La storia della porta magica

In una piazza romana c’è una misteriosa porta, detta “porta magica”: si tratta nientemeno che del “simbolo dell’alchimia occidentale”, come la definisce Mino Gabriele. Questa è la sua strana storia.


IN COPERTINA e lungo il testo, la porta magica di Roma

 di Adriano Ercolani

 

Se un turista, magari alticcio, si aggirasse di notte per Piazza Vittorio a Roma, in cerca di un samosa nel vicino fast food indiano, o più probabilmente, data la zona, di qualche ben più speziata sostanza, potrebbe essere preda d’improvviso sgomento intravedendo tra le grate del giardino al centro della piazza  due mostruosi nani dallo sguardo demoniaco, a guardia di una porta incastonata in un muro antico. 

Invece di complimentarsi con i pusher di zona per la qualità e gli effetti della loro merce, lo straniero, ignaro come gran parte dei romani che vi passano davanti con la loro proverbiale indifferenza, farebbe bene a documentarsi su quella visione: non capita tutti i giorni di trovarsi davanti al “simbolo dell’alchimia occidentale”. Così, infatti, viene definita da Mino Gabriele, in un suo saggio già classico (ora riproposto in una versione ampliata e riveduta dalla casa editrice Leo S.Olschki), l’oggetto di questo ipotetico incontro: la Porta Magica (o Porta Alchemica o Porta dei Cieli che dir si voglia), uno dei monumenti più affascinanti e misteriosi in Europa.

Mino Gabriele, professore di Iconografia e iconologia e di Scienza e filologia delle immagini all’Università di Udine, è dottissimo esperto della tradizione alchemica occidentale, in particolare nell’era rinascimentale-barocca, come testimoniato dalle sue diverse pubblicazioni: Alchimia. La tradizione in Occidente secondo le fonti manoscritte e a stampa (1986), Cabbala cristiana e miti pagani nella Sala degli Elementi a Palazzo Vecchio (2006) oltre a diversi studi dedicati a opere cruciali come l’ Hypnerotomachia Poliphili di Francesco Colonna (1998) e Il libro degli Emblemi di Andrea Alciato (2015).

Il suo libro La Porta Magica di Roma. Simbolo dell’alchimia occidentale è un monumento al monumento, un pregevole sforzo di immersione filologica in grado di rivelare e connettere tutte le diverse fonti ermetiche ed esoteriche che compongono il complesso mosaico simbolico che rende così illuminante quella che rimane l’unica testimonianza della villa del Marchese di Palombara.

Bisogna, infatti, in primo luogo ricostruire la storia, sospesa tra documenti accertati e suggestive leggende, della Porta Magica, dal glorioso progetto iniziale alla rocambolesca sopravvivenza: un percorso ancora più significativo una volta che ne sia compreso il potente valore allegorico.

La Porta, come accennato, è ciò che resta di una splendida villa, il cui giardino sostanzialmente coincideva con l’attuale Piazza Vittorio. Terminata nel 1680, la villa non era la residenza principale ma la villa suburbana (nell’attuale centro di Roma!) dove il Marchese si dedicava alle sue ben note ricerche alchemiche.

Villa Palombara, ora distrutta

Il Marchese Savelli Palombara (1614-1685), infatti, era una figura straordinaria, nota per i suoi interessi poliedrici, la brillante intelligenza , il singolare dono poetico e gli appassionati studi di ermetismo e alchimia.

Conservatore per ben due volte in Campidoglio (nel senso di magistrato, carica che nella Roma papalina era equivalente a senatore, non dell’indirizzo politico), prima della sua attività pubblica fu protagonista di un’avventura da romanzo picaresco: avendo presentato false credenziali per “fare carriera” in ambito militare come soldato di ventura nell’esercito francese, venne scoperto in Abruzzo e arrestato; ma era solo l’inizio: venne poi rapito dal brigante Giulio Pezzola, capitano degli Spagnoli, che chiese un ingente riscatto alla famiglia, ma una volta ottenutolo non lo liberò bensì lo trasferì in prigione a Pescara, da dove però il Marchese riuscì rocambolescamente a fuggire.

Una volta tornato a Roma, grazie al suo eccellente livello intellettuale, entrò nel cerchio ristretto delle frequentazioni della regina Cristina di Svezia, con la quale condivideva l’ossessione per la conoscenza alchemica. Proprio all’interno della corte intellettuale della regina, che viveva praticamente in esilio volontario, il Marchese conobbe alcuni dei più importanti, e affascinanti, tra i ricercatori esoterici della Roma barocca.

A loro Gabriele dedica la prima sezione del suo volume, Gli alchimisti e la regina: per primo ricordiamo Athanasius Kircher, intellettuale straordinariamente eclettico, considerato “maestro in un centinaio d’arti”, celebre decifratore (per intuizione più che per effettiva conoscenza) di geroglifici egizi, inventore della “lanterna magica”,  un rudimentale prototipo di proiezione cinematografica, tra i primi scienziati ad osservare i microbi al microscopio, autore di oltre quaranta opere di diversi ambiti, uno degli ultimi esempi di “intellettuale rinascimentale”, pur se vivente nel Seicento; dobbiamo ringraziare Alessandro Orlandi per aver fortissimamente voluto il museo della sua “wunderkammer” all’interno del Liceo Visconti di Roma, antica sede del Collegio Romano dove, appunto, Kircher aveva allestito questa strabiliante “camera delle meraviglie”. Non a caso Orlandi, da direttore della casa editrice La Lepre, sebbene non coordini più il progetto del museo romano, ha pubblicato diversi testi sul geniale gesuita tedesco e sui suoi rapporti col Marchese di Palombara: ricordiamo Vita del reverendo padre Athanasius Kircher (autobiografia a cura di Flavia De Luca), Gli Argonauti a Roma di M.Fiammetta Iovine (dedicato proprio alla cerchia di intellettuali raccolti attorno a Cristina di Svezia) e il romanzo La Bugia dell’Alchimista, firmato dal misterioso Jason d’Argot, ispirato proprio al marchese romano e all’unica opera che di lui ci è giunta.

Altra figura eccezionale è quella di Francesco Maria Santinelli, anch’egli marchese, innovatore della tradizione rosacrociana, fondatore dell’Accademia dei Disinvolti a Pesaro, considerato dal Conte Valerio Zani “l’ingegno più focoso ch’abbia il furor poetico a tempi nostri perfezionato”, accolto prima come Comandante della Guardia del Corpo e dopo allontanato per un’omicidio attribuito al fratello, autore probabilmente della più famosa ode alchemica del periodo, Lux obnubilata suapte natura refulgens, costretto all’esilio da papa Alessandro VII.

E poi lui, Giuseppe Francesco Borri (ricordiamo la biografia a lui dedicata dagli studiosi Boella e Galli, Il libro del Cavalier Borri, per Edizioni Mediterranee), il più misterioso e controverso: discepolo ribelle di Kircher al Seminario Romano, dal quale fu espulso dopo aver sobillato una rivolta degli studenti, medico all’avanguardia, considerato da molti un ciarlatano, dopo un delirio mistico dovuto a un eccesso di assunzione di mercurio, diverrà un punto di riferimento spirituale del movimento Quietista; condannato per eresia dall’Inquisizione, scapperà in Svizzera,  verrà condannato per contumacia, rinnegato dai discepoli, la sua immagine  verrà bruciata a Campo de’ Fiori; dopo una serie di fortunate peregrinazioni dalla Danimarca all’Austria, dall’Olanda alla Germania, dove ottenne la protezione ufficiale e ingenti somme di danaro da diversi regnanti, fu finalmente arrestato in Ungheria per essere condotto a Vienna e consegnato al nunzio papale che lo avrebbe accompagnato, con una scorta di trenta uomini, a Roma.

Una volta giunto nella Capitale, la condanna a morte venne tramutata in ergastolo e, grazie ai suoi clamorosi successi come medico, gli fu consentito di continuare i suoi studi d’alchimia (almeno sotto Innocenzo XI, mentre Innocenzo XII revocò tali concessioni).

E proprio in Borri che storia e leggenda si intrecciano attorno alla Porta Magica.

Ecco spiegato perché: nei primi dell’Ottocento, l’erudito Francesco Cancellieri racconterà le origini leggendarie del monumento alchemico.

Riprendendo il più archetipico tòpos letterario del simbolismo sapienziale (dall’Asthavakra Gita a It’s all over now, Baby Blue di Bob Dylan), il sapiente errante in forma di mendico, Cancellieri racconta che un giorno un pellegrino entrò nella villa del Marchese di Palombara, cercando un erba in grado di permettere la trasmutazione alchemica; condotto da un servo dianzi al padrone di casa, fu accolto molto volentieri e ospitato nel suo laboratorio. La leggenda vuole che il pellegrino il mattino dopo fu visto svanire attraverso una porta, lasciando alle sue spalle un rivolo di pagliuzze d’oro, che testimoniava l’esperimento riuscito, e un foglio con delle oscure formule in latino e dei complessi simboli alchemici.

Il Marchese di Palombara, non riuscendo a decifrarli, decise di inciderli proprio su una porta, in modo da consegnare a futuri ricercatori il segreto della pietra filosofale.

Molti indicano proprio in Borri il misterioso sapiente, ma si tratta chiaramente di suggestioni leggendarie.

I due però si incontrarono, proprio nella villa, tra il 1653 e il 1654, anzi, coerente col suo spirito avventuriero, a quanto pare Borri fu testimone di una violenta rissa nel giardino. L’episodio ispirerà questi versi spassosi del Marchese di Palombara: «Incontro il mio nimico, e nella chirica/ Li tiro un sasso, e li fracasso il cranio/ E nella zuffa irato tanto smanio/ Che li strappo la barba sua satirica/ Guarir non lo potria l’arte spagirica»

Solo per questi versi, degni dello swag di un rapper moderno, sarò sempre grato alla lettura di questo libro.

Mino Gabriele, in realtà, dedica ben due capitoli alla produzione poetica più seria del Marchese di Palombara, raccolta nell’opera La Bugia, in cui la straordinaria capacità dell’autore di creare giochi di parole significativi (che ritornerà nelle celebri epigrafi della Porta Magica) si esalta in un dialogo immaginario con un oracolo, le cui risposte sono tutte giocate su anagrammi a sintagma del termine VITROLIUM (celebre acrostico alchemico in latino, deriso da Kircher ma tenuto in grande conto dal Marchese, traducibile con “visita le profondità della terra e rettificando troverai la pietra nascosta, la vera medicina”).

Arriviamo, dunque, alle tanto oscure epigrafi latine, i cui significati occulti vengono magistralmente illuminati da Gabriele, attraverso uno studio parallelo e approfondito dei temi e dei simboli presenti nel citato La Bugia (titolo che allude sia alla menzogna che all’oggetto che porta la candela, dunque la luce),  anche grazie alla consulenza di Cesare Lucarini (che al tema ha dedicato lo studio La porta magica di Roma. Le epigrafi svelate per edizioni Nuova Cultura).

Ora non posso entrare nel dettaglio di ogni interpretazione,  altrimenti la lettura del libro risulterebbe ridondante, ma vorrei solo sottolineare due aspetti: la giusta importanza data al motto ermetico palindromo “SI SEDES NON IS”, proprio sulla soglia iniziatica della porta, nel doppio significato di “Se siedi non avanzi” e “Se non siedi avanzi”; la riflessione sul rapporto simbolico tra lapis philosophorum e la figura del Cristo, già esplorata in questi termini nel fondamentale saggio di Carl Gustav Jung Psicologia e Alchimia: « Non vi è corrispondenza tra l’artifex e Cristo: è nella sua pietra meravigliosa che l’alchimista riconosce la corrispondenza col Redentore. Da questo punto di vista, l’alchimia appare come una continuazione, che penetra fin nelle profondità e nelle tenebre dell’inconscio, del misticismo cristiano con la sua materializzazione della figura di Cristo spinta fino alla comparsa delle stigmate. Con la differenza però che questa continuazione inconscia non riaffiora mai come tale alla superficie, dove la coscienza potrebbe fare i conti, confrontarsi con essa. Quanto di questo sviluppo inconscio appare nuovamente alla coscienza sono soltanto sintomi simbolici. Ma se l’alchimista fosse stato in grado di rappresentarsi chiaramente i suoi contenuti inconsci, avrebbe per forza capito che lui stesso si era messo al posto di Cristo o meglio, per esprimerci più esattamente, che non lui in quanto Io, ma in quanto Sé, si era, come Cristo, assunto il compito di realizzare l ‘“opus”, non per redimere l’uomo ma per redimere il Dio. E non solo avrebbe visto in sé l’analogo di Cristo, ma avrebbe dovuto riconoscere in Cristo il simbolo del Sé. Questa immane conclusione rimase preclusa allo spirito medievale. Per lo spirito delle Upanisad è autoevidente ciò che all’europeo cristiano sembra una vera follia. L’uomo moderno può quindi considerarsi quasi fortunato se il suo impoverimento spirituale, al momento dello scontro col pensiero e con l’esperienza orientali, è arrivato a un punto tale ch’egli non nota nemmeno con che cosa s’è scontrato.».

Torniamo, consentitemi di alleggerire, proprio all’ipotetico incontro notturno del turista ignaro con il monumento con cui ho aperto questo contributo.

Ebbene sì, perché di tutto l’ipotizzabile percorso allegorico della villa ci rimane solo la Porta Magica.

Nel 1873 il nuovo piano regolatore sancì l’esproprio e la demolizione della villa, per intitolare a Vittorio II una piazza. Dobbiamo sicuramente ringraziare qualche massone dell’epoca per averci conservato almeno questo monumento straordinario.

Chi è della mia generazione (sopra i quarant’anni) ricorda come fino a una ventina d’anni fa la zona fosse sinonimo di degrado e pericolo.

Mi immagino lo scandalo degli studiosi di Tradizione, che probabilmente avranno interpretato la sopravvivenza di un monumento iniziatico nello squallore come un segno del Kali Yuga (andassero a visitare Eleusi, se è per questo). 

Vedendo però le cose con spirito più costruttivo, l’Esquilino odierno appare veramente come la zona più soggetta a costanti trasmutazioni alchemiche della Capitale: da un lato è uno dei quartieri più multietnici della città, a ridosso del più grande snodo ferroviario nazionale, dall’altro ospita abusivamente dei neofascisti che si sono appropriati del nome di uno dei più grandi poeti del Novecento. A quanto pare, le due statue del dio egizio Bes (ecco cosa sono i mostri della visione iniziale) devono essere molto impegnate nel dover difendere, come da loro ruolo divino, l’area dalle forze negative.

Del resto, come scrive Jung nel saggio citato: « Senza l’esperienza dei contrari non esiste esperienza della totalità, e dunque nemmeno possibilità di accesso interiore alle figure sacre.», ponendo così le basi della Psicologia Alchemica poi portata avanti dal suo discepolo James Hillman.

Una curiosità: le statue furono aggiunte accanto ai lati della Porta Magica nel 1888, dopo un ritrovamento negli scavi attorno al Quirinale, ove sorgeva un antico tempio alle dee Iside e Serapide.

Un’aggiunta successiva, ma non peregrina.

Come sottolinea Gabriele, donando al percorso alchemico tutta la pregnanza simbolica junghiana, la statua mantiene ancora il suo potente significato simbolico: «La porta, in quanto sancisce la divisione fra due luoghi, realtà o dimensioni (spaziali, temporali, immaginali, metafisiche, ecc..) è eccellente simbolo di passaggio o negazione di tal passaggio. Infatti può lasciar entrare o lo può impedire, può unire o dividere. Assumendo il ruolo di discrimine tra qui e(tra sacro e profano, fra umano e divino, fra terreno e ultraterreno, tra l’oggi e il domani, ecc.) diviene l’inevitabile genitrice e custode dei due luoghi, in quanto è la sola a determinarne e a distinguerne la bifronte esistenza, a mostrarne la contrapposizione e la contiguità».

Concludo consigliando vivamente il testo di Gabriele, ma con un’avvertenza: fate attenzione, potrebbe assalirvi il desiderio di mollare tutto e dedicarvi solo allo studio dell’alchimia, fino alle estreme conseguenze,  come i protagonisti del Libro del Sole di Matteo Trevisani.

Soprattutto, consiglio di accostarvi al tema con il rispetto preteso nelle sue Rime dal Marchese Palombara, in cui rivolgendosi al lettore scrive:

Conviene hor dunque che tu ben mi mediti

Con una mente divenuta angelica

Sempre del studio ogni dì famelica

Che sol con questo i miei tesori herediti.


Adriano Ercolani (Roma, 1979) Si occupa da oltre vent’anni dei rapporti tra cultura occidentale e orientale, esplorandone le diverse manifestazioni artistiche. Tra i fondatori deI movimento internazionale Inner Peace, collabora al progetto filosofico Tlon e pubblica regolarmente interventi e approfondimenti su numerose testate (tra cui Linus, Blog del Fatto Quotidiano, minima& moralia).

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