Il primo Commento Collettivo alla Commedia

Avvicinandoci ai festeggiamenti del 2021 per i settecento anni dalla morte di Dante, L’Indiscreto pubblicherà un grande Commento Collettivo alla Commedia: 100 autori e autrici per altrettanti commenti dei 100 canti.


IN COPERTINA E NEL TESTO: un’elaborazione di Francesco D’Isa a partire da un’incisione di Gustave Doré

di Edoardo Rialti


Con il contributo di 


È chiaro, quel ragazzo è lo spirito della sua morte o, piú semplicemente, la sua morte. Ma come può essere la sua morte se lo aiuta a scrivere una poesia? Si può forse trarre qualche vantaggio dalla morte, può forse la morte essere d’aiuto? 
Boris Pasternak, Il Dottor Zivago

 

Cosa c’è di piú ancestrale, oscuramente radicato nell’anima di tutti e ciascuno, del timore di smarrirsi in un bosco, arrancando nel fango, inciampando nel terreno irregolare, sferzati da rami e rovi, insidiati da ombre, fruscii e ringhi, come i nostri avi preistorici, prima di noi? Cos’è piú universale di quei momenti di crisi senza forma né confine, quando ci siamo definitivamente lasciati alle spalle la giovinezza e la sua promessa implicita e certa d’immortalità e ormai comprendiamo davvero, vediamo con gli occhi dell’anima che non siamo solo noi a essere caduchi, ma- e lì si annida il vero strazio- anche chi e ciò che amiamo, i volti e i luoghi cari, le nostre speranze e sogni?

Nel mezzo del cammin di nostra vita 

mi ritrovai per una selva oscura,

ché la diritta via era smarrita…

700 anni fa, un giovane poeta ha visto morire la donna amata, ancora ragazza. Appassionato protagonista della vita politica e culturale della sua città, la piú ricca e florida d’Italia, “il giardino dell’Impero”, ne fu cacciato con l’accusa infamante di ladro e corrotto, costretto da quel momento in poi a vagabondare su carri e cavalli sotto la pioggia, lungo i gioghi dell’Appennino, e mendicare il pane salato della compiacenza altrui. Devoto figlio della Chiesa, si trovò in personale e feroce contrasto con il Pontefice, assistendo amareggiato al lassismo morale di coloro che dovevano rappresentare il grande universo simbolico cui aveva accordato il proprio assenso interiore. Convinto sostenitore dell’Imperatore, nella cui causa vedeva la difesa della laicità – per come lo si intendeva allora – e perfino del diritto universale dei popoli, si trovò a scrivere missive accorate a quello che era solo un ragazzo di diciassette anni e morì di febbre in un sobborgo vicino a Siena, senza aver risolto nulla delle contese che dilaniavano l’Europa.

A uno sguardo esteriore, quella di Dante Alighieri è stata davvero la vita di un fallito, una lunga serie di sconfitte e frustrazioni. Ma non solo la sua. Non c’è uomo o donna che non conosca quel destarsi nel cuore della notte e non sapersi togliere di dosso un velo di tenebre gorgogliante, si tratti di qualche lutto privato o l’inquietudine per qualche tragedia collettiva. È appunto il cammino “di nostra vita” cui Dante accosta subito quell’“io”, quel suo “mi trovai”, in un movimento che continuamente va dall’universale al particolare, dal collettivo al singolo. Egli può parlare a tutti e di tutti proprio perché scandaglia sempre e in primo luogo le sue gioie e dolori personali. Ha il coraggio di fissare negli occhi la sua/nostra tragedia e farne un’epica, addirittura una “commedia”, il che non vuol dire affatto materia leggera di risate, ma una vicenda che parte dal dolore e dalla contraddizione e approda a uno “stato di felicità” (Epistola a Cangrande) che è capace di comprenderli e resuscitarli come significato, dalla selva di spine alla candida rosa. “Ma per trattar del ben ch’io vi trovai, dirò…” è un verso che dialoga a distanza con un altro, in cui Dante tratteggia la natura della sua vocazione d’artista: “I’ mi sono uno che/ quando Amor spira, noto…” Vale letteralmente la pena raccontare l’oscurità, perché questa costituisce il punto di partenza d’una scoperta e una speranza, che persino lì l’amore ci stia comunicando qualcosa. Nel cuore di quel bosco che pare senza scampo egli è stato raggiunto da una mano tesa. Come scrisse Romano Guardini, “Dante non ha altro vanto dell’essere stato salvato da ciò che amava”: dal suo poeta preferito, dalla ragazza il cui sorriso scorto per le vie di Firenze aveva sancito l’inizio d’una vita nuova. È il suo primo, fondamentale memento: scegliete con cura ciò che amate, perché sarà proprio esso a raggiungervi dove nessun altro potrà farlo, e sarà sempre esso a giudicarvi, alla fine del vostro percorso. 

È questa radicale, quasi sconcertante fiducia nella verità d’ogni autentica esperienza umana – che proprio per questo merita di essere investigata al pari dei destini di tutte le anime, dannate o sante, che egli interroga programmaticamente “una ad una”, piangendo e sorridendo con loro, detestandole e ammirandole – questa sete inesausta per andare sempre oltre e non fermarsi mai nella ricerca d’un significato che salvi le apparenze dell’esistenza, non solo le anime ma i volti, le circostanze, i dettagli apparentemente effimeri eppure così pieni di destino, a fare di Dante una delle corone dell’umanità letteraria. Nei suoi confronti abbiamo un debito che non si paga. Di lui possiamo dire quanto Steiner tributava a Shakespeare: “Le parole che usiamo per rendergli omaggio, sono sue.” E ciò non è vero solo per noi italiani, in senso del tutto particolare. In generale, l’intensità dei nostri affetti e delle nostre domande esistenziali sono cambiati per sempre da quando Dante ha saputo fare epica non solo sugli eroi della propria illustre tradizione, ma su una giovane fiorentina che sarebbe rimasta altrimenti sconosciuta, sulle risate e malinconie condivise con gli amici poeti, sulle passeggiate col suo maestro omosessuale, sugli eventi grandi e piccoli del suo tempo, per cui la morte cruenta di due giovani, un fatto di provincia e mera “cronaca nera”, diventa per lui la storia di tutte le storie d’amore, capace di fargli immaginare quello che forse resta l’endecasillabo piú bello della storia della letteratura: “la bocca mi baciò tutto tremante.” Egli ha saputo mostrare la dignità umana che spicca anche nell’orrore piú raggelante, l’amore che si purifica nel dolore e nell’ironia, la gioia senza confini dei momenti d’estasi. Per questo ha saputo tenere compagnia a mistici e atei, ai contadini che lo ricordavano a memoria ai bivacchi estivi e a Primo Levi che arrancava con un polso tatuato in un campo di concentramento.

Avvicinandoci ai grandi festeggiamenti internazionali del 2021 per i 700 anni dalla morte di Dante, a partire da questo dicembre l’Indiscreto pubblicherà un grande Commento Collettivo alla Commedia, un progetto che crediamo mai tentato: 100 autori diversi per altrettanti commenti dei 100 canti, da pubblicare online a puntate gratuite, fondendo idealmente la tradizione già medievale della lettura pubblica di Dante, che fu percorsa da nomi come Boccaccio e D’Annunzio, con le nuove frontiere della divulgazione culturale in rete, com’è nello spirito della nostra rivista. Oltre a tutte le firme dell’“Indiscreto” stesso coinvolgeremo donne e uomini che lavorano con la musica, la narrativa, la scienza, l’arte, il fumetto, il teatro e l’approfondimento culturale. A ognuno affideremo un Canto che a nostro giudizio potrebbe costituire una sorta di “stanza” suggestiva per il commentatore o la commentatrice prescelti, che potranno muoversi al suo interno come preferiscono, con un’analisi aderente o utilizzando il testo come un trampolino per proseguire in qualunque direzione, soffermandosi su un aspetto o un personaggio o una battuta, ripercorrendo un ricordo legato al testo, utilizzandolo per illustrare un nesso con altre opere o dimensioni della creatività umana. Ogni puntata comprenderà quindi  il Canto prescelto, il commento e un’illustrazione del medesimo a firma degli artisti della Galleria Pananti, in particolare dallo splendido ciclo di Venturino Venturi.

La Commedia stessa si rivelerà così un grande spazio di riflessione e creatività condivisa, un luogo nel quale interrogarsi oggi e insieme, una dimensione che in fondo costituisce un elemento costante ed essenziale dell’arte, qualora la si lasci davvero agire e non la si confini in teche che la sterilizzano e ne smorzano la voce sempre inattuale e per questo sempre viva e contemporanea.

Per il primo Canto dell’Inferno, che costituisce una sorta di Ouverture simbolica all’intero percorso, abbiamo deciso di coinvolgere dei commentatori non solo attraverso lo spazio, ma anche nel tempo. Per questo, in una sorta di staffetta ideale, a consegnare la fiaccola agli autori che si susseguiranno a partire da Inferno II saranno alcune grandi voci del passato.

Dinanzi alla porta oscura e disperante dell’Inferno, come sul limitare del fiume di fuoco purificante del Purgatorio, a inizio e fine del percorso piú faticoso e incerto, Dante si arresta, e per due volte il suo amico e maestro Virgilio gli porge la mano, e sorride.

Con lieto volto, ond’ io mi confortai, 

mi mise dentro a le segrete cose… (Inferno III) 

Ond’ei crollò la fronte e disse: 

«Come! volenci star di qua?»; indi sorrise

 come al fanciul si fa ch’è vinto al pome.                       

 Poi dentro al foco innanzi mi si mise… (Purgatorio XXVII)

Sono soste che costituiscono anche due grandi passaggi meta-letterari, due riflessioni su quella misteriosa, commovente compagnia umana che si propone al cuore d’ogni autentica esperienza culturale. L’artista è presente. Non ci risparmia nulla, perché egli per primo nulla si è risparmiato, e si trova nel fuoco, con noi. È lo stesso gesto, di sfida e amicizia, lo stesso sorriso e la stessa mano tesa che Dante ci rivolge attraverso le acque di oltre sette secoli.

Per i prossimi due anni, L’Indiscreto, le sue autrici e i suoi autori e ospiti desiderano seguirlo oltre quella soglia e attraverso quelle fiamme.

Ad aprire le danze con i primi dieci canti dell’Inferno saranno: Giovanni Boccaccio e Maria Zambrano, Michela Murgia, Loredana Lipperini, Ilaria Gaspari, Paola Barbato, Vanni Santoni, Guido Vitiello, Andrea Zandomeneghi, Violetta Bellocchio e Riccardo Bruscagli.


EDOARDO RIALTI (1982) È TRADUTTORE DI LETTERATURA ANGLO-AMERICANA E LETTERATURA FANTASY, SCI-FI, HORROR, PER MONDADORI, LINDAU, GARGOYLE, MULTIPLAYER. TRA GLI ALTRI HA TRADOTTO E CURATO OPERE DI G.R.R. MARTIN, C. S. LEWIS, J. ABERCROMBIE, P. BROWN, O. WILDE, W. SHAKESPEARE. E’ COLLABORATORE DE “IL FOGLIO” DOVE SI OCCUPA DI CRITICA LETTERARIA E HA SCRITTO LE BIOGRAFIE A PUNTATE DI J. R. R. TOLKIEN, G. K. CHESTERTON, C. S. LEWIS, C. HITCHENS. HA INSEGNATO IN ITALIA E CANADA. DIPENDESSE DA LUI, LA SUA GIORNATA COMPRENDEREBBE SOLO CAFFÈ, SPORT E SCRITTURA.

1 comment on “Il primo Commento Collettivo alla Commedia

  1. Briareo

    Parlare della Divina Commedia senza mai citare la parola Dio è come girare un porno senza mai inquadrare un buco.

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