spazio di fase prestabilito come in fisica: modificano gli stessi osservabili biologiche stesse, come i fenotipi” (Cristian Calude, Giuseppe Longo, Classical, quantum and biological randomness as relative unpredictability)
In altre parole, l’idea di una casualità e di un determinismo “assoluti” sono da scartare e riformulare scientificamente in termini di complessità algoritmica, ovvero nei termini di una gerarchia di ciò che si può computare. Introducendo nei nostri ragionamenti universi paralleli o infiniti rischiamo di perdere questa precisione e di formulare un discorso scientifico in termini metafisici. Se poi vogliamo cercare una definizione matematica di struttura casuale rimarremo delusi perché la teoria di Ramsey ci offre un risultato negativo, affermando che ogni struttura sufficientemente grande contiene delle sottostrutture. In ultima analisi, porsi domande sulla natura “ontologica” della realtà significa quasi sempre ragionare con dei termini alquanto astratti e assoluti. Questo tipo di ragionamento è utile perché prende in analisi dei casi estremi, ma allo stesso tempo può essere soggetto a facili semplificazioni.
Il matematico Gregory Chaitin ha dimostrato che esiste un teorema che prova la casualità “assoluta” della matematica, ma, questa casualità non è catturabile da alcun sistema assiomatico. Nella confusione fra fisica e matematica compiuta da Tegmark, Meillassoux e, per certi versi, anche da Chaitin, si assume che vi sia un’indistinzione fra leggi fisiche e leggi matematiche. Un multiverso procedurale è un universo combinatorio nel quale le leggi locali assumono valori che ai loro osservatori intelligenti sembrano casuali o necessarie a seconda dei punti di vista. Un osservatore non contaminato dal bias antropico, afferma Tegmark, potrebbe concludere che benché le leggi fisiche possano variare, esse lo fanno all’interno di uno spazio di fase predeterminato. Il punto fondamentale, però non è di natura matematica, ma fisica. Infatti un universo può essere concepito solo riduzionisticamente come una “struttura matematica”, o come un lessico nel senso di Calude. Punti definiti con infinita precisione, universi di estensione infinita, spazi infinitamente divisibili sono entità che non fanno altro che generare paradossi e contraddizioni. Certo, noi manipoliamo questi enti matematici, possiamo definire concetti come l’aleph dandogli un nome. Ma il fatto che possiamo dare un nome matematico a un definizione “assoluta” di casualità, così come a quella d’infinito, non significa che sia raggiungibile come una meta lontana nella mappa di un continente ignoto. Se, come sembrano affermare le più recenti ricerche neuroscientifiche (si veda Il pallino della matematica di Stanislas Dehaene), la nostra comprensione dei fenomeni matematici è di tipo spaziale, allora ciò che possiamo dire intorno alla casualità si basa su metafore ricavate dalla nostra esperienza fisica, esperienza che però non è comparabile con i paesaggi matematici. Definire in modo “assoluto” la casualità significa prendere in considerazione qualcosa come una sequenza senza distinzioni. Il fatto è che, generalmente, quando pensiamo ad un fenomeno fisico casuale pensiamo all’esito del lancio di una moneta non truccata: questa ci mostra dei fatti “atomici”, uno sconnesso dall’altro. Ma questo modello di casualità si basa su un’immagine mentale fisica, quella di oggetto ideale che genera sequenze binarie prive di pattern. La conflagrazione tra ragionamento matematico e fisico dipende dal fatto che, se osservassimo una sequenza molto lunga di “teste”, cominceremo a cedere alla fallacia del giocatore, e penseremo che, prima o poi, se la moneta non è truccata, si presenteranno delle croci. Il punto è che in questo ragionamento implichiamo che la moneta funzioni come un dispositivo di stoccaggio delle informazioni, che, come una piccola macchina di Turing, calcoli gli esiti successivi basandosi sul principio che, secondo la legge dei grandi numeri, questa sequenza, all’infinito dovrebbe contenere un’equa porzione di teste e di croci. Un evento casuale, rispetto a questo sistema di riferimento, sarebbe la comparsa di una croce dopo un milione di teste. Questo non è un evento casuale dal punto di vista matematico, ma, dal punto di vista temporale e psicologico dell’osservatore.

“Il problema è che «casuale» significa «indistinguibile dalla folla, privo di caratteristiche peculiari». Ma se è possibile definire la casualità, proprio il fatto di essere casuale diventa una caratteristica aggiuntiva che si può usare per mostrare che certi numeri sono atipici e spiccano in mezzo agli altri. In tal modo, si ottiene una gerarchia di concetti di casualità: quello di partenza, poi un secondo, derivato dal primo, poi un terzo, derivato dal secondo, e così via. E ciascun concetto si deriva usando la definizione precedente di casualità come ulteriore caratteristica, proprio come qualsiasi altra caratteristica che si può usare per classificare i numeri” (Gregory Chaitin, Alla ricerca di Omega)
In questo senso possiamo intendere la casualità come un concetto vago, nebuloso, come un’area sconosciuta nel paesaggio matematico, i cui confini sembrano avere delle determinazioni organizzate ma il cui interno presenta un’impossibilità nella navigazione: immersi nelle nebbie del transfinito vaghiamo senza una direzione, procedendo a tentoni come ubriachi. Dissipare le nebbie di questo paesaggio si può se si considerano i fenomeni fisici di casualità senza confrontarli con i corrispettivi matematici. In questo senso la casualità è misurabile: sia se si considerano fenomeni quantistici sia se si considerano le possibilità effettive di un calcolatore di produrre sequenze randomiche. La teoria di Ramsey ci può fornire degli indizi sulla struttura di tale paesaggio, ma non sono indizi particolarmente informativi, perché sono troppo informativi. In altre parole, per tornare all’esempio del paesaggio immerso nella nebbia: possiamo trovare delle strade ma non possiamo definire la natura della nebbia, né dissiparla.
“La teoria algoritmica dell’informazione […] fornisce un’analisi approfondita della casualità per le sequenze di numeri, date da un calcolo astratto o da una computazione macchinica, oppure prodotte da una serie di misure fisiche. In questo modo, fornisce uno strumento unico per un’analisi comparativa tra diverse forme di casualità. La teoria algoritmica dell’informazione dimostra anche che non esiste una sequenza infinita che superi tutti i test di casualità; quindi, un’altra prova che la “vera casualità” non esiste […] la casualità può essere confutata, ma non può essere dimostrata matematicamente: non si può mai essere sicuri che una sequenza sia “casuale”, ci sono solo forme e gradi di casualità” (Cristian Calude, Giuseppe Longo, Classical, quantum and biological randomness as relative unpredictability)
La nebbia che avvolge l’infinito matematico e quella che avvolge le leggi fisiche sono diverse. Addentrandoci in paesaggi sconosciuti possiamo, per debolezza psicologica, confonderli, proiettando le nostre strutture mentali su uno spazio amorfo, informe e nebuloso. Gli argomenti di Tegmark e di Meillassoux si dimostrano come speculazioni proprio perché pretendono di conoscere ciò che in realtà è pura nebbia, uno spazio indistinto sul quale proiettiamo delle visioni ideologicamente (e metafisicamente) predeterminate: il caso non esiste, tutto è determinabile da un algoritmo universale che genera universi procedurali; oppure: la casualità matematica esiste, e corrisponde ad un caos fisico, tutto accade senza una ragione. In verità, non c’è una reale interferenza fra concetti fisici e matematici, ma solamente un difficile dialogo fra discreto e continuo, infinito e finito, determinismo e anarchia della materia. L’unico elemento che possiamo perlustrare, muniti di un sistema di ricerca inferenziale, sono i perimetri della nostra ignoranza, i confini che delimitano la differenza fra lo spazio delle nostre proiezioni e la nebbia del reale. Certi fisici iniziano a domandarsi se, in ultima analisi, Achille raggiungerà la Tartaruga, ma, come abbiamo visto, dobbiamo immaginare lo spazio di questa competizione come un nebbia e non come una retta. Carlo Rovelli ci dice che Achille raggiungerà finalmente la Tartaruga, perché nella sua teoria della gravità quantistica a loop lo spazio è granulare, ma questa, per ora, è solo un’ipotesi.
“I quanti di spazio non hanno un luogo dove stare, perché sono essi stessi “il luogo”. Hanno un’altra informazione cruciale che li caratterizza: l’informazione su quali sono gli altri quanti di spazio adiacenti: chi è vicino a chi. Questa informazione è espressa dai link del grafo. Due nodi collegati da un link sono due quanti di spazio vicini. Sono due grani di spazio che si toccano. È questo “toccarsi” che costruisce la struttura dello spazio. Questi quanti di gravità rappresentati da nodi e linee, lo ripeto, non sono nello spazio, sono essi stessi lo spazio. Le reti di spin che descrivono la struttura quantistica del campo gravitazionale non sono immerse nello spazio, non abitano uno spazio. La localizzazione dei singoli quanti di spazio non è definita rispetto a qualcosa, ma è definita solo dai link, e solo in relazione l’uno all’altro” (Carlo Rovelli, La realtà non è come ci appare)
Penso sia poetico immaginare che Achille rincorra la Tartaruga come Zhunangzi cerca di comprendere se è lui a sognare la farfalla o l’inverso. Immersi nel paesaggio nebuloso del sonno e della nebbia, Achille, la Tartaruga, Zhunangzi e la farfalla incontrano Mallarmé – nessun lancio di dadi mai annullerà il caso – proprio perché non ci sono dadi distinti dal lanciatore in questo paesaggio matematico, così come non ci sono personaggi onirici distinti dal sognatore. Questi esseri metamorfici e narrativi sussistono in un paesaggio chimerico, frutto dei sogni e della debolezza dell’immaginazione umana, un paesaggio abitato ai limiti di una duplice montagna, fisica e matematica, avvolta nelle nebbie, che reca come nome sulla mappa: Aleph, caso, infinito. Nella strada che si percorre per raggiungere la sommità, presto i confini fra i viandanti, la nebbia e i molteplici cammini si evaporano, lasciandoci estasiati dalla nube della non conoscenza. Le bussole attraverso le quali ci orientiamo in tali ostili territori sono strumenti fallaci, per un istante ci indicano un nord, mentre all’istante successivo ci indicano una direzione arbitraria. Costruendo avamposti in questo territorio variabile abbiamo l’impressione di progredire, ma è solamente un miraggio dovuto alle limitazioni delle nostre menti organiche. Più ci innalziamo alle vette di queste montagne, più l’appiglio materiale e metaforico si fa rado.
“Quanto più alziamo lo sguardo verso l’alto, tanto più i discorsi vengono contratti dalla contemplazione delle realtà intellegibili; così pure anche ora, nel momento in cui penetriamo nella tenebra superiore all’intelligenza, noi troviamo non più discorsi brevi, ma la totale assenza di parole e di pensieri. In quel caso il discorso, scendendo dall’alto verso il basso, si allargava in proporzione alla discesa; ora invece, elevandosi dal basso verso la sfera superiore, si contrae in proporzione all’ascesa, e dopo averla compiuta diventa completamente muto, per unirsi direttamente all’ineffabile” (Pseudo-Dionigi L’Areopagita, Teologia mistica)
0 comments on “Perché viviamo in un universo ordinato? La natura indefinibile del caso”